Continuismo uribista nel processo contro Joaquín Pérez Becerra

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Joaquin Perez Becerra

Continuismo uribista nel proceso contro Joaquín Pérez Becerra

“Vorrei sottolineare che é stato veramente unico il contributo che la nostra cultura ha ricevuto, risultato del fatto che siete stati obbligati  a fuggire dalle vostre patrie e venire qui […] così che non e dovuto ai  nostri meriti personali, ma siamo  noi quelli che abbiamo ottenuto del  beneficio dalla situazione, arricchendo la nostra cultura. E questo è veramente importante per un paese piccolo come la Svezia.”[1] (Olof Palme)

 

di Annalisa Melandriwww.annalisamelandri.it

Il giornalista e cofondatore dell’Agenzia di Notizie Nuova Colombia (Anncol), Joaquín Pérez Becerra, 55 anni, cittadino svedese di origine colombiana[2],  venne arrestato all’aeroporto Maiquetía di Caracas, appena sceso da un volo proveniente dall’Europa, il 23 aprile del 2011. Pochi giorni dopo fu deportato in Colombia, a Bogotá, dove attualmente si trova detenuto nel carcere de La Picota, in un reparto di massima sicurezza,  insieme  a narcotrafficanti e paramilitari (e quindi in una situazione estremamente pericolosa per la sua incolumità)  in attesa del processo che inizierà il 16 di questo mese.

Joaquín viveva  da oltre venti anni in Svezia  dove godeva dello status di rifugiato politico, dopo  essere stato  costretto   a fuggire dalla Colombia   per non diventare un numero  in più  degli oltre 4000 morti del “genocidio politico” del partito Unión Patriótica, conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo. Il partito fu “sterminato, fino all’estinzione totale, un morto ogni 19 ore per sette anni”, dai paramilitari e dall’esercito,  come ricorda lo scrittore e giornalista Guido Piccoli nel suo libro Colombia il paese dell’eccesso[3]. Tra quei morti, anche la prima moglie di Joaquìn.

L’arresto  di Becerra da parte delle autorità venezuelane all’aeroporto di Caracas avvenne  in base ad un “presunto” mandato di cattura dell’Interpol  richiesto dalla Colombia. Tuttavia apparve immediatamente chiaro che “il codice rosso” dell’Interpol era stato emesso  mentre Joaquín  si trovava in volo dall’Europa verso il Venezuela.   (altro…)


Lettera all’Ambasciata svedese a Roma sul caso Joaquín Pérez Becerra

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Il 16 aprile prossimo inizierà formalmente a Bogotá il processo farsa contro il giornalista Joaquín Pérez Becerra, direttore di Anncol. Ho creduto doveroso scrivere una lettera, che le arriverà’  anche via posta ordinaria, all’Ambasciatrice svedese in Italia, Sig.ra Ruth Jacoby. Joaquín e’ cittadino svedese dal 2000 eh ha diritto a  tutto l’ appoggio del suo governo. Chiunque voglia (spero che siate in tanti) puo’ copiare il seguente testo e inviarlo all’ambasciata aggiungendo la sua firma, o scrivendone uno nuovo, se desidera. Questo il fax 06/441941 e questa la  mail: ambassadendotromatforeigndotministrydotse

 

 

Egregia Ambasciatrice Sig.ra Ruth Jacoby,

presso Ambasciata di Svezia in Italia

 

Roma, 10 aprile 2012

 

Oggetto: Detenzione e processo in Colombia al cittadino svedese Joaquín Pérez Becerra

 

Da quasi  un  anno, Joaquín Pérez Becerra, giornalista di origine colombiana e cittadino svedese dal 2000, direttore dell’Agenzia di Notizie per la Nuova Colombia (Anncol), si trova in carcere in Colombia, accusato ingiustamente di terrorismo per presunti  vincoli   con la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).

Il suo arresto all’aereoporto di Caracas,  in base ad un “codice rosso” dell’Interpol creato ad hoc su richiesta del governo colombiano mentre era in volo, e la successiva deportazione  55 ore dopo  in Colombia,  sono avvenuti in totale spregio di ogni convenzione internazionale sulla difesa dei rifugiati politici e  in  violazione della Costituzione venezuelana. In particolare non si è rispettata la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 (e il  suo protocollo del 1967) sullo statuto dei Rifugiati, nella quale oltre a descrivere la figura del “rifugiato” (“chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato” (Art. 1) dichiara che “nessuno stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche” (art. 33).

Joaquín Pérez Becerra, cosa della quale sicuramente le autorità del  Suo paese sono a  conoscenza,  era stato costretto a chiedere asilo politico alla Svezia nel 1993 per non diventare uno degli oltre 4000 assassinati dai paramilitari e membri dell’esercito nell’ambito del genocidio politico del partito Unión Patriotíca nel quale militava. Abbandonò il paese dopo il sequestro e l’omicidio della sua prima moglie.

La Svezia,  si è sempre distinta tra i paesi europei nei decenni passati per la sua ospitalità e per la difesa dei  diritti politici e civili di tutti i cittadini  che cercavano rifugio dalle dittature e dai regimi violenti che imperavano in quegli anni in America latina. La situazione della  Colombia, purtroppo, non é molto diversa da allora,  pur essendo (sic), oggi come ieri, a tutti gli effetti, una  “democrazia”. Non sto qui ad elencare le ultime, in ordine di tempo,vicende  colombiane che non fanno ben sperare per la democrazia in quel lontano paese. La scoperta della fossa comune più grande dell’America latina, lo scandalo dei “falsi positivi”, i forni crematori dei paramilitari delle AUC, sono storia recente uscita alle cronache di tutti i mezzi di informazione internazionali.

Joaquín Pérez Becerra oggi, sta rischiando la sua vita giorno dopo giorno, ancora una volta,  nel carcere La Picota di Bogotá tra narcotrafficanti e paramilitari, senza nessuna misura di protezione. (altro…)


Anncol: nel 2012 continueremo a lottare per la soluzione politica

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Il 2012 sarà un anno chiave per la resistenza del popolo colombiano contro l’oligarchia cipaya* e il suo regime narcoparamilitare. Non possiamo resistere tutta la vita, anche se resistere è già un modo di vincere, dobbiamo ora passare all’offensiva.

Il capitalismo vive oggi una delle sue crisi più dure, quindi o adesso o mai più. La decadenza morale ed etica del regime colombiano ha raggiunto limiti insostenibili per un popolo dignitoso come quello colombiano.

Il futuro della Colombia non può essere una guerra infinita, la lotta per la pace con giustizia sociale è un compito di tutti e tutte e questa non si raggiunge con la resa del popolo in armi. Un processo serio di pace passa per la riconsiderazione dell’agenda del Caguan, aggiornandola e adattandola alle nuove sfide che affronta oggi il popolo colombiano.  (altro…)


Anncol: en 2012 seguiremos luchando por la salida política

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Anncol

En 2012 seguiremos luchando por la salida política

El 2012 será un año clave para la resistencia del pueblo colombiano contra la oligarquía cipaya y su régimen narcoparamilitar. No podemos resistir toda la vida, aunque resistir es ya una manera de vencer, debemos pasar a la ofensiva.

 

El capitalismo vive hoy una de sus crisis más profundas, es ahora o nunca. La decadencia moral y ética del régimen colombiano ha alcanzado límites insoportables para un pueblo digno, como el colombiano. (altro…)


La censura di Stato di TeleSUR sul caso Joaquín Pérez Becerra

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E’  stato allegramente pubblicato un articolo veramente  infamante da parte della redazione di TeleSUR sul caso  del direttore dell’ agenzia ANNCOL, arrestato  in Venezuela ed estradato in Colombia: o a TeleSUR  hanno la memoria corta,  oppure le direttive di governo sono più  forti della necessaria solidarietà  a un giornalista da sempre coerente con gli stessi  ideali bolivariani di questa catena televisiva nata sei anni fa come mezzo di informazione rivoluzionario e come “progetto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.

Sembra che qualcosa sia andato perduto di quei  valori originari nei pochi anni che sono trascorsi da quel 24 luglio 2005, quando nel 222° anniversario della nascita di Simón Bolívar, l’antenna televisiva iniziava a trasmettere il suo primo blocco informativo.

L’articolo al quale mi riferisco porta il titolo “Su Joaquín Pérez Becerra” ed è scritto da  tal Iván Maíza (che né so chi è e nemmeno voglio saperlo) ed è il primo (e l’unico di opinione) che  si trova su Google cercando TeleSUR+Joaquín Becerra. Le altre notizie pubblicate da TeleSUR sull’arresto all’aeroporto di Caracas e la successiva deportazione in Colombia del giornalista svedese sono di cronaca nuda e cruda.

Evidentemente la redazione di TeleSUR non ricorda più la solidarietà che molti militanti e “giornalisti terroristi” come ora chi chiamano,   manifestammo  quando nel mese di novembre del 2006,  in Colombia il DAS arrestò il suo   corrispondente  Fredy Muñoz, accusandolo di essere membro delle FARC.

L’allora direttore dell’antenna televisiva, Andrés Izarra,  attuale ministro della Comunicazione e Informazione, in quella circostanza dichiarò molto preoccupato: “la vita di Muñoz è in pericolo”. Aveva ragione. La Colombia non è un paese sicuro per i giornalisti che denunciano l’imperante terrorismo di Stato promosso dal suo governo e apparati di sicurezza.

La Colombia però, e questo la redazione di TeleSUR dovrebbe saperlo molto bene, non è un paese sicuro nemmeno per Joaquín Pérez Becera, a maggior ragione non lo è per lui,  nato là, ex consigliere comunale del partito Unión Patriotíca, che a seguito delle  minacce ricevute,    circa 20 anni fa dovette abbandonare il  paese per non diventare  un numero in più degli oltre 4000 militanti di quel movimento politico  assassinati in pochi anni dai paramilitari e dall’ esercito  colombiano. In quel genocidio politico conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo (Danza Rossa) sequestrarono e uccisero anche la sua prima moglie.

Joaquín quindi cercò  rifugio in Svezia e in questo paese europeo ottenne asilo politico e cittadinanza.

Nonostante questa storia, le autorità del Venezuela lo hanno arrestato, deportato e consegnato nelle mani del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro della difesa del governo Uribe) senza battere ciglio, dopo la telefonata ricevuta da Chávez con la quale il suo omologo colombiano gli chiedeva il favore.

TeleSUR quindi oltre a non preoccuparsi della sicurezza di Joaquín Pérez Becera,  pubblica anche articoli offensivi e denigranti  su di lui.

Conoscendo il percorso umano e politico del giornalista svedese, che abbiamo appena raccontato, leggere le infamanti domande (non dimentichiamolo! pubblicate come opinione sulla pagina di TeleSUR e non su qualsiasi piccolo blog) che pone  il tal Maíza,  autore dell’articolo, non possiamo non riflettere sul nuovo corso intrapreso dalla Rivoluzione Bolivariana: “Chi ha fatto salire in questo momento Joaquín sull’aereo­? Chi lo ha venduto per mettere la Rivoluzione Bolivariana a rischio di perdere il suo ordine strategico?… ci sono settori nella sinistra rivoluzionaria che ricevono ordini dal DAS?”

Questo si può leggere nella pagina di una catena televisiva che pretende di essere alternativa oltre che rivoluzionaria, che vuole dare la voce ai senza voce… Che pretende di rappresentare  un governo rivoluzionario, bolivariano…

Ma non basta. La cosa peggiore è che l’ex presidente di TeleSUR,  Andrés Izarra,  dal suo terzo incarico come ministro della Comunicazione e dell’Informazione, fa del sabotaggio perfino sulla copertura informativa rispetto alle giuste proteste che il governo sta ricevendo in questi giorni per la deportazione di Joaquín Becerra.

Ieri a Caracas, di fronte al ministero degli Esteri, dove centinaia di rappresentanti dei movimenti sociali e organizzazioni politiche si erano riuniti per chiedere al governo spiegazioni su quanto accaduto, oltre al fatto che i giornalisti di TeleSUR non erano presenti (ricevono precise disposizioni dal ministero della Comunicazione, MINCI) non lo erano nemmeno quelli dei maggiori mezzi di informazione del paese. I pochi alternativi che hanno coperto le proteste come l’Agencia Bolivariana de Prensa (sarà una casualità ma la pagina ABP oggi non funziona), Radio  del Sur, Avila TV,  Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV,  lo hanno fatto  “contravvenendo l’orientamento generale dato dal  ministero della Comunicazione”.

Fonti  venezuelane presenti hanno commentato che lo stesso Izarra stava realizzando varie chiamate telefoniche  minacciando e insultando i giornalisti per la copertura che stavano dando alla mobilitazione.

Tornano allora alla mente le dichiarazioni che faceva in una intervista due anni fa Aram Aharonian, importante giornalista uruguayano, uno dei fondatori ed ex direttore di TeleSUR, allontanatosi dalla televisione per “differenze politiche ed anche etiche” : “TeleSUR è occupata da inetti, controrivoluzionari nel più ampio senso della parola: gente che recita  slogan per sembrare rivoluzionaria  ma che non ha la minima idea di cosa voglia dire”. Le sue accuse, che allora apparivano  gravi e pesanti, erano rivolte a Izarra. Ora sono invece confermate sicuramente dai fatti.

Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it

 

Certo bisogna farne di strada/da una ginnastica d’obbedienza

fino ad un gesto molto più umano/che ti dia il senso della violenza

però bisogna farne altrettanta /per diventare così coglioni

da non riuscire più a capire/che non ci sono poteri buoni.

(Fabrizio De Andrè)

 

 


Lettera aperta a Hugo Chávez Frías, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela

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Confirmada la ciudadanía sueca di Joaquín Becerra

 

Presidente Chávez,  speriamo che il suo governo abbandoni queste pratiche così poco degne per la rivoluzione bolivariana che tanto difendiamo e che con orgoglio vogliamo continuare a difendere a testa alta,

27 aprile 2011

Lettera aperta al presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela,  Hugo Chávez Frías:

Signor Presidente,

Il 23 aprile scorso è stato arrestato all’aeroporto venezuelano di Maiquetía (Caracas) il cittadino svedese di origine colombiana, Joaquín PÉREZ BECERRA. Il comunicato ufficiale del governo da Lei presieduto afferma   che questo giornalista,  direttore dell’agenzia di notizie ANNCOL era «ricercato dalla giustizia colombiana, con una circolare rossa Interpol  per  i delitti  di associazione a delinquere, finanziamento del terrorismo e amministrazione di fondi relativi ad attività terroriste.» Per cui si procedeva alla sua estradizione in Colombia.

All’improvviso,  due giorni dopo, il 25 aprile, il presidente della Colombia ed ex ministro della Difesa, Juan Manuel Santos, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano El Tiempo di Bogotà, ha dichiarato quello che sembra essere la verità: «Sabato ho chiamato il presidente Chàvez e gli ho detto che un personaggio per noi molto importante  appartenente alle FARC sarebbe arrivato in un volo della Lufthansa quel pomeriggio a Caracas e se lo poteva arrestare. Chávez non ha avuto esitazioni. Lo ha fatto arrestare e ce lo consegnerà.» (altro…)


Campagna di solidarietà con Joaquín Pérez Becerra

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Facciamo appello a tutti i Partiti rivoluzionari, organizzazioni popolari, giornalisti alternativi, attivisti dei diritti umani, internazionalisti e specialmente al popolo bolivariano del Venezuela perché non venga espulso in Colombia il giornalista  Joaquín Pérez. Esprimiamo alle autorità venezuelane la condanna per  l’arresto del giornalista,  che mette in pericolo la sua vita e la sua sicurezza.

E’ importante che vengano inviate quante più mail possibile ai contatti ufficiali nelle pagine web del Governo venezuelano chiedendo espressamente che Joaquín Pérez Becerrra non venga espulso o estradato in Colombia.

Queste le pagine:

Governo del Venezuela:  http://www.gobiernoenlinea.ve

Ministero del Potere Popolare per le relazioni interne e la Giustizia:  http://www.gobiernoenlinea.ve

Ministero del Potere Popolare per le relazioni esterne:   http://www.mppre.gob.ve//

Ministero del Potere Popolare per la Comunicazione e l’Informazione:  http://www.mppre.gob.ve//

E poi anche ai profili twitter  @chavezcandanga, @vencancilleria, @mincioficial e altri associati al Governo e si possono lasciare commenti al blog di Chávez: http://www.chavez.org.ve

La mail dell’ambasciata italiana a Roma è embaveitatambavenedotit  (embaveitatambavenedotit)   scrivere direttamente all’ambasciatore Luis Berroterán Acosta

Vi invitiamo inoltre ad aderire alla campagna di solidarietà con  Joaquín Pérez Becerra inviando le adesioni a: libertadjoaquinperezathotmaildotcom  (libertadjoaquinperezathotmaildotcom)