Víctor Polay Campos: “Sul banco degli accusati. Terrorista o ribelle?” (Il libro-I)

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Víctor Polay  Campos fu il fondatore e leader, in Perú, a principio degli anni ‘80 del MRTA, Movimiento Revolucionaio Túpac Amaru. Arrestato una prima volta nel 1989, nel 1990 riesce a fuggire dal carcere di Canto Grande insieme ad altri 47 compagni. Viene nuovamente arrestato nel 1992 e dal 1993, da 20 anni ormai, si trova rinchiuso nella base militare navale del Callao (salvo un breve periodo trascorso nel carcere di pietras Gordas), a Lima, dove sta scontando una condanna a 32 anni di carcere che finirà nel 2023.

Inutili fino ad oggi le richieste da parte di familiari, amici ed associazioni per la difesa dei diritti umani per il suo trasferimento in un carcere civile. Nel carcere militare del Callao non può studiare, non può lavorare e non può ricevere le visite dei familiari nei giorni stabiliti come in altri istituti carcerari civili.

Nel 2007 viene pubblicato in Perú il suo libro: “En el banquillo. Terrorista o rebelde?” dalla casa editrice  Canta Editores/Colección tamaru – Paseo de la República 4351 – Of 201 Surquillo – Lima (curatrice dell’edizione Mary Soto).

Il libro è stato tradotto in italiano (Sul banco degli accusati. terrorista o ribelle?) da Marisa Masucci, con la quale abbiamo deciso, di comune accordo e con l’autorizzazione della casa editrice peruviana, che ringraziamo,  di pubblicare sul mio blog poco a poco, come se si trattasse di una sorta di “romanzo”  a puntate, il libro di Víctor.

Con Marinella Correggia nel 2009 abbiamo intervistato  Víctor Polay Campos, tramite uno dei suoi avvocati, per il quotidiano  il manifesto. L’intervista è disponibile qui.

La pubblicazione avrà cadenza settimanale, circa. Alla fine della pubblicazione dei capitoli verrà allegato il file completo del libro da poter scaricare, stampare e conservare.

In cambio vi chiediamo soltanto di inviare una lettera (anche per  mail ma sarebbe meglio una raccomandata A/R in quanto questa rimane agli atti ufficiali e inviata alle autorità in Perú) chiedendo il trasferimento dei prigionieri politici dell’MRTA che si trovano rinchiusi nel carcere militare della Base Navale del Callao in un carcere civile, sebbene la richiesta doverosa dopo tanto tempo e dopo un percorso ormai strutturato e ben analizzato dalla Commissione di Verità e Riconciliazione (almeno per quanto riguarda l’MRTA) sia quella della libertà immediata per tutti i prigionieri politici dell’MRTA.

Indirizzo dell’Ambasciata del Perú in Italia

Via Francesco Siacci, 2B — 00197 Roma

[tel] (+39) 06 80691510 — (+39) 06 80691534

[fax] (+39) 06 80691777

[e-mail] href=“embperuatambasciataperudotit“>embperuatambasciataperudotit

[internet] www.ambasciataperu.it

Ambasciatore Alfredo Arosemena Ferreyros

 

Sul banco degli accusati. Terrorista o ribelle?

Víctor Polay  Campos

(TRADUZIONE ALL’ITALIANO DI MARISA MASUCCI)

Víctor Polay nasce il 6 aprile 1951. E’ figlio di Víctor Polay Risco, fondatore del Partito Aprista Peruviano e della signora Otilia Campos Bárcena. Frequenta la scuola dell’obbligo al Callao.

Per 5 anni è membro del gruppo Scout Callao n°3, in cui si distingue, diventando Capo della Pattuglia Lupi.

Nel 1967 entra all’Università del Callao e viene eletto segretario generale del Centro Federato di Ingegneria Meccanica, Industriale e Navale. Nel 1968 fa parte della Direzione Nazionale del Comando Universitario Aprista (CUA).

Nel 1969 entra nel Buró de Conjunciones, insieme ad Alan García e Carlos Roca, dove lavora direttamente con Raúl Haya de la Torre.

Nel marzo 1969 partecipa, per conto dell’APRA, a un seminario per giovani dirigenti in Costa Rica, organizzato dalla Fondazione Friedrich Ebert e diretto da Luis Alberto Monge, futuro presidente di Costa Rica.

Nel 1972 è detenuto per alcuni mesi nel carcere di Lurigancho, accusato di avere partecipato ad attività contro il governo militare. Ottenuta la libertà, a settembre va in Spagna a studiare Sociologia all’Università Complutense di Madrid.

Nel 1973 va in Francia e studia Sociologia ed Economia Politica all’Università di Parigi.

Entra nel MIR.

Nel 1978 torna definitivamente in Perù e nel 1980 diventa membro del CEN dell’Unità Democratico-Popolare (UDP) e del Comitato Direttivo della Sinistra Unita (IU). Viene eletto membro della direzione dell’unità del PSR e del MIR da cui nascerà, nel marzo del 1982, il MRTA.

Nel 1987 dirige la campagna “Túpac Amaru Libertador” che culmina nell’occupazione di Juanjuí.

Nel 1989 viene arrestato a Huancayo. Nel 1990 è protagonista della famosa fuga attraverso il tunnel di Canto Grande insieme a 47 suoi compagni. Nel 1992 viene catturato nuovamente e recluso nel carcere di Yanamayo, a Puno. Nel 1993 viene trasferito nella Base Navale del Callao, dove si trova ancora oggi, nonostante la sua condizione di civile.

“Nel 1984 il Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru (MRTA) intraprese una lotta armata contro lo Stato, rendendosi responsabile dell’1,5% delle morti riportate dalla Commissione della Verità e Riconciliazione. A differenza di Sendero Luminoso, e in modo simile ad altre organizzazioni armate latinoamericane con le quali mantenne vincoli, l’MRTA rivendicava le sue azioni e i suoi membri usavano distintivi per differenziarsi dalla popolazione civile, si astenne dall’attaccare la popolazione inerme e in alcune circostanze dimostrò di essere aperto a negoziazioni per la pace”

Dalle “Conclusioni generali della Relazione Finale della Commissione della Verità e Riconciliazione”

INDICE

Dedica

Prologo

In memoria

Introduzione

Capitolo 1. Farsa di processo

Capitolo 2. Da Yanamayo al Callao

Capitolo 3. A Nemesi

Capitolo 4. La solidarietà dei nostri compagni

Capitolo 5. I diritti umani?

Capitolo 6. Ribellione e non terrorismo

Capitolo 7. Per un processo giusto

Capitolo 8 Il MRTA alla luce dei testimoni

Capitolo 9. Per la riconciliazione nazionale

Capitolo 10. Per il popolo e con il popolo

Capitolo 11. E’ stata fatta giustizia?

 Alla mia cara madre, il cui amore e la cui forza
mi hanno sempre accompagnato negli anni di prigione; a tutte
le madri peruviane che soffrono le conseguenze del
conflitto interno; alle madri latinoamericane,
con la certezza che siano portatrici
di un’alba nuova per tutti.
 

 

PROLOGO

Brevissime parole che facciano da prologo a questo libro di Víctor Polay Campos. E devono essere brevi perché tanto nell’articolo del dottor Javier Valle-Riestra, uno dei più brillanti giuristi contemporanei, che nelle mie dichiarazioni formulate come testimone nel processo a Polay e all’ MRTA, viene espresso tutto ciò che dovrei dire su questa causa, che ha già destato l’interesse di tribunali, giudici, politici e sociologi di diversi Paesi del mondo.

Voglio reiterare il mio pensiero rispetto all’imputazione a Víctor Polay Campos di essere un terrorista. Polay è stato un guerrigliero, in un momento in cui il Perù viveva grandi problemi di confusione sociale – che non è ancora scomparsa – derivanti dal processo storico latinoamericano e acutizzati nei regimi precedenti a quello che si inaugurò nel 1985, problemi che determinarono la nascita di movimenti socio-politici che intrapresero cammini sbagliati, incorrendo in azioni ripudiabili che non devono essere mai dimenticate ma neanche interpretate indebitamente. Queste circostanze, tuttavia, non implicano che tutto il processo nel quale intervennero membri dell’MRTA, e quindi Polay, fosse costituito da azioni terroristiche, né bisogna confondere l’MRTA con il polpottiano Sendero Luminoso. Si potrà dire che ci sono prove di crimini. E’ evidente. Sì, è evidente che ci furono, ma questo non può autorizzare ad accusare tutti i membri di un movimento guerrigliero, rendendoli responsabili di azioni individuali o collettive che meritarono e meritano una giusta sanzione. Mi si permetta di ripeterlo, giusta sanzione. In questi casi la responsabilità è personale, tanto in un’azione individuale che in un’azione di gruppo e non si possono confondere le cose. Che nell’esercito nord-americano, che ingiustamente occupa l’Iraq, si siano scoperti dei violentatori non significa che vengano condannati tutti i soldati dello Zio Sam: è quindi necessario distinguere. E come prodotto di tutto ciò che ho analizzato e verificato, il caso Polay non implica responsabilità criminale.

D’altra parte non bisogna dimenticare che il nostro Paese è stato prodigo nel dichiarare terroristi molti di quelli che lottarono per la libertà e la giustizia, rendendo necessario talvolta rispondere alla violenza dei tiranni con la violenza dei liberatori. Lo dico io, che decadi fa fui protagonista di quella lotta per la libertà nella quale l’eroismo di donne ed uomini del Perù si manifestò in crociate per la giustizia sociale ed anche allora fummo chiamati terroristi! Si ricordino le “leggi” che misero fuori legge il Partito Aprista Peruviano e le calunnie contro il suo capo, accusato anch’egli di terrorismo: accusa che arrivò fino al Tribunale dell’Aia il quale, in un celebre giudizio storico, rifiutò le imputazioni e le calunnie dirette da una dittatura contro il lider continentale.

Voglio esprimere il mio modo di pensare rispetto a questo caso. Sono d’accordo con Javier Valle-Riesta nel preferire l’amnistia al paredón*, paredón del quale sono gonfalonieri coloro i quali non hanno mai lottato contro le dittature. Non bisogna dimenticare chi è caduto affrontando la guerriglia. Furono patrioti. Tuttavia hanno anche potuto commettere gravi errori; non bisogna dimenticare ma bisogna anche sapere perdonare.

* Paredón: muro davanti al quale si dispongono i condannati alla fucilazione Amnistia per tutti quelli che hanno combattuto con dignità è ciò di cui ha bisogno il Perù.

Lima, 15 febbraio 2007

Armando Villanueva del Campo

 

IN MEMORIA

Una passione per la giustizia, una vita dedicata alla lotta

Mentre preparavamo questo libro ci è arrivata la notizia della morte di Arquímedes Torres, il 13 luglio, a mezzogiorno, all’Hospital del Empleado. Era un compagno molto amato, verso cui nutrivamo un profondo rispetto e un affetto molto speciale.

Iglesias (era il suo pseudonimo a quell’epoca) lo conobbi nel 1975, nel MIR “Il Militante”. Successivamente, dal 1978, con il mio ritorno definitivo in Perù, lo frequentai più a lungo. Allora aveva circa 55 anni, era basso, magro, con tratti che rivelavano una discendenza asiatica ma aveva soprattutto un aspetto molto serio, di quelli che ci fanno pensare “con questo non si può giocare”. Conduceva una vita personale sobria e austera.

Faceva parte di quella generazione di politici ed intellettuali di sinistra che si erano iniziati nell’APRA, come Gustavo Valcárcel, marito e padre delle nostre amate Violeta e Rosina, Héctor Corsero, il “Cholo” Ricardo Tello, Juan Ponzalo Rose, Manuel Scorza, José “Pepe” Fonkén, Eduardo Malqui, Carlos Malpica, Juan Pablo Chang ed altri.

Era molto critico e mordace nei confronti dei molteplici gruppi di sinistra che si proclamavano pro-sovietici, pro-cinesi, o pro-qualcosa, perché avevano bisogno dell’ombra di qualche albero per affermare la loro personalità. Era un deciso sostenitore di una scelta che piantasse le proprie radici nella realtà nazionale.

Lo abbiamo sempre tenuto informato dei piani per la fondazione dell’MRTA e dei suoi primi passi nel 1980. Quando iniziammo le prime azioni, nel 1982, iniziò a collaborare; a poco a poco andò assumendosi delle responsabilità ed arrivò ad essere invitato a far parte del Comitato Centrale dell’MRTA all’inizio del 1986.

Siccome era un taxista di professione, conosceva la Città dei Re[1] come le sue tasche e aveva sviluppato un talento speciale nel trattare con i poliziotti, generalmente conosceva le loro intenzioni.

A causa della delicatezza degli incarichi che gli venivano affidati, solo pochi compagni lo conoscevano. Durante la clandestinità, nei momenti di maggiore persecuzione, ci spostavamo per la città come se fossimo padre e figlio, così una volta “mi rimproverò” e mi fece chiedere scusa perché non avevo tenuto la macchina in ordine.

Quando era necessario, aveva una voce energica e autoritaria. Da molto giovane era stato membro di una scuola di ballo ed era un esimio ballerino di fox-trot, tango, valzer ed altri ritmi. I saloni di Barranco furono testimoni delle sue doti durante concorsi ed eventi con altre scuole di ballo. Lasciò tutto questo per creare la VACH (Vanguardia Aprista del Choque[2]), un’organizzazione di giovani apristi che Haya de la Torre formò per combattere la dittatura di Manuel Prado (1939–1945). A causa della sua attività politica fu varie volte in carcere, anche a El Frontón.

Nel 1945, quando si stabilì la legalità nel Paese, partecipò alla fondazione della JAP (Juventud Aprista Peruana[3]), quindi, nel 1948, si identificò con l’insurrezione delle basi apriste de La Marina. Successivamente partecipò alla resistenza contro la dittatura di Odría e quindi ad alcuni tentativi di costruire un’alternativa di sinistra. Quando alla fine sorse l’APRA Ribelle e poi il MIR, fu proprio Luis de la Puente a convocarlo perché si unisse al progetto guerrigliero, cosa che fece immediatamente. Fu perseguitato per diversi anni a causa della sua partecipazione attiva nel 1965 e la sua casa fu occupata da membri della PIP (Polizia di Investigazione del Perù).

Lucho (così lo chiamavamo nel MRTA) era una persona molto gelosa della sicurezza e delle norme di compartimentazione. Dovette essere agli inizi dell’89 che un compagno che aveva fatto un percorso molto simile al suo mi regalò una foto dove entrambi si trovavano insieme a una ventina di giovani e circondavano mio padre. Quando gliela mostrai, dopo 15 anni che ci conoscevamo, mi chiese: “Cosa sai del vecchio? Come sta?”. Quindi mi raccontò che era stato in prigione con mio padre nell’Isola del Diavolo e che aveva anche lavorato con lui durante il governo di Bustamante y Rivero. Così era Lucho, non si concedeva debolezze.

L’ultima volta che lo vidi fu alcuni giorni prima di essere catturato, a giugno del 1992, in una base di Chorrillos che aveva in carico e che ci serviva per le riunioni che richiedevano la maggiore sicurezza possibile. Non seppi più nulla di lui fino a che, durante il Megaprocesso all’MRTA mi resi conto che nel 1993 era stato catturato ed era rimasto sei lunghi anni nella prigione di Miguel Castro Castro, a Canto Grande, sotto la dittatura.

Quando si rivede la vita di Arquímedes Torres, la sua militanza nell’APRA, nel MIR e quindi nell’MRTA, si può pensare che Bertold Brecht avrebbe potuto ispirarsi a lui nello scrivere il suo noto poema sugli uomini che lottano tutta la vita, gli imprescindibili.

Víctor Polay

 

INTRODUZIONE

Quasi tutti i grandi mezzi di comunicazione sono stati incapaci di comprendere ciò che accadde realmente nella nostra patria durante l’ultimo conflitto armato. E’ così che, trascinati dalla mancanza di obiettività, ci hanno condannato anticipatamente e hanno costruito una ”opinione pubblica” che non considera che i popoli che non apprendono dai loro drammi, generalmente, ritornano a viverli.

Questo libro-dossier costituisce un piccolo sforzo per fare arrivare al nostro popolo una visione obiettiva di ciò che è stata la nostra “storia giudiziaria”, speriamo soltanto che venga letto senza pregiudizi e che alla fine la verità possa farsi strada.

Il Perù per la maggior parte dei suoi 180 anni di storia repubblicana è stato governato da dittature o governi militari ed è stato attraversato da innumerevoli sollevazioni, insurrezioni, guerre civili, colpi di stato militari, lotte guerrigliere, atti di terrorismo ecc. La violenza aperta è stata un ingrediente decisivo nella nostra società.

Sin dagli inizi della Repubblica l’insoddisfazione popolare e gli appetiti egoistici portarono a scontri tra caudillos militari, tra civili e militari, tra liberali e conservatori, tra decentralisti e unionisti, tra apristi e anti-apristi e così via fino ad arrivare ai nostri giorni.

La base di questi conflitti è stata la violenza istituzionalizzata contro le maggioranze, che ci ha impedito lo sviluppo come nazione. La povertà, la fame, l’ignoranza, il razzismo,le malattie, la mancanza di opportunità, in generale l’esclusione del popolo, sono stati la norma nella nostra storia. Oggi possiamo dire di aver avuto classi dominanti ma non dirigenti.

Dopo la seconda guerra mondiale, la “guerra fredda” fu la scusa per impedire che in America Latina si realizzasse un processo di trasformazione popolare. I tentativi di cambiamento democratico, come quelli di Juan Bosh nella Repubblica Dominicana e di Salvador Allende in Cile, tra gli altri, furono soffocati nel sangue. Nel continente si imposero feroci dittature, che riuscirono a mantenersi grazie alla guerra sporca messa in atto contro i loro stessi popoli, nel tentativo di impedire una nuova Cuba.

La lotta guerrigliera rappresentò così una delle maniere di esprimere la resistenza popolare e le aspirazioni democratiche al progresso sociale. In questo modo le guerriglie si diffusero e nel 1979 trionfò la lotta sandinista in Nicaragua. Quella vittoria sembrava confermare che la via guerrigliera fosse quella più idonea per plasmare le speranze dei popoli irredenti. In Perù nel 1980, grazie agli scioperi e alle grandi mobilitazioni e lotte, cade la dittatura e viene eletto Fernando Belaúnde, ma nello stesso tempo dà inizio alle sue azioni il Partito Comunista – Sendero Luminoso, un’organizzazione che si era mantenuta al margine delle lotte antidittatoriali.

Gli anni successivi, 1983 e 1984, secondo la Comisión de la Verdad y Reconciliación [4] (CVR), saranno i peggiori di tutto il conflitto armato per violazioni dei diritti umani, quantità di assassinii, sparizioni, torture, violenze ecc. In America Latina per la prima volta un governo democraticamente eletto applicava la guerra sporca o  terrorismo di Stato contro i suoi connazionali.

Secondo la CVR, le Forze Armate, le Forze di Polizia e i Comitati di Autodifesa furono responsabili del 44,5% delle vittime della violenza politica, ed anche secondo la relazione della Defensoría del Pueblo[5] su “La sparizione di persone in Perù 1980–1996”, furono gli autori della quasi totalità degli 8.000 arresti-sparizioni avvenuti nella nostrapatria (ad oggi se ne calcolano già più di 12.000). Rimane ancora da stabilire la verità e la giustizia e da provvedere alla riparazione per questi cittadini e cittadine peruviani.

In questo contesto, all’inizio del 1984, il Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru (MRTA) inizia la sua lotta guerrigliera. Nel nostro primo manifesto rivendicavamo il diritto all’insorgenza contemplato nella Costituzione del 1979. In quelle circostanze consideravamo che il governo fosse divenuto illegittimo.

Sebbene la CVR ritenga l’MRTA responsabile soltanto dell’1,5% delle vittime del conflitto interno, dobbiamo sottolineare che l’MRTA nella sua azione guerrigliera si distinse sin dal primo momento da Sendero Luminoso. Noi rivendicavamo e spiegavamo sempre le azioni che realizzavamo, non abbiamo mai attaccato il popolo e siamo stati rispettosi delle leggi di guerra. Le nostra colonne guerrigliere portavano uniformi e avevano  comandi riconosciuti, rispettavamo i prigionieri e i feriti e avevano cura dei beni della popolazione civile.

Nei processi realizzati fino ad oggi nessun pubblico ministero ha potuto accusare l’MRTA di attentati contro torri di alta tensione, ponti, binari, strade, oleodotti, acquedotti ecc.: noi ritenevamo che tali infrastrutture nella maggior parte dei casi fossero state costruite grazie alle richieste e alle lotte popolari e che quindi attentare contro di esse avrebbe significato colpire le aspirazioni del nostro popolo.

Nessun pubblico ministero ha potuto mai accusarci di aver fatto “giudizi popolari” o di aver assassinato sindaci, governatori, parlamentari, medici, ingegneri, suore, sacerdoti, cooperanti stranieri, turisti ecc. e ancor meno di avere attaccato organizzazioni popolari o sterminato popolazioni.

Nonostante tutto ciò, l’MRTA non è stato esente da errori o eccessi, dovuti ad iniziative individuali e non a politiche o direttive dell’organizzazione. A causa di questi eccessi, in diverse occasioni abbiamo manifestato il nostro dispiacere e chiesto scusa ai familiari delle vittime così come abbiamo espresso le nostre condoglianze ai familiari e agli amici di tutti i caduti.

Un fattore che ha distorto il metodo di insorgenza armata in Perù è stato l’esistenza di Sendero Luminoso (SL). A differenza dei gruppi guerriglieri dell’America Latina che hanno agito nelle decadi passate e che, come noi, rivendicavano di essere parte di una corrente guevarista, SL insorse come Partito Comunista, animato dal marxismo-leninismomaoismo-pensiero Gonzalo.

Durante gli anni del conflitto armato, SL si comportò come un’organizzazione fondamentalista sul terreno ideologico e totalitaria su quello politico. Sostenevano che il loro pensiero ispiratore fosse il prodotto dello sviluppo di quindici milioni di anni della materia e che fossero l’espressione più pura del proletariato.

Ciò li ha portati a sviluppare una guerra contro tutto e tutti. “I diritti del popolo”, in realtà quelli di SL, furono la giustificazione ai peggiori attentati e crimini contro le organizzazioni popolari di sinistra e i loro dirigenti, gli annientamenti contro i “rappresentanti del vecchio Stato”, la distruzione di popolazioni che non si sottomettevano ai loro ordini.

Se le cifre della CVR sono vere, Sendero Luminoso sarebbe responsabile del 54% delle 69.000 vittime del conflitto. Poiché le vittime appartenenti alle forze repressive nonsembrano essere più di 2.000, se ne deduce che questa organizzazione sarebbe responsabile della morte di più di 30.000 civili.

Oggi Sendero Luminoso propone una soluzione politica ai problemi derivanti dalla guerra attraverso l’amnistia e la riconciliazione, ma disconosciamo qualsiasi autocritica o richiesta di perdono per i crimini commessi in nome del proletariato o per la sua sottomissione alla dittatura.

Nonostante le grandi differenze tra noi e Sendero Luminoso, non possiamo non riconoscere che sia stato un prodotto della nostra società. Non sorse e non si sviluppò per opera di qualche demonio ma per le condizioni materiali che esistevano e che continuano ad esistere. Dobbiamo ammettere che anche tra le sue fila militarono e morirono peruviani e peruviane che cercavano un mondo migliore.

Dopo la sconfitta del socialismo irreale nel 1990, il neoliberalismo e il cosiddetto Consenso di Washington si imposero dappertutto come la panacea per arricchire i popoli.

Dopo quindici anni sappiamo che hanno fallito e che i poveri sono più poveri, che la ricchezza si concentra in meno mani e che la frattura sociale si è allargata.

L’eredità del Perù è che il 55% della popolazione è povera e il 15% estremamente povera, i nostri indicatori sociali ed educativi sono bassissimi e, secondo le inchieste, il 90% dei giovani andrebbe via dal Paese se potesse. Queste condizioni sono simili a quelle che diedero origine all’insorgenza armata. Tuttavia il mondo è cambiato, non esiste più la Guerra Fredda e crediamo che sia possibile costruire un altro mondo all’interno di confini democratici, come dimostra il trionfo della sinistra e del centro-sinistra nella maggior parte dei nostri Paesi, molti di essi animati dai vecchi gruppi guerriglieri che si sono incorporati alla vita democratica.

Di fronte al modello neoliberale, essenzialmente antidemocratico, autoritario ed escludente, è urgente la trasformazione democratica del nostro Paese. La democrazia politica deve avere un sostengo in una democrazia economica e in una democrazia sociale.

Le bandiere democratiche e partecipative si sono trasformate in bandiere del nostro popolo.

Quando nel 1980 fondammo le basi dell’MRTA, lo facemmo al contrario della sinistra tradizionale, rivendicando per noi l’eredità del pensiero e della lotta del nostro popolo; per questo dicemmo che Túpac Amaru e Micaela Bastidas erano i genitori della nostra nazionalità e ribellione.

Túpac Amaru è la grande guida della Rivoluzione Americana. Con lui matura l’ideadella necessità della rottura con il colonialismo spagnolo e la nascita di una patria basata sulla libertà, la giustizia e la fraternità. L’unità di indios, meticci, creoli e neri, la libertà dei neri, la divisione delle terre, l’abolizione della mita[6] , la sua proiezione continentale ecc. sono idee-forza che, nonostante la precoce sconfitta, fruttificarono trenta anni più tardi nelle lotte indipendentiste.

Le sue bandiere sarebbero state riprese e proiettate verso il futuro da Faustino Sánchez Carrión, il difensore della Repubblica; José Gálvez, il liberale morto eroicamente nella torre de La Merced; Manuel González Prada, coscienza critica della nazione, anarchico e difensore dei lavoratori; José Carlos Mariátegui, l’Almauta, forgiatore del socialismo in Perù, teorico creatore; il giovane Haya de la Torre, indio-americano e antiimperialista; Luis de la Puente Uceda, ribelle e guerrigliero. Essi, con l’apporto di figure come Jorge Basare, José María Arguedas e Alberto Flores Galindo, tra gli altri, formarono una linea di pensiero dedicata alla costruzione della nazione peruviana e alla conquista della felicità dei suoi abitanti, unita indissolubilmente al sogno di Simón Bolívar di una Patria Grande.

Con questa eredità ideologica e politica insorgemmo con la nostra lotta guerrigliera, animati da idee di giustizia e trasformazione sociale, per ottenere l’allegria, la bellezza, la generosità e un Perù amabile per tutti i suoi figli.

Non sono mai stato né sarò mai terrorista: significherebbe rinnegare me stesso.

Fino ad oggi ho trascorso più di 16 anni in prigione, la maggior parte dei quali sotto un regime inumano, perché non ho accettato di essere trasformato in un burattino nelle mani di Montesinos e della dittatura fujimorista.

Non sono mai rifuggito dalle mie responsabilità, spero solo che chi mi giudicherà non perpetui l’odio e la divisione tra i peruviani. Ricordiamo il vecchio insegnamento dei latini: “Uomo mortale, non fare sì che i tuoi odii divengano immortali”. Che presto possiamo ritornare nel seno delle nostre famiglie e del nostro popolo per continuare ad accompagnarlo nel suo lungo cammino verso un avvenire migliore.

Base Navale del Callao, dicembre 2006

Víctor Polay

 



[1] Città dei Re: Lima

[2] Vanguardia Aprista del Choque: Avanguardia Aprista di Scontro

[3] Juventud Aprista Peruana: Gioventù Aprista Peruviana

[4] Comisión de la Verdad y Reconciliación: Commissione della Verità e Riconciliazione

[5] Defensoría del Pueblo: Organismo per la Difesa del Popolo

[6] Mita: lavoro non retribuito che gli indios dovevano ai proprietari terrieri

 

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