Víctor Polay Campos: “Sul banco degli accusati. Terrorista o ribelle?” (Il libro– Capitolo V)

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INDICE /Dedica /Prologo /In memoria /Introduzione

Capitolo I

Capitolo II 

Capitolo III

Capitolo IV 

CAPITOLO 5

 

E i diritti umani?

In materia di diritti umani la giurisdizione internazionale è sussidiaria e complementare alla giurisdizione nazionale. La Costituzione Politica del Perù del 1979 e quella del 1993, all’articolo 205, sanciscono il diritto a ricorrere alla giurisdizione internazionale nel caso in cui quella interna non sia esaustiva, riconoscendo a tal fine i Tribunali o gli Organismi Internazionali costituiti attraverso trattati o convenzioni stipulati anche dal Perù e la cui competenza sia stata riconosciuta.

 

E’ così che il Perù sottoscrisse, approvò, ratificò e depositò il Protocollo Facoltativo per i Diritti Civili e Politici, riconoscendo in questo modo la competenza del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU il 30 ottobre 1980.

Nell’articolo 205 della Costituzione del 1993 e negli articoli 30 e 40 della Legge 23506, che fanno parte della Giurisdizione Internazionale, si riconoscono come organismi internazionali a cui è possibile ricorrere: il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU e la Commissione Interamericana per i Diritti Umani.

L’articolo 40 della Legge di Habeas Corpus e Protezione recita testualmente: ”La sentenza dell’organismo internazionale, alla cui giurisdizione obbligatoria si sia sottomesso la Stato peruviano, non richiede per la sua validità ed efficacia di riconoscimento alcuna revisione o esame previo. La Corte Suprema di Giustizia della Repubblica recepirà le risoluzioni emesse dall’organismo internazionale e disporrà la loro esecuzione”.

Come è noto al popolo peruviano, la dittatura che si prendeva gioco delle leggi nazionali, lo ha fatto anche con gli accordi e i convegni internazionali che potevano andare contro i suoi interessi.

Nonostante il Comitato per i Diritti Umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), formato da 13 membri di diversi Paesi del mondo, il 16 novembre 1997 si fosse espresso a favore della mia liberazione o di un nuovo processo con adeguate garanzie, lo stesso Fujimori, in uno dei suoi interventi pubblici, si burlò di questo parere e sostenne che nessuno lo avrebbe obbligato a realizzarlo.

D’altra parte il Potere Giudiziario, sottomesso alla dittatura, grazie ai sostanziosi pagamenti che riceveva, come tutti abbiamo potuto verificare attraverso i “vladivideo”[*], non diede mai corso ai suggerimenti del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU.

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 PATTO INTERNAZIONALE PER I DIRITTI CIVILI E POLITICI

Comitato per i Diritti Umani – Organizzazione delle Nazioni Unite

 

61° periodo di sessione dal 20 ottobre al 7 novembre 1997

Sentenza

 

Comunicazione N° 577/1994

 

Presentata da: Rosa Espinoza in Polay

Vittima: Víctor Alfredo Polay Campos, coniuge dall’autrice

Stato in causa: Perù

Data di approvazione della risoluzione: 6 novembre 1997

Il 6 novembre 1997 il Comitato per i Diritti Umani ha approvato la sua sentenza, emessa in virtù del paragrafo 4 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo, rispetto alla comunicazione N°577/1994. Il testo della sentenza figura nell’allegato del presente documento.

 

*Si divulga per decisione del Comitato per i Diritti Umani– GE.98

 

Allegato *

 

*/ All’esame della presente comunicazione hanno partecipato i seguenti membri del Comitato: Sig. Nisuke Ando, Sig. Prafullachandra N. Bhaqwati, El Shafei, Sig.ra Elizabeth Evatt, Sig.  Eckart Klein, Sig. David Kretzmer, Sig. Rajsoomer Lallah, Sig.ra Cecilia Medina Quiroga, Sig. Fausto Pocar, Sig. Martín Scheinin, Sig. Danilo Turk e Sig. Maxwell Yalden.

Sentenza del Comitato per i Diritti Umani emessa in virtù del paragrafo 4 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo del Patto Internazionale per i Diritti Umani.

 

61° PERIODO DI SESSIONE–

 

Rispetto alla Comunicazione N° 577/1994

 

presentata da: Rosa Espinoza in Polay,

vittima: Víctor Alfredo Polay Campos, coniuge dell’autrice,

stato in causa: Perù,

data della comunicazione: 5 marzo 1993 (comunicazione iniziale),

data della decisione sull’ammissibilità: 15 marzo 1996,

il Comitato per i Diritti Umani, creato in virtù dell’articolo 28 del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici,

riunito il 6 novembre 1997,

avendo concluso l’esame della comunicazione N° 577/1994 presentata al Comitato per i Diritti Umani dalla Sig.ra Rosa Espinoza in Polay a nome del suo coniuge, Sig. Víctor Alfredo Polay Campos, in accordo al   Protocollo Facoltativo del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici,

avendo tenuto conto di tutte le informazioni presentate per iscritto dall’autore della comunicazione e lo Stato in causa,

approva la seguente sentenza, in virtù del paragrafo 4 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo

  1. L’autrice della comunicazione è la Sig.ra Rosa Espinoza in Polay, cittadina peruviana residente a Nantes (Francia). Presenta la comunicazione riguardante suo marito, Víctor Alfredo Polay Campos, cittadino peruviano attualmente detenuto nella Base Navale del Callao, Lima (Perù). Afferma che è vittima di violazioni da parte del Perù, riconosciute nel paragrafo 1° dell’articolo 2 e degli articoli 7, 10, 14 e 16 del Patto Internazionale per i Diritti  Civili e Politici.

 

          I fatti esposti dall’autrice

 

2.1 Il marito dell’autrice è dirigente del “Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru” (MRTA). Il 9 giugno 1992 fu arrestato a Lima. Il 22 giugno 1992 fu trasferito nella prigione situata a Yanamayo, vicino a Puno, a 4.000 metri di altezza. Si afferma che le condizioni di detenzione in quella prigione erano inumane. L’autrice sostiene che per 9 mesi suo marito rimase isolato 23 ore e mezzo al giorno in una cella di 2 metri di lato, senza elettricità né acqua. Non gli fu permesso di scrivere a nessuno né di parlare con nessuno e poteva uscire dalla sua cella una volta al giorno per 30 minuti. L’autrice afferma, inoltre, che la temperatura nella prigione oscillava tra 0° e 5°C e che l’alimentazione era insufficiente.

 

2.2 Il 3 aprile  1993 Víctor Alfredo Polay Campos fu giudicato nella prigione di Yanamayo da un cosiddetto “tribunale di giudici senza volto”, istituito in virtù della legislazione antiterrorista. Si trattava di giudici che si coprivano il volto per garantirsi l’anonimato ed impedire di diventare bersaglio di membri attivi dei gruppi terroristici. Il Sig. Polay Campos fu condannato all’ergastolo. Si aggiunge che la possibilità di preparare la difesa fu fortemente limitata. Sebbene l’autrice non specifichi il delitto o i delitti per i quali suo marito fu condannato, dalla documentazione si deduce che si trattò di terrorismo aggravato.

 

2.3 Il 26 aprile 1993 fu trasferito nella prigione della base Navale del Callao, vicino a Lima. L’autrice allega un ritaglio di giornale in cui si vede Víctor Polay Campos in questa occasione, ammanettato e rinchiuso in una gabbia. L’autrice sostiene che durante il viaggio da Yanamayo al Callao suo marito fu vittima di percosse e venne sottoposto a scariche elettriche.

 

2.4 L’autrice afferma inoltre che suo marito permane recluso in una cella sotterranea nella quale la luce riesce a penetrare solamente 10 minuti al giorno attraverso una piccola apertura  presente sul tetto. Durante il suo primo anno di prigione gli furono vietate le visite di parenti e amici e non poté scrivere a nessuno.

Furono autorizzare soltanto due visite di una delegazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

 

2.5 In quanto al requisito della mancanza di legislazione interna, l’autrice afferma  che l’avvocato di suo marito ricorse contro la sentenza ma che la Corte di Appello del Tribunale confermò la decisione adottata in prima istanza. L’autrice afferma inoltre che l’avvocato, dr. Eduardo Díaz Canales, fu incarcerato a sua volta nel giugno del 1993 per l’unica ragione di avere difeso suo marito e che da allora “tutto è rimasto fermo”. Il 3 giugno 1994 la madre del Sig. Polay Campos presentò a nome di suo figlio un ricorso alla Corte Costituzionale relativo ai maltrattamenti a cui era stato sottoposto. Il ricorso fu respinto, secondo quanto segnala l’autrice, senza precisare la data.

 

2.6. Il 3 agosto 1993 l’Assemblea Costituente del Perù ha ripristinato la pena di morte per azioni di terrorismo. L’autrice teme che questa disposizione venga applicata con effetto retroattivo a suo marito e che, conseguentemente, venga condannato a morte.

 

2.7. L’autrice non indica se questa stessa questione sia stata sottoposta ad altra istanza di investigazione o soluzione internazionale. Nonostante ciò, il Comitato è venuto a conoscenza di un’altra comunicazione riguardante il marito dell’autrice, sottoposta alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani e registrata con il N° 11.048, sebbene attualmente non sia in corso di esame.

 

La denuncia

 

3. L’autrice afferma che la situazione descritta evidenzia che suo marito sia vittima di violazioni da parte del Perù del paragrafo 1 dell’articolo 2 e degli articoli 7, 10, 14 e 16 del patto.

 

Informazioni e osservazioni dello Stato in causa e commenti dell’avvocato

 

4.1 In un’esposizione dell’1 febbraio 1995 lo Stato in causa chiese al Comitato che desistesse dall’esaminare la comunicazione, osservando che l’autore fosse stato giudicato in accordo alla legislazione relativa ad azioni di terrorismo, con un totale rispetto dei diritti umani. Lo Stato aggiunse che l’autore riceveva un trattamento corretto da parte delle  autorità penitenziarie, come si era potuto osservare nelle visite periodiche realizzate da delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

 

4.2 In quanto ai supposti maltrattamenti dei quali è stato oggetto il marito dell’autrice, lo Stato in causa afferma inoltre, in una nota verbale datata 1 febbraio 1995, che fu visitato da delegati della Croce rossa e, il 20 dicembre 1994, dal procuratore distrettuale e da un medico forense. Nessuno di loro riscontrò segni di maltrattamenti sul Sig. Polay Campos e le contrazioni muscolari e le tensioni emozionali di cui soffre si considerano sintomi normali della detenzione.

 

4.3 In una nuova disposizione datata 21 marzo 1995 lo Stato peruviano afferma che l’autrice non ha presentato nessun argomento nuovo. Tuttavia, lo Stato in causa non considera né refuta specificatamente gli argomenti dell’autrice riguardo al fatto che suo marito fu maltrattato e torturato.

 

5. L’autrice ha espresso commenti su questa esposizione ma non ha apportato nuove prove.

 

Decisione del Comitato sull’ammissibilità

 

6.1 Nel suo 56° periodo di sessioni, da marzo 1996, il Comitato ha esaminato l’ammissibilità della comunicazione. Ha osservato che un assunto concernente il Sig. Polay Campos era stato presentato alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, registrato nell’agosto 1992 come assunto N° 11.048, ma che la stessa aveva segnalato che non prevedeva di preparare alcuna relazione su tale assunto nei prossimi 12 mesi. Considerato ciò, il Comitato considera che il comma a) del paragrafo 2 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo non le impedisca di esaminare la comunicazione [†].

 

6.2 In quanto alla denuncia secondo la quale il Sig. Polay Campos è stato torturato e maltrattato, in violazione agli articoli 7 e 10 del patto, il Comitato considera che i fatti presentati sembrino effettivamente suscitare quesiti relazionati al patto, in particolare agli articoli 7 e 10.

 

6.3. In quanto alla denuncia riguardante la possibilità che si spossa applicare retroattivamente la pena di morte al Sig. Polay Campos, non c’è alcuna prova che le disposizioni della nuova legge peruviana, che amplia l’ambito di applicazioni di questa pena, vengano adottate retroattivamente in questo caso. Perciò il Comitato ritiene che questo allegato sia inammissibile in virtù dell’articolo 2 del Protocollo Facoltativo.

 

6.4 Il Comitato ha preso nota del fatto che l’autrice aveva presentato allegati dettagliati sul regime di detenzione del marito e sulla presunta incompatibilità tra il procedimento intrapreso dal tribunale militare speciale e l’articolo 14. il Comitato ha preso nota della posizione sostenuta dallo Stato in causa nel senso che nel giudizio penale contro il Sig. Polay Campos siano stati seguiti i procedimenti stabiliti dalla vigente legislazione antiterrorista del Perù. Il comitato ha deciso di esaminare la questione in quanto al suo fondamento.

 

6.5. Il 15 marzo 1996 il Comitato ha dichiarato che la comunicazione era ammissibile. In particolare, è stato chiesto allo Stato in causa di fornire al Comitato copie delle relazioni dei delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa sulle sue visite al Sig. Polay Campos, così come quella del procuratore distrettuale e del medico che ha visitato ed esaminato il Sig. Polay Campos il 20 dicembre 1994 e le relazioni delle visite successive. E’ stato chiesto allo Stato in causa di fornire al Comitato informazioni dettagliate sul funzionamento dei tribunali speciali istituiti in virtù della legislazione antiterrorista del Perù sulle attuali condizioni di detenzione della vittima.

 

Osservazioni dello Stato peruviano in quanto al fondamento

 

7.1. In tre comunicazioni, datate 27 agosto, 12 e 18 novembre 1996, lo Stato in causa fornisce copia di alcune delle note informative richieste dal Comitato ed informazioni sul trattamento medico fornito al Sig. Polay Campos e sulle sue condizioni attuali di detenzione.

Tuttavia non dice nulla sulle condizioni di detenzione del Sig. Polay Campos nella prigione di Yanamayo, né dei supposti maltrattamenti nella Base Navale del Callao.

 

7.2 Lo Stato in causa segnala che sono stati presentati due documenti che si riferivano al Sig. Polay Campos quando fu trasferito nella Base Navale del Callao. Uno era una relazione psicologica, datata 22 luglio 1992 e redatta a Puno (vicino alla prigione di Yanamayo), nella quale la salute e lo stato apparente della supposta vittima venivano definiti “normali”; l’altro era il documento del Sig. Polay Campos preparato da un dipartimento del Ministero di Giustizia.

 

7.3. In quanto alla salute del Sig. Polay Campos, lo Stato in causa invia tre note informative. La prima, datata 26 aprile 1993, concludeva che la sua salute e il suo stato apparente erano normali (valutazione generale…sveglio…orientato nel tempo, spazio e persona. Un po’ ansioso, non riferisce nessun disturbo). Segnalava anche che il Sig. Polay Campos non presentava cicatrici né altri segni di maltrattamenti (“…pelle e annessi; nessun segno di lesioni primarie e secondarie”).

 

7.4 La seconda nota informativa fornita dallo Stato in causa si riferisce alla visita che il  Procuratore Distrettuale e un esperto forense fecero al Sig. Polay Campos il 20 dicembre 1994. (Si veda il paragrafo 4.2 sopra). Segnala che il Sig. Polay Campos soffre realmente di contrazioni muscolari dovute principalmente alla tensione psicologica provocata dalle condizioni di detenzione. Afferma anche che il Sig. Polay Campos ha dolori alla spalla sinistra, che devono essere  trattati con farmaci (Piroxicam).

La nota informativa osserva che la tensione emozionale alla quale è sottoposta la vittima richiede la prescrizione di sedativi che gli permettano di conciliare un sonno riparatore, sebbene l’ideale sarebbe un trattamento psicologico continuato.

Per il resto il Sig. Polay Campos è stato trovato in buono stato di salute e le visite cliniche non rivelano segni di pressioni o maltrattamenti fisici. Il Sig. Polay Campos ha confermato che riceveva visite mediche ogni due settimane e che nell’ultima occasione gli era stato prescritto Piroxicam; ha confermato anche che ogni volta che ha avuto problemi di salute, è stato visitato da un dottore e ha ricevuto i trattamenti appropriati, tra cui una cura odontoiatrica.

7.5. La terza nota informativa, redatta in una data non specificata del 1996, conclude che la salute del Signor Polay Campos è normale (buono stato generale, lucido, orientato nello spazio-persona e nel tempo, comunicativo, entimico asintomatico — peso 76 kg.) e che non sono stati riscontrati segni di perdita della vista, come sosteneva sua madre (“visione e campo visuale conservati… ”). Quest’ultima nota informativa include un riassunto di tutte le visite mediche e una lista dei medicamenti prescritti per il trattamento del Signor Polay Campos. Lo stato in causa reitera che dal suo trasferimento alla base navale del Callao, Victor Polay Campos ha ricevuto visite mediche approssimativamente ogni due settimane e tutte le volte che la sua situazione lo ha richiesto. Ha ricevuto e continua a ricevere visite psichiatriche e odontoiatriche.

7.6. Lo Stato in causa reitera che il Signor Polay Campos ha ricevuto inoltre visite regolari di delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che hanno confermato le informazioni sulla sua salute fornite dai dottori della base navale del Callao. Aggiunge che non ha mai ricevuto informazioni scritte da delegati della Croce Rossa, poiché le visite hanno un carattere confidenziale. Secondo una lista inoltrata dallo Stato in causa, il Signor Polay Campos fu visitato dai delegati della Croce Rossa in 21 occasioni tra l’inizio di dicembre 1993 e la fine di agosto del 1996; da questa lista si apprende che il tempo più lungo trascorso tra due visite è stato di tre mesi e 28 giorni (tra il 25 ottobre 1994 e il 22 febbraio 1995).

7.7. In quanto alle attuali condizioni di detenzione di Victor Polay Campos, lo Stato in causa fornisce le seguenti informazioni sui suoi diritti:

–30 minuti al giorno di passeggio o di attività sportive nel cortile della prigione;

–una visita al mese della durata di trenta minuti dei familiari;

–3 ore alla settimana per sentire cassette in un walkman;

–lavaggio dei vestiti una volta alla settimana;

–taglio dei capelli una volta ogni 2 settimane;

–3 pasti al giorno;

–accesso a libri e materiali di lettura;

- possibilità di scambiare corrispondenza con i familiari;

7.8. Lo Stato in causa non dà informazioni sul giudizio di Victor Polay Campos né sui procedimenti generali seguiti dai denominati “tribunali di giudici senza volto”. Si limita a inviare una copia dell’opinione giuridica del Procuratore della Repubblica Supremo, datata 21 aprile 1993, nella quale si conclude che la sentenza dettata dalla Corte Speciale del Tribunale Superiore di Lima (il 3 aprile 1993) è valida, in quanto conforme a tutti i requisiti processuali. Il Tribunale Supremo ha ratificato questa conclusione il 24 maggio 1993. Lo Stato in causa conferma che la sentenza della Corte Speciale del Tribunale Superiore di Lima è stabilita e che non risulta che in nome di Victor Polay Campos sia stato inoltrato un ricorso di revisione della sentenza.

 

Esame della questione in quanto al fondamento

8.1. Il Comitato per i Diritti Umani ha esaminato la presente comunicazione, prendendo in considerazione tutte le informazioni che gli sono state inoltrate dalle Parti in causa, come prevede il paragrafo 1 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo.

8.2. Due questioni si pongono nel presente caso: in primo luogo, se le condizioni di detenzione del Signor Polay Campos e i maltrattamenti che ha presumibilmente ricevuto suppongano una violazione degli articoli 7 e 10 del Patto e, in secondo luogo, se il suo processo realizzato da tribunale di giudici anonimi (“giudici senza volto”) costituisca una violazione del paragrafo 1 dell’articolo 14 del Patto.

8.3. In quanto alla prima questione, il Comitato ha osservato che lo Stato in causa non ha inoltrato nessuna informazione sulle condizioni di detenzione del Signor Polay Campos nella prigione Castro Castro e in quella di Yanamayo, tra il 22 luglio 1992 e il 26 aprile 1993, né sulle circostanze del trasferimento alla base navale del Callao, ma ha comunicato informazioni sulle condizioni di detenzione della vittima durante la sua reclusione al Callao. Il Comitato ritiene di dover trattare separatamente i due periodi.

Detenzione dal 22 luglio 1992 fino al 26 aprile 1993 e trasferimento da Yanamayo al Callao

8.4. L’autrice ha denunciato che Victor Polay Campos ha vissuto in regime di isolamento dal suo arrivo alla prigione di Yanamayo al suo trasferimento al centro di detenzione della Base Navale del Callao. Lo Stato in causa non ha rigettato questa denuncia né ha negato che non gli sia stato permesso di scrivere a nessuno né di parlare con nessuno — proibizione che era implicita data l’impossibilità di avere un colloquio con un giudice a latere — né che fosse rinchiuso 23 ore e mezza al giorno in una cella senza illuminazione e a temperature vicino al punto di congelamento. A giudizio del Comitato, queste condizioni equivalgono a una violazione del paragrafo 1 dell’articolo 10 del Patto.

8.5. L’autrice sostiene che suo marito abbia ricevuto percosse e scariche elettriche durante il trasferimento alla Base Navale del Callao e che in questa circostanza sia stato presentato ai mezzi di comunicazione rinchiuso in una gabbia. Anche se lo Stato in causa non ha risposto a questa accusa, il Comitato ritiene che l’autrice non abbia sufficientemente circostanziato la sua accusa rispetto alle percosse e all’applicazione di scariche elettriche al Signor Polay Campos durante il suo trasferimento al Callao, di conseguenza il Comitato non adotta nessuna conclusione a questo riguardo in relazione agli articoli 7 e 10, paragrafo 1. Tuttavia è indiscutibile che il Signor Polay Campos fosse stato presentato alla stampa rinchiuso in una gabbia durante il suo trasferimento al Callao; questo, a giudizio del Comitato, costituisce un trattamento degradante, in contravvenzione dell’articolo 7, così come un trattamento incompatibile con il paragrafo 1 dell’articolo 10, poiché non è stata rispettata la dignità umana del Signor Polay Campos.

Detenzione al  Callao dal 26 aprile 1993 fino ad oggi.

8.6. In quanto alla detenzione di Víctor Polay Campos al Callao, dalla denunciante si apprende che non è stato autorizzato a ricevere visite dai familiari durante l’anno successivo alla condanna, vale a dire fino al 3 aprile 1994. Inoltre non ha potuto inviare né ricevere corrispondenza. Quest’ultima informazione è confermata da una lettera inviata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa all’autrice, in cui si dice che i delegati della Croce Rossa, durante una visita fatta il 22 luglio 1993, non hanno potuto consegnare al Signor Polay Campos delle lettere dei suoi familiari, poiché la consegna e lo scambio di corrispondenza erano vietate. A giudizio del comitato, questo isolamento totale del Signor Polay Campos per il periodo di un anno, così come le restrizioni imposte alla corrispondenza tra lui e la sua famiglia, costituiscono un trattamento inumano ai sensi dell’articolo 7 del Patto e sono incompatibili con le regole del trattamento umano stabilite nel paragrafo 1 dell’articolo 10 del Patto.

8.7. In quanto alle condizioni generali di detenzione del Signor Polay Campos al Callao, il Comitato ha preso nota delle informazioni dettagliate dello Stato in causa sul trattamento medico che il Signor Polay Campos ha ricevuto e continua a ricevere e sui suoi diritti in materia di svago, sanità, igiene personale, accesso al materiale di lettura e corrispondenza con i suoi familiari. Lo Stato in causa non ha fornito alcuna informazione sul fatto che il Signor Polay Campos resti in regime di isolamento in una cella quadrata di due metri di lato e che, a parte la sua ricreazione quotidiana, veda la luce naturale 10 minuti al giorno. Il Comitato esprime grave preoccupazione riguardo a questi ultimi aspetti della detenzione del Signor Polay Campos. Il Comitato conclude affermando che le condizioni di detenzione della vittima al Callao, in particolare per quello che riguarda il suo isolamento per più di 23 ore al giorno in una piccola cella e l’impossibilità di vedere la luce solare per più di 10 minuti al giorno, costituiscano un trattamento contrario a quanto previsto dall’articolo 7 e dal paragrafo 1 dell’articolo 10 sul Patto.

 

Il processo del Signor Polay Campos

8.8. In quanto al processo del Signor Polay Campos e alla sentenza emessa il 3 aprile 1993 da un tribunale speciale di “giudici senza volto”, lo Stato in causa non ha inoltrato nessuna informazione, nonostante la richiesta inoltratagli a questo riguardo dal Comitato riguardo alla sua decisione sull’ammissibilità il 15 marzo 1996. Come già ha indicato il Comitato nelle sue comunicazioni preliminari il 25 luglio 1996[‡] sul terzo bollettino informativo periodico e nelle sue osservazioni finali il 6 novembre 1996 sulla stessa comunicazione[§], i giudizi emessi da tribunali speciali costituiti da giudici anonimi sono incompatibili con l’articolo 14 del Patto. Non è possibile sostenere che l’autrice abbia fornito scarse informazioni riguardo al giudizio del marito: di fatto, la stessa natura dei processi condotti da “giudici senza volto” in una prigione remota si basa sull’esclusione del pubblico dagli atti. In questa situazione gli accusati non sanno chi sono i giudici che li giudicano e la possibilità di preparare la difesa e di parlare con gli avvocati si scontra con ostacoli inaccettabili. Inoltre questo sistema non garantisce un aspetto fondamentale di un giudizio giusto in conformità con l’articolo 14 del Patto: quello per cui il Tribunale deve essere ed apparire indipendente e imparziale. Nel sistema dei giudizi emessi da “giudici senza volto” né l’indipendenza né l’imparzialità dei giudici sono garantite, dato che il tribunale, stabilito ad hoc, può essere composto da militari in servizio attivo. Secondo l’opinione del Comitato questo sistema non assicura affatto la presunzione d’innocenza, garantita nel paragrafo 2 dell’articolo 14. Nelle circostanze del caso, il Comitato conclude che sono stati violati i paragrafi 1, 2 e 3 (b) e (d) dell’articolo 14 del Patto.

9. Il Comitato per i Diritti Umani, attuando in virtù del paragrafo 4 dell’articolo 5 del Protocollo Facoltativo del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici, stabilisce che i fatti che gli sono stati esposti costituiscano violazioni dell’articolo 7 e del paragrafo 1 dell’articolo 10 del Patto per quanto riguarda la detenzione del Signor Polay Campos a Yanamayo, la sua esibizione pubblica rinchiuso in una gabbia durante il suo trasferimento al Callao, l’isolamento totale che ha subito durante il primo anno della sua detenzione al Callao e le condizioni di detenzione a cui è sottoposto fino ad oggi al Callao; e dei paragrafi 1, 2 e 3 (b) e (d) dell’articolo 14 per quanto riguarda il suo giudizio da parte di un tribunale composto da “giudici senza volto”.

10. In conformità al comma a) del paragrafo 3 dell’articolo 2 del Patto, lo Stato in causa è obbligato a concedere al Signor Polay Campos un ricorso effettivo. La vittima è stata condannata in base a un giudizio che non si conforma alle garanzie basilari di un giudizio giusto. Il Comitato considera che il Signor Polay Campos debba essere posto in libertà, salvo che le leggi del Perù prevedano la possibilità di un giudizio che si compia con tutte le garanzie richieste dall’articolo 14 del Patto.

11. Tenendo conto che, nell’aderire in parte al Patto Facoltativo, lo Stato in causa ha riconosciuto la competenza del Comitato nel determinare se ci siano state o meno violazioni del Patto e che, in accordo all’articolo 2 del Patto, lo Stato in causa si è impegnato a garantire a tutte le persone che si trovano sul suo territorio o sottoposte alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel Patto e la possibilità di inoltrare un ricorso effettivo ed applicabile se si prova la violazione, il Comitato desidera ricevere dallo Stato in causa, nell’arco di 90 giorni, informazioni sulle misure adottate per applicare la sua sentenza.

 

 

 

 

[Redatto in spagnolo, francese e inglese, che è la versione originale. Successivamente è stato pubblicato anche in arabo, cinese e russo come parte della relazione annuale del Comitato dell’Assemblea Generale].

 

 

Grazie alle petizioni di mia moglie, la Signora Rosa Espinoza in Polay a Jean-Marc AYRAULT, deputato di Loire-Atlantique e presidente del gruppo parlamentare del Partito Socialista Francese, il governo francese intervenne sul suo omologo peruviano mostrando preoccupazione rispetto alla situazione dei prigionieri politici dell’MRTA nella Base Navale del Callao.

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ASSEMBLEA NAZIONALE

 

                                                           REPUBBLICA FRANCESE

                                          LIBERTA’- UGUAGLIANZA-FRATERNITA’

 

Jean-Marc Ayrault

Presidente del Gruppo Socialista

Deputato di Loire-Atlantique

Maire de Nantes

 

Signora Rosa Polay

4 rue Amédée de la Patteliére

44100 NANTES

 

 

 

4 luglio 2000

 

Signora,

 

la prego di trovare la copia della lettera che mi ha mandato il Signor Hubert Vedrine, ministro degli Affari Esteri, dopo il mio intervento sulla situazione dei prigionieri membri dell’MRTA, detenuti nella Base Navale del Callao del Perù.

 

Come potrà constatare, l’Ambasciata di Francia a Lima continua la sua azione presso le autorità locali.

Stia certa che non abbandoneremo gli sforzi perché questa situazione drammatica abbia termine.

Augurandole una buona accoglienza, la prego di credere, Signora, nella autenticità della mia distinta considerazione.

 

 

Jean-Marc Ayrault

 

Ministero degli Affari Esteri della Repubblica francese

 

          21 giugno 2000

Signor Presidente del Gruppo Parlamentare del Partito Socialista, Jean Marc Ayrault, Deputato di Loire-Atlantique,

 

attraverso la lettera del 26 maggio, Lei ha voluto nuovamente richiamare la mia attenzione  sulle condizioni di detenzione, particolarmente inumane, inflitte  ai dirigenti del Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru (MRTA), reclusi nel carcere di alta sicurezza della Base Navale del Callao.

Dalla ricezione della Sua corrispondenza, ho dato istruzioni ai miei servizi di interrogare la nostra Ambasciata a Lima sulla situazione attuale situazione.

Di fatto le condizioni di detenzione dei dirigenti dell’MRTA non sono migliorate. I prigionieri che sono appartenuti a questa organizzazione guerrigliera continuano a vivere in stretto isolamento, rinchiusi in celle di 4 m2, senza contatti con altri detenuti e senza nessun accesso ai mezzi di stampa. Le comunicazioni con l’esterno sono limitate a una sola visita mensile, riservata ai familiari più prossimi. Infine, i contatti con le organizzazioni di difesa dei diritti umani sono proibiti.

In questo contesto, l’unica arma di cui dispongono i prigionieri è lo sciopero della fame, utilizzato varie volte per fare pressione sulle autorità carcerarie, purtroppo senza grandi risultati fino ad oggi (l’ultimo, iniziato il primo maggio 2000, è stato interrotto il 24 maggio).

Senza dubbio, il nostro Ambasciatore a Lima continuerà ad intervenire sulle autorità locali e seguirà la situazione con la più grande attenzione, in comunicazione con l’Associazione Peruviana per i Diritti Umani, un’organizzazione non governativa che noi appoggiamo nelle sue azioni per un miglioramento del regime carcerario inflitto a una certa categoria di prigionieri. E’ chiaro che solo l’azione congiunta della comunità internazionale e dei movimenti che oggi difendono i diritti umani in Perù potrà, noi lo speriamo, convincere le autorità di questo Paese ad assicurare ai detenuti politici un trattamento conforme ai diritti elementari di tutte le persone recluse.

Le chiedo, Signor Presidente, di accettare l’espressione dei miei migliori sentimenti.

 

 

Hubert Védrine

Ministro degli Affari Esteri

della Repubblica di Francia

 


LE ORGANIZZAZIONI PER I DIRITTI UMANI

SI PRONUNCIANO

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La cella di Polay

Il rigore carcerario estremo nella base Navale del Callao è durato circa 5 anni.

 

All’inizio la cella era stata disegnata come una specie di cubo funerario con una porta sul tetto attraverso cui veniva introdotto il detenuto e gli venivano forniti gli alimenti. Doveva servire, inoltre, come unica  fonte di luce naturale. L’opinione sfavorevole della Croce Rossa Internazionale fece abbandonare l’idea originale ed aprire una porta laterale.

C’è una sola fonte di approvvigionamento di nella cella, in uno spazio che serve contemporaneamente da doccia e da latrina e che all’inizio veniva controllato dall’esterno dalle guardie.

Una pedana di cemento di circa 60 cm di larghezza fa le veci del letto e per anni è stato l’unico arredamento della cella.

A causa dell’isolamento e delle condizioni inumane di reclusione, l’unica forma di protesta che rimase ai detenuti dell’MRTA nella Base Navale del Callao fu lo sciopero della fame. Così, alla fine del 1999, durante il regime fujimorista, realizzammo il primo sciopero della fame dei prigionieri politici in Perù. Ve ne fu poi un altro nel maggio del 2000. Il nostro obiettivo era protestare contro le condizioni di detenzione ed appoggiare l’opposizione degli studenti e dei lavoratori alla rielezione del dittatore. 

          Si voleva dimostrare inoltre che i detenuti tupacamaristi, anche nelle condizioni più difficili e in mano alla dittatura, erano capaci di resistere, mandando così un messaggio di ribellione al nostro popolo.

Successivamente realizzammo altri scioperi della fame, chiedendo di essere trasferiti in un carcere civile, richiesta che continua ad essere vigente. Bisogna sottolineare che in America le uniche prigioni militari in cui si trovano detenuti prigionieri civili sono quelle di Guantánamo a Cuba e della Base Navale del Callao in Perù.

Tra pressioni e ricatti che subimmo durante il nostro primo sciopero della fame nel 1999, perché desistessimo dal nostro “ardimento” di protestare contro la dittatura che si trovava all’apice del potere, le autorità usarono il bastone e la carota. Così portarono una persona dall’accento straniero vestita da sacerdote che, dopo avere pregato e mostrato una grande pietà nei nostri confronti, ci disse che, se avessimo sospeso lo sciopero, sarebbe venuta a trovarci una volta al mese portandoci letture, dolci e regali. Venne anche un inviato speciale del Consiglio Supremo della Giustizia Militare, che ci comunicò che gli alti comandi erano molto preoccupati per la nostra salute e disposti ad aiutarci a rompere il nostro isolamento se avessimo interrotto lo sciopero; per dare più credito alle sue parole, aveva portato con sé un grosso libro che mise sul tavolo, dal titolo: “In difesa dei diritti umani”. Quando ancora andavamo in cortile individualmente, ci mettevano sulla tavola piatti appetitosi che non vedevamo da quando eravamo stati arrestati.

Vedendo che tutto ciò non dava nessun risultato, scelsero di rendere più dura la loro posizione, fino a darsi il disturbo di portare alla Base Navale due feretri di color piombo, che collocarono davanti alla mia cella, commentando che “per favore” capissi il messaggio.

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DICHIARAZIONI DELLA SIGNORA

OTILIA CAMPOS IN POLAY

 

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Su richiesta del presidente della Sala Penale Nazionale, dottor Pablo Talavera, il Consiglio Supremo di Giustiza Militare inviò le relazioni strettamente confidenziali che il Comitato Internazionale della Croce Rossa-CICR aveva presentato allo Stato peruviano sulla situazione dei detenuti nella Base Navale del Callao. Nella prima relazione non furono considerati  i detenuti senderisti (Abimael Guzmán ed Elena Iparraguirre) in quanto non si trovavano in isolamento. Nella seconda relazione invece lo furono, nonostante continuassero a trovarsi in un regime di detenzione diverso dal nostro.

 

COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA

Strettamente confidenziale (1996)

 

Relazione medico-psichiatrica del dottor Christian Martín, psichiatra e medico del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CIRC), su quattro detenuti sottoposti a regime di isolamento nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao, 21 e 22 maggio 1996.

 

  1. Introduzione

Il dottor Christian Martín ha visitato il Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao, al fine di valutare lo stato psichico dei quattro detenuti sottoposti da diversi anni ad un regime di isolamento. Tale valutazione è stata realizzata dietro sollecitazione della delegazione del CICR di Lima, dopo che i delegati (uno dei quali è medico) che  visitavano i detenuti ogni sei settimane ne avevano comprovato la progressiva comparsa di alterazioni psichiche.

 

  1. Svolgimento della visita

Il 20 maggio 1996, nella Base Navale del Callao, il dottor Martín ha avuto un colloquio con lo psichiatra, capo del Servizio di Psichiatria dell’Ospedale Navale della Base, il quale, su richiesta del CICR, aveva esaminato i quattro detenuti nei mesi precedenti la visita del dottor Martín. Egli desiderava comunicare al dottor Arteaga la finalità della sua visita e ottenere informazioni sui pazienti.

Il giorno dopo, 21 maggio, il dottor Martín ha avuto un colloquio, nel luogo adibito alle visite del luogo di detenzione, con Lucero Cumpa Miranda e, successivamente, con Víctor Polay Campos. Il 22 maggio l’ha avuto con Peter Cárdenas Schulte e, poi, con Demetrio Chávez Peñaherrera. I quattro colloqui di valutazione, il primo dei quali si è svolto in cortile, sono durati, in media, due ore ciascuno e sono stati effettuati in modo semidiretto.

Infine, il 24 maggio, il dottor Martín ha comunicato al dottor Arteaga i suoi rilievi clinici su ogni paziente. La visita è terminata con un colloquio al quale hanno assistito, oltre al dottore, il capitano, Direttore del Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao e Stephane Felder, Capo Aggiunto della Delegazione del CICR in Perù.

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Condizioni di detenzione

In quanto alle condizioni di detenzione, è necessario porre in rilievo tre elementi: il luogo di detenzione, il silenzio e la mancanza di comunicazione tra i detenuti.

 

        Il luogo di detenzione

Secondo i detenuti questo luogo di detenzione suole essere chiamato “Nemesi”, il nome della dea greca della vendetta. E’ costituito da due piccoli padiglioni di quattro celle individuali ciascuno, ubicati uno di fronte all’altro, ad alcuni metri di distanza. Ogni cella  misura 2 m. di larghezza per 2 m. di lunghezza per 3 m. di altezza; la luce del giorno entra da una piccola apertura quadrata situata nella parte più alta di una delle pareti e da una piccola apertura circolare posta al centro del tetto, attraverso la quale il personale della sicurezza  può vigilare l’interno della cella.

Al lato di questi due padiglioni di celle c’è un cortile per il passeggio dei detenuti. Queste strutture sono circondate da un muro di sicurezza che delimita uno spazio massimo di 18 m. per 25 m. per 6 m.

L’impressione generale che dà questo luogo di detenzione è quella di un posto di dimensioni anguste. La vista dei detenuti, fuori dalle celle, non va più in là del muro di cinta, cioè 35 m., il che  rende l’ambiente pesante e oppressivo.

 

        Il silenzio

Un altro elemento particolarmente impressionante è il silenzio che regna nel luogo di detenzione; silenzio che, sembra, sia stato imposto, in quanto il personale della sicurezza ha ricevuto istruzione di parlare a voce bassa, scambiare solo un minimo di parole con i detenuti e far sì che essi rispettino questa regola. Di conseguenza, questi, sotto minaccia di misure disciplinari (per esempio privazione dell’uscita in cortile), non hanno diritto a parlare a voce alta né a cantare né a suonare uno strumento.

 

        La mancanza di comunicazione tra i detenuti

I quattro detenuti in oggetto, a differenza degli altri tre (Abimael Guzmán, Elena Iparraguirre e Margie Clavo), incarcerati nello stesso luogo, non hanno diritto a vedersi né a comunicare tra loro in nessun modo. Víctor Polay Campos e Peter Cárdenas Schulte sono sottoposti a questa restrizione dall’aprile del 1993 (cioè da più di tre anni), Lucero Cumpa Miranda dal 1993 (cioè da quasi tre anni) e Demetrio Chávez Peñaherrera dal febbraio del 1994 (cioè da più di due anni).

Gli unici contatti umani che mantengono sono le visite dei familiari, alle quali hanno diritto a partire dal tredicesimo mese di detenzione, per mezz’ora al mese; possono ricevere solo due familiari alla volta e i bambini possono andare a trovarli solo ogni tre mesi (si tratta di visite senza possibilità di contatto fisico, essendoci un vetro di separazione e un microfono attraverso cui parlano, in presenza del capitano Roberto Pérez Prieto. Per di più la conversazione viene registrata). Questo regime di visita dei familiari è simile a quello imposto alla maggior parte degli altri detenuti che si trovano in carceri di sicurezza in Perù (tranne la registrazione della conversazione). Gli altri contatti umani, tranne che per alcuni minuti in cui, di tanto in tanto, si trovano con il capitano, li mantengono con il delegato e con il medico del CICR, che hanno con loro un colloquio ogni dieci settimane (i colloqui durano sempre intorno a un’ora con il delegato e un’ora con il medico). Ricevono anche la visita di un medico della Base ogni due settimane (visita che dura, in genere, qualche minuto).

Per completare la descrizione delle condizioni di detenzione, le uniche attività che i detenuti possono svolgere sono: leggere e scrivere, mantenere corrispondenza con i rispettivi familiari, utilizzare un registratore per ascoltare cassette da due a tre ore alla settimana e vedere filmati una volta alla settimana (tre ore). Inoltre vanno in cortile quotidianamente per 30 minuti. Non hanno accesso ai giornali, né alla radio o alla televisione.

 

  1. Valutazione psichiatrica

La psiche di un detenuto sottoposto ad un regime di isolamento risulta colpita, in generale, nel modo seguente:

 

Alterazioni relative alla percezione sensoriale

Cominciano con un aumento della reattività a stimoli sensoriali esterni, nel senso che  l’individuo reagisce esageratamente a rumori ed odori normali. Per esempio, ha difficoltà a sopportare il rumore dei passi, quello prodotto dalla brusca chiusura dello sportello attraverso cui viene introdotto il cibo, il ronzio delle zanzare. In seguito queste percezioni si modificano, progressivamente, fino a trasformarsi in allucinazioni. Ad esempio, sentire un rumore continuo che non esiste, udire voci, vedere segni sulla parete che cambiano forma trasformandosi in immagini diverse, avere l’impressione che il tetto della cella si avvicini o che le pareti si muovano.

 

Alterazioni relative al pensiero

Hanno difficoltà a concentrarsi e a leggere, hanno vuoti di memoria, non ricordano  avvenimenti che, normalmente si rammentano con facilità, sono disorientati per ciò che concerne il tempo (i detenuti visitati non hanno diritto ad avere un orologio in cella). Ci sono anche disturbi nel contenuto del pensiero, sorgono idee paranoiche; per esempio, che si produca intenzionalmente un rumore per disturbarli o provocare una reazione da parte loro. Ci può essere anche il timore di perdere il controllo, di arrivare ad essere violenti.

 

Alterazioni relative alle emozioni

Lo stato emozionale può subire perturbazioni quando sorge uno stato di ansia accompagnato da sintomi fisici, come accelerazione del ritmo cardiaco, sensazione di soffocamento, tensione muscolare e, successivamente, da depressione, con alterazioni del sonno, perdita dell’appetito, mancanza di energia e di interesse per le attività di routine (lettura, scrittura), tristezza, crisi di pianto, che possono arrivare fino a sentimenti di svalutazione di se stesso e ad idee di suicidio.

Il dottor Martín ha riscontrato nei quattro detenuti esaminati la presenza, in differenti gradi, della maggior parte delle alterazioni qui descritte. Si può quindi diagnosticare che tutti soffrano di uno stato ansioso-depressivo di differente gravità a seconda dell’individuo, i cui effetti alla lunga potrebbero essere irreversibili, anche se detto regime dovesse essere sospeso. Questo stato ansioso-depressivo traduce bene lo stato reale di sofferenza  causato dalle condizioni di detenzione in isolamento alle quali sono sottoposti i detenuti, giacché nessuno ha precedenti  psichiatrici. Come fanno tutti i detenuti in tali circostanze, questi hanno trovato un meccanismo di adattamento per sopportare meglio la situazione ma, a causa dei disturbi psichici descritti, sono sempre meno capaci di far fronte a  condizioni così difficili e, per quanto concerne alcuni di loro, si comprova la comparsa di disturbi più gravi che fanno prevedere una destrutturazione della personalità.

 

 

 

  1. Conclusione

Se qualsiasi detenzione può essere considerata come una situazione anormale che di per sé induce reazioni anormali nel detenuto, un regime di isolamento per periodi prolungati determina a maggior ragione reazioni tanto più anormali quanto più aumenti la durata e risulti rigido l’isolamento. Nei casi qui considerati, il regime di isolamento risulta particolarmente duro, essendo accompagnato anche dall’isolamento tra gli stessi detenuti, tra i detenuti e gli agenti di sicurezza (nessuna conversazione, un silenzio quasi totale) ed essendo le visite dei familiari sottoposte a molte restrizioni. Queste condizioni si verificano per un periodo eccessivamente lungo e in un luogo di per sé molto isolato, di dimensioni ridotte e il cui unico oggetto è la detenzione di queste persone. Dette condizioni di detenzione inducono, senza dubbio, uno stato psichico patologico nei detenuti, come ha potuto comprovare il dottor Martín nei suoi colloqui con loro.

Tale regime di detenzione in isolamento costituisce un trattamento inumano e degradante. Sebbene uno psichiatra competente come il dottor Arteaga abbia visitato  questi detenuti e possa proporre loro un trattamento adeguato, non si giustifica, sulla base delle verifiche fatte, il mantenimento di un isolamento di questo tipo.

 

COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA

Strettamente confidenziale (2000)

 

Relazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) sulle condizioni materiali e psicologiche di detenzione nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao.

 

  1. 1.   Introduzione

La finalità della presente relazione è trasmettere alle più alte autorità della Repubblica del Perù, in forma riservata, una sintesi delle principali osservazioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) sulle condizioni materiali di detenzione e, soprattutto, sullo stato psicologico delle persone recluse nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao.

Nel presente documento si aggiornano le conclusioni di una serie di relazioni fatte pervenire precedentemente alle autorità peruviane, l’ultima delle quali, intitolata Relazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) sulle condizioni di detenzione  nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao – anno 1999, fu inviata al Comandante Generale della Marina di Guerra del Perù, Ammiraglio AP Antonio Ibárcena Amico, il 13 maggio 2000 e consegnata al Presidente del Consiglio di Giustizia Militare, Generale di Divisione EP Luis Delgado Arenas, il 25 maggio 2000.

Durante le sette visite effettuate nel Carcere della Base Navale del Callao nell’anno 2000, che costituiscono la base di questa relazione, i delegati della CICR hanno avuto colloqui con sette interni.

 

Quadro N°1

 

Tempo di reclusione nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao (fino al dicembre 2000)

 

Cárdenas Schulte, Peter David                        7 anni, 7 mesi

Chávez Peñaherrera, Demetrio Limonier                   6 anni, 10 mesi

Guzmán Reynoso, Manuel Rubén Abimael       7 anni, 8 mesi

Iparraguirre Revoredo, Elena Albertina            7 anni, 8 mesi

Polay Campos, Víctor Alfredo                          7 anni, 7 mesi

Ramírez Durand, Óscar Alberto                       1 anno

Rincón Rincón, Miguel Wenceslao                    2 anni, 9 mesi

 

  1. 2.   Cronogramma di una progressiva flessibilità del regime di detenzione

L’arbitrario ed inumano regime di detenzione applicato per molti anni nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao è in contrasto non solo con le più elementari regole internazionali accettate come basiche per il trattamento dei reclusi ma anche con alcune norme legali interne che si riferiscono al compimento della condanna.

Tuttavia una sommaria comparazione tra la situazione vigente alla fine del 1999 e quella verificata durante l’ultima visita del CIRC, il 7 dicembre 2000, pone in rilievo che durante detto periodo le autorità responsabili del carcere abbiano deciso di rendere progressivamente più flessibile questo regime.

 

 

        Reclusione e contatto tra gli interni

Fino al settembre 2000 gli interni erano sottoposti ad un severo regime di reclusione di 23 ore con un’ora al giorno di cortile da soli, oltre ad un’uscita settimanale al parlatorio, anche questa da soli, per guardare filmati.

Solo gli interni Elena Iparraguirre Revoredo e Abimael Guzmán avevano il privilegio di condividere per gran parte del giorno una cella, adibita ad ufficio, e di guardare insieme i filmati nel parlatorio. Per il resto, l’unica possibilità di trattare con persone diverse dal personale di guardia era limitata alle visite mensili dei familiari, ai colloqui bimestrali  con i delegati del CICR  e — nel caso dei detenuti Peter Cárdenas Schulte, Víctor Polay Campos e Miguel Rincón Rincón – ad alcune riunioni arbitrariamente organizzate in occasione di feste speciali.

 

2.2. Visite e contatti con familiari

Fino al luglio del 2000 è stato in vigore il regime di visite mensili. Due familiari per interno alla volta potevano incontrarlo per un’ora. In generale le visite si svolgevano nel parlatorio, attraverso un vetro e con un sistema di amplificazione della voce. Tuttavia, le autorità del carcere permettevano che – negli ultimi minuti della visita — i detenuti avessero un contatto fisico diretto con i loro familiari. Per i minori di età era autorizzato il contatto diretto con il familiare detenuto per tutta la durata della visita.

La visita intima continuava ad essere un privilegio riservato unicamente agli interni Iparraguirre Revoredo e Guzmán Reynoso.

Bisogna sottolineare che — dopo vari anni di sospensione – è stato accettato che Iparraguirre Revoredo e Guzmán Reynoso ricevessero la visita di due interni reclusi in un altro centro di detenzione.

Le limitazioni di cui sopra non venivano applicate all’interna Iparraguirre Revoredo, che ha continuato ad avere diritto a visite dirette. Tale prerogativa veniva estesa anche all’interno Guzmán Reynoso che, in mancanza di visite dei suoi familiari, riceveva quella dei familiari dell’interna Iparraguirre.

 

          2.3. Accesso all’informazione, attività educative ed altre occupazioni

Fino al mese di settembre, fatta eccezione per gli interni Iparraguirre Revoredo e Guzmán Reynoso – che avevano a disposizione una radio – i reclusi hanno continuato a non avere notizie sull’attualità politica peruviana. Veniva tollerata unicamente la lettura di supplementi letterari e sportivi di alcuni giornali nazionali, oltre a riviste straniere di attualità economica ed internazionale e pubblicazioni di divulgazione scientifica.

 

  1. 3.   Conseguenze psicologiche del regime di reclusione

Negli ultimi anni, nel corso di 52 visite, successive generazioni di delegati e delegati-medici del CICR hanno constatato ripetutamente come il severo regime di reclusione applicato nel Carcere di Massima sicurezza della Base Navale del Callao metta alla prova l’integrità psichica degli interni.

Per questo, dalla fine del 1993, il CICR ha insistito costantemente, con risultati relativi, sull’urgenza di alleviare le condizioni di detenzione.

A causa dei loro ideali e convinzioni – che hanno funzionato come meccanismi di difesa – tutti gli interni attualmente reclusi nel Carcere, tranne Demetrio Chávez Peñaherrera, sembrano essere riusciti ad evitare un totale crollo psicologico. Quest’ultimo interno, completamente isolato dagli altri, è stato sempre la persona più fragile e psicologicamente più labile.

Due valutazioni psichiatriche realizzate da specialisti del CICR, la prima a maggio 1996 e la seconda ad ottobre 2000, confermano che tutte le persone esaminate presentano alterazioni psicologiche importanti.

Sebbene tra l’ultima valutazione psichiatrica del CICR e la data di chiusura di questa relazione si siano prodotte nuove misure di flessibilità del regime che potrebbero aver determinato, eventualmente, un miglioramento dello stato degli interni, questa mantiene la sua validità come riflesso delle conseguenze psicologiche del trattamento arbitrario e inumano applicato nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao per lunghi anni.

 

3.2. Valutazione psichiatrica di ottobre 2000

Quattro anni e mezzo più tardi, tra il 16 e il 19 ottobre 2000, quando il severo regime di reclusione già mostrava segni di un progressivo ammorbidimento, un altro medico-psichiatra del CICR, il dottor Eduardo Puch, ha realizzato un secondo esame psichiatrico con il fine di determinare l’evoluzione e lo stato psicologico degli interni.

Tutte le persone esaminate presentavano, con gradi differenti, segni e sintomi di deterioramento psicologico, principalmente di carattere ansioso– depressivo con labilità emozionale, stress post-traumatico, di deprivazione sensoriale con effetti neuropsicologici e de-personalizzazione. Un interno manifestava segni inquietanti di tipo psicotico.

Per motivi di deontologia medica questa relazione presenta solo una visione generale dello stato psicologico delle persone esaminate. Tuttavia, il CICR è disponibile a condividere con il personale medico-psichiatrico competente i risultati dell’esame psichiatrico individuale praticato dal Dott. Puch ad ognuno degli interni.

 

Segni e sintomi ansioso-depressivi

Tutti mostravano un’evidente diminuzione della fiducia e dell’autostima, dell’interesse e del piacere, così come della concentrazione e dell’attenzione.

Cinque presentavano segni e sintomi di depressione grave, come stanchezza, fatica, perturbazione del sonno, perdita dell’appetito, sconforto e/o perdita di interesse per le scarse attività realizzate.

Quattro presentavano una forte irritabilità di fronte a contrarietà o stimoli minimi.

Tre esteriorizzavano durante l’esame grande tristezza e pianto, oltre a sentimenti di svalutazione di se stessi.

Tre soffrivano di alterazioni psicosomatiche di tipo digestivo, cardio-respiratorio e/o dermatologico.

Due presentavano sentimenti di colpa e ideazioni suicide (uno di loro con alto rischio).

 

Segni e sintomi di stress post-traumatico e alterazioni nell’adattamento

Quattro rivivevano ripetutamente, con una certa insensibilità emozionale e anestesia psichica, eventi traumatici attraverso ricordi e sogni, oltre a manifestare un’iperattività neurovegetativa con iper-vigilanza ed insonnia frequenti.

Tre presentavano alterazioni nell’adattamento, come notevole inquietudine, ansia, prostrazione e sensazioni di incapacità nell’affrontare la situazione che vivono.

 

Segni e sintomi psicotici

La maggioranza delle persone esaminate aveva idee che, in condizioni normali, sarebbero state considerate paranoie. Per esempio, erano convinte che il personale del carcere si dedicasse unicamente ed esclusivamente a dar loro fastidio e ad aggredirli psicologicamente o che uno degli interni riceveva quotidianamente compresse destinate a farlo impazzire.

Un interno, logorroico, con un discorso a volte incoerente e con salti di pensiero e fuga di idee, presentava idee deliranti ed ossessive di tipo paranoico, angoscia di “smembramento” e pensieri parassiti. Inoltre mostrava segni di iperattività e instabilità motoria.

 

Analisi del funzionamento di gruppo

Come si è già segnalato, gli interni del Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao sono sottoposti a un regime di isolamento estremamente ristretto per molti anni. La volontà di isolamento è arrivata fino all’estremo patologico di non permettere loro neanche di conoscere l’orario, obbligandoli a vivere secondo un orologio interno.

 

Conclusioni

Avendo come punto di riferimento la relazione del Dr. Martín, la situazione psicologica di alcuni interni si è mantenuta stabile. Tuttavia, molti di loro denotano un chiaro degrado, arrivando in alcuni casi a situazioni gravissime.

La Convenzione Interamericana per Prevenire e Sanzionare la Tortura, della quale il Perù fa parte dal 27 febbraio 1990, ha concluso che: “Verrà considerata tortura ogni azione realizzata intenzionalmente, attraverso la quale vengano inflitte a una persona pene o sofferenze fisiche o personali, come misura preventiva, come pena o con qualche altro fine. Si considererà anche tortura l’applicazione su una persona di metodi tendenti ad annullarne la personalità o a diminuirne la capacità fisica o mentale, anche se non causino dolore fisico o angoscia psichica”.

 

5. Conclusioni e raccomandazioni

Gli interni reclusi nel Carcere di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao sono sottoposti da diversi anni ad un regime arbitrario e inumano.

Il CICR non può fare altro che raccomandare – ancora una volta – l’immediato trasferimento di tutti loro ad un altro centro di reclusione.

 

 

Lima, dicembre 2000

 

 

DENUNCIA AL SR. PROCURATORE PROVINCIALE DEL CALLAO

 

Durante la mia reclusione nella Base Navale del Callao, dall’aprile del 1993 fino alla caduta della dittatura, non ho mai potuto contare sulla visita di un avvocato né realizzare alcuna denuncia al Potere Giudiziario, che d’altra parte probabilmente non avrebbe avuto nessun effetto, essendo questo totalmente sottomesso alla dittatura.

E’ per questo che solo il 18 gennaio 2002 ho potuto presentare un esposto alla Procura Provinciale del Callao per le torture subite nel carcere di Yanamayo e per il regime disumano al quale ero stato sottoposto nella Base Navale del Callao per espresso ordine di Alberto Fujimori e Vladimiro Montesinos.

 

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SIGNOR PROCURATORE PROVINCIALE DEL CALLAO:

 

Io sottoscritto VÍCTOR ALFREDO POLAY CAMPOS, cittadino peruviano recluso nella Base Navale del Callao, indicando per gli effetti legali domicilio processuale in Jr. Lampa N°1115 – 603, Lima,

secondo quanto disposto dagli articoli 1 e 2, commi 1 e 24 del Codice Penale, mi rivolgo al suo Ministero per denunciare le persone di VLADIMIRO MONTESINOS TORRES, ANTONIO IBÁRCENA AMICO, ROBERTO PÉREZ PRIETO, CÉSAR DE LOS RÍOS, LUCIANO RAMÍREZ VINATEA e coloro i quali risultano responsabili dei delitti di GENOCIDIO, LESIONI GRAVI, ESPOSIZIONE AL PERICOLO DI PERSONE SOTTO DIPENDENZA E ABUSO DI AUTORITA’, secondo i fondamenti di fatto e diritto che vado ad esporre:

 

FONDAMENTI DI FATTO:

1. Come è di pubblica conoscenza, sono stato processato e giudicato per le mie idee da un tribunale senza volto che, violando le garanzie minime di un processo dovuto, mi ha condannato all’ergastolo, disponendo la prosecuzione della mia reclusione nel Carcere di Massima Sicurezza di Yanamayo, dove sono rimasto dal giorno della mia cattura, 22 luglio 2002, fino alla data del 26 aprile 1993, quando sono stato trasferito alla Base Navale del Callao.

2. Durante la detenzione sono stato sottoposto a trattamenti crudeli e a torture fisiche e non mi è stato permesso di ricevere visite né corrispondenza, neppure quella della mia difesa legale. Solo dopo 15 giorni di detenzione mi è stato permesso di avere un colloquio di 10 minuti con la mia signora madre, essendo stato trasferito a Castro Castro e recluso nella cosiddetta “cella del castigo” da dove, dopo un totale isolamento di 30 giorni, sono stato trasferito al Carcere di Yanamayo a Puno, avendo la possibilità di portare come unici vestiti un pantalone e una camicia a maniche corte, nonostante il clima rigido di quel luogo.

3. Durante la mia permanenza a Yanamayo, durante il Processo Orale sono stato incappucciato e sottoposto ad azioni vessatorie, scariche elettriche, sospensione al soffitto per le braccia ecc., i cui esecutori erano, secondo loro stessa ammissione, i più alti comandi di polizia e i militari del luogo, che agivano per espressa disposizione dell’allora Presidente della Repubblica e Comandante in Capo delle Forze Armate, Alberto Fujimori, e di Vladimiro Montesinos Torres, al fine di ottenere una dichiarazione di autoaccusa e pentimento sotto la minaccia che sono sarei uscito vivo dal giudizio. Essendomi rifiutato, sono stato nuovamente torturato in maniera ancora più brutale e per più tempo, il che ha lasciato sul mio corpo ematomi e bruciature di cui è rimasta prova, essendo stato curato nell’infermeria del carcere il 5 aprile 1993 ed essendone stato espressamente a conoscenza il denunciato Luciano Ramírez Vinatea, che ostentava il grado e la carica di Colonnello della PNP, Capo della Regione Provinciale di Puno.

4. Le condizioni di reclusione alle quali sono stato sottoposto durante la mia permanenza nel Carcere di Yanamayo erano dirette sistematicamente a minare la mia salute fisica e mentale, violando i miei più elementari diritti. E’ così che prima del mio trasferimento alla Base Navale del Callao sono stato nuovamente torturato nella Sala delle Udienze, dove mi è stata posta una tuta a righe per espressa disposizione del denunciato Vladimiro Montesinos Torres che, insieme ad Alberto Fujimori, ha diretto il mio trasferimento da Yanamayo al Callao. Durante tutto il viaggio sono stato sottoposto ad insulti, umiliazioni ed aggressioni fisiche da parte del personale incaricato della mia custodia e trasferimento e in un’occasione sono stato sollevato in bilico con la minaccia di essere lanciato dall’aereo per ordine del Presidente Fujimori e del denunciato Montesinos. Mi è stato sussurrato all’orecchio se avevo qualche messaggio per i miei familiari prima di morire.

5. A Lima, nel corso del mio trasferimento alla Base Navale, sono stato incappucciato, materialmente chiuso in gabbia e presentato pubblicamente alla stampa con la tuta a righe, il che costituisce un trattamento degradante. Sono stato ammanettato così forte da aver riportato la lesione delle terminazioni nervose delle dita, con perdita della sensibilità delle stesse per più di sei mesi. Il trattamento inumano, derivante dall’isolamento totale e forzato e dalla mancanza di comunicazione verbale e scritta con i miei familiari, è proseguito durante la mia permanenza nella Base Navale del Callao.

6. Nella Base Navale del Callao sono stato confinato in una cella di m 2 X 2 X 4 di altezza, con un condotto dell’acqua a 2 m. di altezza, un tubo di 59 cm. per la doccia, sotto il quale si trova un buco della fognatura, nel quale si fanno i bisogni, senza ventilazione né illuminazione. All’inizio la cella non aveva porta ma solo un buco nel tetto. Dopo il parere sfavorevole espresso dalla Croce Rossa, è stata aperta una porta di ferro massiccio con una finestrella di 30 cm X 10 cm attraverso la quale venivano introdotti gli alimenti.

7. Le condizioni carcerarie alle quali fui e sono sottoposto risultano inumane, crudeli e denigranti; è così che:

A. Per quattordici mesi (26/04/93–24/05/94) sono stato sottoposto ad un regime di isolamento totale, senza niente di mia proprietà ed avendo a disposizione, per quanto riguarda il vestiario, un pigiama blu, due paia di calze e due mutande; senza tavolo né sedia, avendo a disposizione per dormire un materassino e una coperta in un letto di cemento di 50 cm. di larghezza ed un materasso che uso da 7 anni e che ha assorbito tutta l’umidità del pavimento; senza avere la possibilità di leggere e di realizzare qualsiasi attività, anche minima. Potevo andare in cortile, ammanettato, solo per 10 minuti al giorno, per cui mi sono rifiutato di uscire dalla cella dal maggio del 1994 alla fine di quest’anno, quando mi è stata concessa la visita dei miei familiari una volta al mese per 30 minuti, il che costituiva il mio unico contatto umano, non avendo relazioni con altri detenuti né con i miei vigilanti. Solo a partire dall’ottobre 1996 fino a marzo 1998 mi è stato permesso di unirmi  ad altri detenuti del MRTA un’ora alla settimana, che è passata a 2 e 3 ore consecutive negli anni successivi in forma sporadica, costituendo una  “concessione” delle autorità, per cui veniva sospesa o ridotta secondo il loro criterio. A marzo del 1998 sono stato isolato nuovamente.

B. Il trattamento della FOES (Forza di Operazioni Speciali) era sempre aggressivo e violento, aprivano la porta gridando e, prima di farmi uscire a spintoni, mi mettevano contro la parete con le braccia e le gambe estese, puntandomi contro le armi. Il  personale  si presentava incappucciato, questo fino al 1997. L’unico che potevo guardare in faccia era il Comandante Roberto Pérez Prieto, che lavorava per il carcere e che disponeva direttamente gli arbitrii e il trattamento verso la mia persona.

C. Venni sottoposto, insieme ad altri detenuti del MRTA ad un regime di “silenzio e riflessione”, secondo cui dovevamo rimanere zitti e parlare con i vigilanti a voce bassa per non essere sentiti da altre persone; quando uscivamo dalla cella, eravamo obbligati  a ritirarci verso un angolo o a nasconderci per non osservare o essere osservati da altri detenuti che stavano camminando in cortile, agire, cioè, come se ognuno fosse l’unico prigioniero. Tale regime veniva applicato solo ai prigionieri del MRTA condannati per terrorismo o tradimento alla patria e non ad appartenenti ad altri movimenti.

D. Non potevamo lavorare né effettuare alcuna attività manuale o intellettuale, poiché non avevamo accesso a giornali, neanche al quotidiano ufficiale, riviste, radio o televisione e non avevamo modo di sapere ciò che avveniva in Perù, ad eccezione delle notizie sportive o culturali. Non si poteva esercitare alcuna pratica religiosa, non essendo permesso l’accesso a sacerdoti o cappellani di alcun credo. Non ci è permesso celebrare le feste civili e religiose ufficiali, come Natale, Anno Nuovo, Festa Patria, Festa della Mamma ecc. Ci è proibito l’uso di orologi, calendari o simili, cosicché non possiamo nemmeno controllare quando termina il tempo concesso per la passeggiata o per le visite. Bisogna precisare che queste avvenivano d’improvviso e senza una routine, il che ci produceva uno stato di logoramento e tensione costanti.

E. Durante la mia permanenza alla Base Navale, da aprile 1993 al 2000, prima che si insediasse il Governo di Transizione, non è stato permesso l’ingresso di nessun Organismo di Diritti Umani nazionale o internazionale, nonostante reiterate sollecitazioni.

F. Mi era proibito commentare con i miei familiari le mie condizioni carcerarie, ricevevo un trattamento despota, un costante maltrattamento verbale, ero sottoposto a uno stato di tensione e psicosi con esplosioni e raffiche di mitraglietta notturne. C’era contro di me un atteggiamento ostile e  subivo pressioni finalizzate ad ottenere dichiarazioni contro personaggi politici come Alan García e Javier Pérez de Cuellar, con l’offerta di un miglioramento della mia situazione giuridica e carceraria. E’ così che l’undici giugno 1993 ho ricevuto la visita del denunciato Vladimiro Montesinos che mi aspettava in cortile, dove sono stato condotto dall’Ammiraglio “David” (che ho identificato come l’Ammiraglio Ibárcena Amico), e che mi ha chiesto di appoggiare il Governo di Ricostruzione Nazionale. In caso contrario sarebbe stato reso effettivo un decreto per la mia fucilazione. Avendo io rifiutato, incollerito e urlando mi ha detto che la mia famiglia avrebbe potuto già iniziare a comprarmi la bara nell’impresa di pompe funebri Merino e che mi preparassi alle conseguenze, disponendo che venissi punito fisicamente. Altra dimostrazione di crudeltà psicologica è stata il fatto che ho potuto avere notizia della morte di mio padre, avvenuta nel gennaio del 1994, solo il 24 maggio, in occasione della prima visita di mia madre.

G. Durante gli anni 1997, 1998, 1999 e 2000 la Direzione della Base Navale è stata assunta dal Comandante César de los Ríos, che ha proseguito la stessa politica carceraria, peggiorandola addirittura in alcuni momenti. E’ così che nel settembre  e nell’ottobre del 1999, durante il mio sciopero della fame di 30 giorni, sono stati posti due feretri di fronte alla mia cella per intimorirmi.

8. Il trattamento carcerario è divenuto più flessibile alla fine del Governo dell’accusato per le disposizioni del Governo di Transizione, sebbene ad oggi ancora vengano mantenute restrizioni che attentano contro il mio diritto alla difesa, all’occupazione di stabilimenti penali adeguati e al compimento delle finalità del regime penitenziario.

9. In tal senso, i denunciati, ognuno in maniera diversa, hanno commesso azioni arbitrarie contro di me, nonostante avessero obblighi e responsabilità funzionali, amministrative e penali nei miei confronti, trovandomi sotto la loro dipendenza, e sono incorsi in abusi di autorità, ogni volta che hanno violato i miei più elementari diritti umani.

10. Allo stesso modo, venendo disposto il mio trasferimento alla Base Navale del Callao, che è un centro di detenzione militare e non civile, il cui regime carcerario contiene maggiori restrizioni e limitazioni, si esercita un’azione arbitraria e discriminatoria, in ragione delle mie idee, e si trasgredisce la normativa penitenziaria del Paese, poiché la sentenza per la quale sono stato condannato all’ergastolo, nonostante le sue evidenti irregolarità, è stata emessa da un tribunale civile e non militare, toccandomi l’internamento in un centro penitenziario di tipo civile che mi permetta benefici penitenziari, che attualmente mi sono vietati per  la stessa natura del centro di reclusione dove mi trovo.

11. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha segnalato che il mio regime di detenzione è inumano: nell’anno 1996 il Capo dell’Area Medica per l’America Latina della Croce Rossa, Dr. Christian Martín, dopo la visita effettuata, ha dichiarato che il denunciante veniva sottoposto ad un trattamento di crudeltà mentale, il che è stato nuovamente corroborato nel 1999 da un altro esame medico effettuato dalla Croce Rossa Internazionale, che permette di stabilire pienamente la responsabilità funzionale e penale dei denunciati.

12. Lo stesso trattamento lesivo ed azioni delittuose simili sono state commesse solo nei confronti dei prigionieri politici dell’MRTA reclusi nella Base Navale del Callao, conosciuta  e denominata dai denunciati, membri del FOES e vigilanti, come “Nemesi”, che risponde al nome della dea greca della vendetta, il che denota con maggiore esattezza la natura e la finalità della reclusione alla quale siamo sottoposti.

 

 

FONDAMENTI DI DIRITTO:

1. L’articolo 1 della Costituzione Politica del Perù sancisce, nell’ambito dei diritti fondamentali, che la difesa della persona umana e il rispetto della sua dignità sono il fine supremo della società e dello Stato. L’articolo 2, al comma 1, stabilisce che ogni persona ha diritto alla vita, alla sua identità, integrità morale, psichica e fisica ed al libero sviluppo e benessere ed al comma 24, lettera h, sancisce il diritto alla legittima difesa così come alla libertà personale, esprimendo ciò come segue::

Nessuno deve essere vittima della violenza morale, psichica o fisica né sottoposto a tortura e a trattamenti inumani o umilianti.

Questo precetto è avvalorato dall’articolo 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che proscrive la sottomissione a torture, pene, trattamenti crudeli, inumani o degradanti, come si sono realizzati nel presente caso. L’articolo 1 della Convenzione contro la Tortura ed altri trattamenti o pene crudeli, inumane e degradanti, approvata dalla Risoluzione Legislativa N° 24815 del 12/05/1988, così recita:

Agli effetti della presente Convenzione, si intenderà con il termine “tortura” ogni azione attraverso cui vengano inflitti ad una persona dolori o gravi sofferenze, fisici o mentali che siano, al fine di ottenere da questa o da un terzo informazioni o confessioni, di punirla per un’azione che abbia commesso o che si sospetta abbia commesso, o di costringerla per qualsiasi ragione basata su qualunque tipo di discriminazione, qualora dette sofferenze vengano inferte da un funzionario pubblico o altra persona nell’esercizio di funzioni pubbliche, su sua istigazione o con il suo consenso o accondiscendenza.

Secondo l’articolo 2 della suddetta Convenzione a giustificazione della tortura non possono essere invocate in nessun caso circostanze eccezionali, come instabilità politica interna o qualsiasi altra emergenza pubblica.

2. Bisogna anche tenere presente che, secondo il Parere del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, i denunciati avevano infranto quanto disposto nell’articolo 7 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici rispetto alla sottomissione a tortura, trattamenti crudeli, inumani o degradanti, così come nell’articolo 10 dello stesso ordinamento internazionale che al comma 1 sancisce: “Ogni persona privata della libertà sarà trattata umanamente e con il rispetto dovuto alla dignità inerente  all’essere umano”; e al comma 3 recita: ”Il regime penitenziario consisterà in un trattamento la cui finalità essenziale sarà la riforma e il riadattamento sociale dei detenuti”.

3. Il Protocollo II addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla Protezione delle Vittime dei Conflitti Armati non a carattere internazionale, approvato nella Conferenza Diplomatica sulla Riaffermazione e Sviluppo del Diritto Internazionale Umanitario, applicabile ai conflitti armati, adottato l’otto giugno  1977 e sottoscritto dal Perù il 12 dicembre 1977, lo stesso che fu approvato dalla Risoluzione Legislativa N° 25019 datata 23 maggio 1989 e il cui strumento di ratifica del 27 giugno 1989 fu depositato il 14 luglio 1989, stabilisce all’articolo 2, relativamente all’ambito di applicazione personale, che:

Alla fine del conflitto armato, tutte le persone che siano state oggetto di una privazione o di una restrizione della libertà per motivi relazionati ad esso, così come quelle che fossero oggetto di tali misure dopo del conflitto per gli stessi motivi, godranno della protezione prevista dagli articoli 5 e 6 fino al termine di tale privazione o restrizione.

Il Titolo II sul Trattamento Umano della citata norma, all’articolo 5 comma 1 lettere b) e d) rispetto alle persone private della libertà, stabilisce le seguenti disposizioni minime: “Ricevere alimenti, acqua potabile, godere di garanzie di salubrità e igiene, protezione contro i rigori del clima; praticare la propria religione, ricevere, quando lo richiedano, l’assistenza spirituale di coloro i quali esercitino funzioni religiose”. D’altra parte, al comma 2, lettere B), D) ed E) stabilisce che: “Secondo le proprie possibilità, i responsabili dell’internamento delle persone alle quali si riferisce il paragrafo 1 rispetteranno anche, nei limiti delle proprie competenze, le disposizioni seguenti relative agli internati: b) saranno garantiti la ricezione e l’invio di lettere e cartoline, sebbene il loro numero possa essere limitato dall’autorità competente, qualora lo consideri necessario, d) saranno sottoposti ad esami medici; e) non si metteranno in pericolo la loro salute, la loro integrità fisica o mentale mediante azioni od omissioni ingiustificate”.  Infine l’articolo 6 del Protocollo riguarda le diligenze penali, stabilendo condizioni e garanzie minime del giudizio e le sanzioni alle infrazioni penali commesse in relazione al conflitto armato, che non sono state rispettate neppure in misura minima nel caso del denunciante.

  1. L’articolo 139, commi 21 e 22, della Costituzione contiene le seguenti garanzie di amministrazione della giustizia:

ARTICOLO 139. – “Princìpi e Diritti dell’Azione Giurisdizionale”

Sono princìpi e diritti della funzione giurisdizionale:

il diritto dei reclusi e sentenziati di occupare stabilimenti adeguati;

il principio che il regime penitenziario ha come oggetto la rieducazione, riabilitazione e reinserimento del condannato alla società.

Essendo l’ottemperamento di questa norma obbligatorio per i funzionari pubblici, chi attui in contravvenzione ad essa, incorre nell’abuso di autorità.

4.Conseguenza delle infrazioni e violazioni dei miei più elementari diritti garantiti dalla norma costituzionale in ragione della mia condizione di persona umana, gli stessi che conservo nonostante mi veda privato della libertà, è che i denunciati hanno commesso contro di me i delitti materia di denuncia, la cui qualificazione giuridica deve essere materia di analisi:

 

  1. A.   IN QUANTO AL DELITTO DI GENOCIDIO

A.1.- La dottrina definisce il genocidio come un crimine spaziale avente come finalità la distruzione di gruppi umani — razziali, religiosi o nazionali – che può realizzarsi sia in epoca di guerra che di pace.

A.2.- La convenzione per la Prevenzione e Sanzione del Genocidio adottata dall’Assemblea generale dell’ONU, nella Risoluzione 260 A (III) del 9 dicembre 1948, fu sottoscritta dal Perù l’undici dicembre 1948 ed approvata mediante la Risoluzione Legislativa 13288 del 28 dicembre 1959. All’articolo 1 stabilisce, che:

“Le parti contraenti confermano che il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace che di guerra, è un delitto di Diritto Internazionale che si impegnano a prevenire e sanzionare”.

Nell’articolo II indica le azioni che vengono considerate come genocidio, per le quali stabilisce quanto di seguito riportato:

Articolo II

Nella presente Convenzione si intendono per genocidio le azioni di seguito menzionate, perpetrate con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso:

a)   uccisone di membri del gruppo;

b)  lesioni gravi all’integrità fisica o mentale dei membri del gruppo;

c)   sottomissione intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza che ne causino la distruzione fisica, totale o parziale;

d)  realizzazione di misure destinate ad impedire le nascite all’interno del gruppo;

e)   trasferimenti forzati di bambini del gruppo ad un altro gruppo.

Si deve aggiungere che l’articolo III stabilisce che saranno punite le seguenti azioni: a) Genocidio; b) Associazione finalizzata al genocidio; c) Istigazione diretta e pubblica al genocidio; d) Tentativo di genocidio; e) Complicità in genocidio. Bisogna tenere presente che l’articolo IV dello stesso ordinamento internazionale, espressamente, determina che saranno punite le persone che abbiano commesso genocidio, sia che si tratti di governanti, sia che si tratti di funzionari o di persone private.

A.3. L’articolo 129 del Codice Penale reitera nella sua qualificazione le azioni stabilite dalla Convenzione per la Prevenzione e Sanzione del Genocidio succitata. In questo caso particolare si è incorsi in Lesione Grave all’integrità fisica e mentale dei membri dell’MRTA, in quanto non solo si sono compiute azioni dolose contro il denunciante ma contro tutti i prigionieri politici del Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru reclusi nella Base Navale del Callao, con l’evidente intenzione di distruggerli fisicamente e psicologicamente. Bisogna sottolineare che questo trattamento carcerario non è stato applicato a tutti i detenuti per terrorismo e tradimento alla Patria ma soltanto agli appartenenti all’MRTA. Le condizioni alle quali siamo stati sottoposti hanno avuto la finalità di distruggerci moralmente, fisicamente e psicologicamente, secondo quanto risulta nelle relazioni psicologiche e mediche realizzate dalla Croce Rossa Internazionale.

A.4) Bisogna precisare che, sebbene siamo un movimento politico, ciò non può escluderci dalla condizione di gruppo nazionale e sociale agli effetti di considerarci  soggetti passivi del delitto di genocidio imputato ai denunciati, essendo incorsi nel delitto di lesa umanità.

 

B.- IN QUANTO AL DELITTO DI LESIONI GRAVI

B.1. Questa figura delittuosa si trova contenuta nell’articolo 121 del Codice Penale e contiene come presupposto il causare a un altro un grave danno nel corpo o nella salute, considerandosi come gravi le lesioni che:

a) mettano in pericolo imminente la vita della vittima;

b) le mutilino un organo principale del corpo o lo rendano improprio alla sua funzione, causino incapacità lavorativa, invalidità o anomalia psichica permanente o la sfigurino in modo grave e irreversibile;

c) causino qualsiasi altro danno all’integrità corporale o alla salute fisica o mentale, che richieda più di 30 giorni di assistenza o di riposo.

B.2. Nel presente caso è evidente che il regime di “silenzio e riflessione” al quale è stato sottoposto il denunciante, così come gli altri prigionieri politici del MRTA risultano perfettamente accreditati dalle relazioni della Croce Rossa Internazionale che stabiliscono che le condizioni di internamento alle quali siamo stati sottoposti abbiano prodotto nel denunciante e negli altri prigionieri politici dell’MRTA un danno psicologico irreversibile, il che viene corroborato  dalle conclusioni dell’Opinione del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, secondo cui le lesioni provocate, tanto a livello fisico come psicologico, così come la responsabilità diretta dei denunciati per la loro natura e per la condizione di dipendenza del denunciante in relazione ai denunciati, si trovano pienamente accreditate.

 

IN QUANTO AL DELITTO DI ESPOSIZIONE AL PERICOLO DI PERSONE  CHE SI TROVANO SOTTO DIPENDENZA

C.1) Questo delitto viene previsto dall’articolo 128 del Codice Penale ed esige una relazione di dipendenza o autorità sulla vittima. Esso introduce il concetto che gli agenti sono usualmente servitori pubblici, per cui, sebbene la norma non lo segnali espressamente, il pericolo riferito a questo tipo di delitto può essere determinato dalla mancanza di alimenti e di cure indispensabili, dalla sottomissione a lavori eccessivi o inadeguati, dall’abuso di misure disciplinari, esistendo un obbligo imperativo per l’agente di proporzionare e procurare protezione al detenuto, considerando che questa norma si riferisce a persone diverse dai minori ed incapaci, di cui si occupa l’articolo 125 del Codice Penale. Bisogna aggiungere che nel secondo paragrafo dell’articolo 128 si stabilisce che le lesioni gravi o la morte costituiscono aggravante della figura delittuosa.

C.2) Per quanto riguarda la forma di dipendenza, la norma penale non realizza una distinzione in ragione del tipo di carica occupata dal soggetto attivo o della relazione esistente tra il soggetto attivo e il soggetto passivo, l’importante è che esista una relazione di autorità tra il soggetto attivo e la sua vittima. Si segnala inoltre che una delle modalità in cui si commette questo delitto è quando, esistendo la relazione di dipendenza, si sottomette il soggetto passivo a misure di correzione o di disciplina abusive.

C.3) Gli elementi costitutivi della figura delittuosa così descritti si trovano configurati dall’azione dei denunciati, ogni qualvolta abbiano rappresentato la massima autorità incaricata della reclusione nella Base Navale del Callao, poiché, per la stessa natura militare del centro di reclusione, qualsiasi ordine o azione venivano eseguiti per espresso mandato dei denunciati.

 

D. IN QUANTO ALL’ABUSO DI AUTORITA’

D.1) Nell’articolo 376 del C.P. è presente il concetto generico di abuso di autorità a partire dal quale l’ordinamento penale stabilisce aggravanti o attenuanti, aggiungendo anche presupposti di fatto particolari. Così, nel delitto il soggetto attivo è sempre un funzionario pubblico, indipendentemente dal concorso di persone private, e il soggetto passivo lo Stato, come titolare di interessi violati, senza escludere da ciò il pregiudizio specifico nei confronti di una persona in particolare.

D.2) Nella figura delittuosa di abuso di autorità il termine atto arbitrario si deve intendere in senso soggettivo e non solo oggettivo, poiché il funzionario vi incorre quando, disponendo di poteri discrezionali conferiti dalla norma, li usa con una finalità diversa da quella prevista dalla legge, considerandosi questo delitto commesso non solo da chi detta l’atto ma anche da chi porta ad effetto la sua consumazione, poiché non si richiede che si produca effettivamente un danno materiale concreto ma è sufficiente la lesione all’ordine amministrativo e la realizzazione maliziosa di un atto che si sa essere illegale.

 

PER CIO’ CHE E’ STATO ESPOSTO,

a Lei, Signor Procuratore, chiedo di dar corso alla presente denuncia secondo la legge.

Allego copia dei seguenti documenti:

Opinione del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite

Relazione presentata dalla mia signora madre Otilia Campos vedova Polay alla Commissione per la Verità.

 

Base Navale del Callao, 8 gennaio 2002

Víctor Polay Campos

 


 

SIGNOR PROCURATORE PROVINCIALE PENALE SPECIALIZZATO NEI DELITTI DI CORRUZIONE DEI FUNZIONARI E CONTRO I DIRITTI UMANI

 

Io sottoscritto Víctor Alfredo Polay Campos, nell’istruttoria contro ALBERTO FUJIMORI FUJIMORI, VLADIMIRO MONTESINOS TORRES ed ALTRI sul delitto di tortura,  a Lei rispettosamente mi rivolgo:

 

I. RICHIESTA

Avvalendomi dei miei diritti, estendo la mia denuncia contro don Alberto Fujimori Fujimori e contro coloro i quali risultino responsabili dei DELITTI DI LESA UMANITA’ attraverso la TORTURA, secondo i fondamenti di fatto e di diritto che espongo qui di seguito.

 

II. FONDAMENTI DI FATTO

Come si può vedere nella mia iniziale denuncia per le torture che subii nel Carcere di Yanamayo (dal 22 luglio 1992 fino al 26 aprile 1993), da cui fui trasferito al carcere Militare della Base Navale del Callao dove mi trovo ancora oggi, per molti dei fatti più importanti non fu considerato il principale esecutore che, per la sua carica di Presidente della Repubblica, non solo fu al corrente delle torture di cui fui vittima insieme ai miei compagni dell’MRTA, ma partecipò alla loro pianificazione, come dovrà essere corroborato dal Suo ufficio, secondo le investigazioni preliminari, le prove offerte e i fatti già segnalati.

 

2.1 Carcere di Yanamayo

Come è noto, la Corte Interamericana dei Diritti Umani si è pronunciata in diverse sentenze, considerando l’infrazione dei diritti fisici e psichici della persona, avvenuta nel Carcere di Yanamayo, come una flagrante violazione dell’art. 5 della Convenzione Americana dei Diritti Umani. Ciò è avvenuto con Castillo Petruzzi ed altri; “il fatto che dette persone venissero presentate davanti alle autorità giudiziarie bendate o incappucciate, ammanettate o incatenate costituisce una violazione all’articolo 5 della convenzione” (Par. 192). “L’isolamento dal mondo esterno produce in qualsiasi persona sofferenze morali e perturbazioni psichiche, la colloca in una situazione di particolare vulnerabilità ed accresce il rischio di aggressione ed arbitrarietà nelle carceri” (Par. 195).

Allo stesso modo, considerando la sentenza del caso Lori Berenson del 25/11/2004, “Questo tribunale ha indicato che la tortura e le pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti sono severamente proibiti dal Diritto Internazionale dei Diritti Umani. La proibizione della tortura e dei trattamenti crudeli, inumani e degradanti è assoluta e inderogabile, anche nelle situazioni più difficili, come la guerra, la minaccia di guerra, la lotta contro il terrorismo e qualunque altro delitto, lo stato di emergenza, il conflitto interno, la sospensione di garanzie costituzionali, l’instabilità politica interna ed altre emergenze o calamità pubbliche”. Bisogna considerare che la Sig.ra Berenson fu vittima di un regime di isolamento cellulare continuo di un anno e mezzo nel carcere di Yanamayo, molto più lungo del tempo massimo previsto dall’art. E del D.L. Nro. In questa situazione e in accordo al contesto sociopolitico che con il tempo poco a poco si va delucidando, mettendo in evidenza la natura del regime precedente, non solo corrotto ma rappresentativo  di tutte le caratteristiche di un totalitarismo  giuridico che, con il pretesto di lottare il terrorismo ricorse a decisioni legislative attraverso un Parlamento e un Esecutivo sottomessi, che crearono leggi contravvenendo a tutti i trattati di Diritti Umani, l’ex presidente Fujimori Fujimori, dopo avere sciolto il Parlamento, concentrò tutto il potere autoritario nella sua persona. Il Decreto Legislativo  N° 746 permetteva di ampliare le competenze del Sistema di Intellighenzia Nazionale (SIN) e lo poneva sotto la responsabilità diretta  del presidente della Repubblica, senza che ciò avvenisse sotto alcun controllo materiale, giudiziario né parlamentale. Questo è Alberto Fujimori Fujimori, con cui Vladimiro Montesinos Torres dirigeva il SIN. Entrambi progettarono il Carcere di Yanamayo. A partire dal 1990 il personale delle Forze Armate dirigeva la Polizia Nazionale del Perù,  pertanto nelle zone di emergenza la PNP[**] era subordinata ai capi dei Comandi Politici e Militari, i quali ovviamente erano stufi del potere Esecutivo, avendo come Capo Supremo delle Forze Armate il Sig. Alberto Fujimori Fujimori. Ciò è confermato  dal capo della regione di polizia di Puno, generale Luciano Ramírez Vinatea, che nella sua dichiarazione del 21/6/04, presso il suo ufficio sostiene “… a quell’epoca ci trovavamo sotto un governo autoritario, diretto da Fujimori e Montesinos, e con i comandi delle Forze Armate che da Lima stabilivano ciò che concerneva la lotta contro il terrorismo e il giudizio dei terroristi detenuti; faccio questa affermazione perché a Yanamayo fu creato espressamente ad aprile 1992 per disposizione governativa…”.

A questo si aggiunge la partecipazione diretta, durante il mio trasferimento a Lima, come inizialmente racconto nella documentazione che allego (1), alla minaccia di lanciarmi in pieno volo dall’elicottero (26 aprile 1993). Tutti questi fatti furono messi in risalto dai canali televisivi e il suo ufficio potrà richiedere questa documentazione, se lo riterrà conveniente.

A tutto ciò bisogna aggiungere quanto segnalato dalla Commissione della Verità e Riconciliazione nella sua relazione finale in relazione al regime penitenziario del Carcere di Yanamayo, dichiarato come trattamento inumano e degradante.

 

2.2 Carcere Militare della Base Navale del Callao

La cosa sostanziale della mia iniziale denuncia per tortura sta nei fatti avvenuti a partire dal 26 aprile 193, quando fui trasferito dal Carcere di Yanamayo alla prigione militare della base Navale del Callao, carcere nel quale ho sofferto per anni (periodo Fujimori-Montesinos) e in maniera sistematica, così come viene segnalato dalle  relazioni di torture psicologiche della Croce Rossa Internazionale, che il suo ufficio potrà richiedere al Consiglio Supremo di Giustizia Militare. Secondo le relazioni della Croce Rossa, “detto regime di detenzione in isolamento è inumano e degradante” (Relazione medico-psichiatrica del Comitato Internazionale della Croce Rossa Internazionale – carcere di Massima sicurezza della base Navale del Callao, 21–22 maggio 1996) (3). Nella relazione della Croce Rossa Internazionale dell’anno 2000 (4) viene considerato dettagliatamente il nostro deterioramento psicologico e la nostra de-personalizzazione in conseguenza del trattamento arbitrario e inumano, tanto da raccomandare l’immediato trasferimento a un altro centro di reclusione. Bisogna aggiungere che queste torture sistematiche vennero realizzate per anni esclusivamente nei confronti miei e dei miei compagni dell’MRTA per non avere accettato i ricatti del Sig. Montesinos, che incaricava personalmente (5) l’ammiraglio David Ibárcena Amico, a quel tempo Capo del Servizio di Intellighenzia della Marina Militare del Perù e pertanto il principale operatore diretto, per incarico  del presidente Alberto Fujimori Fujimori e di Vladimiro Montesinos Torres. Per anni ci sottopose  al trattamento degradante del quale fino ad oggi porto le conseguenze, come allegato nei documentari giornalistici che vennero redatti in occasione dell’occupazione dell’ambasciata del Giappone e durante il processo di negoziazione, quando finalmente si poterono conoscere le condizioni di tortura (6) alle quali eravamo sottoposti noi, prigionieri dell’MRTA e, nel mio caso, nella Base Navale del Callao. Come è ovvio, Sig. Procuratore Provinciale, per anni la nostra situazione non è stata presa in considerazione dal regime di Fujimori, in quanto tutti i mezzi di comunicazione erano sotto il suo controllo, e per questo comprendo le difficoltà che il Suo ufficio incontra nell’investigazione relativa alla presente denuncia, anche se man mano che passa il tempo, la verità si va imponendo. Oggi sappiamo che il Sig. Vladimiro Montesinos Torres entrava e usciva dalla Base Navale del Callao come se fosse casa sua e sappiamo che l’Ammiraglio Ibárcena dipendeva direttamente da lui come Capo di Intellighenzia della Marina; di più: fu una persona con legami molto stretti con Vladimiro Montesinos Torres, essendo stato nominato successivamente Comandante Generale della Marina. Per ulteriori conoscenze, alleghiamo documenti giornalistici (7) nei quali si dimostra che l’ammiraglio Ibárcena dal 1992 fino all’ultimo giorno del regime era una persona di sua totale fiducia e non gestiva con Vladimiro Montesinos solamente questioni di sicurezza, come afferma nelle sue dichiarazioni. Nei documentari si rileva il livello di fiducia e obbedienza dell’ammiraglio Ibárcena nei confronti di Vladimiro Montesinos Torres e, pertanto, del presidente  Alberto Fujimori Fujimori, così come del Comandante Roberto Pèrez Prieto, che diresse detto carcere militare fino all’anno 1997, e del Comandante César de los Ríos, che lo diresse fino al 2000. Durante il Governo di Transizione del Dott. Paniagua il regime carcerario divenne più flessibile, grazie soprattutto alle pressioni degli organismi per i diritti umani, principalmente della Croce Rossa Internazionale e, soprattutto, della Defensoría del Pueblo  al Congresso della Repubblica (1999–2000) che alleghiamo (8), nelle cui relazioni si poteva evincere il disprezzo e il rifiuto che la Marina Militare del Perù oppose all’ingresso  del Difensore del Popolo, Jorge Santisteban, nella Base Navale, così come il silenzio di fronte alle petizioni, nonostante che per legge ogni istituzione pubblica abbia l’obbligo di informare il Difensore del Popolo. Ciò avvenne nel 1999, ma negli anni precedenti il regime di isolamento psicologico fu ancora più spietato e il peggio di tutto, come si sa, è che il Consiglio Supremo di Giustizia militare era esente dai controlli costituzionali, per cui tutte le azioni di garanzia, come l’Habeas corpus, venivano rifiutate o non potevano realizzarsi, ragion per cui oggi molti dei quali hanno diretto questo Consiglio Supremo di Giustizia Militare sono in carcere.

Tuttavia, Sig. Procuratore, la verità si va conoscendo poco a poco. Oggi sto assumendo la mia responsabilità politica e giuridica nel processo in corso nella Sala Nazionale Penale. Nel giudizio orale ho sollecitato una perizia psichiatrica di parte (9) e membri dell’Istituto di Medicina Legale del Ministero Pubblico hanno fatto valutazioni che coincidono con quelle degli psichiatri  del Comitato Internazionale della Croce Rossa e allo stesso tempo confermano le sequele delle torture fisiche e psicologiche, per cui sto  sollecitando il mio trasferimento a un carcere per civili al fine di potermi ristabilire.

 

III. FONDAMENTI GIURIDICI

-      Codice Penale, Art. 321

-      Costituzione Politica del Perù, Art. 2

-      Convenzione Americana dei Diritti Umani, Art. 5

 

IV. MEZZI PROBATORI E ALLEGATI

 

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PER QUANTO ESPOSTO,

possa, Signor Procuratore, accettare la presente denuncia e darle corso secondo gli elementi probatori, insieme alle nuove manifestazioni testimoniali che il Suo ufficio accoglierà, poiché costituiscono garanzie minime per determinare l’esistenza di un fatto punibile di lesa umanità e pertanto per giustificare la necessità dell’azione legale davanti al Potere Giudiziario.

 

Lima, 6 dicembre 2004

Víctor Polay Campos

 


LA MARINA RICONOBBE

 

Il 1 febbraio 2001, dopo la caduta della dittatura e in pieno governo di transizione, l’ammiraglio Noriega Lores, presidente del Consiglio Supremo di Giustizia Militare e poi Comandante Generale della Marina, mandò una lettera al Ministro della Giustizia, dottor Diego García-Sayán, in cui segnalava che Peter Cárdenas ed io eravamo reclusi nella Base Navale senza nessuna assistenza legale, essendo stati giudicati da un tribunale civile (senza volto).

 

La cosa curiosa è che questo documento veniva emesso dopo che eravamo reclusi nella Base Navale da più d 8 anni. Bisogna tuttavia riconoscere che “è meglio tardi che mai”.

D’altra parte questa missiva era la migliore prova della nostra detenzione illegale nella Base Navale. Come usano dire gli avvocati: se la parte confessa, non sono necessarie le prove.

 

SEGRETO

 

CONSIGLIO SUPREMO DI GIUSTIZIA MILITARE

PRESIDENZA

 

Ufficio:                             N.-035 P-CSJM

Lima 1 febbraio 2001

 

Signor                              Diego GARCIA SAYAN

Ministro nell’Ufficio di Giustizia

 

Oggetto: Situazione penitenziaria di dirigenti terroristi nel Centro di Reclusione di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao.

 

Ho il piacere di rivolgermi a Lei, Signor Ministro della Giustizia, in relazione alla situazione penitenziaria dei delinquenti terroristi sentenziati che scontano la loro condanna  nel centro di Reclusione Militare di Massima Sicurezza della Base Navale del Callao, per metterla al corrente di quanto segue:

1. Nel citato Centro di Reclusione Militare stanno attualmente scontando la loro pena: Abimael Guzmán Reynoso, Elena Iparraguirre Revoredo, Miguel Rincón Rincón, Oscar Ramírez Durán, Víctor Polay Campos e Peter Cárdenas Schulte. I primi quattro terroristi menzionati sono stati giudicati dal Foro Privato Militare e stanno scontando la loro pena nel centro di reclusione Militare della Base Navale del Callao, per il solo motivo che così viene segnalato nella loro sentenza, mentre gli ultimi due, cioè gli interni Polay Campos e Cárdenas Sculte, sono stati condannati per il delitto di terrorismo nel Foro Comune e non esiste assolutamente nessuna base legale perché si trovino in detto Centro di Reclusione Militare.



[*] Vladivideo: filmati che documentano le azioni di corruzione realizzate da Vladimiro Montesinos

[†] Nell’ottobre 1997 la situazione continuò ad essere uguale.

[‡] Si veda la Relazione Annuale del comitato corrispondente a 1996 (A/51/40) paragrafi 350 e 363

[§] Si veda il Doc. Ccpr/c/79/add.72 (18 novembre 1996) paragrafo 11.

 

[**] PNP: Polizia Nazionale del Perù

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