La rinuncia del papa, l’ “estro” di Cossiga e i rimpianti di Gabriele Polo.

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Uff…meno male che l’ ”iniziativa censoria” ha avuto effetto… siamo scampati da una bella “lectio magistralis”  dell’ “ambasciatore di pace”  sull’ “omicidio perfetto”.
Perchè tanto di quello si sarebbe parlato, da una condanna a morte per impiccagione o per iniezione letale a un aborto, il passo di Ratzinger sarebbe stato brevissimo.…
Anzi forse  siamo scampati da qualcosa di più.
Paragonando  quest’episodio con quanto accaduto all’Università La Sapienza nel lontano 1977, oggi pomeriggio  Francesco Cossiga  alla trasmissione Radiocity in onda su Radio1, ha detto di aver avuto in quell’occasione, (cito più o meno testualmente)  “l’estro di sfondare i cancelli dell’Università per riprenderne il controllo con i mezzi blindati”. Strano perchè ha detto anche recentemente  che non fu una buona idea.
Chissà ad Amato che “estro” sarebbe venuto giovedì prossimo.
Gabriele Polo, direttore del Manifesto  rimpiange la Democrazia Cristiana, perchè dice, “almeno funzionava come elemento di mediazione”.
Ma non ci sta già pensando il PD?

Piccola considerazione personale: criticare quanto sta avvenendo come un episodio di intolleranza gravissimo e come un attentato alla libertà d’espressione mi sembra soltanto  un modo eccellente per far finta che il dibattito che  sta avendo in Italia sull’ingerenza del Vaticano nella politica del nostro paese semplicemente non esista. La protesta alla visita del papa credo che sia solo una conseguenza di un pontificato, che diciamocela tutta, è pesante da digerire.


Il Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia di Corleone non sarà sfrattato dal sindaco Iannazzo.

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La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione.
Giovanni Falcone
 
 
Tempo fa scrissi questo articolo raccontando che il  Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia (C.I.D.M.A)  di Corleone stava per essere sfrattato dai locali di cui usufruiva con un contratto di comodato d’uso gratuito, niente di meno che dallo stesso sindaco del paese  Antonio Iannazzo, e soprattutto denunciando il poco spazio (appena un trafiletto)  che il fatto  aveva occupato su la Repubblica,  mentre poco più di metà della  pagina era dedicata alla notizia   del sesso sfrenato che i giocatori di una squadra di serie A elvetica avevano fatto con una quindicenne e l’altra metà alla pubblicità della WIND.
Nel mese di settembre dello scorso anno, l’amministrazione comunale (di centro destra) di Corleone,  appellandosi all’articolo 12 dell’ordinamento comunale (secondo cui “se… durante il termine convenuto sopravviene un urgente ed imprevisto bisogno al comodante, questi può esigere la restituzione immediata…”) con la delibera n. 237 del 17.09.97  firmata dallo stesso Iannazzo, intimava lo sfratto al Centro, dando come ultimatum il 4.10.2007.
Il Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia fu inaugurato nel 2000 dall’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi e finanziato con i fondi messi a disposizione dalla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale. Sono conservati in esso i faldoni del maxi processo a Cosa Nostra istruito nel  1986 da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Oggi, a conferma e come aggiornamento sui fatti,  ricevo  dal  Presidente del Centro, D.ssa Paola Miata e pubblico volentieri quanto segue:
“In data 25/09/07 il sindaco Nino Iannazzo con l’Amministrazione 
Comunale ha deliberato la revoca del contratto di comodato del 
15/06/2006 con cui il Comune
aveva concesso al C.I.D.M.A in comodato d’uso gratuito , per la durata
di 9 anni, i locali di San Ludovico.Con la delibera il Sindaco
chiede, entro il termine perentorio di 7 giorni la restituzione dei
locali assegnati.
Il C.I.D.M.A tramite un suo legale, ha impugnato la delibera e ha 
fatto ricorso al TAR di Palermo che ha lo ha dichiarato inammissibile 
poichè,
secondo la sentenza citata, il Comune non ha alcun potere di
esercitare in via amministrativa il preteso recesso dal comodato e
quindi di richiedere il rilascio.”
Se la notizia che il TAR ha accolto il ricorso del C.I.D.M.A  non può che rallegrarci, rimane lo sconcerto sull’ambiguità del Sindaco Iannazzo ‚che se da una parte salva la faccia presentandosi ai concerti antimafia sottobraccio all’Associazione Libera, dichiarando che “questo è un modo più produttivo per coinvolgere i ragazzi e farli ragionare sul problema della mafia”,  nei fatti  lui trova invece altri modi altrettanto produttivi per ammiccare a quella stessa mafia che dice di voler combattere.
“La mafia non è un cancro proliferato per caso.…”
 
 
 
 
 


Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone.…

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Nella “civilissima” Treviso, musulmani costretti a pregare in un parcheggio dopo  che l’amministrazione leghista ha proibito loro di riunirsi nel centro sportivo messo a disposizione, gratuitamente, da un imprenditore locale.
Erano stati sfrattati alcuni giorni prima anche da un oratorio messo a disposizione affinchè potessero pregare.
 

Antonio Iannazzo, sindaco di Corleone, sfratta il Centro internazionale di documentazione sulla mafia. Ma che logica ha l’impaginazione della notizia per la Repubblica?

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Lo so, la qualità dell’immagine non è delle migliori, non sono una maga con lo scanner, ma non è quella la cosa importante, sono le proporzioni invece che contano e che fanno la differenza.
Anzi le sproporzioni.
La notizia piccola in alto a sinistra  è questa:
PALERMO:
“Al comune di Corleone servono i locali e per questo motivo, con una delibera, sfratta dal complesso monumentale San Ludovico il Centro internazionale di documentazione sulla mafia inaugurato il 12 dicembre 2000 dall’allora capo dello Stato Ciampi. Nel Centro vi sono anche conservati i faldoni dei maxiprocessi a Cosa Nostra. Alla decisione della giunta di centro-destra guidata dal sindaco Antonio Iannazzo, assunta il 17 settembre scorso, si è opposto lo stesso Centro che ha fatto ricorso al tar e nell’attesa della sentenza ha bloccato il trasloco. Il restauro del complesso era stato finanziato con i fondi stanziati in occasione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale svoltasi nel 2000”
Ben più leggibile, visto lo spazio che le è stato concesso,  è la notizia quella dello “Scandalo nella serie A elvetica…” piccantissima…12 giocatori fanno sesso con una 15enne…terribile in verità ma pur sempre una notizia di cronaca estera.
Entrambe si trovano a pagina 29 della Repubblica del 14 novembre scorso.
E pensare che facciamo tanto di commemorazioni ufficiali per i nostri morti ammazzati dalla mafia…con tanto di discorsi…proprio in questo momento sta andando in onda su MTV un’interessante trasmissione, “La memoria ha un costo”…
Che costo ha l’impaginazione di un quotidiano?
Che costo ha la logica di mercato per la quale una notizia di abusi sessuali commessi in un altro paese merita mezza pagina e la notizia che una giunta comunale, quella di Corleone, non una qualsiasi,  si piega alla mafia?
Ah..dimenticavo l’altra mezza pagina era occupata dalla pubblicità della WIND…
 

Falce e martello, addio…

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“La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi” scrivevano   Marx ed Engels nel 1848.
Ed emblematicamente oggi, la lotta di classe è rappresentata dall’estintore della Thyssenkrupp: troppo pieno per i padroni, troppo vuoto per gli operai.
Nel 1977 una nota scoperta da Felice Casson in uno stabilimento della Montedison impartiva questa direttiva in materia di sicurezza: “spendere solo quando è assolutamente e comprovatamente indispensabile…negli altri casi bisogna correre dei ragionevoli rischi”.
Se questo è l’imperativo che muove la logica padronale, quale potrebbe essere allora quello che ha mosso la logica sindacale che ha permesso agli operai dell’acciaieria di lavorare e di morire a Torino, non “in un angolo dell’Africa” come ha detto Pietro Ingrao, in  condizioni di sicurezza inaccettabili?
Sembrerebbe casuale ma allora non lo è, che mentre a Roma spariscono dal simbolismo politico italiano la falce e il martello, a Torino il fuoco vivo  del progresso, del riformismo, del laisser-faire, ha carbonizzato quattro operai.
Sembrerebbe casuale ma non lo è, allora anche quello sbiadire del rosso “comunista” che si è trasformato in un brutto arancione sulla prima pagina di uno storico quotidiano; sembrerebbe casuale ma non lo è che la storia della sinistra si sia ridotta a un ridicolo album di figurine.
E allora servirà una nuova figurina, quella con la falce e il martello e la didascalia a ricordare ai posteri che prima ancora di significare “comunismo” , la falce e il martello  significavano  movimento operaio e movimento contadino.
Ma la falce e il martello da tempo hanno  perso il loro potere di generare fermento sociale e rivendicazione operaia e “comunismo” è  diventata ormai una parola scomoda e un po’ fuori moda.
Basta guardare la mancanza di slancio, di rabbia con la quale si sta vivendo la tragedia di Torino, la farsa delle collette ai familiari, il lutto cittadino, basta leggere quel tragico : “si accetta di tutto per la paura di restare senza un posto di lavoro” sulle pagine dei giornali,   per rendersi conto che il movimento operaio in Italia è morto. Parlo di quel movimento capace di pretendere sicurezza e dignità sul lavoro, che ci avevano insegnato non molto tempo fa non essere più solo merce; quel movimento partecipe nei sindacati, capace di guidarne lotte e rivendicazioni, piuttosto che accettare compromessi e patteggiamenti.
Se così è, allora che spariscano davvero la falce e il martello e tutti di nuovo in fabbrica domani.
 
 

Pasolini, 32 anni dopo…ancora vogliono ucciderlo…

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Luciano Perugini di AN, consigliere comunale di Soriano del Cimino (VT)  è  contrario alla proposta di intitolare un parco pubblico a Pier Paolo Pasolini perchè “era ricchione” …
Nella frazione di Chia, dove comunque, nonostante l’omofobia del consigliere Perugini (al quale  la carica dovrebbe essere revocata) il parco si farà, Pasolini ha girato “Il vangelo secondo Matteo”, uno dei suoi capolavori ed ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

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Vignetta di Mauro Biani


Morto bruciato in baracca? Allora ti regolarizzo.…(suggerisce Cofferati)

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Passa per la tragedia e la morte secondo Cofferati, sindaco di Bologna, l’accettazione, l’integrazione e la legalità di una famiglia di romeni, in cui un bambino di quattro anni ha perso la vita nell’incendio della baracca nella quale viveva.
E così ora Cristinel Draghici, manovale in nero, dovrà paradossalmente essere grato alla morte del suo bambino, Florin 4 anni, perchè con questa si è guadagnato “l’ingresso in società”.
I Draghici  “sono brave persone” come dicono i vicini, i bambini andavano tutti a scuola, non vivevano in un campo rom ma in un terreno privato del quale pagavano anche l’affitto, avevano provato ad integrarsi nel vicino quartiere contattando anche gli assistenti sociali della zona, purtroppo il freddo è arrivato prima.
Da un  groviglio di fili e cavi  allacciati abusivamente alla rete elettrica, che alimentavano stufette e termosifoni per riscaldare la piccola baracca con il tetto in lamiera è partito il cortocircuito che l’ha bruciata, e con essa il piccolo Florin.
Cofferati “spera che l’imprenditore del cantiere dove lavorava il padre del bimbo morto decida di regolarizzare la sua posizione”. Amen.
E’ lecito vivere in una baracca ed è lecito lavorare in nero. Cristinel ha pagato la sua colpa di essere immigrato romeno ed è stato  assolto dal volto umano della società italiana.
 
 
 

Ma lo sa Berlusconi che il popolo non beve champagne?

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Non mi va  giù.
Non digerisco che nel nome di un partito, quello lanciato in Piazza San Babila a Milano da Silvio Berlusconi  e compagnia bella, compaia la parola “popolo”.
A Piazza San Babila, nel cuore della Milano bene, il partito del popolo.…
Spero che alla fine lo chiamino Partito della Libertà come era nelle intenzioni originarie del Cavaliere, libertà è una parola che si addice di più al nano di Arcore, in fondo si è preso e ha goduto di molte, moltissime libertà, da quella di farsi le leggi a proprio uso e consumo a quella di ammiccare (e non solo) alla mafia, passando per tantissime altre, tutte costruite, inventate, personalizzate  ad hoc per lui, che “crede di essere il re” come dice,  adesso che l’idillio è finito, Gianfranco Fini.
Nei gazebo del nuovo partito,  scorre champagne a fiumi…
Ma lo sa Berlusconi che il popolo non beve champagne? e non siamo nemmeno a Natale in fin dei conti, il popolo si accontenta di un volgare spumante da supermercato, e la Brambilla lo sa questo?
Che hanno di “popolano” Berlusconi e la Brambilla? Che c’entra il “popolo” con loro?
Francesco Merlo, su La Repubblica di martedì 20 novembre, non sapendo come definire il popolo, pensa di far meglio a elencare ciò che il popolo non è:
“non è la classe di Marx, non è la moltitudine della nuova mistica rivoluzionaria alla Toni Negri, non è la folla solitaria di Ortega, non è la gente di Sergio Endrigo, non è la curva degli ultrà, non è il pubblico della democrazia americana, non è l’audience della televisione, non è il mercato dei consumatori, non è la comunità spontanea, non è la società weberiana, non è l’insieme degli eletti e nemmeno degli elettori, non è un paese in guerra, non è il terzo stato, non è la plebe, non è nemmeno il protagonista delle canzoni rivoluzionarie –“avanti popolo alla riscossa” o “el pueblo unido jamás será vencido” – che sono ritornelli tanto nostalgici quanto ridicoli, da cantare come si canta “ciuri ciuri”. (Sic! sic!).
Il popolo probabilmente non è più niente, non esiste più, la “parola ha smesso di significare”, ma di certo, non è nemmeno, e  valeva la pena aggiungerlo, chi sorseggia champagne ai gazebo, tra palloncini celesti e berluscones in tiro, tra i fedelissimi  di sempre, i massoni tesserati che seguono il “capo” nei suoi — populisti ?- deliri di protagonismo.  

Muere Enzo Biagi nuestro periodista incómodo

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Enzo Biagi


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