A Vicenza prove tecniche di dittatura

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Probabilmente la maggior parte degli italiani nemmeno se ne è resa conto, ma la decisione del Consiglio di Stato di annullare il referendum indetto dal Comune di Vicenza e dal suo sindaco Achille Variati contro il raddoppio della base americana, è stata  una vera e propria prova tecnica  di dittatura.
 
Contro la volontà della popolazione di esercitare uno dei più antichi esercizi di democrazia che la nostra Costituzione ci mette a disposizione,  contro l’esercizio di quella che è in Italia l’unica forma di democrazia “dal basso” di cui disponiamo, la decisione improvvisa del Consiglio di Stato che  quel referendum ha bollato come “inutile”, è stata un abuso di potere.
 
Inutile stare ad ascoltare la popolazione, inutile anche “incanalare su un binario democratico le tensioni frutto di scelte non condivise e neppure spiegate alla popolazione ” come ha detto nei giorni scorsi il sindaco di Vicenza.
Come potrebbero sfociare quindi queste tensioni adesso che il binario democratico è stato divelto?
Su che piano dovrebbero manifestarsi  visto che di fatto la loro espressione  sul piano della legalità  e della democrazia è stata vietata?
 
Grande prova di civiltà ha dato Vicenza oggi ma soprattutto grande esempio e coraggio ha dato all’Italia intera il suo primo cittadino. Vicenza oggi  ha scelto comunque  la via della democrazia, ma domani? Domani che via rimane per far sì che sia rispettata la volontà della popolazione di Vicenza?
 
Domani arriverà l’esercito,  come a Chiaiano.
Prove pratiche di dittatura…
 

La Bibbia prima di cena, tenetevi leggeri…

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Dal 5 ottobre la Bibbia verrà letta giorno e notte per una settimana in televisione.

 Roberto Benigni sarà pure cattolico e quindi se legge la Bibbia niente di strano ma che la legga accanto ad Andreotti un po’ strano lo fa…  E  chissà se Andreotti mentre la legge pensa al suo  Dio lassù nell’alto dei cieli o a quello più terreno, quello delle parti di Corleone, per intendersi…

 Quindi se non vi volete perdere quest’appuntamento, strano mix tra sacro, profano e mafioso, nell’ordine stasera Ratzinger,  Roberto Benigni e Giulio Andreotti leggeranno per voi la Bibbia su

Rai Uno alle ore 19. Prima di cena.
Tenetevi leggeri pertanto.

 


Manifestazione nazionale contro il razzismo

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4 ottobre 2008

 


Storico accordo La Sapienza– Università Pubblica di El Alto

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Rettore Renato Guarini

Il Rettore Renato Guarini con il poncho tradizionale boliviano (Foto A Sud)

 

L’ UPEA (Università Pubblica di El Alto) rappresenta senza dubbio un’esperienza particolarissima in Bolivia ma anche in tutta l’America latina nell’ambito del recupero del diritto all’istruzione dei popoli indigeni ma soprattutto rappresenta la battaglia  per l’autonomia universitaria e per l’affermazione dell’identità indigena del paese.
L’UPEA è un’università indigena, perchè El Alto, cittadina sorta inizialmente come quartiere di la Paz  e poi cresciuta esponenzialmente, è abitata prevalentemente da indigeni Quechua e Aymara.  
La battaglia per l’autonomia universitaria in Bolivia  ha origini antichissime. Risale infatti al 1930, quando un referendum popolare si espresse a favore di un’università autonoma e libera da vincoli con lo Stato.
L’università boliviana che ne risultò fu un’università libera e indipendente che però con il passare del tempo  si è trovata  anche sempre più lontano dal popolo mentre sempre più facilmente ha adottato il pensiero neoliberale imperante nel continente.  L’altra grande università pubblica del municipio di La Paz, per esempio, la UMSA (Universidad Mayor de San Andrés) rimase completamente estranea alla lotta per il gas   del 2003, nonostante fra le sue facoltà ve ne  sia anche una di Ingegneria Petrolifera.
 
La UPEA nasce invece  da un’esigenza reale e sentita del  popolo alteño che ha origine nel  1989 quando venne stipulato un accordo con la UMSA per formare un’ università  autonoma di discipline tecniche. L’indipendenza dell’UPEA si concretizzò poi   soltanto nel novembre del 2003,  con l’entrata in vigore della legge a garanzia dell’autonomia universitaria.
Nello stesso anno 2003 l’UPEA si è distinta per essere stata al fianco dei cittadini di El Alto e della Bolivia tutta  nella battaglia per il gas, terminata   con la fuga dal  paese del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada.
 
Nei giorni scorsi è stato firmato uno storico accordo, promosso dall’associazione A Sud tra l’università la Sapienza e l’università Pubblica di El Alto.
Il rettore della Sapienza Renato Guarini, indossando il caratteristico poncho, dono della delegazione boliviana  rappresentata da Benecio Quispe Gutierrez,  ex rettore e preside della facoltà di sociologia dell’UPEA, ha firmato il protocollo d’intesa e collaborazione delle due università.
 
Qui di seguito l’articolo di A Sud sull’evento:

Ieri 1 ottobre, nei locali del rettorato dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma, è stato firmato il protocollo di intesa e collaborazione tra l’Ateneo La Sapienza e l’UPEA — Università Pubblica di El Alto, Bolivia.
Si tratta di un accordo storico, promosso dall’Associazione A Sud al fine di consolidare spazi di dialogo tra le esperienze boliviane ed italiane in materia di diritto allo studio, formazione ed educazione e favorire lo scambio di informazioni, studenti e docenti, rendendo possibile il rafforzamento di relazioni di solidarietà e la costruzione di ponti di reciproca comprensione tra i popoli e gli atenei del nord e del sud del mondo.
Alla cerimonia hanno partecipato il rettore della Sapienza Renato Guarini, l’ambasciatore boliviano in Italia Elmer Catarina, il preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini, il docente Marco Cilento che è stato il promotore accademico dell’iniziativa, Giuseppe De Marzo e Laura Greco di A Sud e — per l’UPEA — l’ex rettore e preside della facoltà di sociologia Benecio Quispe Gutierrez, invitato in Italia per un ciclo di iniziative organizzato da A Sud.
L’accordo – declinato in protocolli esecutivi che stabiliscono forme e tempi della collaborazione – assume un significato simbolico particolare perchè l’UPEA rappresenta uno dei baluardi delle rivendicazioni sociali che hanno portato al processo di cambiamento economico, politico e sociale in atto nel paese.
Nata come risultato delle rivendicazioni indigene della cittadina di El Alto, nel distretto di La Paz, l’UPEA testimonia una realtà unica al mondo, dove si insegna storia andina, epistemologia e lingue indigene e si propongono piani di studio elaborati congiuntamente da professori e studenti. E’ l’unica Università Boliviana ad avere un sistema di voto universale, grazie al quale studenti e docenti eleggono con pari poteri le più alte cariche accademiche. E’ stata il centro propulsore delle rivendicazioni per i beni comuni che hanno portato alla cacciata delle multinazionali dell’acqua e del gas dal paese nel 2003, all’elezione del primo presidente indigeno dell’America Latina, Evo Morales, ed alla nazionalizzazione degli idrocarburi nel 2006.
Il portavoce di A Sud, Giuseppe De Marzo ha spiegato che “questo accordo avvicina i nostri popoli sulla basa della reciprocità e del rispetto, contribuendo a costruire pace su fondamenta solide come la difesa e la valorizzazione dei saperi.”
Secondo Benecio Quispe della UPEA, che ha ringraziato il rettore della Sapienza per “l’apertura e la disponibilità di un ateneo storico come La Sapienza a allacciare relazioni con la più giovane università boliviana”, […] “in qualità di istituzioni accademiche, docenti e studenti abbiamo l’obbligo di impegnarci per fornire strumenti culturali che aiutano a ricostruire le coscienze, in un mondo in profonda crisi come quello in cui viviamo”.
Dopo la firma dell’accordo e lo scambio dei doni, con indosso il tradizionale poncho rosso portato in dono dalla Bolivia, il rettore Guarini ha ringraziato il docente boliviano spiegando che “l’importanza di questo accordo è ancora più viva se si tiene in considerazione la storia della UPEA e la sua valenza simbolica. Siamo convinti che questo protocollo assuma al giorno d’oggi un significato non solo accademico e culturale, ma un messaggio importante di avvicinamento e integrazione tra i popoli del mondo”.
Infine – ha ricordato il preside Morcellini “questi accordi dimostrano che esistono strumenti di politica internazionale diversi dagli atti governativi, che come istituzioni educative abbiamo il dovere di usare per implementare processi di comprensione e collaborazione”.
 
A Sud

 


Qui News scopre finto scoop de l’Espresso

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Non lo dico perchè lo hanno ideato e creato due amici, ma QuiNews è un progetto al quale io credo molto.
Ci credo perchè conosco gli autori, Carmelo Sorbera e Italo Arcuri,  e posso testimoniare quanta passione e quanto impegno stanno mettendo in questo loro sfida  che,  citando proprio Carmelo “ai sofismi contemporanei contrappone la realtà empirica del quotidiano dove le minoranze non sono opposizione ma ricchezza culturale. Qui News vuole essere territorialità culturale aperta.
Nell’età della globalizzazione, la nostra localizzazione globale sarà difesa del diverso e confronto con lo straniero…” 
 
Oggi  QuiNews  propone questo articolo  particolarmente interessante,  la denuncia cioè di  un finto scoop del settimanale L’Espresso: un video già in circolazione da mesi su You Tube che testimonia un incontro tra Togliatti e Stalin, fatto passare però come inedito sul numero in edicola del settimanale. Tutto da leggere.
 
 
 

Conosciamo Telejato

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Le veline di Álvaro Uribe alla nostra stampa nazionale

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Sede dell’ ambasciata colombiana

 
Sono loro, Néstor Pongutá Puerto, corrispondente da Roma del quotidiano colombiano  El Tiempo, Omero Ciai (la Repubblica) e Alessandra Coppola (il Corriere della Sera),  le pedine giornalistiche sulle quali Álvaro Uribe fa affidamento per condurre in Italia la sua campagna di criminalizzazione di quanti si sono impegnati per favorire una soluzione politica e pacifica del conflitto colombiano. Di quanti senza timori denunciano le innumerevoli violazioni dei diritti umani che vengono commesse da quando egli è presidente della Colombia, ma soprattutto denunciano i suoi    vincoli  con il paramilitarismo ed il narcotraffico.
 
Da quando è stato recuperato il computer di Raúl Reyes, (ma nel frattempo i pc  sono diventati tre),  il numero due delle Farc ucciso in un bombardamento del suo accampamento a  Sucumbíos, in Ecuador, il 1 marzo scorso, e da quando l’intelligence colombiana e successivamente anche l’Interpol ci hanno messo le mani, le mail compromettenti scritte da Reyes o da lui stesso ricevute, che sono state recuperate, sono un’infinità : 39 milioni di pagine Word, riferisce il rapporto forense Interpol. Questo materiale è stato utilizzato  in Colombia per avviare processi contro la senatrice Piedad Córdoba e contro Carlos Lozano, il direttore di Voz, (il giornale del Partito Comunista Colombiano), contro  Hugo Chávez, presidente venezuelano, mentre Hugo Guzmán Rambaldi, un giornalista cileno, per lo stesso motivo,  ha perso il lavoro.
 
In Italia la corrispondenza  di  Raúl Reyes “accusa” un ex parlamentare di Rifondazione Comunista Ramón Mantovani, un dirigente dello stesso partito, Marco Consolo, nonché l’Associazione Nuova Colombia,   di essere stati a vario titolo la base d’appoggio della guerriglia colombiana nel nostro paese. Anche il nome di Pier  Ferdinando Casini risulterebbe tra gli “amici” delle FARC.
Marco Consolo e Ramón Mantovani non hanno mai nascosto di avere legami con Raúl Reyes e con le FARC,  legami volti al raggiungimento di un accordo di pace che non sono mai stati nascosti   alle istituzioni italiane e comunitarie,    con le quali è stato organizzato  almeno un viaggio di Reyes in Italia.
L’Associazione Nuova Colombia invece dalle pagine del suo sito web ha sempre condannato le violazioni dei diritti umani commesse dal governo di Álvaro Uribe, e ha spesso organizzato  manifestazioni nei pressi dell’ ambasciata o del consolato di Colombia protestando contro la  rappresentanza diplomatica inviata nel nostro paese,  formata  da personaggi con  curriculum criminali, legati al paramilitarismo e che successivamente sono stati richiamati in Colombia per essere sottoposti a processo come l’ex console di Milano,  Jorge Noguera Cote che si trova attualmente in carcere nel suo paese  e come l’ex ambasciatore Luis Camilo Osorio, attualmente ambasciatore a Città del Messico dove anche lì viene dichiarato pubblicamente persona non grata dalle associazioni di difesa dei Diritti Umani di  quel paese.
 
Dal mese di agosto di quest’anno sia la Repubblica che il Corriere della Sera si stanno alternando nel diffondere i presunti  contenuti delle mail del computer di Raúl Reyes che “proverebbero” i vincoli dei nostri citati connazionali con la guerriglia colombiana.
Il tramite tra i servizi di sicurezza colombiani e la nostra stampa sarebbe  Néstor Pongutá Puerto, non un corrispondente qualsiasi di El Tiempo (quotidiano di proprietà della famiglia Santos, l’attuale vicepresidente della Colombia), ma l’addetto stampa dell’ambasciata colombiana in Italia, e quindi un dipendente della presidenza della Repubblica a tutti gli effetti, come si legge sulla pagina web della stessa ambasciata.
I termini del suo contratto sono i seguenti: “servizi per disegnare, sviluppare ed appoggiare le strategie di comunicazione in Italia e in Grecia, volti alla promozione dell’immagine della Colombia, delle politiche e dei successi del Governo Nazionale nei confronti dei governi d’Italia e della Grecia”. E’ per questo che egli passa  alla stampa italiana le veline governative di Uribe:  nello svolgimento del lavoro di “promozione della politica del Governo Nazionale”, ma anche nell’ interesse della personale campagna del presidente colombiano contro  i suoi oppositori politici o chiunque  esprima dissenso dentro e fuori del paese.
 
Il 24 settembre scorso, è apparso un articolo sul Corriere della Sera a firma di Alessandra Coppola nel quale si fa riferimento all’avvio delle indagini da parte della Procura di Roma contro Ramón Mantovani, Marco Consolo e un membro dell’ Associazione Nuova Colombia.
Sui tavoli del procuratore capo Giovanni Ferrara e del sostituto Angelantonio Racanelli ci sarebbero 1200 tra mail e documenti scaricati dai portatili di Raúl Reyes.
Questi documenti, scrive Alessandra Coppola, sarebbero giunti in Italia, alla Farnesina, via ambasciata colombiana direttamente da Bogotà, con tanto di certificazione Interpol.
 
Stranamente invece, Néstor Puerto scrive lo stesso giorno  su El Tiempo, di aver appreso la notizia dalle pagine del Corriere della Sera, lui che proprio a Via Pisanelli, sede dell’ambasciata colombiana ci lavora e che si suppone quindi abbia visionato il materiale giunto da Bogotà e  in quanto addetto stampa lo abbia trasmesso al Corriere della Sera.
Ramón Mantovani e Marco Consolo hanno già chiarito pubblicamente la loro posizione in una conferenza stampa i primi giorni di agosto, seguita ad un articolo a firma di Omero Ciai apparso su la Repubblica, mentre l’Associazione Nuova Colombia invia proprio in questi giorni una “lettera aperta al Corriere della Sera” dove chiarisce di non aver mai nascosto le “simpatie per le proposte politiche dell’insorgenza colombiana…  poiché siamo convinti che senza il dialogo con la guerriglia non si potrà mai giungere ad un accordo di Pace duraturo” .Concludono che “non sarà la logica del  governo colombiano, che addita come guerriglieri o fiancheggiatori tutti coloro che non si allineano alle sue politiche guerrafondaie, a farci retrocedere nella nostra attività di controinformazione e denuncia”.

Presentazione di AgoraVox Italia

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Venerdì 3 ottobre ore 11
presso il Nuovo Cinema L’Aquila
Via L’Aquila, 68 Roma
 
Si preda di dare conferma della presenza, causa numero di posti, con una email a: redazioneatagoravoxdotit  (redazioneatagoravoxdotit)  

AgoraVox è il primo esempio di giornalismo partecipativo in Europa. Nasce da un’idea di Carlo Revelli in seguito a un flow di informazione dei media mainstream rispetto ad eventi come lo tsunami del 2004.

L’ideatore di AgoraVox, Carlo Revelli e il project manager, Francesco Piccinini, presenteranno questo progetto alla stampa, ai blogger e a tutti coloro che credono in un’informazione libera. E sarà l’occasione per presentare la prima inchiesta partecipativa italiana.

Arnaldo Capezzuto, tenace giornalista napoletano, presenterà, infatti, un’inchiesta su: Camorra e Rifiuti. La prima inchiesta partecipativa mai realizzata in Italia, con materiali inediti e testimonianze mai apparse sulla stampa nazionale, a cui hanno collaborato anche “normali” cittadini con contributi scritti, foto e video. Un’inchiesta lunga e complessa, perché AgoraVox ha cercato di ricostruire 18 anni di connivenze. Un puzzle che messo insieme disegna una Campania terra di conquista.
Sul palco anche Pino Maniaci, giornalista antimafia e Giulio Cavalli (attore minacciato dalla mafia), i quali faranno una puntata di Radio Mafiopoli, una trasmissione radio sullo stile di Radio Aut di Peppino Impastato. I cittadini presenti potranno intervenire in diretta e contribuire alla trasmissione. AgoraVox e Pino Maniaci hanno iniziato una collaborazione su un’altra inchiesta che vedrà la luce nel 2009.

AgoraVox Italia vuole essere, e all’estero già lo è, un giornale che tratti le notizie da un punto di vista differente da quello mainstream.

La rivoluzionarietà di AgoraVox è soprattutto nella nuova concezione del ruolo del giornalista. In un saggio sulla comunicazione di qualche anno fa, Giovanni Valentini riassumeva alla perfezione questa idea: “la graduatoria (delle notizie) non la stabilisce più il giornalista bensì il lettore, non più chi produce e fornisce le notizie, bensì chi le richiede e le riceve”. È il lettore che diventa parte integrante del sistema informativo.

Ed è per questo motivo che AgoraVox è aperto a tutti coloro che abbiano qualcosa da dire.

Anche in Italia si sentiva questo bisogno ed è per questo che Revelli ha ritenuto di portare questa esperienza nel nostro paese, dopo che in Francia AgoraVox è il secondo medium più citato su Internet dopo Le Figaro, e conta, oggi, un milione di lettori e 40000 “reporter” che sottopongono degli articoli. Tra loro circa 1000 moderatori votano gli articoli off line e quelli più interessanti sono pubblicati.

Agoravox Italia: perché informazione dal basso non significa bassa informazione.
 


Agoravox esprime solidarietà ad Arnaldo Capezzuto e Kasmir

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di Francesco PiccininiAgoravox.it
 
Agoravox Italia è vicina ad Arnaldo Capezzuto, il giornalista napoletano de Il Napoli e Kasmir, un ragazzo immigrato che stava andando a fare la dialisi, aggrediti ieri a Pianura.
 
Capezzuto, che supervisiona per Agoravox Italia l’inchiesta Camorra e rifiuti che sarà online da ottobre, si trovava a Pianura per scrivere un articolo sul corteo di 300 immigrati che si è svolto ieri mattina.
Il giornalista è stato aggredito da contromanifestanti che lo hanno accerchiato, aggredito e fatto oggetto di lanci di pietre; il referto parla di contusioni al collo, al volto, alla schiena.
 
Arnaldo Capezzuto è da sempre un cronista in prima linea sul territorio campano (prima sul quotidiano Napolipiù e in seguito su Il Napoli), che già altre volte è stato oggetto di minacce da parte della camorra per le sue inchieste su Forcella e in particolare sulla morte di Annalisa Durante, e il cui lavoro è stato testimoniato dal documentario “Cronisti di strada” di Gianfranco Pannone e Paolo Santoni, che riprendeva il lavoro tutt’altro che facile di due giornalisti di quotidiani locali.
 
La redazione di Agoravox gli esprime la piena solidarietà, la stessa che va a tutti coloro che ogni giorno raccontano senza paura le storture della nostra società.
 

Giorgio Antonucci: migrazione e sofferenza psichica

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Giorgio Antonucci

Domani, mercoledì 1 ottobre alle ore 11, su Radio Onda Rossa il professore Giorgio Antonucci, uno dei maggiori esponenti italiani dell’antipsichiatria, fondatore dell’approccio non psichiatrico della sofferenza psichica, interverrà in trasmissione, intervistato da Gavino Puggioni, esperto di storia orale e scrittura popolare, sull’emigrazione e sofferenza psichica.
 
Dal 1946 al 1969, infatti,  furono ricoverati all’Ospedale Psichiatrico San Martino a Como,  233 pazienti di sesso maschile e 20 di sesso femminile provenienti dall’estero.
Erano persone di nazionalità italiana emigrate per lavoro e definite dalle relazioni burocratico-psichiatriche dell’epoca  “soggetti che in territorio straniero hanno manifestato turbe psichiche tali da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio”.
 
            Originari di quasi tutte le regioni d’Italia, la degenza nel manicomio comasco sarà per loro una seconda e più dolorosa emigrazione, sempre lontana dai luoghi e dalle persone care, in condizione di assoluta reclusione.
 
La trasmissione si inserisce nel ciclo denominato “Più scheletri che armadi per nasconderli” condotta da Salvatore Ricciardi, che Radio Onda Rossa trasmette ogni mercoledì alle ore 11.
Qui la registrazione della trasmissione su Radio Onda Rossa.
 

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