I detenuti italiani a Santo Domingo scrivono al Ministro Frattini

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Non mi succede tutti i giorni di potermi  dirigere  ad un ministro, però non ho avuto (non abbiamo avuto) miglior opzione…

Noi tre siamo pieni di fiducia in Lei, però siamo anche disposti a far sentire la nostra voce in tutte le istanze italiane ed internazionali. Io personalmente non ho nessuno che pianga per me però ho una forza interiore che nessun funzionario può abbattere .

Signore abbiamo fretta, fame di equità, di attenzioni…

(La lettera é firmata da Ambrogio Semeghini, Luciano Vulcano e M.N.)

parte1

parte2

parte3


A una settimana dalla Conferenza Mondiale delle Donne: comunicato del Coordinamento italiano

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Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna.

Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione.

Da circa due anni è stato lanciato a livello internazionale l’appello per la costruzione della Conferenza Mondiale delle Donne di Base, che si terrà a Caracas dal 4 all’ 8 marzo 2011, nel centenario della Prima Giornata Internazionale della Donna. In ogni paese del mondo gruppi più o meno numerosi,  collettivi, associazioni di donne e sindacati stanno lavorando per renderla un’ esperienza collettiva di confronto e riflessione, un contributo alla libertà delle donne di tutto il mondo.

In Italia fin dal primo momento,  varie realtà,  associazioni di donne e singole compagne  hanno aderito all’appello,  dando vita a un eterogeneo Coordinamento Italiano per la Conferenza Mondiale delle Donne della Base.

Si sono svolte  iniziative per promuovere la Conferenza e per la raccolta di fondi  in varie città: da Milano a Imperia, da Napoli a Roma  a Torino. Infine abbiamo aderito e partecipato a diverse mobilitazioni tra cui il Social Forum Europeo di Istanbul, la manifestazione del 16 ottobre 2010 indetta dalla FIOM e la grande mobilitazione del 13 febbraio “Se non ora quando?” che ha visto oltre un milione di donne, ma anche uomini, scendere in piazza contro la mercificazione del corpo femminile e per la cacciata di Berlusconi.

Attraverso questo percorso abbiamo ottenuto un primo, importante risultato: l’unità d’azione di vari organismi femminili, ed oggi, a una settimana circa dalla data di inizio della Conferenza Mondiale delle Donne possiamo constatare che il lavoro svolto dal Coordinamento italiano  è stato prezioso e capillare:  si è esteso e raccoglie il contributo di organizzazioni e singole donne con diverse esperienze e sensibilità: partecipano ai lavori oltre alle compagne del  Partito dei Carc, ilComitato Donne Estella di Milano, le compagne di Lucha y Siesta (donne migranti e italiane che hanno occupato un edificio a Roma), il collettivo delle compagne dell’Askatasuna di Torino, le mamme antifasciste del Leoncavallo Spa, le compagne del CSOA Forte Prenestino, le compagne del Sindacato Lavoratori in Lotta, comitati di lavoratrici nati con l’obiettivo di promuovere la Conferenza,  la Casa Internazionale delle Donne di Roma, le compagne del collettivo Natura Avventura edizioni, alcune compagne dell’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, l’associazione delle donne filippine di Milano Samakami, alcune partigiane (Norina Brambilla e Miriam Pellegrini Ferri), l’associazione di Torino Me-Dea, il Circolo Bolivariano José Carlos Mariategui di Napoli, il Circolo Bolivariano Antonio Gramsci - Caracas  e altre singole compagne ognuna con il suo percorso tra cui Barbara Spinelli dei Giuristi Democratici e coordinatrice del sitohttp://femminicidio.blogspot.com/Annalisa Melandri attivista per i Diritti Umani che gestisce il sito www.annalisamelandri.it.

La redazione della rivista AlbainFormazione inoltre dal primo numero ha dato ampio spazio alla divulgazione dei lavori del Coordinamento italiano, contribuendo con il ricavato della vendita di alcuni numeri della stessa  al finanziamento del viaggio a Caracas.

L’obiettivo comune era quello di  creare e consolidare un coordinamento che attraverso il lavoro di preparazione della Conferenza raccogliesse  gli organismi popolari e operai, le varie associazioni, le battaglie quotidiane di singole donne impegnate nel sociale,  in cui tutte potessero ritrovarsi, confrontarsi  e organizzarsi. Un coordinamento in cui  le sindacaliste più combattive, le intellettuali, le progressiste, le sincere democratiche  che oggi lottano per non pagare la crisi dei padroni ma anche per conquistare spazi sempre più grandi di autonomia e indipendenza  potessero porre  le basi per mettere  all’ordine del giorno anche la lotta per la costruzione di un mondo migliore, possibile e necessario, in cui  ogni donna  sia valorizzata per il contributo che può dare alla collettività, sia messa nella condizione di poter svolgere un lavoro e una vita dignitosa, libera da tutte quelle incombenze e discriminazioni che questo sistema scarica sulla loro pelle (dal lavoro domestico alla cura dei bambini e degli anziani, dalle discriminazioni salariali alla negazione di una maternità sicura e consapevole).

Il dibattito e lo scambio di esperienze tra gli organismi aderenti al Coordinamento ha portato a elaborare i contributi che vogliamo portare alla Conferenza Mondiale in Venezuela:

- condivisione di esperienze di lotta in ambito ambientale, politico ed economico in cui le donne hanno un ruolo determinante

- la lotta al Vaticano, il centro promotore della cultura che vuole le donne sottomesse, sforna-figli e relegate alla vita domestica e centro della mobilitazione reazionaria (ogni governo borghese senza il sostegno del Vaticano non può niente).

Ai forum della Conferenza intendiamo dunque presentare un video sulla lotta No TAV, una video-intervista a Margherita Hack, una alle donne di Terzigno, far conoscere la lotta delle precarie BROS di Napoli e, infine, intendiamo presentare un libro della CGIL sul lavoro delle migranti in Italia. Inoltre presenteremo  un resoconto delle storiche battaglie per la legalizzazione dell’aborto in Italia (diritto negato a molte donne in molti paesi del mondo soprattutto in America latina dove l’ingerenza della Chiesa è molto forte) e un momento di riflessione sulla violenza contro le donne, (tema che accomuna purtroppo le donne di tutto il mondo), violenza che sempre più spesso avviene tra le mura domestiche e che si interseca con la questione di classe  laddove le donne che ne subiscono maggiormente le conseguenze sono quelle senza lavoro e completamente dipendenti economicamente dai loro mariti e compagni.

Non è ancora tempo di bilanci, manca ancora qualche giorno all’inizio della Conferenza e i lavori per la preparazione del materiale e dell’organizzazione del viaggio procedono febbrili, ma è già chiaro che il percorso sviluppato fino ad oggi dimostra quanto sia importante il contributo attivo delle donne nella lotta per non pagare gli effetti della crisi, per costruire una società diversa ma soprattutto quanto siano importanti i contributi che le donne italiane potranno condividere con le compagne di altri paesi. Percorsi di lotta diversi spesso si  originano da rivendicazioni simili. Solo condividendo e confrontandosi su strategie,  proposte e progetti  sarà  possibile infatti trovare soluzioni comuni.

Il Coordinamento italiano per la Conferenza Mondiale delle Donne di Base

http://conferenzamondialedonne.wordpress.com/

Caracas 4/8 marzo 2011


Fratelli d’ Italia, l’Italia s’è desta?????

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17 Marzo Unità  d’ Italia — Festa Nazionale

Avete ripassato l´Inno Nazionale? Avete comprato  bandierine tricolori e coccarde (Made in China) ?

Credo che  una società che senta il bisogno di definire la sua identità rispetto a questi parametri risorgimentali sia in una fase fortemente regressiva e che questo sia segnale del fatto che chi ne è alla guida non riesca a  proiettarne verso l’esterno una immagine positiva e costruttiva.

Credo che sia sinonimo di un cortocircuito culturale nonché sociale il fatto che mentre la venerata globalizzazione rende apolidi fiumi di denari e investimenti miliardari, finanche quasi le guerre, si senta oggi la necessità di rivestire le proprie miserie, le macerie maleodoranti dei propri governi, di bandiere e di stendardi.

Berlusconi, stabilendo con decreto  legge la festività nazionale del 17 marzo cerca maldestramente di  coprire con il tessuto di una bandiera le proprie porcherie terrene, cercando di rivestire   di una sacralità fittizia le macerie di  un paese pietosamente messo a nudo da orge e bunga bunga.

Fratelli d’ Italia, l’Italia s’è desta?????

Volevo segnalare che la CGIL esulta per la festività e approva la decisione mentre il presidente della Regione Veneto Luca Zaia (Lega) crede che sarebbe stato meglio “spendere i milioni di euro che andranno in festeggiamenti per creare nuove occasioni di lavoro per i giovani e i precari”. Che dire di più?


Intervista a Walter Wendelin, internazionalista basco espulso dal Venezuela.

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Fermato per mano di Zapatero

Intervista di Annalisa Melandri a Walter Wendelin, internazionalista basco espulso dal Venezuela

Viene riproposta questa intervista pubblicata sul numero 3 della rivista ALBA informazione

Il 28 marzo  dello scorso anno,  l’internazionalista basco di origine tedesca Walter Wendelin, al suo arrivo a Caracas, fu  fermato dalle autorità venezuelane, espulso dal paese e mandato in Spagna senza che avesse nessun mandato di cattura, richiesta di estradizione o carico pendente con la giustizia spagnola. Walter,militante del movimento internazionalista Askapena, la Sinistra Abertzale (nazionalista), era diretto in Venezuela per illustrare ai politici e ad altri internazionalisti il processo democratico che la Sinistra Indipendentista  basca sta portando avanti da alcuni mesi chiamato Zutik Euskal Herria (Euskal Herria in piedi).

«È stata una questione prevalentemente politica e scorretta dietro la quale si nasconde la mano occulta dell’esecutivo spagnolo» ci spiega Walter in questa intervista, nella quale ci fornisce come strumento di analisi la sua visione rivoluzionaria e militante rispetto a quanto accaduto, invitando a non “sbagliarsi mai nell’individuare il vero nemico”, essendo note le difficoltà che deve affrontare il processo rivoluzionario in Venezuela e come questo sia oggetto di molteplici attacchi sia sul fronte interno che esterno.

A.M.: Walter, ci puoi raccontare come si sono svolti i fatti nell’aeroporto di Caracas?

W.W.: Semplicemente si sono presentati agenti del Servizio Bolivariano di Intelligence, la antica DISIP, chiedendomi di seguirli per rispondere ad alcune domande. Mi hanno anche detto che poi mi avrebbero accompagnato dove ero diretto. Ho avvisato quindi le persone che mi stavano aspettando all’uscita dell’aeroporto informandoli che mi trovavo all’Helicoidal, l’edificio del SEBIN. Lì ho parlato con gli agenti e con il personale del servizio di Immigrazione. Purtroppo alla fine mi hanno invitato ad abbandonare il paese senza spiegazioni ufficiali; sono stato portato in un hotel per passare la notte ed il giorno seguente accompagnato all’aeroporto.

Loro stessi hanno provveduto a cambiare il biglietto. Hanno cercato di farmi firmare una dichiarazione di espulsione, cosa che non ho fatto perché quanto riportato non corrispondeva al vero. Il fatto di non averla firmata d’altra parte non ha comportato nessun tipo di problema. Siccome viaggiavo con i miei documenti era chiaro però che non si trattava di una espulsione regolare come hanno constatato anche le autorità francesi all’arrivo all’aeroporto di Parigi dove sono stato interrogato per circa un’ora su quanto accaduto. Poi ho proseguito il mio viaggio verso Gasteiz.


A.M.: Hai qualche carico pendente o un mandato di arresto da parte della giustizia spagnola?

W.W.: Se avessi avuto qualcosa in sospeso con la giustizia venezuelana, spagnola o francese, o qualche mandato di cattura da parte dell’Europol o dell’Interpol non potrei rispondere a queste domande tranquillamente da casa come sto facendo adesso. Quindi si tratta di una questione meramente politica e scorretta dietro la quale si cela la mano occulta dell’esecutivo spagnolo. Per impedire che in Venezuela e nel resto del mondo si conoscano i fatti e le analisi di quanto accade in Euskal Herria, i Paesi Baschi, da un punto di vista non gradito al governo spagnolo, vengono utilizzate queste modalità poco serie e poco degne che dimostrano la sua debolezza ma che non per questo fanno meno danno e causano meno sofferenza. Alcuni media infatti hanno raccolto dichiarazioni dell’ambasciata e del ministero degli esteri spagnolo che affermavano che quello era esattamente il tipo di collaborazione che si aspettavano dal governo Chávez.


A.M.: Qual è la tua opinione sui reali motivi della tua espulsione dal Venezuela?

W.W.: Immagino che da parte del Venezuela o della sua intelligence si sia voluto compiere un gesto di buona volontà  e di collaborazione con il Regno di Spagna dopo aver firmato una serie di contratti con importanti multinazionali spagnole. Non bisogna dimenticare le pressioni della opposizione “escualida” che attacca il governo accusandolo di complicità con il “terrorismo internazionale” – FARC, ETA-Batasuna, Iran… – e con tutto l’asse del male e che si presenterà alle elezioni legislative in settembre o in ottobre. La situazione del governo Chávez è complicata sia rispetto a questa opposizione che all’ amministrazione USA ma anche internamente rispetto allo stesso chavismo e dalla sua vittoria dipende non soltanto il futuro dei venezuelani e delle venezuelane ma anche il successo di tutto il processo bolivariano in America.

Anche da parte del Regno spagnolo ci sono due ragioni che sono abbastanza evidenti. La prima è che la Spagna ha dovuto dimostrare al suo padrone, l’impero statunitense e principalmente alla sua amministrazione e alle sue multinazionali finanziarie,  che nonostante abbia firmato con il Venezuela contratti vantaggiosi per il capitale spagnolo ma anche per la rivoluzione bolivariana, non vuole contribuire a favorire il processo rivoluzionario bolivariano nemico degli Stati Uniti.

La seconda è che esiste una campagna iniziata alcuni mesi fa da parte del Ministero dell’Interno spagnolo per criminalizzare, danneggiare e impedire il processo democratico – ZUTIK EUSKAL HERRIA – che sta portando avanti la Sinistra Indipendentista Basca. Si tratta di una iniziativa unilaterale senza ricorso alla violenza e secondo principi democratici (come sempre ha fatto la Sinistra Abertzale) che riporta il confronto in un terreno prevalentemente politico  dove lo Stato spagnolo è ogni giorno più debole; proprio per questo lo Stato spagnolo preme per collocare il conflitto politico facendolo rientrare nello schema della lotta “antiterrorista” anche sul piano internazionale.


A.M.: Walter, tu sei sempre stato molto solidale con la rivoluzione bolivariana. Nell’intervista rilasciata a Miguel Suarez di Radio Café Stereo fai un appello a non cadere nella “trappola mediatica” che può offrire quanto è accaduto a Caracas. Cosa significa?

W.W.: Ho voluto dire principalmente che non dobbiamo mai sbagliarci nell’individuare il vero nemico  a maggior ragione per un incidente di questo tipo. Quindi non voglio dare importanza all’accaduto poiché, come ho detto prima, è la dimostrazione delle reali difficoltà pratiche che soffre il processo rivoluzionario in Venezuela a causa del criminale e immorale attacco dell’imperialismo yankee,del sub-imperialismo spagnolo e con la complicità della borghesia “escualida” venezuelana con il suo progetto capitalista neoliberale.

Detto in altre parole: si deve cogliere la differenza tra gli errori e le debolezze delle compagne e dei compagni di lotta e gli attacchi del nemico, bisogna inoltre saper individuare molto bene le quinte colonne nei processi rivoluzionari. Facendo tali distinzioni è molto importante non aggrapparsi ai propri principi individuali considerandoli come valori assoluti, i principi rivoluzionari devono sempre essere collettivi. Dall’altra parte troviamo la manipolazione mediatica. Ne è esempio il titolo di un giornale venezuelano che parlava di “detenzione illegale di un etarra”. Senza entrare nel merito della valutazione dei principi deontologici dei giornalisti, né della loro etica professionale,che lascia molto a desiderare, dobbiamo stare molto attenti all’influenza che hanno le loro menzogne e le loro mezze verità, che vengono ripetute mille volte, come disse Goebbels, per trasformarle in verità, e per suggestionare le nostre valutazioni, analisi ed opinioni. Coloro che strumentalizzano i mezzi di comunicazione per i loro propri interessi personali in quanto élite capitalista,  perseguono una strategia tesa a colpire la lettura critica della realtà di coloro che pensano di avere una visione progressista.


A.M.: Walter, tu quasi giustifichi quanto accaduto a causa della situazione molto difficile che si vive in Venezuela dove il governo è stretto tra il Regno spagnolo da un lato e le pressioni molto forti dell’ opposizione interna dall’altro. Ovviamente, a molti di noi, militanti, attivisti e solidali con le lotte di liberazione dei popoli, la tua espulsione ci ha spaventato da una parte e ci ha fatto riflettere dall’altra… la Spagna, inoltre, continua ad essere un partner economico molto importante per tutti i paesi dell’America latina. Come pensi si possano  coniugare la stabilità di un paese nell’ambito delle relazioni internazionali e gli scambi commerciali con la solidarietà rivoluzionaria?

W.W.: Soprattutto va tenuto presente che non può esserci alcuna stabilità in un mondo nel quale il Capitale ed il suo sistema sono egemoni poiché questi attori o fanno la guerra contro qualsiasi alternativa oppure se la fanno tra loro per l’egemonia. Il capitalismo è proprio questo per definizione. Non esiste nessuna formula o strumento etico che lo possa evitare.

Tuttavia a volte la tensione diminuisce oppure durante brevi periodi si crea una apparente stabilità. Il blocco socialista e l’Unione Sovietica hanno obbligato il capitalismo a sviluppare questi aspetti di stabilità (attraverso l’equilibrio nucleare, il modello keynesiano, la carta dei diritti umani e fondamentali dell’ONU, tra gli altri) ma da quando il modello socialista è stato fatto implodere, la strada è stata spianata verso la competitività totale. Ciò significa un aumento di instabilità globale, che si manifesta in focolai di guerre che sono aumentati considerevolmente ed aumenteranno ancora di più nei tempi a venire. Altra espressione è la cosiddetta lotta “antiterrorista” contro “l’asse del male” internazionale.

Pertanto si deve considerare la stabilità come un obiettivo tattico imprescindibile in alcuni momenti di un processo di resistenza di un paese di fronte all’imperialismo, ma mai come un fattore positivo o strategico in un mondo capitalista. Questo crea valutazioni contraddittorie rispetto a quando sia necessario o imprescindibile e benefico al processo rivoluzionario e quando invece favorisca il grande capitale. Tenendo presente questo possiamo confrontarci purché avvenga sulla base del rispetto nei confronti dell’autorità che ognuno ha sul suo proprio processo rivoluzionario. Vale a dire rispettare il principio di non ingerenza nelle questioni della sovranità nazionale. Questa è la base, il fondamento principale della solidarietà internazionalista.

Per questo dobbiamo rivalutare i principi di internazionalismo e solidarietà che attualmente sono concetti confusi dallo stesso sistema che fino a pochi anni fa li criminalizzava. Quando si sono resi conto che non potevano distruggere la solidarietà internazionalista come principio della sinistra, l’hanno assimilata per stravolgerne il contenuto e trasformarla in un valore che include nel suo discorso e nella sua ideologia persino l’estrema destra neoliberale. La concezione sbagliata del concetto di “solidarietà” è stata promossa dal sistema attraverso le ONG, che l’hanno introdotta nella sinistra, disarmandola. Oggi la solidarietà si è trasformata in un arma. Ciò è molto pericoloso per la sinistra. Quando cerchiamo di recuperare la solidarietà internazionalista come principio rivoluzionario, persino molta parte della sinistra critica combatte questo concetto con l’ erronea giustificazione che non si deve porre in pericolo la “stabilità” e non bisogna dare occasioni al sistema per reprimere l’avanzata della “nuova sinistra”. Il sistema non ha bisogno di scuse. Le usa se le ha e se non le ha, le inventa, sempre. In sintesi: non si deve, né si può mai coniugare la stabilità di un paese con la solidarietà rivoluzionaria. Quello che dobbiamo fare – soprattutto come sinistra europea – è imparare a rispettare i processi rivoluzionari di ogni popolo, soprattutto se non comprendiamo o ignoriamo le loro ragioni.


A.M.: Secondo quanto si legge in «Rebelión», “l’Ambasciata di Spagna in Venezuela ha riconosciuto di aver avuto qualche tipo di influenza nella detenzione e nell’espulsione. Hanno rivelato di aver collaborato con le autorità politiche venezuelane ed hanno affermato che la detenzione è una dimostrazione del tipo di cooperazione che Madrid si aspetta dal Venezuela”. Se non avevi alcun carico pendente in Spagna, non ti sembra che questo sia un ambiguo ricatto che il governo venezuelano non avrebbe dovuto accettare per non creare pericolosi precedenti e soprattutto per non mettersi allo stesso livello degli Stati Uniti che, come sappiamo, hanno  approntato “liste nere” di persone che per le loro idee e per le loro posizioni coerenti non possono mettere piede nel loro territorio?

W.W.: È un ricatto ma per nulla ambiguo, il quale dimostra che non ha nulla a che vedere con  questioni di giustizia o di legalità ma con interessi politici. Se il governo venezuelano avesse dovuto o non avesse dovuto accettare di sottomettersi a questo ricatto è qualcosa di cui si può discutere ma in ultima istanza sono i venezuelani e le venezuelane quelli che devono decidere e gli altri devono rispettare tale decisione. È pericoloso non tanto come precedente – giacché di cose di questo genere ne sono accadute numerose e più importanti, soprattutto tra i rivoluzionari colombiani, ma anche con i rifugiati baschi ed altri – ma il pericolo principale è la demotivazione, i conflitti, le frustrazioni nella stessa popolazione rivoluzionaria venezuelana. Il pericolo risiede nel fatto che molti rivoluzionari si rassegnino e si ritirino dalla lotta o che confondano il nemico, i principi e gli obiettivi prioritari della rivoluzione bolivariana.

Come internazionalista devo evitare che si utilizzi questo incidente per promuovere precisamente questo. Altra questione è che attraverso questo incidente e molti altri sui quali dobbiamo riflettere, possiamo creare un fronte internazionalista contro la legalizzazione delle liste nere, la lotta antiterrorista, la soppressione del diritto di asilo e tutte le altre espressioni controrivoluzionarie che si introducono come principi di uno stato di diritto quando con esso non hanno nulla a che vedere ma sono solo formule per imporre interessi del grande Capitale contro qualsiasi processo progressista, umano, socialista e rivoluzionario.


A.M.: Qual era il motivo del tuo viaggio a Caracas?

W.W.:Il motivo del viaggio era poter incontrare diversi politici e attori sociali che avevano mostrato interesse verso le opinioni e le analisi diverse da quelle trasmesse dai mezzi di comunicazione ufficiali e dagli agenti spagnoli sulla realtà del popolo basco. C’era anche l’intenzione di organizzare brigate internazionaliste con giovani disposti a formarsi come internazionalisti. Uno dei motivi del viaggio era inoltre la diffusione del processo democratico (Zutik Euskal Herria) iniziato alcuni mesi or sono dalla Sinistra Indipendentista Basca, caratterizzato dalla sua forma di dare soluzione ai problemi organizzativi, antirepressivi, politici ed economici e fare un bilancio di questa iniziativa di azioni unilaterali verso la risoluzione del conflitto. Conflitto che il governo spagnolo non vuole che si conosca, non vuole negoziare e rispetto al quale non propone alternative ma considera solo una soluzione finale in cui il popolo basco accetti di subire la sconfitta per mezzo della repressione militare, politica, giudiziaria, amministrativa e poliziesca.

Diverse entità spagnole dicono che stiamo ingannando la gente raccontando menzogne sulla esistenza del conflitto e del popolo basco. Questo è di fatto una mancanza di rispetto paragonabile solo con il reale “porqué no te callas?” diretto ai venezuelani e alle venezuelane: in questo caso poiché presuppone che i deputati, i parlamentari, i ministri, i politici, i dirigenti sociali e la gente in generale non siano in grado di rendersi conto quando qualcuno gli racconta falsità, che non siano capaci di riconoscere una verità da una menzogna e che non abbiano le loro fonti per replicare … in conclusione presuppone che siano idioti. Qualsiasi politico o politica venezuelana ha un livello professionale perfettamente paragonabile a quello di qualsiasi imprenditore, politico o diplomatico spagnolo. Qualsiasi cittadino o cittadina formatosi nel processo bolivariano ha più competenze dei cittadini spagnoli formatisi dalla Televisione Spagnola pubblica o privata, o da giornali come «El País», «El Mundo», «Hola» o «Interviu». In ogni caso questi imprenditori, politici o diplomatici spagnoli sono superiori solo nella loro boria reale, dimostrata dalla nobiltà della quale sono sudditi volontari. So che la mia opinione sul governo spagnolo e la società in generale non è molto lusinghiera per loro e che li può oltremodo infastidire, ma non posso cambiare tale opinione per un imperativo legale o per esigenze inquisitorie. Inoltre, se non fosse perché tentano di imporre la loro volontà e le loro decisioni attraverso la minaccia ed il ricatto, la violenza e la repressione (anche se legalizzata e istituzionalizzata) dove non gli compete – nel Paese Basco e sul popolo basco – non avrei motivo di parlare molto di queste cose.


A.M.: “Zutik Euskal Herria” (Euskal Herria in piedi) è una proposta della Izquierda Abertzale (Sinistra Nazionalista Basca) che propone un ambito democratico verso il superamento del conflitto. Cosa ci puoi dire sull’argomento?

W.W.: In verità parlare di Zutik Euskal Herria richiederebbe un’altra intervista e sarebbe molto importante e interessante poter approfondire e chiarire cosa è e cosa non è. Riassumendo, si tratta di una decisione di cambiamento strategico unilaterale della Izquierda Abertzale per riprendere l’iniziativa politica nel paese. È basata sull’analisi e sulla presa di decisione collettiva di tutti coloro che appartengono al così detto “ambiente terrorista”, che supera i settemila militanti e che si è realizzata durante molti mesi. Il processo è iniziato con la presa di coscienza del fatto che il governo spagnolo, che aveva lasciato il tavolo dei negoziati sulla risoluzione del conflitto alla fine del maggio 2007, non solo non era disposto a riprendere i dialoghi ma che era deciso ad applicare una “soluzione finale” repressiva e vendicativa. Aveva chiuso tutte le strade per l’ennesima volta. La situazione era bloccata. Non si poteva lavorare per una soluzione sensata, giusta e duratura.

D’altra parte alcune persone avevano analizzato il fatto che il governo spagnolo si era debilitato enormemente nello spazio politico, non aveva capacità per confrontarsi politicamente e democraticamente con la risoluzione del conflitto ed era questo che lo manteneva nella strategia criminale negando qualsiasi offerta che non significasse la sconfitta a causa della repressione politico-giudiziaria ed amministrativa dell’esecutivo. Quando abbiamo cominciato a discutere ed analizzare questo ci siamo resi conto che anche molte altre condizioni oggettive e soggettive erano cambiate o erano riuscite a cambiare notevolmente di forma. Era chiaro che per procedere verso un Ambito Democratico necessario a risolvere il conflitto politico era fondamentale agire politicamente in maniera unilaterale per il bene del popolo (vale a dire di noi tutti e di noi tutte) e nella certezza che ci fossero le condizioni per poter cominciare a raccogliere le forze dello spettro indipendentista e per la sovranità del nostro paese in assenza di violenza procedendo alla costruzione di un nuovo soggetto politico per i futuri negoziati e per la costruzione nazionale e sociale. Si è dibattuto fra tutti e tutte e si è arrivati alla decisione di procedere in questa direzione senza aspettare accordi o azioni del governo spagnolo né di altri.

Il governo spagnolo ha agito invece poi rapidamente con la detenzione dei coordinatori e dei  portavoce del dibattito, dei giovani, dei dirigenti, degli avvocati e dei familiari dei prigionieri e delle prigioniere politiche… sono aumentate le denunce di pene accessorie ai familiari, le percosse nelle carceri, le torture, la guerra sporca, il terrorismo di Stato. Tutto questo per paralizzare il dibattito, dividere, rompere e ristabilire lo scenario violento precedente. Ma ancora una volta non sono riusciti a fermare l’avanzata della Sinistra Abertzale. Ed è di questa avanzata, che continua da più di 50 anni verso l’autodeterminazione e la democrazia, che lo Stato ha vero terrore. Per questo manipolano, mentono, dicono che la iniziativa è una “trappola”, che si tratta sempre della stessa cosa, che è “per debolezza”, o “per tentare di evitare la sconfitta”, “per recuperare l’ opportunità di accedere ad un posto di consigliere o sindaco nelle prossime elezioni”… tutto questo è una menzogna e lo sanno.

L’obiettivo della Sinistra Abertzale è un altro: la risoluzione democratica del conflitto e la definizione di regole di confronto democratiche e con garanzie con le quali tutti i progetti politici possono difendersi e realizzarsi con l’unica condizione che prevede la libera volontà delle persone che vivono in Euskal Herria. Ciò non può non includere anche il progetto politico della Sinistra Indipendentista Basca che è Indipendenza e Socialismo.





Detenuti italiani in Repubblica Dominicana: niente di nuovo, anzi

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Aggiornamento: In data 2 febbraio con la Commissione Nazionale per i Diritti Umani abbiamo effettuato un’altra visita ai tre italiani in carcere. Si conferma la situazione già descritta in quest’articolo..

Abbiamo, in questo blog, circa quattro mesi fa,  seguito la  situazione di tre cittadini   italiani detenuti nel carcere di Najayo, nei pressi di Santo Domingo, in Repubblica Dominicana.

Il giorno 22 settembre scorso,  la sottoscritta, accompagnata dal Dr. Manuel Mercedes Medina, presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani della Repubblica Dominicana,  si era recata in quella struttura carceraria a far visita ai tre connazionali  per verificare la loro situazione. Questa era stata infatti,  segnalata dall’ associazione italiana Secondo Protocollo che si occupa di detenuti italiani all’estero,   come particolarmente difficile.

Abbiamo potuto constatare allora quanto questo corrispondesse al vero  soprattutto per le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui i tre connazionali  si trovavano.

La situazione delle carceri della Repubblica Dominicana, così come quella di tutti gli istituti di detenzione dell’America latina e Centrale  è  molto grave. Carenze strutturali, sovraffollamento, corruzione ad ogni livello fra il  personale di sorveglianza, un elevato tasso di violenza fra i detenuti,  rendono gli istituti penitenziari di questa regione  tra i più pericolosi al mondo. Per chi vi entra esistono serie possibilità di non uscirne vivo o per lo meno non  in buone condizioni di salute.

La denuncia delle condizioni dei detenuti in genere e delle violazioni dei loro diritti fondamentali durante il periodo di reclusione,   viene ovviamente sempre fatta  a prescindere dalla loro nazionalità e la Commissione Nazionale dei  Diritti Umani in Repubblica Dominicana denuncia quasi quotidianamente abusi e violazioni commesse nei confronti dei  detenuti dominicani; in altro fronte  sta lavorando invece seriamente,  insieme alle istituzioni locali,  per sviluppare in tutto il paese il nuovo modello di gestione penitenziaria  applicato fino a questo momento in 13 dei 35 istituti di detenzione del paese. Il programma di riforma penitenziaria ha ottenuto sovvenzioni anche dall’ Unione Europea e presto verrà applicato in tutta l’area caraibica. Tuttavia, nel caso  dei detenuti stranieri,  esiste   l’obbligo della Rete Consolare del paese di cui sono cittadini,  in questo caso l’ Italia,   di seguire attentamente la loro situazione e di prestare tutta l’attenzione e l’assistenza di cui hanno bisogno.

Rispetto a quanto denunciato quattro mesi fa  si rende necessario e doveroso un aggiornamento anche per quanti di voi hanno scritto,  domandando come stesse procedendo la situazione.

L’ interrogazione parlamentare dell’ onorevole Raisi del 20 settembre scorso,  la lettera del 23 settembre scorso, consegnata dal presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani della Repubblica Dominicana  e dalla sottoscritta all’ ambasciatore  italiano Arturo Olivieri e indirizzata al Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini,   hanno veramente sortito ben poca cosa.

Il sig. N.M. (nome omesso su richiesta dell’ interessato) è ancora in carcere  e nel suo caso addirittura non si riesce ad avere notizie certe rispetto alla scadenza dei termini della detenzione. Ci sono grandi difficoltà ad avere il suo carteggio processuale, ad oggi non si riesce a capire ancora bene quanto tempo gli manchi  alla fine della pena. E’ evidente che se avesse potuto accedere ad  un’assistenza legale degna di questo nome e fosse stato assistito fin dal principio da un servizio Consolare efficiente, la sua situazione sarebbe notevolmente diversa e addirittura  si sarebbe anche  potuto chiedere il trasferimento in Italia secondo il protocollo di Strasburgo (o convenzione di Strasburgo per il trasferimento delle persone condannate). La sua situazione sanitaria è molto precaria, ha continuamente bisogno di medicine che gli sono state prescritte a seguito di due pre-infarti che lo hanno colpito e il sussidio che gli viene fornito non è sufficiente a far fronte né alle spese mediche e nemmeno a quelle necessarie per cibo, acqua potabile e sicurezza personale. Queste spese i detenuti nelle carceri della  Repubblica Dominicana  sono costretti a sostenerle personalmente a meno di non voler vivere in condizioni disumane di detenzione.

Il sig. Luciano Vulcano si trova invece in un vero e proprio stato di DETENZIONE ILLEGALE perché  essendo scaduti i termini per la detenzione preventiva (di 1 anno) ormai già dallo scorso  mese di ottobre,  non viene ancora iniziato  formalmente il processo per le motivazioni più banali quali ad esempio la mancanza del traduttore. Ricordiamo che il Sig. Vulcano si trova in carcere accusato di rapina a mano armata. L’accusa si fonda su una montagna di menzogne e falsità e su  testimonianze false e contraddittorie. I  testimoni infatti non sono nemmeno d’accordo  su come fosse vestito quel giorno. Il proprietario della casa di cambio dove sarebbe avvenuta la presunta rapina non si  è presentato come parte civile nei termini previsti dalla legge, la denuncia è stata presentata da una persona e firmata da un’ altra   e la polizia ha dichiarato infine di aver arrestato il Sig. Vulcano durante un controllo in Corso Duarte mentre lui in quel momento  stava effettuando una operazione bancaria nella filiale del Banreserva  di un centro commerciale, circostanza  facilmente dimostrabile. Secondo la  polizia infine il Sig, Vulcano al momento dell’ arresto era armato.  Il Sig. Vulcano invece è stato arrestato nel posteggio privato dell’ hotel dove alloggiava, davanti ad una decina di testimoni ed era disarmato. La pistola che lui portava per sicurezza personale era in camera ed è stata trovata durante la perquisizione. L’arresto, come avviene spesso in questo paese è avvenuto senza mandato e senza la presenza del giudice. Tutto lascia supporre che tutto questo sia stato organizzato dai poliziotti per potergli rubare la macchina. Si tratta di una pratica abbastanza usuale in Repubblica Dominicana. Il Sig. Vulcano da allora è entrato in un incubo dal quale non riesce più ad uscire e il  nostro governo e l’ambasciata italiana nel paese stanno permettendo senza muovere un dito tutto questo.

A tutto questo bisogna aggiungere che la situazione sanitaria del Sig, Vulcano appare veramente delicata. Si allegano al corpo dell’ articolo una serie di fotografie eloquenti, tratte dal sito Secondo protocollo e pubblicate con il consenso dello stesso Vulcano. Ha contratto diverse infezioni della pelle,(come del resto gli altri due detenuti) in seguito alle scarse condizioni igieniche e all’ alimentazione che riceve. E’ stato ricoverato inoltre recentemente per una colica renale dovuta ai problemi trascurati di ritenzione idrica causati dall’ acqua che beve in carcere.

Anche il  Sig. Ambrogio Semeghini che era stato arrestato il 19 dicembre del 2009 si trova ancora in attesa di giudizio con la pesante  accusa di omicidio.  Le sue condizioni di salute sono gravi e preoccupanti perché sebbene sia riuscito a risolvere il problema che aveva agli occhi, nel frattempo gli  è stato riscontrato una forma tumorale alle corde vocali e avrebbe bisogno urgentemente di una biopsia, il cui costo si aggira intorno ai 200/300 euro. Gli accordi tra i governi dei due paesi in questo caso   prevedono  che sia di competenza del paese nel quale il detenuto si trova in carcere la copertura delle spese mediche  di questo tipo. L’ ambasciata  italiana quindi sostiene di non dover pagare la biopsia. Innanzitutto questo tipo di esame in questo paese non è  previsto dalla sanità pubblica, ossia non ci sono strutture pubbliche dove lo possano effettuare. Il buon senso e soprattutto un approccio umanitario alla situazione fanno ben intendere come questo principio possa valere in paesi avanzati  dove lo Stato sociale sia abbastanza sviluppato, dove non ci siano carenze sanitarie e soprattutto carenze economiche. Ovviamente questo non è il caso della Repubblica Dominicana. La sanità pubblica è in condizioni disastrose, i tempi della burocrazia sono lentissimi e come già detto le condizioni dei detenuti sono terribili. E´vero che il Sig. Semeghini  (che in Italia non ha nessuno che lo possa aiutare) riceve un fondo dal Consolato ma questo fondo è pari a 8 mila pesos ogni quattro mesi  (160 euro circa).  E’ stato detto però in varie occasioni che in questo paese in carcere i detenuti devono pagare TUTTO, dall’ acqua potabile, al materassino per non dormire proprio in terra sul cemento, a un pasto  decente, alle medicine. Fatti i dovuti calcoli (visto che la biopsia costa 15mila pesos pari a 300 euro) se il Sig. Semeghini dovesse pagarsi la biopsia con i soldi del fondo come sembrerebbe gli abbiano consigliato di fare dalla nostra ambasciata, dovrebbe stare sei mesi circa senza bere, mangiando quel poco che passa il carcere (igienicamente discutibile), dormendo in terra, non curandosi nemmeno il raffreddore. Dopo questo periodo  se riuscisse a sopravvivere in tali condizioni e se il tumore nel frattempo non lo avesse invaso potrebbe sostenere le spese della biopsia. Effettivamente questo ci sembra l’ aspetto più raccapricciante di questa storia. La mancanza di umanità.

E’ vero d´altra parte, quello che ci era stato confermato dai diplomatici italiani durante l’incontro  avuto in Ambasciata e cioè che lo  Stato italiano con l’ ultima finanziaria ha notevolmente ridotto  i fondi destinati agli  italiani in difficoltà all’ estero e che oltre a quello che viene erogato ai nostri connazionali in carcere all’estero bisogna sempre mantenere un fondo di riserva per le emergenze che possono essere di vario tipo.

E’ anche vero che per assistenza non si intende solo quella economica (anche se  per un detenuto che non ha risorse proprie nelle carceri di questi paesi trovarsi senza soldi è veramente terribile), ma anche e soprattutto  una serie di interventi  volti a garantire per esempio un’assistenza legale degna di questo nome. Qui  trovare un’avvocato onesto è difficile, in modo particolare quando all’ esterno non si ha nessuno che possa interloquire con lui in modo costante e che possa fare pressioni perché agisca nel migliore dei modi. La situazione di questi tre italiani detenuti in Repubblica Dominicana è degenerata fino a questo punto  anche per questo motivo.

Si rende necessario e urgente pertanto un intervento da parte delle nostre autorità nei confronti soprattuto delle autorità dominicane, che sono tenute a garantire ai detenuti il rispetto dei tempi di detenzione  preventiva e il diritto ad un processo  regolare, nei modi e nei tempi.   I nostri concittadini non vanno lasciati soli e soprattutto non si può permettere che siano lasciati nelle condizioni terribili che le foto pubblicate,  eloquentemente dimostrano.





Hernando Calvo Ospina: El Equipo de Choque de la CIA

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El Equipo de Choque de la Cía. Cuba, Vietnam, Angola, Chile, Nicaragua.

Il Corpo d’élite della Cia. Cuba, Vietnam, Angola, Cile, Nicaragua

di Hernando Calvo Ospina

El Viejo topo, 19 euro

La storia del Il Corpo d’ Elite della Cia (El Equipo de Choque), la squadra d’assalto per la realizzazione delle operazioni «sporche» della politica estera degli Stati uniti, ha inizio in Guatemala nel 1954 con l’operazione conosciuta come Pb Success. Fu un’operazione di destabilizzazione, di «guerra psicologica, mercenaria e paramilitare» che si concluse con il colpo di stato contro il presidente Jacobo Arbenz.

Arbenz nel 1951 aveva vinto le prime elezioni libere di quel paese e aveva dato avvio a un’importante riforma agraria nonché a una serie di politiche progressiste volte a limitare il potere delle imprese straniere che operavano in Guatemala. Tra le più colpite dalle riforme, vi fu la United Fruit Company definita un vero e proprio «stato nello stato» per il potere politico ed economico che deteneva. Tra i suoi azionisti figuravano John Foster Dulles e il fratello Allen, allora rispettivamente segretario di stato degli Stati uniti e direttore della Cia.

Tuttavia è con i tentativi di rovesciare fin dal principio la rivoluzione cubana del 1959, che il gruppo si consolida e si qualifica. Negli anni successivi lo ritroveremo come attore principale in ogni tentativo di imporre con mezzi non democratici l’imperialismo statunitense nel pianeta. El Equipo de Choque de la Cía, costituitosi pertanto come una vera e propria squadra di terrorismo internazionale, non operò solamente in America latina. Il Congo fu il primo paese africano dove approdò e dove partecipò alla destabilizzazione politica culminata con l’assassinio nel 1961 di Patrice Lumumba, fondatore nel 1958 del Movimento nazionale congolese, fautore dell’indipendenza del suo paese e simbolo delle lotte indipendentiste in Africa.

Scrive Hernando Calvo Ospina che è in Vietnam che il «Corpo d’Elite» si «amplia, si qualifica, si consolida e si perfeziona», utilizzando metodi di una crudeltà indescrivibile soprattutto contro i Vietcong del Fronte di liberazione nazionale (Fln). In una testimonianza resa dinanzi al Congresso degli Stati uniti, William Colby, direttore dell’Agenzia in Vietnam tra il 1973 e il 1976, confessò che il Programma Phoenix (conosciuto anche come Programma di Pacificazione Rapida) era stato concepito per «proteggere la popolazione dal terrorismo comunista». Riconobbe la morte di 20.587 persone tra il 1968 e il 1971, l´87% delle quali – disse – era caduto nel corso di combattimenti. Tuttavia, indagini successive dimostrarono che per «proteggere la popolazione dal terrorismo comunista» erano stati giustiziati sommariamente circa 40mila sospetti.

Questo lavoro di Calvo Ospina rappresenta una ricerca minuziosa che evidenzia il ruolo chiave svolto, in tutte le operazioni eseguite dal «corpo d’Elite», non solo da personaggi che poi ricopriranno incarichi di prestigio nel panorama politico degli Stati uniti, ma anche da mercenari cubani anticastristi, terroristi di mezzo mondo e mafiosi colombiani e italiani.

Un intreccio di nomi che ricorre frequentemente in circostanze, tempi e paesi diversi. George H. Bush (padre) e Porter Goss li troviamo insieme nella preparazione e realizzazione del «Progetto Cuba», il piano Cia per rovesciare Fidel Castro, approvato dal presidente Eisenhower. George Bush padre fu inserito nel circuito dei servizi di sicurezza statunitensi e nel «Progetto Cuba» da quello stesso Allen Dulles che avevamo già visto qualche anno prima in Guatemala, azionista della UnitedFruit Company e capo della Cia. Porter Goss era invece nell’ambito del «Progetto Cuba», l’uomo incaricato di reclutare i mercenari cubani. Diventerà nel 2004, a sua volta direttore della Cia, nominato da George W. Bush figlio.

Tutti gli altri uomini del «Progetto Cuba» erano stati reclutati tra i partecipanti al Pb Success guatemalteco, un successo rispetto al fallimento dei numerosi propositi di intervento nell’ isola ribelle messi a punto dall’ Agenzia a partire dal 1960 in avanti. Fu da quel momento che Kennedy, nell’ambito della Guerra Fredda e della conseguente lotta contro la nascente «minaccia comunista», impose la Dottrina di sicurezza nazionale. Un imperativo quasi religioso che tante vittime causò in America latina e nel resto del mondo con l’appoggio diretto degli Stati uniti alle  peggiori dittature della storia moderna.

Racconta tutto ciò e altro ancora questo libro del giornalista e scrittore colombiano (residente a Parigi) Calvo Ospina, autore tra gli altri di Dissidenti o mercenari?; Cuba: la guerra occulta del Ron Bacardi (entrambi editi in Italia da Achab), Colombia: laboratorio de embrujos, democracia y terrorismo de Estado (2008).

Calvo Ospina è inoltre collaboratore fisso di Le Monde diplomatique.

Si tratta, per la casa editrice spagnola El Viejo Topo, della riproposizione di un lavoro di ricerca notevole, già presentato al Salone del libro di L’Avana nel 2008 con il titolo Bush y el Equipo Estrella de la Cia, successivamente tradotto e pubblicato anche in Francia.

di Annalisa Melandriwww.annalisamelandri.it

recensione  per  LE MONDE diplomatique in vendita con  il manifesto per  tutto il mese di gennaio  2011


Poesie per rompere silenzi

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” La mia permanenza nel Centro di Transito Federale in Oklahoma è stata
lunga . Diciotto giorni, isolato, in una cella del cosiddetto ”buco”, giorni che mi sono sembrati un’eternità.
Con pochissima carta e piccolissime matitine, mi misi a scrivere il diario di quelle giornate, così come un gruppo di lettere personali e molto speciali, nate in quella solitudine, dove, parafrasando versi di Juan Ramón Jiménez, direi: “Sei dio del tuo petto, sei solo Universo, sei uno al tuo centro”.
Solamente una parte di quel diario e una delle nove lettere scritte arrivarono a destinazione. Per me fu un gran dolore quello che era potuto succedere, e feci ricorso alla poesia per rivivere i momenti di quell’isolamento e, in qualche modo, rimediare all’irreparabile perdita. Dal 3 al 16 di marzo, ormai di nuovo a Florence, sono nate queste poesie, in forma di diario, che suggerisco di leggere come un solo poema (come si dice si debbano leggere i famosi sonetti di Shakespeare, facendo salva la gran differenza tra quell’opera classica e questa modesta creazione). Per questo poemario decisi di scrivere versi decasillabi con rima libera, nella quantità di versi tipica del sonetto. Il mio obiettivo non è la ricerca della bellezza rítmica o della perfezione della strofa, e nemmeno di creare qualcosa di nuovo. La mia pretesa è di portare il lettore fino agli angoli più segreti della mia anima in quei giorni di ingiusto e totale isolamento, anche
se, come direbbe Darío: “la mia protesta resta scritta” contro il trattamento e la inusuale perdita”.

Così ci parla Antonio Guerrero Rodriguez, il nostro Tony, uno dei Cinque, i prigionieri  cubani ingiustamente detenuti negli Stati Uniti, di uno dei suoi poemari piu’ dolorosamente concepito: parliamo di “Un lugar de retiro”, che fu pubblicato lo scorso anno, grazie ad un’iniziativa della Casa Editrice Vigìa della città di Matanzas a Cuba.

Commosso dalla grandezza umana che emanano questi versi, Silvano, un amico di Cuba e dei Cinque, ha avuto la felice idea di dare vita all’iniziativa di pubblicare in Internet – nel maggior numero di siti e e tradotti nel maggior numero di lingue possibili – le poesie che Tony ha scritto riferendosi ad un periodo di diciotto giorni trascorsi in una cella di isolamento y che in seguito avrebbero prodotto il libro ”Un lugar de retiro”.

La proposta è di pubblicare ogni giorno per diciotto giorni, a partire dal 26 gennaio e fino al 12 febbraio 2011, su blogs, facebook, siti internet o di inoltrare tramite liste di distribuzione e altro, il poema corrispondente a quel giorno, scritto da Tony un anno prima, cioè fra il 26 gennaio e il 12 febbraio del 2010.  In italiano, inglese, francese, portoghese e persino in russo e bulgaro, le poesie di Tony solcheranno il cyberspazio, demolendo muri di silenzio.

Possa essere questo un modo in più per dimostrare ai Cinque la nostra solidarietà, il nostro affetto, la sicurezza nella chiara certezza delle loro azioni, e anche per gridare all’impero, da tutti gli angoli del pianeta LIBERTA’ PER I CINQUE.

Vi diciamo con le parole di Tony:

” Stanco, non mi arrendo.

Ferito, non sanguino.

Tanta fatica, tanti dolori:

li calmo con l’amore dei miei sogni,

materia invincibile

che i guardiani non sanno riconoscere”


Vi invitiamo a partecipare a questa nuova azione poetica. ”Poesie per rompere silenzi” in solidarieta’ con i Cinque e, in maniera particolare, in omaggio a Tony Guerrero, un uomo che nelle piu’ terribili circostanze non ha mai perso il suo coraggio e il suo sorriso.

Se volete richiedere e ricevere le traduzioni in una o più lingue tramite posta elettronica per aderire alla campagna, potete scrivere a

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ricordando che a partire dal 26 gennaio si dovrà cominciare a pubblicare le poesie.






Riempiamo i muri di stelle

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Sapevate  che una  stella a 5 punte disegnata su un muro (1 stella su 1 muro) vuol dire  automaticamente  Brigate Rosse ed  emergenza terrorismo?

I titoli delle agenzie titolano giá: “Stella delle  BR” facendo leva sull’  immaginario idiotizzato collettivo  che il potere mediatico e politico solleticano a loro esclusivo uso e consumo.

La DIGOS di Torino sta indagando sulle scritte che in questi giorni pare stiano spuntando come funghi sui muri della cittá contro l’ Amministratore Delegato della FIAT Sergio Marchionne e sull’ unica, triste e solitaria stella rossa  che le accompagna.

Qualche insulto sui muri è il minimo che potesse accadere a Marchionne, diciamoci la veritá.  Ricattata e presa per la gola,  si sa,  la gente reagisce. Per il momento con qualche insulto  scritto sui muri. Pure una stella vicino,  e vabbé.  Ma da qui a scomodare la DIGOS perché indaghi su quella stella  come ce ne sono tante sui diari degli adolescenti, compresi i miei di qualche secolo fa, sui muri dei sottopassaggi, delle metropolitane o delle panchine ce ne vuole…

Riempiamo i muri di stelle, di parole e  di fiori, di poesie e di canzoni, di sogni ed illusioni. Riempiamo i muri di vita.


Hernando Calvo Ospina: Il massacro delle bananiere

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Non si è trattato del  frutto della  fantasia  del colombiano Gabriel García Márquez, premio Nobel della Letteratura. No. Quello da  lui ha narrato  nella sua opera principale  «Cent’ anni di solitudine»  fu la triste realtà. Il massacro e la repressione degli operai iniziò all’alba del 6 dicembre del 1928 e proseguì per tre settimane. Avvenne  nelle piantagioni di banane della United Fruit Company, nel Caribe colombiano. Così nacque  il  terrorismo di Stato in Colombia…

Di Hernando Calvo Ospina*

fonte:  http://hcalvospina.free.fr/

In Colombia, all’alba del ventesimo secolo,  i giacimenti di petrolio, oro, platino ed altri minerali preziosi erano praticamente  regalati alle imprese statunitensi o inglesi. Allo stesso modo, erano ceduti loro vasti territori  per lo sfruttamento illimitato di banano, cacao, tabacco e caucciù. Con il beneplacito del governo, il personale utilizzato da queste compagnie era trattato come nel  periodo coloniale.

La nascente industrializzazione di quel primo ventennio dette origine a  una borghesia urbana e a una classe operaia che poco a poco andava reclamando  migliorie sociali. Seguendo il loro esempio, i contadini, gli indigeni e gli artigiani cercavano di  organizzarsi. I nuovi movimenti rivendicativi dettero origine  così alle prime organizzazioni sindacali e politiche. (altro…)


Manuel Olate, ennesima vittima delle manipolazioni sul computer di Raúl Reyes

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Sono stati finalmente concessi il 4 dicembre scorso gli arresti domiciliari al compagno  cileno Manuel Olate, arrestato a Santiago  il 29 ottobre con l′accusa di terrorismo e di essere l′ anello di congiunzione tra la guerriglia colombiana delle FARC e i Mapuche cileni.  Manuel altro non è invece che l′ennesima  vittima  dell´ inutile  tentativo del governo colombiano di isolare politicamente a livello internazionale le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).

Inutile   perché la solidarietà che riscuotono le FARC  nel mondo  è  direttamente proporzionale alla  repressione e alla violenza subita  dal  popolo colombiano dal terrorismo di Stato  e dalla sua “pulizia” politica.

Membro del Partito  Comunista Cileno e del  Movimento Continentale Bolivariano e responsabile del Movimento di Solidarietà per la pace in Colombia, Manuel era stato arrestato in base ad un ordine di detenzione  emesso dal  Ministro della Corte Suprema  del Cile Margarita Herreros  che in questo modo  rispondeva a una richiesta di estradizione proveniente dalla Colombia.

Le prove della sua colpevolezza   sarebbero venute fuori, a detta del governo colombiano,   ancora una volta da quel vado di Pandora che è il computer portatile del numero due delle FARC, il comandante Raúl Reyes.  Manuel , in base ad alcuni documenti, sarebbe stato accusato di essere un tal  “Roque” presunto finanziatore delle FARC in Cile. In questi giorni la sua difesa sta lavorando alacremente (anche per affrontare il processo nel quale si discuterà della sua estradizione in Colombia) per dimostrare invece che Manuel Olate  è soltanto un simpatizzante politico  del gruppo insorgente colombiano e  che non ha nulla a che vedere con il presunto “Roque”. (altro…)


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