Allons enfants de la Patrie…

0 commenti



Vont enfin recevoir leurs prix!

Tout est soldat pour vous combattre,

S’ils tombent, nos jeunes héros,

La terre en produit de nouveaux,

Contre vous tout prêts à se battre!

Aux armes, citoyens…,




Fonte foto: http://www.boston.com/bigpicture/2010/10/france_on_strike.html



Flussi migratori “al femminile”: se le donne sfruttano altre donne

0 commenti

 

I flussi migratori moderni  si stanno caratterizzando sempre  piú  per essere flussi migratori “al femminile”; si femminilizzano, come scrivono quasi tutti i piú recenti rapporti sulle migrazioni.

Questo nuovo aspetto dei fenomeni migratori  è stato anche oggetto del   IV Foro Sociale delle Migrazioni che si è tenuto a Quito, Ecuador,  dal 8 al 12 ottobre del 2010.

Nella dichiarazione finale redatta dallˈAssemblea dei Movimenti Sociali che formavano il Foro Sociale  delle Migrazioni si legge: “la femminilizzazione crescente dei flussi migratori mondiali si spiega in larga misura con lˈincorporazione delle donne nelle catene globali di assistenza familiare  nei paesi di destinazione, caratterizzata da  una gran precarietà lavorativa che comporta processi di degrado personali  e con gravi problemi di impatto ambientale nelle comunità di origine, costituendo una delle nuove forme di schiavitù del secolo XXI. Con relazione alla tratta con fine di sfruttamento sessuale, in molti paesi si  applicano le leggi di migrazione e non le leggi di protezione raccomandate dal protocollo di Palermo. [1]

Negli ultimi anni accade infatti  sempre più spesso  che sono le donne dei paesi più  poveri  del mondo che si fanno  carico del ruolo di breadwinner allˈinterno delle loro famiglie, ruolo un tempo riservato alla componente maschile emigrante  dei nuclei familiari. Le donne   sono spesso  lˈultima ancora di salvezza per milioni e milioni di famiglie schiacciate dalla povertà e impossibilitate ad uscirne. “Dei quasi 180 milioni di migranti, la metà sono donne, alcune delle quali non viaggiano più come accompagnatrici dei loro mariti ma sempre più spesso  lo fanno autonomamente”[2] .  Sono le donne oggi che  decidono di allontanarsi dal loro paese   per poter garantire ai propri cari  una vita più decente e dignitosa. Lasciano  la propria terra, il proprio nucleo familiare di origine, i figli e i loro mariti o compagni per emigrare allˈestero, in Europa o negli Stati Uniti, dove è sempre più richiesta  una mano dˈopera al femminile  per la cura delle famiglie benestanti di quei paesi.

La manodopera femminile proveniente da paesi sottosviluppati o in via di sviluppo si caratterizza per essere essenzialmente a basso costo, facilmente “addomesticabile” e ancora di più facilmente ricattabile per le peculiari caratteristiche di questo tipo di fenomeno migratorio. E a giudicare dal numero di donne sempre più elevato che trovano  impiego presso le famiglie come collaboratrici  familiari fisse  o “ad ore”, come badanti o come baby sitter,  si tratta di una manodopera  per cui esiste una grande richiesta. Si calcola che il 10% circa delle famiglie italiane ricorre a una collaboratrice domestica o a una badante  (la Repubblica, 2009).

La donna migrante,   spesso   è sola, irregolare (almeno la metà di quelle che lavorano nelle famiglie italiane) non conosce la lingua, e salvo qualche parente o amico che lˈ ha preceduta  non ha nessun punto di riferimento affettivo o economico nel paese di destinazione. Ciò rende possibile una quasi dedizione assoluta da parte di queste donne  alle famiglie autoctone. Soltanto in alcuni casi le reti di migranti costituiscono alternative valide alla solitudine.

La donna migrante si ritrova quindi molto spesso  costretta ad integrarsi in maniera non spontanea e soprattutto  non sana   nella famiglia che le offre lavoro. Viene inglobata nelle case, quasi sequestrata, diventa invisibile alla società (ancor di più se non ha documenti in regola), è facilmente ricattabile, le viene chiesta dedizione assoluta anche nella sfera affettiva quando deve occuparsi per esempio dei bambini. In poche parole si annulla.

Si tratta in questi casi di relazioni lavorative fondate profondamente sul precariato, quando non su forme più o meno subdole di schiavitù vera e propria,  che diventa arma di ricatto per pretendere ed ottenere sempre maggior dipendenza. Sono relazioni caratterizzate da una  grave dipendenza economica ed affettiva “a   senso unico”,  dove il bisogno di “protezione” della migrante viene pienamente soddisfatto dalla famiglia  che la accoglie e che riceve in cambio dedizione e disponibilità di tempo illimitata.

Tali relazioni lavorative hanno insite in sè processi di degradazione della persona,  la quale  finisce per annullarsi nel punto esatto in cui i componenti della  famiglia che la ospitano  ne ricavano  tempo e risorse da investire nel miglioramento della qualità delle proprie vite e della gestione delle loro attività professionali. La serenità e  qualità di vita decisamente elevate per le famiglie autoctone si raggiungono cosí al prezzo della disgregazione  e della dispersione di migliaia di nuclei familiari del Sud del mondo.  Le famiglie di origine delle donne migranti  spesso si vedono private di un importante cardine di riferimento,  soprattutto nelle comunità rurali e indigene.  Si creano così le “famiglie trasnazionali” dove i vari membri sono dislocati in paesi diversi e il cui filo conduttore che li tiene uniti spesso è rappresentato unicamente dalle rimesse in  denaro. Un terremoto relazionale   di dimensioni impensabili e dalle conseguenze imprevedibili sulla stabilità del tessuto umano e sociale di interi paesi.

Ancora una volta spetta alla donna la cura del proprio nucleo familiare, anche da molto lontano. Con la femminilizzazione dei flussi migratori infatti sono proprio le donne che si devono farsi  carico dei  ricongiungimenti familiari, la cui realizzazione diventa  sempre più difficile  a causa delle nuove politiche anti-immigrazione dei governi europei.

Alcuni studi evidenziano tuttavia  come alcune volte  la migrazione femminile rappresenta per migliaia e migliaia di donne la possibilità di sfuggire a relazioni violente o pericolose nei loro paesi di origine e per altre costituisce effettivamente una possibilità di ottenere indipendenza e di potersi realizzare lontano da nuclei patriarcali fortemente limitativi o soffocanti,

In  realtà le donne migranti rappresentano una fonte di  manodopera  a basso costo che ha come unica funzione quella di permettere ai nuclei familiari del  primo mondo di mantenere uno stile di vita qualitativamente accettabile, nonostante i ritmi frenetici della vita nelle grandi città e la sempre maggiore quantità di tempo dedicata alle attività lavorative e imprenditoriali da parte delle donne occidentali.

Non solo. La presenza di donne immigrate  nelle case delle nostre città, come badanti o baby sitter o come donne di servizio permette alle famiglie  di poter sopperire a un prezzo relativamente basso alla sempre maggiore carenza nel welfare da parte dei governi europei e degli Stati Uniti.

Lˈ Italia, che ha per esempio  il più alto numero  di abitanti  con oltre 65 anni di età è anche il paese che ha meno numero di posti letto in residenze per anziani e si colloca  allˈ ultimo posto per il numero degli  anziani assistiti a domicilio (appena lˈ 1%).

I servizi  di assistenza familiare e di cura a bambini ed anziani, che in passato a prezzo di grandi lotte e rivendicazioni si era riusciti a rendere almeno in parte di  competenza di alcune strutture pubbliche,   stanno tornando a rappresentare un pesante fardello per molti nuclei familiari e questo a causa delle politiche di destra o di estrema destra di molti governi europei.

Spazi  sociali  in cui la partecipazione  e la solidarietà riuscivano  a dare un sostegno importante alle donne la cui individualità era schiacciata tra la cura dei figli, il lavoro e in alcuni casi la cura dei familiari più anziani del nucleo familiare,   si perdono giorno dopo giorno in una società in cui gli spazi di  condivisione con lˈaltro vengono quotidianamente  annullati  dallˈ idiozia teletrasmessa  o dallˈ altra forma di idiozia generalizzata rappresentata dal   consumismo sempre più compulsivo.

Si tratta,  almeno in Europa,  di intere società che stanno registrando una pericolosa regressione verso posizioni conservatrici o reazionarie per cui anche le donne europee che negli anni scorsi hanno lottato duramente per alcune conquiste in termini di liberazione e di raggiungimento di indipendenza economica ed affettiva e che oggi ne godono i frutti, si trovano ad applicare modelli di sfruttamento lavorativo e discriminatorio verso altre donne.

Eˈ  tutta la società che  sta  registrando un pericoloso spostamento a destra della coscienza collettiva,  creando nel caso specifico  un sistema di cura delle famiglie improntato sulla formalizzazione, tramite queste particolari forme di rapporto di lavoro,  delle classi sociali, concetto da molti revisionisti  considerato fuori moda o antiquato.

Una tendenza al ribasso per lo sviluppo dellˈessere umano e che purtroppo non è caratteristico solo dei paesi occidentali o del Nord del mondo. In America latina la definizione delle classi sociali nellˈambito della cura e dellˈassistenza delle famiglie ha una struttura possiamo dire  “piramidale”. Le collaboratrici domestiche che lavorano nelle case delle classi piú abbienti hanno a loro volta in casa baby sitter o bambinaie o donne ad ore proveniente da un gradino della scala sociale immediatamente inferiore a quello in cui si trovano  e così via, creando vere e proprie catene di sfruttamento “al femminile”. Rari, in questo settore lavorativo, ovunque nel mondo,    sono infatti i casi in cui si può parlare di  rapporti di lavoro improntati sulla corretteza e sul rispetto del prossimo.  Mancanza di veri e propri contratti di lavoro, salari sempre più bassi,  violenze sessuali ed abusi, orario troppo lungo, maltrattamenti verbali e a volte anche fisici. Per tutta questa serie di motivi il Fondo delle Nazioni Unite per le Donne (UNIFEM) colloca  lo sfruttamento delle collaboratrici domestiche tra le 16 diverse forme di  violenza di genere, mentre alcuni studi arrivano a parlare di schiavitù o semi-schiavitù domestica.

Ai  già noti fattori discriminatori  ai quali sono sottoposti i  migranti in genere e che sono quelli di  razza e di classe, alla componente femminile dei flussi migratori  si aggiunge anche quello di genere.

Si parla pertanto di una “doppia, tripla e a volte anche quadrupla discriminazione”, [3]una “trimurti di caratteri” impressa come un marchio a fuoco sul petto delle donne migranti.[4]

Tali forme di sfruttamento nelle nostre case, lo sfruttamento delle donne verso altre donne,  quelle delle classi piú elevate su quelle povere, migranti o non, alla fine vuol significare una cosa sola: la donna non si è ancora liberata dai ruoli che la società le riserva da millenni. La cura della casa, dei bambini, dei genitori anziani se non può essere a carico della donna europea o statunitense  che lo sia a carico di una filippina, di una rumena, di una peruviana ma purché rimanga strettamente a carico di una donna.   La tanto sospirata parità allˈ interno  della coppia  la donna  non lˈha sicuramente ottenuta  ma è lungi dallˈ immaginarla anche allˈ interno della società.

Il fatto che la donna ricca, magari indipendente economicamente dal marito, con una vita professionale soddisfacente,  abbia bisogno oggi  di sfruttare altre donne per garantirsi la cura della propria casa o della propria famiglia, vuol dire soltanto che non è riuscita ad ottenere dal proprio compagno o marito la  condivisione del lavoro nelle  incombenze domestiche e nella cura dei figli. Rivendicazioni gridate a gran voce nei cortei femministi dei decenni scorsi, magari giustificate da manuali di moderna puericultura… la realtà dimostra purtroppo che certi compiti e ruoli sono ancora di esclusiva competenza dellˈ universo femminile.

 

 

 


[1] Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini. Entrato in vigore il 25 dicembre 2003

[2] CEPAL:  “Mujeres migrantes de América Latina y el Caribe: derechos humanos, mitos y duras realidades” — Patricia Cortés Castellanos

[3] Ambrosini M. Sociologia delle Migrazioni, il Mulino 2005

[4] Campani 2003


Lettera al ministro Frattini sui detenuti italiani a Santo Domingo

3 commenti

COMMISSIONE NAZIONALE DEI DIRITTI UMANI INC, CNDH

Anno del XV anniversario

AL : Ministro degli Affari Esteri

ATTENZIONE : Ministro FRANCO FRATTINI

DA PARTE DI: : DR. MANUEL M. MERCEDES MEDINA

LICDA. JUANA M. LEISON GARCIA

SRA. ANNALISA MELANDRI

OGGETTO : Situazione dei detenuti nel Carcere Modello di Najayo (San Cristóbal) Santo Domingo:

AMBROGIO SEMEGHINI

LUCIANO VULCANO

N.M.

Onorevole Ministro:

Ci rivolgiamo a Lei molto cortesemente porgendoLe innanzitutto un cordiale e affettuoso saluto.

La presente per esprimerLe la nostra preoccupazione per i detenuti rispondenti ai nomi di AMBROGIO SEMEGHINI, LUCIANO VULCANO e N.M. che si trovano reclusi nel carcere Modello di Najayo (San Cristóbal) Santo Domingo.

Per verificare le loro condizioni ci siamo recati al suddetto carcere il giorno 22 (ventidue) del mese di Settembre dell’anno in corso. La nostra delegazione era formata dal DR. MANUEL MARIA MERCEDES MEDINA dominicano, maggiorenne, titolare del documento n. 001–0234211-0 Avvocato della Repubblica Dominicana, nella sua carica di Presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) e la D.SSA JUANA MAGALIS LEISON GARCÍA dominicana, maggiorenne, titolare del documento 001–0504272-5, Avvocato della Repubblica Dominicana e nella sua carica di Coordinatrice del Programma di Assistenza Giuridica e Segretaria Atti e Corrispondenza della Giunta Direttiva della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), insieme alla SIG.RA ANNALISA MELANDRI, italiana, maggiorenne, giornalista e collaboratrice di alcune associazioni internazionali per la Difesa dei Diritti Umani.

La presente comunicazione è per esprimerLe pertanto le seguenti situazioni:

LUCIANO VULCANO, di nazionalità italiana, maggiorenne (55 anni), si trova in regime di carcere preventivo dal giorno 23 ottobre del 2009.

E’ stato visitato dall’ incaricato dell’ Ambasciata italiana, Sig. ROBERTO MORA soltanto due volte e dopo 33 giorni di detenzione. Le sue condizioni di salute sono gravi, ha contratto in carcere un infezione al sangue che si sta propagando in tutto il corpo dovuta alle scarse condizioni igieniche. Per questo ha bisogno continuamente di antibiotici che sta prendendo dal mese di maggio e per la scarsa qualità dell’acqua che i detenuti sono costretti a bere, soffre di ritenzione idrica.

AMBROGIO SEMEGHINI, di nazionalità italiana, maggiorenne (58 anni) si trova in regime di carcere preventivo dal giorno 19 Dicembre del 2009 per presunta violazione degli articoli 295, 304 del Codice Penale Dominicano (Omicidio) .

Rispetto alle sue condizioni di salute bisogna segnalare che presenta un problema all’ occhio sinistro, probabilmente dovuto a un momento precedente al suo arresto, ma dal PATRONATO del carcere ci segnalano che corre il rischio di perdere anche l’altro occhio perchè ha bisogno di cure mediche specialistiche che non gli vengono fornite. Inoltre ha bisogno di assistenza odontoiatrica.

Ambrogio Semeghini denuncia inoltre di essere stato oggetto di un attentato, motivo per il quale è stato trasferito ad un altro reparto del carcere per la sua sicurezza personale in quanto teme per la propria vita.

E’ stato visitato dal Sig. ROBERTO MORA, incaricato dell’Ambasciata d’ Italia nel paese per l’assistenza ai detenuti, per la prima volta dopo 59 giorni di detenzione e ad oggi per un totale di 3 volte.

Ha iniziato uno sciopero della fame il giorno 1 Settembre che è stato portato avanti per 13 giorni e dopo 5 giorni ha avuto bisogno di assistenza medica perchè per le sue condizioni fisiche, già debilitate dalla detenzione, dalle condizioni igieniche e sanitarie e dalla scarsità di cibo, non riusciva a sopportare lo sciopero della fame e si trovava in uno stato di disidratazione molto forte.

N.M., di nazionalità italiana, maggiorenne, (47 anni) sta scontando una condanna definitiva a tre anni per “sospetto” narcotraffico, per presunta violazione alla legge 50/88.

Dopo essere stato recluso nel Carcere Pubblico de La Victoria per due anni e due mesi è stato trasferito volontariamente al Carcere Modello di Najayo (San Cristóbal). Tra quattro mesi dovrebbe concludere la sua pena.

Le sue condizioni di salute sono molto gravi, soffre di un’ infezione al sangue e ha subito tre infarti, per cui lo stesso direttore del carcere ha richiesto l’ intervento dell’Ambasciata senza ottenere risposta. E’ stato ricoverato e alle dimissioni dell’ ospedale l’Ambasciata non ha pagato il suo conto. La direzione sanitaria del carcere teme che possa subire un infarto serio.

Dal momento della sua detenzione nel Carcere Modello di Najayo è stato visitato dal Sr. ROBERTO MORA, incaricato dell’Ambasciata, due volte e nel Carcere de La Victoria soltanto sette volte in due anni e mezzo di detenzione.

DICHIARAZIONI DEI DETENUTI

Le inaccettabili condizioni di detenzione dei tre detenuti richiedono un intervento urgente da parte della Sede Diplomatica italiana nella Repubblica Dominicana.

Possiamo senza dubbio denunciare che fino a questo momento l’ Ambasciata d’Italia non ha compiuto al suo dovere fondamentale che è quello di offrire assistenza e aiuto ai suoi concittadini che si trovano in difficoltà allˈestero.

L’ Associazione Secondo Protocollo, che si occupa di detenuti italiani all’ estero, ci informa tramite il suo rappresentante Sig. Londei Franco, che il Ministero degli Affari Esteri in Italia non possiede dati corretti sull’ operato della medesima Ambasciata rispetto per esempio alle visite effettuate dal suo incaricato ai tre detenuti. Le informazioni in loro possesso sono diverse da quelle che i detenuti hanno confermato al Sig. Londei prima e poi alla nostra delegazione in visita al Carcere Modello di Najayo.

Inoltre il Ministero dichiara che l’Ambasciata ha mantenuto comunicazioni con i familiari e con gli avvocati dello stesso SEMEGHINI mentre lui ci ha comunicato che cosí non è stato.

I detenuti dichiarano inoltre che il Sr. ROBERTO MORA non mostra interesse per la loro situazione, che li visita soltanto 3 o 4 volte all’ anno e che il denaro che consegna loro da parte dell’Ambasciata non è suficiente alle loro necessità basilari.

Non hanno mai ricevuto assistenza legale da parte dell’Ambasciata e quando chiamano gli uffici della stessa il credito della scheda telefonica gli si consuma interamente perchè vengono lasciati in attesa per molto tempo. Vengono inoltre trattati in modo arrogante e insolente e va segnalato che in tutti e tre i casi gli avvocati che li hanno assistiti hanno cercato di approfittare della loro situazione.

Lo stesso direttore del Carcere di Najayo ha chiesto un intervento serio dell’Ambasciata preoccupato dalle gravi condizioni di salute del Sr. NADALIN e del Sr. SEMEGHINI senza ricevere risposta.

CONCLUSIONI GENERALI

I tre detenuti vivono in condizioni igienico-sanitarie inaccettabili. Vengono negati i loro diritti fondamentali come l’accesso all’acqua e alla sicurezza personale, per lavarsi dispongono di 20 once di acqua al giorno, dormono sul pavimento a meno di non pagare 1,500.00 pesos mensili per dormire su un rialzo di cemento di 10 centimetri, devono pagare per acqua potabile, per il bagno, sono discriminati dagli altri detenuti, e il detenuto SEMEGHINI è stato oggetto di un attentato mentre il detenuto NADALIN ha ricevuto due coltellate e gli hanno gettato acqua bollente su un braccio. La loro sicurezza è un problema molto serio.

Hanno bisogno di molte medicine e devono pagarle tutte. La cosa assurda è che l’Ambasciata d’ Ítalia gli richiede per l’invio dei medicinali la prova della ricetta. Ci è stato confermato che l’unica ambasciata che richiede la ricetta per l’ invio delle medicine è quella italiana.

RACCOMANDAZIONI

PRIMA : L’ambasciatore d’Italia a Santo Domingo visiti i tre detenuti dal momento che la sua presenza è stata richiesta espressamente da loro per potergli parlare personalmente.

SECONDA: Che si attivi inmediatamente per offrire sostegno economico ai tre detenuti per le loro necessità immediate.

TERZA : Che si realizzi la comunicazione inmediata con i familiari e i loro avvocati.

QUARTA : Che venga inviato un medico che possa relazionare sulle condizioni di salute dei tre detenuti e che prepari una relazione quanto prima.

QUINTA : Non rispondendo alle raccomandazioni di cui sopra ci vedremo obbligati a responsabilizzare di ogni situazione l’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo per ogni cosa che possa capitare ai tre detenuti italiani nel Carcere Pubblico di Najayo.

Redatto in Repubblica Dominicana, Distrito Nacional, il 13 Ottobre del 2010.


DR. MANUEL M. MERCEDES MEDINA  Presidente

LICDA. JUANA M. LEISON GARCIA  Segretaria Atti e Corrispondenza

SRA. ANNALISA MELANDRI  Collaboratrice per la Difesa dei Diritti Umani





Intervista all’Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia Luis José Berroterrán Acosta

1 commento


di Annalisa Melandri

Questa intervista é stata pubblicata nel numero di Settembre della Rivista ALBA.


A.M. —  Potrebbe spiegare in cosa consiste l’Alleanza Bolivariana per le Americhe, quali sono i Paesi che ne fanno parte e gli obiettivi comuni?

J.L.B.A. — L’ Alternativa Bolivariana per le Americhe nasce come progetto alternativo volto a contrastare le politiche asimmetriche dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), creata dagli Stati Uniti d’America e dai Trattati di Libero Commercio, negoziati bilateralmente da questi ultimi con i Governi del continente.  Tali accordi rappresentarono un’evoluzione del concetto di globalizzazione nato a seguito della caduta del muro di Berlino, dove lo sviluppo informatico della produzione avrebbe permesso di inondare il mercato mondiale attraverso un gruppo limitato di produttori, condannando l’America Latina a divenirne il fornitore di materie prime permanente.

A partire dalla data della sua fondazione, il 14 dicembre 2004, su iniziativa del Governo del Venezuela e di quello di Cuba, e una volta che tale progetto di integrazione si consolidò, il nome venne modificato in Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America, in modo da arricchirlo ulteriormente attraverso l’introduzione del Trattato di Commercio con i Popoli, ALBA-TCP.

L’ ALBA promuove la trasformazione delle società latinoamericane, al fine di renderle più giuste, più colte, più partecipative e solidali, e dunque è concepita come un processo integrato destinato a garantire l’eliminazione delle disuguaglianze sociali, a migliorare la qualità della vita ed incoraggiare una partecipazione effettiva dei popoli nella costruzione del loro stesso destino.

Attualmente è composta da otto Paesi Membri: Cuba, Bolivia, Mancomunidad de Dominica, Ecuador, Nicaragua, Antigua e Barbuda, Venezuela, Saint Vincent e Grenadine, nazioni che compongono uno spazio di cooperazione che possiede 73 milioni di abitanti e 2,6 milioni di Km².

Altre nazioni latinoamericane attualmente fanno parte dell’ALBA in qualità di osservatori all’interno di differenti progetti, come per esempio PETROCARIBE, e stanno valutando la possibilità di entrarne a far parte completamente: Republica Dominicana, Guatemala, Paraguay, Haiti, El Salvador.

Le aree comuni promosse dai Paesi ALBA-TCP sono le seguenti:

Agricoltura, terra e alimentazione

Ambiente e cambiamenti climatici

Scienza e tecnologia

Cultura ed educazione

Democrazia, politica e partecipazione

Economia, produzione e  finanza

Enrgia e petrolio(Petrocaribe)

Sovranità, geopolitica, forze armate, sicurezza, difesa

Integrazione regionale

Telecomunicazioni e mezzi di comunicazione

Memoria storica

Forze politiche e movimenti sociali

Diritti umani, giustizia sociale e pari opportunità

Multipolarità endogena

Potere locale ed organizzazione comunitaria

Popoli originari

Salute pubblica e servizi ospedalieri

Solidarietà

Integrazione Sud-Sud

Trasporti e Infrastrutture

Turismo sociale, sport e ricreazione


A.M. — Quali sono le principali mete raggiunte dall’Alleanza Bolivariana delle Americhe a partire dal momento della sua creazione?

J.L.B.A. — Guardando ai Paesi non come semplici cifre di mercato ma come popoli, sorse tra i governi avanguardisti della regione l’idea di trasformare le loro società per renderle più giuste, più colte, più partecipative e solidali tra loro.

Per raggiungere tali obiettivi, l’ALBA si fonda su una serie di principi e basi essenziali:

1.- Il commercio e gli investimenti non devono essere fini a se stessi, ma devono rappresentare strumenti utili al raggiungimento di uno sviluppo equo e sostenibile, dal momento che una vera integrazione latinoamericana e caraibica non può essere figlia cieca del mercato, e nemmeno può rappresentare una semplice strategia per ampliare i mercati esteri o stimolare il commercio. Affinchè questo principio possa sussistere, è necessaria un’effettiva funzione dello Stato come regolatore e coordinatore dell’attività economica.

2.- Deve esistere un trattamento speciale e differenziato, che tenga in considerazione il livello di sviluppo dei diversi Paesi e la dimensione delle loro economie e che garantisca l’accesso degli stessi ai benefici derivanti dal processo d’integrazione.

3.- Tra i Paesi membri e produttori deve esistere complementarità economica e cooperazione, non competizione, in modo che venga promossa una specializzazione produttiva, efficiente e competitiva che risulti compatibile con lo sviluppo economico equilibrato di ogni Paese, attraverso strategie di lotta alla povertà e con la conservazione dell’identità culturale dei popoli.

4.- La cooperazione e la solidarietà devono esprimersi attraverso piani speciali rivolti ai Paesi meno sviluppati della regione: essi includono il Piano Continentale contro l’Analfabetismo, che usa tecnologie moderne già utilizzate in Venezuela, un piano latinoamericano di trattamento gratuito della salute, rivolto ai cittadini che non hanno accesso a tali servizi, ed un piano di borse di studio a livello regionale nelle aree di maggiore interesse per lo sviluppo economico e sociale.

5.- Creazione del Fondo di Emergenza Sociale, proposto dal Presidente Hugo Chávez durante il Summit dei Paesi sudamericani, svoltosi recentemente ad Ayacucho.

6.- Sviluppo integrato delle comunicazioni e dei trasporti tra i Paesi del latinoamerica e del caribe, che includa piani di costruzione di strade, ferrovie, linee marittime e aeree, telecomunicazioni, etc.

7.-  Promozione di azioni che favoriscano la sostenibilità dello sviluppo attraverso norme che proteggano l’ambiente, stimolino un uso razionale delle risorse ed impediscano la proliferazione di proprietari scialacquatori di consumo, lontani dalla realtà che vivono i nostri popoli.

8.- Promozione di un’ integrazione energetica tra i Paesi della regione, che assicuri una fornitura stabile di prodotti energetici a beneficio delle società latinoamericane e caraibiche, così come avviene nella Repubblica Bolivariana del Venezuela attraverso Petroamérica.

9.- Incoraggiamento agli investimenti di capitali latinoamericani in America Latina e nel Caribe, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dei Paesi della regione dagli investitori stranieri. A tal fine si creerebbero alcuni appositi strumenti, come un Fondo Latinoamericano per gli Investimenti, una Banca per lo Sviluppo del Sud e la Società di Garanzie Reciproche Latinoamericane.

10.- Difesa della cultura latinoamericana e caraibica e dell’identità dei popoli della regione, con particolare riguardo ed incoraggiamento nei confronti delle culture autoctone ed indigene.  Creazione della Televisione del Sud (TELESUR) come strumento alternativo al servizio della diffusione delle nostre realtà.

11.- Promozione di misure che facciano sì che le norme sulla proprietà intellettuale, proteggendo il patrimonio dei Paesi latinoamericani e caraibici dalla voracità delle imprese transnazionali, non diventino un freno alla necessaria cooperazione tra tutte le terre dei nostri Paesi.

12.- Concertazione di posizioni nella sfera multilaterale e nei processi di negoziazione di ogni genere, con Paesi e blocchi di altre regioni, includendo la lotta per la democratizzazione e la trasparenza negli organismi internazionali, con particolare riferimento alle Nazioni Unite ed agli organi ad esse connessi.


A.M. —   Tra gli obiettivi principali, come ci ha spiegato, vi è la riduzione delle differenze esistenti tra il livello di sviluppo dei vari Paesi che compongono il Latinoamerica. Questo rappresenta un passo fondamentale per raggiungere l’integrazione latinoamericana. Fino a che punto è stato realizzato tale obiettivo? Quali strumenti sono stati creati per permettere ai Paesi economicamente più deboli di avvicinarsi al livello di sviluppo di quelli più sviluppati?

J.L.B.A. - Con la nascita dell’ALBA l’integrazione regionale ha smesso di essere un meccanismo commerciale di depredazione dei popoli e del loro ambiente per trasformarsi in un processo di alleanza solidale, inclusivo e pieno di speranze.

Nell’ALBA-TCP il commercio e gli investimenti non vengono visti come fini a se stessi ma come strumenti per permettere uno sviluppo equo e sostenibile. Viene offerto un trattamento speciale ai Paesi più piccoli al fine di ottenere uno sviluppo complementare e promuovere la cooperazione tra tutti i Paesi. L’ALBA possiede un forte orientamento alla giustizia sociale, e si propone di affrontare e risolvere le asimmetrie esistenti in maniera diretta, attraverso convegni, progetti e piani d’aiuto, come le Missioni Sociali o le transazioni compensatorie esplicite. In tal senso, l’ ALBA-TCP rappresenta una totale rottura con la visione classica ed economicistica dell’integrazione e della cooperazione allo sviluppo. Al contrario, cerca di sviluppare un’alleanza politica strategica, storica, che possa unire le capacità ed i punti di forza dei suoi Membri per poter, in tal modo, liberare i suoi popoli e costruire la Patria Grande sognata da Miranda, Bolívar, Martí e Sandino. In tal senso, integrazione e cooperazione allo sviluppo nell’ALBA-TCP sono sinonimi. La visione sistemica dell’insieme dei Paesi Membri, integrati in modo solidale, e’ quella che permette di inquadrare e promuovere azioni nazionali e di renderle effettive.


A.M. — L’attuale crisi economica sta avendo effetti disastrosi sull’economia Europea e ciò si ripercuote tragicamente nel mondo del lavoro, con l’aumento del tasso di disoccupazione e di povertà. In che misura la crisi sta avendo ripercussioni sull’America Latina e quali risposte sta offrendo o sta cercando di offrire l’ALBA?

J.L.B.A. — I Paesi dell’ALBA-TCP hanno deciso che l’uscita dalla crisi non può trovarsi all’interno di risposte oligarchiche ed erronee che non considerino i popoli, né nella pretesa di rifondare un sistema finanziario internazionale che ha bisogno di essere sostituito con un altro in cui prevalga la solidarietà.

In tal senso i Presidenti di Ecuador e Venezuela rappresentano i più acerrimi difensori del recupero delle banche centrali, al fine di mettere queste ultime sotto il controllo pubblico. Per esempio, nel nostro Paese si cerca di esercitare un controllo pubblico sugli investimenti stranieri ed il cambio, in modo da poter evitare la fuga tempestiva di capitali e disarmare le strategie di destabilizzazione dell’oligarchia venezuelana.

A livello regionale l’America Latina ha proposto la creazione della Banca del Sud, associata              all’ UNASUR. Il suo obiettivo e’ quello di utilizzare le risorse fiscali dei suoi Paesi Membri come meccanismi di credito regionale volti al finanziamento di opere di integrazione e sviluppo regionale. In questo modo e’ nata l’idea di creare il Fondo del Sud, che utilizza una parte delle riserve monetarie per offrire un’assistenza rapida ed incondizionata in determinati casi, come per esempio nelle crisi monetarie per contagio, e diventa un meccanismo di autodifesa delle monete nazionali. Questo Fondo permetterà di compiere passi avanti nell’integrazione monetaria e nella creazione di una moneta comune, con l’obiettivo di sostituire il dollaro come moneta di scambio regionale.

L’ ALBA-TCP, a sua volta, ha creato un Sistema Unico di Compensazione Regionale (SUCRE), avviato per realizzare transazioni elettroniche che faciliteranno i flussi commerciali interregionali ed un progressivo abbandono del dollaro nelle relazioni commerciali interregionali e finanziarie tra i Paesi Membri, come presupposto per un Sistema Monetario e Finanziario Regionale. È stato creato un Consiglio di Compensazione Economica, attraverso l’integrazione delle aree dell’economia, della finanza, dell’industria, del commercio, della pianificazione e dello sviluppo: esso pianificherà gli investimenti necessari al soddisfacimento dei bisogni dei popoli di ogni nazione. Sono stati poi costituiti un Consiglio Monetario, una Camera di Compensazione, una Unita’ di Conto Comune ed un Fondo di Riserva e Convergenza Commerciale.


A.M. —  Tra le cause del Colpo di Stato in Honduras, vi era la decisione del Presidente Manuel Zelaya di unirsi all’ALBA, formalizzata nell’agosto del 2008. Considerando che l’ALBA costituisce un accordo di tipo economico-commerciale, gli Stati Membri come possono, uniti, far fronte a situazioni di questo tipo? Come possono reagire, a loro volta, rispetto al crescente interesse degli Stati Uniti d’America verso la regione, dimostrato recentemente  dall’istallazione di 7 basi militari nel territorio colombiano e dalla riattivazione della IV flotta?

Due fatti molto recenti confermano l’offensiva egemonica messa in atto dal Governo degli USA attraverso il Pentagono: essi costituiscono atti di aggressione contro tutta l’America Latina ed il Caribe. Risulta evidente, da parte degli USA, l’intenzione di concretizzare una dottrina politico-militare volta all’occupazione ed alla dominazione, a qualunque costo, di un territorio che da sempre e’ stato considerato come il loro cortile di casa, come è stato dimostrato dalla storia del “monroismo nordamericano”.

Il primo fatto riguarda il Colpo di Stato perpetrato in Honduras dalle classi borghesi protette dalla Missione Diplomatica nordamericana, avente alla radice l’intenzione di collocare un’urna addizionale non vincolante relativa al Referendum Costituzionale e di includere l’Honduras nell’ ALBA-TCP. Tale situazione, probabilmente, era stata condannata dal Presidente Obama, dalla sua Segreteria di Stato e da altre nazioni ed organizzazioni internazionali, ma senza dubbio è stata appoggiata dal Pentagono, che mantiene nella zona una base militare da dove, storicamente, vengono soffocati gli intenti liberatori nella regione e dove vengono addestrati i militari honduregni. Inoltre, e’ stata appoggiata dalla  United States Agency for International Development (USAID) e da altre ONG internazionali che inviano milioni di dollari per mantenere lo stato di fatto. Fortunatamente, il nuovo governo di El Salvador è stato già avvisato, e tutta l’America Latina conosce la situazione. I tempi dei Colpi di Stato sono tornati e le nazioni latinoamericane non accetteranno l’imposizione di governi non eletti sovranamente dai propri popoli.

Questo Colpo di Stato ha cercato poi di legittimarsi attraverso delle elezioni totalmente illegittime, dal momento che sono state realizzate sotto un regime dittatoriale, senza nessun tipo di garanzia per i cittadini né di diritti umani per i difensori del Presidente legittimo degli Honduregni.

Il secondo fatto riguarda la riattivazione della IV Flotta del Comando Sud degli USA (disattivato nel 1948, più di sessant’anni fa) e l’accordo tra USA e Colombia a seguito del mancato rinnovo della concessione della base militare di Manta in Ecuador. Dietro questo scenario è sorta una nuova strategia di controllo: l’occupazione e l’istallazione di sette basi militari in territorio colombiano utilizzando la scusa che si tratti di un piano per combattere il narcotraffico ed il terrorismo, quando invece l’investimento multimilionario durante l’implementazione del Plan Colombia ha portato risultati molto tristi.

Inoltre, gli Stati Uniti si arrogano la prerogativa di definire chi è terrorista e chi non lo è nel mondo. Allo stesso modo, si muovono sulla base del principio di guerra preventiva, dove un sospetto basta a giustificare un’azione bellica. L’America Latina e’ messa alla prova ed ogni Paese ed ogni gruppo di integrazione continuerà a difendersi come ha fatto il “Bravo Pueblo” dell’Honduras per difendere la sua democrazia.

Non a caso le artiglierie che puntano ai Paesi dell’ ALBA, al Venezuela, alla Rivoluzione Bolivariana e ai progetti di integrazione sono circondate da nientemeno che tredici basi statunitensi, situate in Colombia, Panama, Aruba e Curaçao, cosi come dalle portaerei e le navi da guerra della IV Flotta e dal Piano Merida.

Tutto ciò indica che gli sforzi volti a destabilizzare i Paesi impegnati nella lotta all’emancipazione ed il blocco contro Cuba sarannno mantenuti,  e che vi saranno altre aggressioni. L’esperienza golpista in Honduras dimostra che si è passati solamente ad un “neo-golpismo”, che possiede una maschera democratica non sprovvista dell’appoggio del Pentagono, anche se l’amministrazione di Obama tende a negarlo.

Questo dispiegamento di forze paramilitari non ha ricevuto sanzioni né a livello internazionale, né in seno alle Nazioni Unite e nemmeno da parte dell’Unione Europea, ed il fatto più triste è che Paesi fratelli hanno perso la propria sovranità nazionale permettendo alle truppe americane di rimanere nel loro territorio.

Sono certo che i popoli della nostra America Latina che sostengono i cambiamenti progressisti non permetteranno che si commetta un nuovo crimine contro la democrazia.


A.M. —  In Italia ed in Europa l’informazione che arriva dall’America Larina e, in particolare, dai Paesi con Governi progressisti di sinistra o centro-sinistra viene manipolata e filtrata dai mezzi di comunicazione, offrendo una visione distorta e molte volte falsa. Che supporto può offrire, secondo lei, una rivista come “ALBA” all’informazione, in relazione ai temi latinoamericani?

J.L.B.A. — La Rivista «ALBA» costituisce uno strumento di cui la comunità italiana aveva bisogno e serve a contrastare la manipolazione mediatica e l’opinione venduta sul Venezuela.

La linea editoriale dei mezzi privati risponde agli interessi delle grandi imprese transnazionali, quindi una rivista che presenti un’informazione chiara sulla politica bolivariana e, inoltre, sotto l’egida dell’integrazione latinoamericana, credo costituisca, senza alcun dubbio, un elemento positivo.

L’obiettivo fondamentale è quello di far conoscere ciò che si sta facendo, attraverso la veridicità dei fatti e delle fonti, in modo da poter rafforzare la politica di comunicazione e d’informazione. Citando una poesia di Mario Benedetti, vedo che ciò che sta succedendo nel nostro Paese e nel nostro Continente è necessario e «cosa accadrebbe se un giorno ci svegliassimo e ci rendessimo conto di essere la maggioranza? Cosa succederebbe se anziché continuare ad essere divisi ci moltiplicassimo, ci sommassimo e fermassimo il nemico che interrompe il nostro passo?».

La consegna di un’informazione di prima mano, realizzata da giornalisti progressisti, latinoamericani ma anche italiani che hanno conosciuto la realtà dei nostri Paesi, è un qualcosa di nuovo per questa società. Infatti, se non venisse compreso sin dalle sue basi il processo di trasformazione che sta vivendo l’America Latina, non potremmo comprendere l’importanza della costruzione di questo processo stesso; quindi, senza questa Rivista sarebbe molto facile cadere nella disinformazione che viene venduta tutti i giorni attraverso la radio, la stampa e la televisione contro il Venezuela, l’ALBA-TCP ed i Paesi seguaci di un processo di cambiamenti sociali di sinistra, il cui obiettivo centrale è il raggiungimento di una democrazia partecipativa che coinvolga il cittadino nell’assunzione delle decisioni.

In Venezuela, ultimamente, è stato inaugurato un movimento chiamato “le guerriglie comunicazionali”, che propone il coinvolgimento dei cittadini nelle questioni comunicative, al fine di moltiplicare le loro forme di espressione: esso nasce dalla pratica di un popolo che si erge a soggetto degli eventi. Così, nonostante il bombardamento mediatico non colpisca le menti dei venezuelani, la Rivista cerca di creare protagonisti che esprimano veramente i fatti che vive il nostro Continente.

Spero che questo mezzo di comunicazione abbia risonanza anche in altre città italiane, al fine di motivare i sostenitori dell’integrazione solidale latinoamericana a creare altri mezzi informativi e comunicazionali convenzionali e non convenzionali.


Colpo di Stato in Ecuador!

8 commenti

 

N.B. Correa poco fa, circa le 23 ora di Quito,  é stato liberato nel corso di un violento operativo condotto da un settore dell´ esercito a lui fedele.

Passano le ore e quanto sta accadendo in Ecuador appare sempre più chiaro.

Si tratta dellʹennesimo colpo di Stato contro un governo democraticamente eletto in America latina. Sembrerebbe roba dˈaltri decenni. Invece è il terzo ormai nella regione  dal 2002,  quando in Venezuela si cercò  di rovesciare  il governo legittimo  di Hugo Chávez, arrestandolo. Eʹ toccato poi nel giugno dello scorso anno all’Honduras di Mel Zelaya, letteralmente prelevato all´alba  in pigiama da casa sua dall´ esercito e cacciato dal paese.

Oggi è la volta dell’Ecuador, con il presidente Correa   sequestrato dalla Polizia Nazionale (la frangia golpista che si è esposta pubblicamente ma dietro la quale agiscono probabilmente forze politiche più grandi) presso l’Ospedale Militare.

Eʹ presto per fare qualsiasi  tipo di analisi su quanto sta accadendo  in queste ore in Ecuador.  Non si può dire ancora  se si sia trattato di unˈ azione studiata  a tavolino o se sia invece una situazione esplosa spontaneamente, anche se sembra onestamente difficile credere che azioni così violente ed organizzate possano sorgere da un moto spontaneo di malcontento.

E nemmeno ovviamente si  può dire  se  ci sia lo zampino o meno degli Stati Uniti, anche se come è prevedibile adesso,  ogni tipo di legame tra i diplomatici statunitensi in Ecuador con lˈ USAID piuttosto che con la CIA, tra l’altro scontati in alcuni paesi, viene ricondotto  direttamente al golpe. Proprio  il Segretario di Stato aggiunto in America latina Arturo Valenzuela , ha pubblicamente appoggiato il governo di Correa tramite i microfoni della CNN.

Alcuni analisti sono addirittura restii a definire  quanto sta accadendo  in queste ore come “colpo di stato” argomentando che  la Polizia non sta chiedendo formalmente la rinuncia di Correa o lo scioglimento del governo. E ‘quanto ha detto per esempio Adrián Bonilla, politologo, della Facoltà di Scienze Sociali (FLACSO) dell´Ecuador.

Tuttavia un presidente sequestrato e una televisione pubblica occupata, nonché un morto e una decina di feriti difficilmente si conciliano con una sommossa della Polizia, per quanto violenta possa essere.

Sicuramente  è  vero che nel paese un malessere serpeggiasse  da tempo  fra i settori più reazionari della società  e quella oligarchia conservatrice che dalla Bolivia al Venezuela, dall’Honduras  al Paraguay avvertono  sempre più spesso, mano a mano che vengono implementate politiche di inclusione e di concertazione tra i nuovi governi progressisti latinoamericani,  forti pruriti antidemocratici.

Probabilmente  è anche vero che  l’intenzione di mettere in pratica quello che è successo oggi covasse  già da tempo tra i vertici della Polizia e non è difficile pensare che anche settori dell’esercito abbiano dato la loro adesione,  salvo forse poi tornare indietro sui propri passi all´ultimo momento.

Formalmente la scintilla che ha acceso la miccia sarebbe stata la firma da parte di Rafael Correa della nuova legge sui Servizi Pubblici con la quale venivano eliminati premi e antichi privilegi di “casta” nel settore pubblico ma anche nel settore militare.Dietro alle frange golpiste dell´esercito, invece,  circolano voci sempre più  insistenti e fondate che ci sia il generale in ritiro Lucio Gutiérrez, ex presidente della Repubblica, nonché ex golpista (nel 2000  con l´ appoggio di migliaia di indigeni e di officiali di esercito e polizia destituì  il presidente Mahuad).

Lucio Gutiérrez,  intervistato dalla CNN,  non esita proprio in queste ore  a definire il governo del presidente Correa come “abusivo e totalitario”. Nel corso di un intervista, poco fa,   l´ex  presidente ha letteralmente vomitato spazzatura e accuse false i infondate  a ruota libera sulla figura di Correa: complice delle FARC, golpista (ha accusato Correa di aver intentato in passato un golpe contro di lui), fomentatore della  lotta di classe (insinuando che dietro l´ ammutinamento  della polizia ci sia lo stesso presidente),  uomo pericoloso che vuole implementare a ferro e fuoco il modello fallimentare del socialismo del XXI secolo,  burattino di Chávez e quant´altro…

Tuttavia, almeno pubblicamente il capo delle Forze Armate, generale Néstor Gonzales,  ha reiterato l’appoggio incondizionato dell´Esercito al governo e al presidente Correa e probabilmente proprio in questi minuti sono proprio le Forze Armate quelle che stanno cercando di far uscire il presidente dall´Ospedale Militare.

ULTIMA NOTIZIA: Quello che fino a questo momento si era evitato si sta verificando. In questi minuti lʹ ospedale è circondato dallʹ esercito che,  con un imponente operativo è riuscito a liberare il presidente. Ci sono stati forti scontri a fuoco e non ci conosce con esattezza se vi siano morti o feriti.

A livello internazionale il governo di Correa ha ricevuto l’appoggio di tutta la Comunità Internazionale.  Dall´ OEA  all´UNASUR,  che terrà questa notte una riunione straordinaria , dall´ ONU alla maggior parte dei governi della regione compreso quello degli Stati Uniti, sono molteplici e solidali le dichiarazioni di sostegno al governo di Rafael Correa.

Leggi anche gli aggiornamenti continui su Giornalismo Partecipativo

 

 


A una donna…

27 commenti

 

LA FAMIGLIA UCCIDE PIU’ DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Dividendo stanze, letti e sogni
incubi e desideri
con uomini bambini
spaventati dalla vita.
Una donna è poesia
eterea e sottile
la vedi e già non c’è più;
un uomo è il vento
che disperde nell’aria i versi di lei e le sue parole
e mette lucchetti ai sogni.
Una donna sogna il futuro
godendo del presente;
un uomo muore nel presente
negando il futuro.
L’uomo solo
ha paura di un verso incancellabile.
Un verso è genesi dell’epopea dell’amore.
Uomini bambini
spaventati dalla vita,
assassini delle donne.
(Annalisa Melandri)
22/09/2010
La violenza contro le donne viene attribuita alla devianza di singoli, mentre avviene principalmente all’interno del nucleo familiare dove si strutturano i rapporti di potere e di dipendenza.
L’aggressività maschile è stata riconosciuta (dati Onu) come la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo.
“Sono 6.271.000 le italiane che hanno subito dal partner violenze fisiche, sessuali o psicologiche in casa. Si tratta, spesso, di violenze ripetute (fra 2 e 10 episodi per il 46,1%): le violenze più gravi riguardano 1.572.000 donne, nel 95,9% dei casi è violenza fisica, ma è frequente che sia accompagnata anche da quella sessuale. E 2.077.000 donne per l’Istat sono state oggetto di stalking da parte di ex fidanzati o ex mariti, succubi di comportamenti persecutori (dalle telefonate agli appostamenti, dalle minacce alle e-mail) che impediscono loro di mettere definitivamente il punto ad una storia d’amore ormai finita.“

Appello a sostegno dei 32 prigionieri politici Mapuche in sciopero della fame in Cile

4 commenti

Pubblico qui di seguito l´ appello dell´ Associazione d´ Amicizia con il Popolo Mapuche,  rispetto alla situazione dei 32 prigionieri politici Mapuche che stanno portando avanti uno sciopero della  fame dal 12 luglio scorso.

Continui aggiornamenti sulla situazione a questo link.

Leggi inoltre:

Gli storici cileni con lo sciopero dei Mapuche di Gennaro Carotenuto

La fiera agonia mapuche di Luis Sépulveda


Appello a sostegno di 31  Prigionieri Politici Mapuche in sciopero della fame in Cile

dal 12 luglio 2010.

Italia, 9 agosto 2010

Negli anni 1990 si è costituito l’attuale movimento politico e sociale mapuche, che prosegue la lotta per il recupero del proprio territorio ancestrale e il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni, lotta che ha le sue radici nel conflitto con gli Spagnoli.

Le comunità che si contrappongono al estado chileno rifiutano la politica indigena e l’apertura al libero mercato che comporta una continua invasione del loro territorio originario. La risposta del estado è stata e continua ad essere l’applicazione della Ley Antiterrorista n° 18.314, del 16 maggio 1984, promulgata dalla dittura militare di Augusto Pinochet, che permette di ritenere tali azioni di protesta come “terrorismo”, di condannare numerosi esponenti del movimento, e di sottoporre a stretta sorveglianza le realtà mapuche in una vera e propria “militarizzazione del territorio”. I detenuti indigeni hanno risposto dichiarandosi “prigionieri politici mapuche”, uno status che è stato convalidato nel 2004 da l’allora Relatore Speciale delle Nazioni Unite per gli Affari Indigeni in visita ufficiale in Cile, Rodolfo Stavenhagen, e loro continuano così la loro lotta dall’interno delle mura del carcere.

È evidente il rifiuto del dialogo da parte dell’attuale democrazia cilena, che utilizza ancora oggi diversi strumenti repressivi creati durante la dittatura militare. Oltre a la Legge Antiterrorista n° 18.314, sono tuttora vigenti anche la Ley de seguridad del Estado, (Decreto de 3 marzo 1975) e il ricorso ai tribunali militari in cause civili.

Oggi sono circa 50 i prigionieri politici mapuche detenuti nelle diverse carceri del sud del Cile, a 36 di essi è stata applicata la legge Anti Terrorismo 18.314 e per le stesse accuse hanno luogo doppi processi, da parte della giustizia civile e di quella militare. Dal 12 luglio 2010, 22 prigionieri politici mapuche incarcerati nelle prigioni di Temuco, Concepción, Valdivia, provenienti di diverse comunità in zone di conflitto hanno iniziato uno sciopero della fame, a coloro se ne sono successivamente aggiunti altri dei carceri di Angol, Lebu, per un totale di 31 indigeni attualmente in sciopero della fame.


In allegato l’elenco dei prigionieri politici mapuche in sciopero della fame.(si può vedere nella sezione “Documenti di questo sito”)


Importanti organismi internazionali come Human Rights Watch, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani e il Relatore Speciale delle Nazioni Unite  sui Diritti Indigeni hanno segnalato che l’applicazione della “legge antiterrorista” viola i diritti umani dei mapuche reclusi, ostacola il giusto processo e permette l’uso di testimoni ignoti.

Chiediamo che il Cile  rispetti tutti gli accordi internazionali relativi ai Diritti Umani che ha ratificato, di conseguenza  chiediamo che realmente applichi la Convenzione ILO 169 dei popoli indigeni e “tribali” .


Esprimiamo la nostra preoccupazione per il fatto che nessun governo cileno, dal ritorno alla democrazia, abbia voluto instaurare un dialogo vero con i rappresentanti delle diverse comunità indigene che rivendicano il proprio territorio ancestrale nel sud del Cile, in particolare nelle regioni VIII de Los Rios e IX de La Araucanìa, dove la popolazione mapuche raggiunge un’alta percentuale.


Esprimiamo con forza la nostra preoccupazione per lo stato di salute dei prigionieri, per il gravissimo deterioramento fisico conseguente a questo tipo di protesta pacifica.

Esprimiamo preoccupazione anche per le famiglie di tutti i prigionieri politici mapuche, con particolare attenzione ai bambini, che da molto tempo subiscono abusi e violenza da parte della polizia, oltre alle condizioni di povertà e marginalità a cui sono costretti.

Chiediamo alle Istituzioni Internazionali e alle Organizzazioni non Governative per i Diritti Umani, fare un attento controllo e una speciale attenzione a ciò che accade in Cile, un interessamento attivo e immediato alla situazione di grave violazione dei diritti umani, un monitoraggio dei luoghi di detenzione con particolare attenzione al tentativo del governo cileno di mascherare i fatti, invece ascoltare le vittime, le associazioni umanitarie, nazionali ed internazionali e i difensori dei diritti umani che spesso sono stati ostacolati e, in alcuni casi, perfino  perseguitati.


In virtù delle relazioni fra Cile e Italia nel quadro dell’Accordo d’ Associazione con l’Unione Europea, chiediamo di appoggiare le azioni civili di protezione in favore delle vittime di questo lungo conflitto  e di sensibilizzare il pubblico  sulla problematica Popoli indigeni e Diritti Umani.


Facciamo nostre le richieste dei Prigionieri Politici Mapuche:


- Fine dell’applicazione in Cile della legge anti-terrorista 18.314

- Fine della militarizzazione del territorio ancestrale mapuche

- No ai tribunali militari

- Diritto a un giusto processo

- No alla discriminazione e repressione

- Libertà a tutti i prigionieri politici mapuche

Associazione di Amicizia con il Popolo MAPUCHE in Italia

Per le adesioni a questa iniziativa si prega rivolgersi alla sezione “contatto” di  www.ecomapuche.com



Inoltre potete esprimere la vostra protesta scrivendo a:

  • Sr. Sebastián Piñera Echenique, Presidente de la República, Palacio de la Moneda, Santiago, Chile. Fax:+56269049 58, E-mail: opiniónatpresidenciadotcl; Internetatpresidenciadotcl; mhansenatpresidenciadotcl


  • Sr. Andres Molina Magofke, Intendente de la IX Región de La Araucanía, Chile

Fax: 0056–45-968630 , 0056–45-968218, Fono: 0056–45-968600 , 0056–45-968200
Vicuña Mackenna N° 290  Temuco, Chile – contacto email  www.laaraucania.cl


  • Sr. Cristián Larroulet Vignau, Ministro Secretaría General de la Presidencia, Palacio de La Moneda, 1160 Entrepiso, Santiago, Chile, Fax: + 562 69 04 329, E-mail: gjoignantatminsegpresdotcl ;


  • Sr. Felipe Bulnes Serrano, Ministro de Justicia, Morandé 107, Santiago Casilla 21, Santiago, Chile, Fax: + 562 698 70 98, E-mail: minju@reuna. cl ; minjuatminjusticiadotcl  ; rmadridatminjusticiadotcl ;


  • Sr. Alfredo Moreno Charme, Ministro de Relaciones Exteriores, Teatinos 180, Santiago, Chile., Santiago, Chile, Email: aguerraatminreldotgovdotcl  (Directora Dirección de Derechos Humanos);


  • Sr. Hugo Gutiérrez Gálvez, Presidente de la Comisión de Derechos Humanos, Nacionalidad y Ciudadanía de la Cámara de Diputados, E-mail: hgutierrezatcongresodotcl


  • Senador Sr. Andrés Chadwick Piñera, Presidente de la Comisión de Derechos Humanos, Nacionalidad y Ciudadanía del Senado, E-mail: ddhhsenatsenadodotcl


  • Sr. Carlos Portales, Misión Permanente de Chile ante las Naciones Unidas en Ginebra, 58 rue de Moillebeau (4º piso),  CH-1209, Ginebra, Fax: + 4122.734.52. 97, Email: misginchile@ minrel.gov.cl


  • Sr. Carlos Appelgren, Missione del Cile nella Unione Europea, 106 rue des Aduatiques, 1040 Bruselas, Bélgica, Fax.: +32 (02) 736 49 94,Email: embachileatembachiledotbe  (embachileatembachiledotbe)  


  • Catherine Ashton, the High Representative of the European Union for Foreign Affairs

COMM-SPP-HRVP-ASHTONatecdoteuropadoteu  (COMM-SPP-HRVP-ASHTONatecdoteuropadoteu)  


  • Sr. Jaime Pérez Vidal, Jefe de la Delegación de la Unión Europea in Chile

delegation-chileatecdoteuropadoteu  (delegation-chileatecdoteuropadoteu)  


  • Nicola Ardito, Consejero Jefe de Sección Política, Comercio, Información y Prensa de la Delegación de la Unión Europea en Chile.  delegation-chileatecdoteuropadoteu  (delegation-chileatecdoteuropadoteu)  


  • Sr. Cristian Barros Melet , Ambasciata del Cile in Italia, , Via Po 23, 00198 Roma

Tel: 0039–06 8841449   Fax:0039–06 8412348  email: cnromaitatchileitdotit  (cnromaitatchileitdotit)  


  • CECT-SE Comisión Etica Contra la Tortura, Secretariado Europeo H.EDELSTAM   cectatsecretariadoeuropeodoteu  (cectatsecretariadoeuropeodoteu)  



Si annette inoltre link  elenco  alle ambasciate nei rispettivi paesi:

Ambasciate europee in Cile: http://ec.europa.eu/delegations/chile/travel_eu/embassies/index_es.htm

Ambasciate e consolati del Chile nel mondo. http://chileabroad.gov.cl/


Nota: Qualora voi vogliate scrivere direttamente alle autorità, si prega inviare copia al seguente indirizzo:  wenuykanatgmaildotcom  (wenuykanatgmaildotcom)  






Perú: amnistia e repressione

1 commento

 

Aggiornamento (17 settembre 2010)

In Perú il Congresso ha ritirato quasi all´ unanimitá (90 si, 1 no) l´amnistia per i militari. Sembra che la lettera che Mario Vargas LLosa ha inviato al presidente García chiedendogli la sospensione dei decreti abbia avuto piú potere di tutte le dichiarazioni di condanna ricevute in questi giorni dalla comunitá e dalle organizzazioni internazionali; sembra che un ora dopo averla letta García abbia chiesto al Congresso la revoca del DL 1097. Resta da derogare un altro decreto importante: quello che militarizza la protesta sociale. (Ringrazio la D.ssa Foresti per i preziosi aggiornamenti) .La lettera inviata a García da Mario Vargas Llosa e´stata pubblicata nel primo commento in calce all´ articolo.

Approvati senza una discussione parlamentare, i provvedimenti normativi che concedono di fatto l’amnistia ai militari coinvolti in crimini di lesa umanità. La reazione contraria delle principali associazioni in difesa dei diritti umani, contro cui il governo potrebbe scatenare una dura reazione delle forze dell’ordine


Dall’inviata Giulia M. Foresti *

Fonte : Volontari per lo Sviluppo

Attraverso quattro decreti legislativi, il governo di Alan Garcia prima di uscire di scena sembra voler fare un ultimo regalo ai militari e a coloro che — ora lo si può dire con certezza – sono gli alleati di sempre: i fujimoristi.

Approvati senza una discussione parlamentare, i provvedimenti normativi che concedono di fatto l’amnistia ai militari coinvolti in crimini di lesa umanità sono duramente criticati da tutti i più importanti organismi di diritti umani peruviani (tra cui spiccano Aprodeh e l’ Instituto de Defensa Legal). Da almeno 25 anni queste associazioni si impegnano affinché l’impunità non resti tale e perché siano sanate le ferite del conflitto armato interno, in cui morirono 70.000 persone per mano del gruppo terrorista [i] Sendero Luminoso e dello Stato, che invece di proteggere uccise. 
Grazie al loro lavoro e alla mobilitazione di parte della società civile, nazionale e internazionale, il Perù negli ultimi anni aveva fatto grandi passi avanti nel terreno della giustizia, ma questi decreti legislativi riaccendono lo spettro della impunità istituzionalizzata. Perfino la condanna già definitiva all’ex presidente Fujimori per crimini di lesa umanità potrebbe saltare.

In una conferenza stampa alla Coordinadora Nacional de Derechos Humanos (entità che riunisce a livello nazionale 64 ong che si occupano di diritti, unica esperienza simile in tutta l’America Latina), gli avvocati che sono riusciti a far condannare l’ex presidente hanno dato inizio a una battaglia che si preannuncia come lunga e difficile. In sala erano presenti anche molti familiari delle vittime dei crimini commessi dagli apparati deviati dello Stato, in particolare dal gruppo Colina, comandato direttamente da Fujimori. (altro…)


Nasce una nuova rivista: l’ALBA

6 commenti


Scarica AlbaAprile

E’ nata quest’anno l’ALBA, la nuova rivista per “l’amicizia e la solidarietà tra i popoli”, della cui redazione mi pregio di far parte.

La fotografia a lato  rappresenta la copertina del primo numero uscito nel mese di Aprile.

Qui di seguito sono riportati  alcuni stralci  dell’editoriale scritto da   Sergio Manes, direttore del Centro Culturale La Città  del Sole, che insieme all’Associazione “ l’Internazionale” cura la pubblicazione della rivista:

Il terreno principale di scontro diventa temporaneamente, allora, quello mediatico: è la guerra dell’informazione condotta con l’uso dosato di silenzi e di menzogne, le armi incruente che debbono preparare e legittimare l’uso di quelle di sterminio – bombardieri e truppe di liberazione – nella ennesima esportazione di libertà e democrazia, questa volta da parte dell’iperdemocratico Obama che diligentemente prepara il terreno suggerendo e avallando,  nei fatti, il colpo di Stato in Honduras, legittimando una ferocissima repressione preventiva in Perú contro i popoli indigeni o dislocando nella Colombia del fascista Uribe ben sette proprie basi militari da cui far partire al momento opportuno la crociata ”democratica”…

La scelta del Centro Culturale “La Città del Sole” e dell’Associazione “L’Internazionale” di dar vita a questo periodico è dovuta alla consapevolezza di doversi schierare in questa guerra dell’informazione. Siamo consapevoli che questo sarà un contributo piccolo, sicuramente inadeguato alla forza di convincimento dei media dell’avversario. Ma abbiamo l’ambizione di far conoscere ai lavoratori e ai giovani le straordinarie esperienze che i popoli latinoamericani vanno realizzando, fra mille difficoltà, non soltanto per la propria libertà, ma – nell’epoca della mondializzazione – anche per la nostra: il Venezuela, Cuba e gli altri paesi del Sud America – con le proprie diversità, ma anche con la comune tensione all’indipendenza e all’autogoverno – costituiscono uno straordinario laboratorio di ricerca  e di sperimentazione  per l’intera umanità che si prepara a conquistare – con la libertà, la partecipazione, la dignità – una dimensione umana al proprio futuro”.

La rivista Alba si prefigge pertanto lo scopo ambizioso di rappresentare un momento informativo qualitativamente importante per tutti coloro, singoli e realtà associative,  che hanno bisogno di sentire, vivere e percepire ancora oggi, in questa società sempre più guidata dalle fredde leggi economiche del mercato,  quell’internazionalismo solidale  che necessariamente deve essere il punto di partenza dell’impegno  politico e sociale di ogni militante.

L’America latina è un grande laboratorio. Da questa terra immensa e piena di contraddizioni sociali, economiche e politiche, nascono ormai quasi quotidianamente esperienze e proposte innovative che, paradossalmente, contrariamente a quello che è l’andamento generale della società capitalista e moderna, mettono al primo posto l’uomo, le sue necessità e i suoi bisogni. Non si sta idealizzando sicuramente quanto sta accadendo  in questa parte di mondo, ma  quello che avviene, che si percepisce e che si avverte,  può senza remore essere definito come un Umanesimo latinoamericano. Dove altrove si parla di crisi economica, di saggio di profitto, di prodotto interno lordo,di caduta delle quotazioni, dimenticando sempre più spesso  la dimensione umana e sociale in cui le nuove teorie e applicazioni economiche vanno ad  apportare  contributi e ad applicare modelli,   l’uomo in America latina ha ancora una valenza centrale e fondamentale. Probabilmente perché sono ancora molti, troppi i crimini che vengono commessi contro gli uomini in questa terra, probabilmente perché qui più che altrove la sopravvivenza  è una sorta di lotteria, e proprio perché qui si ha  ancora la necessità di conquistare diritti e confermare conquiste recenti,  in America latina   le passioni e le lotte, l’impegno politico e civile hanno ancora un senso. Se apparentemente potrebbe sembrare un discorso contraddittorio, tuttavia non lo è se si riflette sul fatto che dove l’ uomo soffre e lotta la sua umanità è ancora viva e tenace e dove invece il benessere materiale ed economico è una conquista generalizzata, è proprio lì che il capitalismo apre spazi per nuova disumana barbarie. Dall’America latina in definitiva esce il messaggio per cui ancora vale la pena combattere per i diritti negati. Non  a caso è la terra dove ancora lotta in armi,  contro una delle oligarchie più potenti e ricche, alleata con i trafficanti di droga più pericolosi del pianeta e appoggiata dalla prima potenza militare ed economica del mondo, la guerriglia più longeva e meglio organizzata militarmente dell’area.  Sto parlando delle FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia che  da oltre 50 anni sono in guerra permanente contro uno Stato criminale e terrorista. Non a caso in America latina, sopravvive la rivoluzione comunista più longeva e assediata del pianeta, la meravigliosa esperienza cubana che ancora oggi  tanti contributi importanti continua a proporre.

L’ Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) e  la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela ne sono proprio esempi concreti.

L’ALBA  ha lo “scopo storico fondamentale di unire le capacità e le risorse dei paesi che la integrano, con la prospettiva di produrre le trasformazioni strutturali ed il sistema di relazioni necessarie per ottenere lo sviluppo integrale richiesto per continuare ad esistere come nazioni sovrane e giuste”, si legge in un documento pubblicato sulla pagina web dell’ALBA. (altro…)


La Corte Penale Internazionale e la Colombia. La falsa notizia della “denuncia” contro Álvaro Uribe per ingiurie e calunnie

7 commenti

Là dove la legge finisce, comincia la tirannide, quando la legge sia trasgredita a danno di altri, e, chiunque nell’autorità ecceda il potere conferitogli dalla legge e faccia uso della forza che ha al proprio comando per compiere nei riguardi dei sudditi ciò che la legge non permette, cessa in ciò, d’esser magistrato, e, in quanto delibera senza autorità, ci si può opporre a lui come ci si oppone a un altro qualsiasi che con la forza viola il diritto altrui…J.LOCKE

Sta rimbalzando in questi giorni in alcune mail lists sia italiane che latinoamericane alle quali sono iscritta, la notizia secondo la quale sarebbe stato inviato alla Corte Penale Internazionale (in avanti CPI), perché lo prenda in esame,   un fascicolo riguardante un processo, archiviato già in Colombia,  contro l’ ex presidente Álvaro Uribe,  per “ingiurie e calunnie”  da lui commesse contro la Comunità di San José di Apartadó.

Questo il testo dell’agenzia (fonte El Espectador):

Questo martedì (17 agosto) è stata rimessa alla CPI il primo processo nel quale, dopo aver lasciato il potere, è stato assolto l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez. La riunione plenaria della Camera dei Rappresentanti ha deciso di archiviare un caso in cui l’ex capo di Stato era accusato di ingiuria e calunnia, dopo che nel 2002,  durante un Consiglio di Sicurezza a Carepa (Antioquia), aveva accusato la Comunità di San José di Apartadó e padre Javier Giraldo di essere fiancheggiatori della guerriglia.  Dopo questo fatto vennero assassinate 20 persone in questo municipio. Conoscendo quella dichiarazione fu (Uribe ndt) denunciato presso la Commissione d’Accusa per ingiuria e calunnia , processo che si è concluso con l’archiviazione questo martedì. Per questo il Polo Democratico Alternativo ha sollecitato le copie di detto caso e ha annunciato il suo immediato invio alla CPI …”

Ora, sebbene siamo tutti d’accordo che contro l’ex presidente colombiano Álvaro Uribe valga bene qualsiasi accusa e qualsiasi denuncia, rallegrarsi come leggo in giro, di questa notizia (che notizia non è e lo vedremo),  secondo me è completamente inutile oltre che stupido.

Innanzitutto bisogna sapere di cosa si sta parlando. La CPI si regge sullo Statuto di Roma, stipulato il 17 luglio del 1998 ed è un tribunale appositamente creato per giudicare “ i delitti più gravi che riguardano l’insieme della comunità internazionale” come riportato nel Preambolo dello stesso Statuto.

L’articolo 5 dello Statuto di Roma inoltre stabilisce quali sono i crimini di competenza della CPI: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione (giuridicamente ancora in via di definizione). E’ comunque a carico di un Procuratore la facoltà di aprire un’inchiesta rispetto a segnalazioni che gli pervengano, tenendo conto del tipo di reato, della competenza della Corte, del fatto che in un dato momento un’inchiesta potrebbe non favorire gli interessi della giustizia, fondamento dell’accusa etc etc. Inoltre la Corte può dichiarare improcedibile il caso se: “lo stesso è stato oggetto di indagini condotte da uno Stato che ha su di esso giurisdizione e tale Stato ha deciso di non procedere nei confronti della persona interessata, a meno che la decisione non costituisca il risultato del rifiuto o dell’incapacità dello Stato di procedere correttamente” (art. 17a) oppure anche se il caso “non sia di gravità sufficiente a giustificare un ulteriore intervento da parte della Corte”(art. 17c).

La CPI inoltre può esercitare il proprio potere giurisdizionale su uno dei crimini elencati  soltanto se : uno Stato che ne fa parte (come avvenuto per il Congo, per l’Uganda o la Repubblica Centrafricana)  segnala al Procuratore una situazione nella quale sembra che siano stati commessi uno o più di uno dei crimini di cui all’articolo 5,  se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu segnala al Procuratore una situazione in cui sembra siano stati commessi uno o più crimini (come avvenuto per il Sudan) oppure se il Procuratore apre di propria iniziativa  un’indagine su uno o più crimini  ( spontaneamente  come è successo per il Kenia, o a seguito di segnalazioni ricevute). Quest’ultimo sembra essere il nostro caso. Nessun comune cittadino o associazione può  sporgere denuncia contro terzi alla CPI. E’ ovvio inoltre che la Colombia come Stato non denuncerà mai Uribe alla CPI e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, pur avendo intrapreso a sua volta indagini su violazioni dei Diritti Umani in Colombia, non ha mai  denunciato lo Stato colombiano o qualcuno dei suoi rappresentanti alla CPI.

La Colombia sembrerebbe essere  uno di quei paesi che si trova sotto osservazione da parte della CPI. Il Procuratore della CPI, Luis Moreno Ocampo, ha dichiarato in più occasioni che la Colombia fa parte di un gruppo di paesi    sotto “osservazione ufficiale della CPI”, il che vuol dire  che effettivamente la CPI  sospetta che in quel paese si siano commessi o si stiano commettendo  crimini contro l’umanità e sta effettuando indagini in tal senso, ma  che nessuna azione giudiziaria è stata intrapresa.  Sicuramente sotto osservazione è anche il caso di San  José di Apartadó. Ricordiamo però che la CPI è un tribunale “complementare” o “di ultima istanza”  cioè esercita il suo potere solo quando le istanze nazionali hanno concluso l’ultimo grado di giudizio. Al momento in Colombia ci sono procedimenti in corso contro militari e paramilitari e la CPI probabilmente non eserciterà la sua competenza fino a che questi non siano conclusi e fino a che non venga veramente dimostrato che la giustizia colombiana garantisce impunità contro i più alti responsabili dei crimini di Stato.Tutte queste premesse meritano quindi alcune considerazioni:

a)     L’articolo dell’Espectador , tra al’altro scritto malissimo, trae in inganno facendo credere, sia dal titolo che dalle sue prime righe, che la denuncia sia già stata inviata alla CPI quando in realtà credo che nemmeno sia stata ancora preparata. Il 17 agosto, data del suddetto articolo, la Camera dei Rappresentanti ha archiviato il caso e Iván Cépeda, a nome del Polo Democratico Alternativo ha soltanto rilasciato la dichiarazione in cui afferma di essere intenzionato a rimettere gli atti del fascicolo alla CPI dal momento in cui  in Colombia “non si stanno giudicando gli alti vertici dello Stato”.

b)    Ancora più grave è il fatto che dall’articolo in questione sono state tratte alcune agenzie che riportano una notizia falsa ma che tuttavia stanno facendo il giro della rete rimbalzando in decine di mail lists dove si legge esplicitamente che “Uribe è stato denunciato alla CPI” o che “Iván Cepeda denuncerà Uribe alla CPI”. Come abbiamo visto invece, la procedura di attivazione della competenza della CPI è molto più complessa ma soprattutto nessun singolo cittadino o associazione può denunciare nessuna persona alla CPI.

c)     Come abbiamo visto Iván Cepeda o il Polo Democratico Alternativo o una qualsiasi associazione possono quindi soltanto sottoporre una situazione all’attenzione del Procuratore della CPI. Bisogna poi sperare che questi non respinga il tutto al mittente con la motivazione della non competenza della Corte per quel tipo di reato (lo ricordiamo si tratta di calunnia e ingiuria) ma che, invece, sulla base della documentazione ricevuta o di altra già in suo possesso pervenutagli in altro modo, non decida di trasformare l’accusa in una più grave come genocidio o crimine contro l’umanità.

d)    Ovviamente le accuse di ingiuria e calunnia sono ridicole riferite ad un narco paramilitare della portata di Álvaro Uribe. Quello che mi chiedo è come mai non si riesca in Colombia ad articolare e studiare una denuncia ben fatta e ben strutturata con tutto quello che pende sulle spalle dell’ex presidente che, mentre ricopriva la carica di capo dello Stato era anche capo supremo delle Forze Armate e quindi direttamente responsabile di tutti i crimini commessi dall’Esercito fino ai casi ultimi dei “falsi positivi” e della fossa comune di La Macarena in cui sembra ve ne siano stati sotterrati sommariamente e senza identificazione più di duemila.   Veramente il materiale non manca.

e)     E per finire , il ridurre la denuncia ad un aspetto soltanto, ed anche a uno dei più marginali, (che tuttavia è stato causa della morte di molte persone) mi sembra tolga quel poco che le resta ormai di legittimità e di importanza alla CPI,   la quale ultimamente sembra diventata un teatro da operetta. L’ultimo atto, appena un mese fa, la presentazione di una richiesta di competenza della Corte (mentre la stampa continua a chiamarla erroneamente e sommariamente “denuncia”) da parte del presidente Uribe in qualità di singolo cittadino su presunti crimini commessi dal presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chávez, per la probabile presenza dei guerriglieri delle FARC e dell’ELN in territorio venezuelano. Due anni prima, sempre Uribe aveva minacciato alla stampa di “denunciare” Chàvez alla CPI con l’accusa di finanziare gruppi di terroristi, dopo che dal computer di Raúl Reyes erano apparsi presunti documenti che testimoniavano secondo gli avvocati della parte colombiana, le connivenze del governo venezuelano con la guerriglia delle FARC.

f) Generalmente non ci è dato sapere se le denunce o le richieste di competenza che dir si voglia, presentate alla CPI abbiano un seguito, a meno di non voler compiere accurate e complicate ricerche. Quello che è certo è che il minacciare continuamente di sporgere denunce  alla CPI (spesso senza darne seguito),  sia in rete che attraverso i mezzi di comunicazione,   sta facendo apparire questo strumento di giustizia internazionale come l’ ultimo dei tribunali di paese.

E’  fuor di dubbio che le accuse mosse da Álvaro Uribe ai membri della Comunità di San José di Apartadó e a padre Javier Giraldo siano state la causa di gravi a criminali attacchi contro la Comunità.   Il 21 febbraio del 2005, otto dei suoi membri vennero uccisi in modo atroce da paramilitari e militari dell’esercito colombiano. Di queste otto persone, 4 erano minorenni, tra i quali un bambino di due anni. Il 4 agosto scorso con una sentenza, quella sì veramente indegna, sono stati assolti dieci militari dall’accusa di aver commesso quel  crimine insieme ai paramilitari del Blocco Héroes de Tolová, questo sebbene ci fossero prove e testimonianze più che sufficienti sulle loro responsabilità. L’unico ufficiale arrestato nel 2007 e poi condannato a 20 anni di carcere per il massacro, è il Capitano Guillermo Armando Gordillo ai cui ordini si trovava la Compañia Bolívar che nella zona della Comunità effettuava operazioni congiuntamente ai paramilitari. L’ufficiale ha dichiarato nel corso di una testimonianza resa spontaneamente e confermata poi dalle dichiarazioni di un paramilitare (prontamente estradato negli Stati Uniti prima che potesse terminare il suo racconto) che il giorno del massacro ad Apartadó agirono congiuntamente circa 100 militari e almeno 50 paramilitari.

Perché non strutturare un richiesta di competenza e procedibilità della CPI sulla base di questi fatti e in relazione per esempio a  questo processo che ha garantito immunità a 10 militari tra i quali alcuni di alto rango? Non era  responsabile anche Uribe durante il suo primo mandato (2002–2006) dei crimini commessi dall’esercito ad Apartadó in quanto capo supremo delle Forze Armate della Colombia?

La Corte Penale Internazionale non può e non deve essere utilizzata come uno strumento mediatico o politico.  E’ invece  un importante  strumento di  giustizia internazionale e l’impegno di tutti noi deve essere volto ad ottenere e pretendere la sua legittimità ed indipendenza, spesso offuscata da rapporti di forza che purtroppo a volte ne compromettono seriamente l’agire.

Bisogna sapere per esempio che la Colombia, soltanto nel novembre dello scorso anno ha accettato la competenza della CPI per i crimini di guerra (quelli contro il Diritto Internazionale Umanitario che riguardano essenzialmente i paesi con gravi conflitti civili in corso) in quanto per questa particolare categoria di crimini contro l’umanità, nell’anno 2002 il presidente uscente Pastrana insieme ad Álvaro Uribe,   firmarono una riserva di sette anni (prevista dall’ articolo 124 dello Statuto di Roma) in base alla quale veniva annullata la competenza della CPI per tali crimini L’articolo 124 dello Statuto di Roma cita testualmente: “ Uno Stato che diviene parte al presente Statuto, può nei sette anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto nei suoi confronti, dichiarare di non accettare la Competenza della Corte per quanto riguarda la categoria di reati di cui all’articolo 8 quando sia allegato che un reato è stato commesso sul suo territorio o dai suoi cittadini”.E’ opinione diffusa che la Colombia abbia applicato questa disposizione transitoria, che è scaduta appunto nel novembre del 2009, per favorire le trattative di pace che erano in corso in quel momento con la guerriglia ma credo sia abbastanza evidente che chi ne ha beneficiato è stato soprattutto lo Stato colombiano e i suoi vertici politici e militari. La sospensione della competenza della CPI non significa assolutamente che si sospenda anche il corso regolare della giustizia del paese, che infatti è proseguito a pieno ritmo tanto che nelle carceri colombiane ad oggi ci sono più di 7000 persone condannate per motivi politici (in condizioni detentive disumane).

Numerosi analisti politici e giuristi di Diritto Internazionale invece sostengono che la firma delladisposizione transitoria sia immediatamente successiva ad una serie di accordi bilaterali firmati tra il governo colombiano e quello degli Stati Uniti rispetto alla possibilità che i militari statunitensi operanti in territorio colombiano vengano  giudicati da un’istanza internazionale. La possibilità di permettere immunità ai militari statunitensi (oltre che a quelli colombiani e ai paramilitari) fu prospettata dall’ambasciata americana a Bogotà al ministero degli Esteri colombiano e offerta da questo su un piatto d’argento con la firma delladisposizione transitoria. Il servilismo di Alvaro Uribe agli Stati Uniti d’altra parte è storia nota, come è anche noto il fatto che tra i gravi limiti della CPI ci sia la forte dipendenza dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (che ha diritto di veto sull’attività della Corte). In conclusione,  se sono noti i limiti della giustizia internazionale ancora troppo serva dei rapporti di forza tra gli Stati e troppo vincolata alle Nazioni Unite, espressione geopolitica di tali rapporti di forza, non è diffondendo false notizie (come quella della denuncia contro Uribe alla CPI per ingiurie e calunnie) che si riesce a restituire legittimità a questo   strumento internazionale.In Colombia ci sono valide e importanti associazioni di difesa dei Diritti Umani indipendenti dal governo che in questi anni si sono battute coraggiosamente per i diritti civili dei cittadini colombiani anche con un costo di vite umane molto alto, ci sono avvocati e giuristi preparati, ci sono militanti capaci e coraggiosi. Fuori dalla Colombia esistono altrettanti organismi e altrettante persone capaci e valide che possono dare una mano e lo fanno continuamente pur con tutte le difficoltà e i rischi che comportano il lavorare in quel paese. L’appello che possiamo fare è che uniscano le loro forze perché l’ex presidente Álvaro Uribe Velez possa finalmente essere assicurato alla giustizia ma anche perché non si abbassi mai la guardia e si possano creare e costruire sempre continuamente maggiori risorse umane ed economiche preparate a dovere per la lotta contro l’impunità nei crimini di Stato.


Pagina 24 di 25« Prima...10...2122232425