Hydromania: la risposta alle accuse di razzismo, ahimè

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Questa la mail ricevuta dalla direzione di Hydromania, ieri:
 
Signora Annalisa Melandri, la informiamo che sta utilizzando il logo Hydromania, che è un marchio privato di nostra esclusiva proprietà, sul suo sito personale senza nessuna autorizzazione da noi concessa.  Pertanto la diffidiamo, fin da ora, a cancellarlo dal suo sito entro e non oltre 24 ore, compresi i link di collegamento ai nostri indirizzi e-mail, assolutamente non autorizzati ‚onde evitare azioni legali nei suoi confronti.
 
Potevano scrivere tante altre cose, potevano inventarsi che  l’addetto alla biglietteria ha agito liberamente, che quindi si dissociano da tali iniziative di selezione razziale della clientela del tutto arbitrarie e che avrebbero preso provvedimenti. Magari era tutto falso, magari davvero  agli addetti della biglietteria  viene ripetuto ogni mattina di non far entrare rom, zingari, negri, animali, marziani… e di annusare tutti coloro che entrano come qualcuno qui (commento n. 21 propone di fare nelle nostre scuole pubbliche). Avrebbero potuto anche stare zitti e non scrivere nulla, avrebbero potuto perfino scrivere una bella lettera a Repubblica… Ma Berlusconi docet… ci vuole la mano dura, con tutti, dai clandestini, agli abitanti di Chiaiano, dai giornalisti, ai magistrati…etc… etc… L’Italia si adegua.  Vietato protestare. E tra un po’ cari amici, guai a protestare tutti insieme. Ci sta pensando  la Marcegaglia ad abolire la Class Action. Non è anche lei che sta governando questo paese? : - (
 
P.S.
A proposito:
Mosaico Arredamenti ha denunciato il blogger Sergio Sarnari chiedendogli 400.000 euro di danni per diffamazione perchè costui si era permesso di raccontare in un post, documentandoli,  i disservizi riscontrati in una consegna di mobili da parte del noto mobilificio.
La blogosfera sta testimoniando grande solidarietà a Sergio Sarnari per quanto accaduto.
Sul sito di Marco Camisani Calzolari c’è una lettera all’Amministratore di Mosaico Arredamenti che si può firmare lasciando il proprio nominativo tra i commenti. Vi pregherei di farlo questa sera stessa. Domani la lettera verrà inviata con tutte le firme al destinatario. Purtroppo ne sono venuta a conoscenza soltanto questo pomeriggio.

Victor Ancalaf: scenari diversi per i movimenti indigeni ma siamo come una grande isola

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Victor Ancalaf  “werken” (messaggero)  del popolo mapuche  è stato in carcere come prigioniero politico in Cile, per cinque anni, dal 2002 al 2007, accusato secondo una legge che risale agli anni della dittatura di Pinochet di incendio terrorista, senza che a suo carico ci siano state prove valide.
E’ stato recentemente in Europa e in Italia,  in un lungo viaggio che ha avuto lo scopo di testimoniare ancora una volta, la difficile condizione e la strenua lotta del popolo mapuche per i suoi diritti.
 
 
A.M. Victor, sei uscito dal carcere l’anno scorso dopo aver scontato una condanna di cinque anni e un giorno con l’accusa di incendio terrorista. Non si tratta di un capo d’accusa ereditato dalla dittatura di Pinochet?
 
V.A. Sì, infatti. In Cile abbiamo ancora leggi che risalgono alla costituzione politica degli anni ’80. L’applicazione di questa legge nei processi contro il popolo mapuche è stata sempre sproporzionata. Questo non può configurarsi  come atto terroristico perchè non ha mai messo a rischio la vita delle persone. La protesta del popolo mapuche è una protesta senza armi.
 
A.M. Questo vuol dire che si tratta di una protesta pacifica?
 
V.A. No, la protesta mapuche non è e non potrebbe essere pacifica, dal momento che il governo del Cile non è pacifico verso di noi, si tratta di una forma di protesta dove non si mettono a rischio le vite delle persone e dove non vengono utilizzate armi.
 
 
A.M. Sembra che in Cile la Concertación che attualmente sta governando il paese,  oltre a riproporre le stesse leggi repressive della dittatura contro il popolo mapuche, porta avanti anche le stesse politiche neoliberiste di quegli anni. In questo senso che battaglie state conducendo?
 
V.A. Stiamo lottando duramente contro le politiche mercantilistiche neoliberali, perchè le multinazionali che si trovano sul nostro territorio oltre a causare danni ambientali vogliono sterminare la nostra cultura e le nostre tradizioni. Queste imprese, forestali, minerarie, di pesca, hanno causato gravissimi danni al nostro territorio, danni economici ma anche danni sociali. Inoltre non hanno interesse a tutelare i diritti dei lavoratori, a proteggere la mano d’opera e l’impiego, sono per la maggior parte meccanizzate e ad esse non importa nulla dei diritti dei lavoratori cileni.
 
A.M. In America latina e in Europa le lotte sono diverse. Ciò nonostante,  alcune settimane fa a Lima si è tenuto il Vertice Alternativo dei Popoli organizzato dalla rete biregionale Enlazando Alternativas. Credi che dalla sinergia dei movimenti sociali europei e latinoamericani possano nascere buone proposte per il popolo mapuche? Siete in relazione con gli altri movimenti indigeni?
 
V.A. L’esperienza ci insegna che difficilmente riusciamo a trovare solidarietà e appoggio negli altri movimenti indigeni. Si tratta di contesti e scenari diversi. E’ differente lottare contro governi amici come fanno i fratelli boliviani, venezuelani o argentini e invece lottare contro governi nemici come quello cileno che ci mette in carcere, ci ammazza e ci reprime.
Parlando con i fratelli argentini di Wallmapu mi rendo conto che anche loro lottano, questo è vero, ma a differenza di noi, non hanno morti e non hanno prigionieri. Dall’inizio del 2008 già  4 fratelli mapuche sono stati assassinati dalla polizia cilena.
E’ vero, ci sentiamo un po’ isolati, ciò nonostante siamo come “una grande isola” e abbiamo un grande nemico comune che è il sistema mercantilistico mondiale e sicuramente da una lotta a livello globale contro questo sistema possono venir fuori buone proposte anche per il popolo mapuche.
 
A.M. Durante la tua permanenza in Italia hai avuto due incontri nei presidi NO TAV a Torino contro la costruzione delle nuove linee per l’alta velocità. Credi che abbiano delle cose  in comune le due lotte, quella del popolo mapuche e quella del popolo della Val di Susa?
 
V.A. Geograficamente trovo molte somiglianze tra queste grandi montagne italiane e quelle del Alto Bío Bío. E questo è molto importante per le strategie di lotta. La polizia non è abituata a compiere azioni in alta montagna, mentre la nostra gente lotta da secoli a quelle altitudini.
E così anche le nostre lotte, quella degli italiani e quella dei cileni sono molto simili. Anche in Cile, come in Italia è successo che qualche sindaco che precedentemente aveva appoggiato la lotta, in un secondo momento la  ha abbandonata. Io credo che la linea dell’alta velocità della quale si discute in Val di Susa non sia necessaria per il popolo, ma sia importante soltanto ai fini di un discorso economico e commerciale.
 
A.M. Si discute sulla costituzione di un partito mapuche. Credi nella via politica per realizzare obiettivi?
 
V.A. Noi abbiamo realizzato la nostra storia e la storia ci ha insegnato che i partiti politici mai hanno realizzato risultati concreti.
Il partito politico può funzionare soltanto da campana di risonanza ma la sua formazione non è una priorità delle comunità e non sta nella nostra agenda.
 

Entrevista a Victor Ancalaf

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“Tener primeramente claro que el valor de la Tierra no tiene precio”.
Victor Ancalaf
 
Victor Ancalaf , ex preso político  mapuche,  ha realizado en los días pasados una extensa gira en Europa, compartiendo experiencias y esperanzas.
Muy interesantes fueron los encuentros que tuvo en Italia con la gente de la Val di Susa, qué igualmente al pueblo mapuche se encuentra luchando por la soberanía sobre la tierra y los recursos naturales.
 
 
 
A.M. — Victor, Usted salió de la carcel el año pasado, después de haber cumplido una condena de cinco años y un día por el crimen de incendio terrorista. ¿No se trata esa de una imputación heredada por la dictatura de Pinochet?
 
V.A. — Sì, claro. En Chile todavía seguimos con la legislación de la costitución politica de los años ’80. La aplicación de esa ley en los juicios contra el pueblo mapuche ha sido siempre desmedida. No se configura como terrorismo por lo que nunca se ha puesto en riesgo la vida de personas. La protesta del pueblo mapuche es una protesta sin armas.
 
A.M. – ¿Eso quiere decir que se trata de una protesta pacífica?
 
V.A. — No, la protesta mapuche non es y no podría ser pacífica, por lo que el gobierno de Chile no es pacífico con nosotros, se trata de una forma de protesta donde no se ponen en riesgo vidas y donde no se utilizan armas.
 
A.M. — Parece que en Chile la Concertación que actualmente està gobernando el país, además de continuar con las leyes represivas contra el pueblo mapuche, sigue también con las políticas neoliberales de los años de la dictatura.? En ese sentido qué batallas están llevando adelante?
 
V.A. — Estamos luchando duramente contra las políticas mercantilisticas neoliberales, porqué las empresas transnacionales que están en nuestro territorio además de causar daños ambientales quieren exterminar nuestra cultura y tradiciones. Estas empresas, forestales, mineras, pesqueras han causado graves daños en nuestro territorio, daños económicos pero también sociales. Además esas empresas no tienen interés en los derechos de los obreros, en la protección de la mano de obra y del empleo, son por la mayoría mecanizadas, a ellas no les importa de los derechos de los obreros chilenos.
 
A.M. – En Europa y América latina las luchas son muy diferentes , sin embargo hace unas semanas en Lima se desarrolló la Cumbre Alternativa de los Pueblos organizada por la red
bi-regional Enlazando Alternativas. ¿Usted cree que desde la sinergia de los movimientos sociales europeos y latinoamericanos puedan salir buenas propuestas para el pueblo mapuche? ¿Están ustedes relacionados con los demás movimientos indigenas?
 
V.A. – La esperiencia nos ha dicho desde el pasado que dificilmente logramos encontrar la solidaridad y el apoyo de los demás movimientos indigenas. Es que se trata de contextos y escenarios diferentes. Es diferente luchar contra gobiernos amigos como hacen los hermanos bolivianos, venezolanos y argentinos o contra gobiernos enemigos como el de Chile que nos encarcela, non mata y nos reprime.
Hablando con los hermanos argentinos de Wallmapu me doy cuenta que ellos también luchan, eso es verdad pero ellos no tienen muertos, no tienen encarcelados. Desde inicios del 2008, ya van 4 hermanos mapuches asesinados por la policía chilena.
Es verdad, nos sentimos un poco aislados, sin embargo somos cómo una “gran isla” y tenemos un gran enemigo común que es el sistema mercantílistico mundial y por supuesto que desde una lucha a nivel global contra eso pueden salir buenas propuestas también para el pueblo mapuche.
 
A.M. Durante su permanencia en Italia Usted tuvo dos encuentros en los presidios NO TAV en Torín contra la construcción de las nuevas linéas de alta velocidad. ¿Cree que tienen algo en común las dos luchas, la del pueblo mapuche y la del pueblo de la Val Susa?
 
V.A. Geografícamente encuentro algunas semejanzas entre esa gran cordillera italiana y la cordillera en el Alto Bío Bíó. Y eso es muy importante por la estrategia de lucha. La policía no esta acostumbrada en operatívos en montaña, mientras que nuestra gente luchas desde siglos en aquellas alturas.
Y tambien, nuestras luchas, la de los italianos, y la de los chilenos son muy semejantes. Tambien en Chile, como en Italia pasò que algunos alcaldes antes apoyaron la lucha y luego se retiraron. Yo creo que la linea de alta velocidad de la que se discute en la Val Susa, no es necesaria para el pueblo sino para un discurso económico y de comercio.
 
A.M. Se discute sobre de la costitución de un partido mapuche. ¿Cree Usted en la vía política para lograr objetivos?
 
V.A. Nosotros hemos realizado nuestra historia y la historia nos enseña que los partidos politicos nunca han realizado resultados concretos.
El partido politico puede ser una campana de resonancia pero su conformación no es una prioridad de las comunidades y no está en nuestra agenda.
 

Carta abierta de Evo Morales a propósito de la “directiva retorno” de la UE

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Hasta finales de la Segunda guerra mundial, Europa fue un continente de emigrantes. Decenas de millones de Europeos partieron a las Américas para colonizar, escapar de las hambrunas, las crisis financieras, las guerras o de los totalitarismos europeos y de la persecución a minorías étnicas.

Hoy, estoy siguiendo con preocupación el proceso de la llamada “directiva retorno”. El texto, validado el pasado 5 de junio por los ministros del Interior de los 27 países de la Unión Europea, tiene que ser votado el 18 de junio en el Parlamento Europeo. Siento que endurece de manera drástica las condiciones de detención y expulsión a los migrantes indocumentados, cualquiera sea su tiempo de permanencia en los países europeos, su situación laboral, sus lazos familiares, su voluntad y sus logros de integración.

A los países de América Latina y Norteamérica llegaron los europeos, masivamente, sin visas ni condiciones impuestas por las autoridades. Fueron siempre bienvenidos, Y. lo siguen siendo, en nuestros países del continente americano, que absorbieron entonces la miseria económica europea y sus crisis políticas. Vinieron a nuestro continente a explotar riquezas y a transferirlas s Europa, con un altísimo costo para las poblaciones originales de América. Como en el caso de nuestro Cerro Rico de Potosí y sus fabulosas minas de plata que permitieron dar masa monetaria al continente europeo desde el siglo XVI hasta el XIX. Las personas, los bienes y los derechos de los migrantes europeos siempre fueron respetados.

Hoy, la Unión Europea es el principal destino de los migrantes del mundo lo cual es consecuencia de su positiva imagen de espacio de prosperidad y de libertades públicas. La inmensa mayoría de los migrantes viene a la UE para contribuir a esta prosperidad, no para aprovecharse de ella. Ocupan los empleos de obras públicas, construcción, en los servicios a la persona y hospitales, que no pueden o no quieren ocupar los europeos. Contribuyen al dinamismo demográfico del continente europeo, a mantener la relación entre activos e inactivos que vuelve posible sus generosos sistemas de seguridad social y dinamizan el mercado interno y la cohesión social. Los migrantes ofrecen una solución a los problemas demográficos y financieros de la UE.

Para nosotros, nuestros migrantes representan la ayuda al desarrollo que los Europeos no nos dan — ya que pocos países alcanzan realmente el mínimo objetivo del 0,7% de su PIB en la ayuda al desarrollo. América Latina recibió, en 2006, 68.000 millones de dólares de remesas, o sea más que el total de las inversiones extranjeras en nuestros países. A nivel mundial alcanzan 300.000 millones de dólares, que superan a los 104.000 millones otorgados por concepto de ayuda al desarrollo. Mi propio país, Bolivia, recibió mas del 10% del PIB en remesas (1.100 millones de dólares) o un tercio de nuestras exportaciones anuales de gas natural.

Es decir que los flujos de migración son benéficos tanto para los Europeos y de manera marginal para nosotros del Tercer Mundo ya que también perdemos a contingentes que suman millones de nuestra mano de obra calificada, en la que de una manera u otra nuestros Estados, aunque pobres, han invertido recursos humanos y financieros.

Lamentablemente, el proyecto de “directiva retorno” complica terriblemente esta realidad. Si concebimos que cada Estado o grupo de Estados puede definir sus políticas migratorias en toda soberanía, no podemos aceptar que los derechos fundamentales de las personas sean denegados a nuestros compatriotas y hermanos latinoamericanos. La “directiva retorno” prevé la posibilidad de un encarcelamiento de los migrantes indocumentados hasta 18 meses antes de su expulsión –o “alejamiento”, según el término de la directiva. ¡18 meses! ¡Sin juicio ni justicia! Tal como esta hoy el proyecto de texto de la directiva viola claramente los artículos 2, 3, 5, 6, 7, 8 y 9 de la Declaración Universal de los Derechos Humanos de 1948. En particular el artículo 13 de la Declaración reza:

“1. Toda persona tiene derecho a circular libremente y a elegir su residencia en el territorio de un Estado.  

2. Toda persona tiene derecho a salir de cualquier país, incluso del propio, y a regresar a su país”.

Y, lo peor de todo, existe la posibilidad de encarcelar a madres de familia y menores de edad, sin tomar en cuenta su situación familiar o escolar, en estos centros de internamientos donde sabemos ocurren depresiones, huelgas de hambre, suicidios. ¿Cómo podemos aceptar sin reaccionar que sean concentrados en campos compatriotas y hermanos latinoamericanos indocumentados, de los cuales la inmensa mayoría lleva años trabajando e integrándose? ¿De qué lado esta hoy el deber de ingerencia humanitaria? ¿Dónde está la “libertad de circular”, la protección contra encarcelamientos arbitrarios?

Paralelamente, la Unión Europea trata de convencer a la Comunidad Andina de Naciones (Bolivia, Colombia, Ecuador y Perú) de firmar un “Acuerdo de Asociación” que incluye en su tercer pilar un Tratado de Libre Comercio, de misma naturaleza y contenido que los que imponen los Estados Unidos. Estamos bajo intensa presión de la Comisión Europea para aceptar condiciones de profunda liberalización para el comercio, los servicios financieros, propiedad intelectual o nuestros servicios públicos. Además a título de la protección jurídica se nos presiona por el proceso de nacionalización del agua, el gas y telecomunicaciones realizados en el Día Mundial de los Trabajadores. Pregunto, en ese caso ¿dónde está la “seguridad jurídica” para nuestras mujeres, adolescentes, niños y trabajadores que buscan mejores horizontes en Europa?

Promover la libertad de circulación de mercancías y finanzas, mientras en frente vemos encarcelamiento sin juicio para nuestros hermanos que trataron de circular libremente. Eso es negar los fundamentos de la libertad y de los derechos democráticos.

Bajo estas condiciones, de aprobarse esta “directiva retorno”, estaríamos en la imposibilidad ética de profundizar las negociaciones con la Unión Europea, y nos reservamos del derecho de normar con los ciudadanos europeos las mismas obligaciones de visa que nos imponen a los Bolivianos desde el primero de abril de 2007, según el principio diplomático de reciprocidad. No lo hemos ejercido hasta ahora, justamente por esperar buenas señales de la UE.

El mundo, sus continentes, sus océanos y sus polos conocen importantes dificultades globales: el calentamiento global, la contaminación, la desaparición lenta pero segura de recursos energéticos y biodiversidad mientras aumenta el hambre y la pobreza en todos los países, fragilizando nuestras sociedades. Hacer de los migrantes, que sean documentados o no, los chivos expiatorios de estos problemas globales, no es ninguna solución. No corresponde a ninguna realidad. Los problemas de cohesión social que sufre Europa no son culpa de los migrantes, sino el resultado del modelo de desarrollo impuesto por el Norte, que destruye el planeta y desmiembra las sociedades de los hombres.

A nombre del pueblo de Bolivia, de todos mis hermanos del continente regiones del mundo como el Maghreb, Asia y los países de Africa, hago un llamado a la conciencia de los líderes y diputados europeos, de los pueblos, ciudadanos y activistas de Europa, para que no se apruebe e1 texto de la “directiva retorno”.

Tal cual la conocemos hoy, es una directiva de la vergüenza. Llamo también a la Unión Europea a elaborar, en los próximos meses, una política migratoria respetuosa de los derechos humanos, que permita mantener este dinamismo provechoso para ambos continentes y que repare de una vez por todas la tremenda deuda histórica, económica y ecológica que tienen los países de Europa con gran parte del Tercer Mundo, que cierre de una vez las venas todavía abiertas de América Latina. No pueden fallar hoy en sus “políticas de integración” como han fracasado con su supuesta “misión civilizatoria” del tiempo de las colonias.

Reciban todos ustedes, autoridades, europarlamentarios, compañeras y compañeros saludos fraternales desde Bolivia. Y en particular nuestra solidaridad a todos los “clandestinos”.

Evo Morales Ayma

Presidente de la República de Bolivia


Democrazia e socialismo nel XXI secolo. La rivoluzione bolivariana in Venezuela

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Incontri con
JORGE GIORDANI
Economista, già ministro della programmazione economica del Venezuela.
 
 
Giovedì 12 giugno — ore 18
Sala Pintor, presso Carta
Via dello Scalo di San Lorenzo 67
 
Jorge Giordani
Giorgio Baratta, International Gramsci Society
Guido Piccoli, giornalista e sceneggiatore, autore di “Colombia il paese dell’eccesso”
Francesca Bria, giornalista
Marinella Correggia, giornalista
Fabio Amato, esteri PRC
Coordina Anna Cotone.
Contestualmente sarà presentato il libro:
L’alba dell’avvenire. Socialismo del XXI secolo e modelli di civiltà dal Venezuela e dall’America Latina, edizioni Punto Rosso 2007, a cura di Marinella Correggia e di Claudia Fanti
 

Hydromania: vietato l’ingresso ai rom, anche se paganti

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Alla direzione di Hydromania,  
Io sicuramente non avrei nessun problema se i miei figli si trovassero a fare il bagno a mare o in piscina con uno zingaro, quello che farò  però sarà spiegargli perchè non li porterò mai più a Hydromania. Leggo infatti su Repubblica di sabato 7 giugno una lettera firmata dalla signora Ilaria de Laurentiis (che ringrazio) dove denuncia di come a una famiglia  rom, composta da padre, madre e una bambina ,  che voleva accedere al parco pagando regolarmente il biglietto d’ingresso,  sia stata negata tale possibilità in quanto “zingari”. Alla richiesta di spiegazioni,  alla signora il personale addetto ha risposto: “Signora, lei vorrebbe che suo figlio facesse il bagno in piscina con uno zingaro?” Non so cosa abbia fatto la signora Ilaria, io personalmente me ne sarei andata all’istante.

Esprimo  piena solidarietà alla famiglia vittima di quanto sopra e a voi profondo disprezzo per il vostro atteggiamento.
 
 
P.S  Hydromania è un grande parco acquatico alle porte di Roma, anche molto bello, ma episodi di razzismo come questi sono GRAVISSIMI.  Non si può lasciar correre, io la lettera l’ho mandata e invito tutti voi a fare altrettanto, anche copincollando quella sopra, denunciando quanto più possibile questa vergogna, perchè simili fatti non si ripetano più.
Questi gli indirizzi:
Direzione morelliathydromaniadotit  (morelliathydromaniadotit)  
Amministrazione stefanoathydromaniadotit  (stefanoathydromaniadotit)  
Personale danieleathydromaniadotit  (danieleathydromaniadotit)  
infoathydromaniadotit  (infoathydromaniadotit)  

El Tiempo e il Venezuela ovvero il terrorismo mediatico

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Cercando fotografie sul sito del quotidiano colombiano El Tiempo, scopro che pur di mostrare il lato peggiore del Venezuela, i Santos (proprietari della testata) mettono sotto la voce “Actualidad” (attualità) ben 26 fotografie del 29 gennaio scorso relative a una tentata  rapina in una filiale  del Banco Provincial del gruppo Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA) in località Altagracia de Orituco,Venezuela,  quando 4 rapinatori tennero in ostaggio circa 30 persone per 29 ore e poi fuggirono in una ambulanza con 6 di essi che si erano offerti volontari.
Dal gennaio ad oggi in Colombia, in America latina, nel mondo non è successo nient’ altro??
 
Riflettendo però, si tratta di ben poca cosa rispetto a quanto si legge tra le notizie principali, e cioè che un presunto sergente della Guardia Nazionale venezuelana sarebbe stato arrestato in Colombia mentre stava vendendo armi alle FARC. Inutile dire che il nome del sergente non risulta né tra gli effettivi né tra i congedati della Guardia Nazionale.

Chiaiano è sola?

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Da leggere, firmare e possibilmente diffondere.
Un po’ appello, un po’ invito alla riflessione. Questo testo redatto da alcuni intellettuali, giornalisti e scrittori  che si sono fermati  a riflettere su cosa Chiaiano (e non solo) rappresenti per il nostro paese. Al di là delle amare constatazioni sui fatti, come si sono svolti nel passato e nelle settimane scorse, il timore  che probabilmente nella discarica di Chiaiano, con i rifiuti ci vada a finire anche la democrazia….
un appello per smuovere una partita ferma: governo e tutto il quadro parlamentare da una parte, la extra assente o occupata a lavare i panni dentro le quattro mura, i no questo e no quello uniti, i magistrati (per fortuna che ci son loro!).….
 
adesioni a : antoniabasuraatgmaildotcom  (antoniabasuraatgmaildotcom)  
 
 
Chiaiano è sola?
 
Sono trascorsi alcuni giorni dalle cariche di polizia, dalla tregua stipulata con il sottosegretario Bertolaso e dall’entrata dei tecnici nelle cave per verificarne l’idoneità a ospitare una discarica da 700mila tonnellate. Nell’attesa, gli abitanti di Chiaiano, Marano e Mugnano continuano a presidiare pacificamente i luoghi della contesa. Nei capannelli che si formano tra i gazebo all’ingresso delle cave, le persone ripercorrono a mente fredda gli ultimi avvenimenti, analizzando il resoconto fatto dai media degli eventi di cui sono state protagoniste. E in quei racconti, nessuno si riconosce
Nei giorni di fuoco della protesta i cronisti di radio, giornali e televisioni hanno descritto chi si opponeva alla discarica come una folla di strani e sconsiderati personaggi, inventando storie di armi, droga e camorra per screditare i più giovani e attivi; insinuando come gli uomini sacrificassero senza scrupoli madri, mogli e figli sulla prima linea delle barricate; diffondendo notizie palesemente false come quella delle bombole del gas legate a un petardo, non confermata neanche dalle forze dell’ordine.
Gli editorialisti “democratici” (inutile soffermarsi sugli altri) hanno sostenuto, come fanno ormai puntualmente quando una comunità si oppone alla devastazione del territorio in cui vive, come sia giusto chiedere questo sacrificio alla gente di Chiaiano, quanto sia dolorosa ma inevitabile la decisione di scaricare i rifiuti nelle cave; con le solite acrobazie verbali, hanno giustificato la violenza sui manifestanti con la presenza di infiltrati o lanciatori di pietre, compatendo le persone “perbene” che protestavano come se fossero in balia di imprecisati manovratori o diabolici facinorosi di strada.
Era accaduto lo stesso a gennaio, a Pianura, nei giorni in cui l’opposizione dura e determinata degli abitanti della zona flegrea aveva impedito la riapertura di una discarica chiusa da tredici anni, un provvedimento che a posteriori è stato unanimemente giudicato deleterio dalle stesse istituzioni. Come a Pianura, anche a Chiaiano il sindaco di Napoli e i componenti del consiglio comunale si sono tenuti a distanza, mostrandosi colpevolmente incerti e confusi sulle decisioni da prendere; la stessa linea ha adottato il governatore della Regione, che ormai da mesi ha abdicato alle sue funzioni per chiudersi in un bunker da cui uscirà solo tra un anno per occupare la sua poltrona nel parlamento europeo. Entrambi si sono limitati ad approvare, e anzi a sollecitare, le misure anticostituzionali adottate dal governo centrale.
Come a Pianura, gli abitanti di Chiaiano, Marano e Mugnano chiedono di non fare una discarica in un terreno palesemente non idoneo, già destinato a parco naturale. In cambio ricevono dalle elite intellettuali e istituzionali della città, nel migliore dei casi silenzio e indifferenza, se non esplicito scherno e rimprovero. È questo – l’isolamento, la demonizzazione, il pregiudizio – quello che si merita Chiaiano e con Chiaiano tutta la città?
 
L’emergenza come tecnica di governo dura in Campania dai mesi successivi al terremoto del 1980. Un dispositivo che consente di espropriare la democrazia ai cittadini per comporre interessi non sempre trasparenti, come emerge da numerose inchieste giudiziarie. Ma se questo è il meccanismo, perché non provare a uscirne con un radicale cambiamento, cercando di restituire democrazia e responsabilità, ma anche le scelte ai cittadini. Oggi la loro protesta non è solo localismo. È anche una reazione a questo esproprio di democrazia.
Nella concezione della stampa, degli intellettuali, della classe dirigente, la parte giovanile e sottoproletaria di questa città appare sempre passiva rispetto alla cosa pubblica, oppure se si mobilita lo fa perché prezzolata da loschi interessi. Al contrario, con i suoi codici e le sue contraddizioni, questa composizione sociale (tutta o in parte) cerca una collocazione nel sentimento civico della comunità, riuscendo finalmente a interagire con altre tipologie di cittadini che si riconoscono in questa lotta.
Si cita spesso la camorra. Come una spiegazione che non spiega molto, perchè non si prova mai davvero a ricostruirne gli interessi. Se analizziamo il passato recente, la camorra sembrerebbe più incline all’apertura che non alla chiusura delle discariche, avendo dimostrato di saper entrare nel loro funzionamento (compravendita dei terreni, trasporto dei rifiuti, sversamenti abusivi, ecc.). E se la camorra può far pesare i suoi interessi in queste vicende, le responsabilità non sono certo dei cittadini che protestano ma dei gruppi dirigenti che gli hanno più volte aperto la porta.
Il decreto Berlusconi si inserisce perfettamente in questa filosofia emergenziale. E lo fa in più punti: nella costituzione di una superprocura che controlli le inchieste accettabili e quelle “inadeguate”, col rischio che queste ultime siano sempre quelle che colpiscono chi ha maggiori poteri e responsabilità nello sfascio; nella possibilità di agire in deroga alle norme igienico-sanitarie e ambientali; nella possibilità di stoccare in discarica diverse tipologie di rifiuti speciali e tossici; nello stanziamento senza controllo di altri 150 milioni di euro che permetterà di assegnare le infrastrutture senza gara d’appalto; nello stabilire uno stato d’eccezione con norme penali ad hoc per colpire chi protesta. Allo stesso tempo non si aggiunge niente per il problema dello sversamento abusivo di rifiuti tossici, che sembra del tutto rimosso.
Ma esistono altre vie d’uscita dall’emergenza. Un piano con dieci discariche e quattro inceneritori è un piano di trent’anni fa. Si è cominciato chiudendo le discariche (come chiedevano le direttive europee) e si finisce con l’aprirne dieci. Ma se davvero il commissario aveva poteri speciali, negli ultimi mesi avrebbe dovuto ridurre drasticamente gli imballaggi, separare almeno il secco dall’umido per togliere la parte putrescente, provvedere ad allestire impianti per la trasformazione dei rifiuti differenziati, in grado di ricavare compost (utile per bonifiche e agricoltura), nuovi polimeri dalla plastica, nuovo vetro. La Sassonia (Ansa, 21 maggio) ci ha appena detto che differenzia “a valle” la nostra immondizia. Percentuali altissime con impianti che potrebbero essere costruiti in breve tempo e con tecnologie molto più semplici degli inceneritori. Perchè non si può virare il piano in questa direzione, visto che questo chiedono le legittime paure delle comunità? E perchè si continuano a fare scelte così bizzarre: aree vulcaniche come Terzino; l’unico polmone verde di Napoli, come la Selva di Chiaiano.
Insomma, si chiede ai cittadini di sacrificarsi al buio, senza nessun segnale di inversione reale di rotta, di emancipazione dalla sudditanza agli interessi forti, di affermazione del principio di responsabilità per cui chi ha sbagliato (e sono tanti, anche nell’imprenditoria, non solo Bassolino) deve andare a casa.
Con questo appello intendiamo esprimere la nostra solidarietà alle persone che abitano nella zona delle cave, che animano i presidi e partecipano alle manifestazioni contro la discarica; intendiamo non rimanere in silenzio come i nostri politici e rivolgiamo ai mass media l’esigenza di un racconto dei fatti il più possibile oggettivo, approfondito e non pregiudiziale. Il territorio di Chiaiano non appartiene solo a chi lo abita, ma è un patrimonio di tutta la città e da tutta la città va difeso.
 
Antonio Basura
 
prime adesioni:
Maurizio Braucci scrittore Napoli
Guido Piccoli giornalista Napoli
24 Grana, musicisti Napoli
Giuseppe Palumbo, autore di fumetti, Bolognai
Fabio Rodriguez Amaya, pittore e docente di Letterature Ispano-americane presso l’Università degli Studi di Bergamo
Marco Salvia, giornalista e scrittore, Napoli
Francesco Martone, attivista freelance Roma
Lorenzo Pavolini scrittore Roma
Canio Loguercio, musicista, Roma
Carlo Cerciello regista Napoli
Andrea Morniroli — cantieri sociali — mestiere: cooperatore sociale Napoli
Alessandra Riccio, giornalista, Napoli
 
 

Ponticelli, dove i rom fanno più paura dell’amianto

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A Ponticelli, dove i bambini giocano nell’amianto ma gli abitanti hanno più paura dei rom,  sembra esserci una percezione distorta del problema sicurezza. Il presunto rapimento di una neonata da parte di una giovane rom e l’operazione di terrorismo mediatico che ne era seguita, avevano  fatto scattare nei giorni scorsi la furia collettiva e in una sola nottata sono stati dati alle fiamme ben cinque campi nomadi, dopo che  centinaia di persone terrorizzate tra cui moltissimi bambini e neonati erano state allontanate a suon di minacce e bastoni da una folla inferocita.
Giornali e televisioni hanno così  gettato il cerino su quella che di fatto era una polveriera, fatta di cattiva gestione del territorio ed  emergenze di ogni tipo: sanitaria, ambientale, abitativa, di sicurezza, di degrado. Qualcuno già esasperato da una pessima e criminale gestione della cosa pubblica, qualcun altro rispondendo a interessi non proprio limpidi, ha deciso in quel contesto di farsi giustizia e pulizia da solo. E’ difficile districare,  in una realtà complessa come quella di Napoli e nel caso particolare di Ponticelli, la fitta rete di relazioni che esiste tra Camorra, istituzioni, singoli cittadini e imprenditori, soprattutto costruttori edili.  Se ne è parlato pochissimo, ma a  Ponticelli il prossimo 4 agosto  scade il termine per avviare i lavori di edilizia pubblica e privata che rientrano nel così detto Programma di Recupero Urbano (PRU), approvato recentemente dalla Giunta Comunale. Se questa data  prevista non verrà rispettata,  saranno  revocati i finanziamenti ministeriali che si aggirano intorno ai 67 milioni di euro. Una settimana dopo l’assalto ai roghi dei campi nomadi, è provato  che questi sono già stati puliti e  bonificati, con una solerzia rara e pertanto sospetta  e con la stessa solerzia sono già stati smaltiti anche alcuni di quei pannelli all’amianto di cui il quartiere  è ancora pieno e la cui presenza nociva viene inutilmente denunciata da anni.
 
I bipiani all’amianto del terremoto
Pannelli danneggiati e pertanto ancora più pericolosi, che i rom utilizzavano per costruire le loro baracche e che avevano recuperato perchè erano stati lasciati incustoditi a seguito della parziale demolizione  di alcuni dei così detti “bipiani del terremoto”, prefabbricati montati  a Ponticelli nel 1980 durante l’emergenza abitativa che seguì al sisma di quell’anno e costruiti interamente con pannelli all’amianto.   E così mentre la diossina sprigionata dai roghi dei copertoni che bruciavano i nomadi per estrarne il rame è stata, dicono, oltre al presunto rapimento della bimba, uno dei motivi scatenanti della follia razzista di qualche centinaio di persone, si tollera ancora oggi  a Ponticelli, da ormai venticinque anni, nella più assoluta indifferenza delle istituzioni, la convivenza  con le fibre di amianto sparse praticamente dappertutto.
Ma mentre i  rom rubano, puzzano, li incontri per strada o sui mezzi pubblici, ti infastidiscono all’uscita dalla messa, i copertoni che bruciano sprigionano diossina ed emettono un fumo nero che vedi anche da lontano,   l’amianto c’è ma non puzza, sta lì e puoi anche fare finta che non esista, fa morire, ma di una morte lenta che non si sa bene quando arriva e se poi le istituzioni rassicurano che c’è ne è talmente poco, probabilmente non è nemmeno così dannoso per la salute come dicono.
Nei bipiani, in quelli non ancora sgomberati,  notoriamente pericolosi, trovano alloggio centinaia di famiglie, sia di extracomunitari che di cittadini della zona,  nonché disperati di ogni genere e nazionalità, per i quali non si riesce a trovare una sistemazione alternativa. Sono già  noti casi di tumori e leucemie tra i bambini che vivono tra quelle pareti assassine, tre solo negli ultimi sei mesi.
Fino a qualche anno fa lì risiedevano anche alcuni rom, prima di essere dislocati nei campi nomadi per poter provvedere alla demolizione dei prefabbricati, avvenuta soltanto parzialmente,  e che,  ormai abbandonati alle intemperie e mai rimossi, continuano a rilasciare nell’aria pericolose fibre di amianto. Sono diventati luoghi di gioco per i bambini e rifugio per clandestini ed extracomunitari.
 
La scuola San Giovanni Bosco
In questi giorni abbiamo sentito parlare spesso della  scuola San  Giovanni Bosco, del 57° circolo didattico di Napoli-Ponticelli, saltata alla cronaca  dopo un’inchiesta del quotidiano La  Repubblica che, intervistando gli alunni, ha dato ampio spazio ai  macabri e violenti dettagli sui roghi dei campi rom. E’ così che  si altera la percezione del problema sicurezza in un paese,  il nostro, che ormai è incapace di vedere al di là delle proprie paure più immediate. Tra i tanti temi degli studenti,  tra i quali ne spiccano tantissimi dove si denunciano  gli episodi di razzismo e dove si esprime   solidarietà ai loro coetanei nomadi rimasti senza una casa, la giornalista ha scelto quelli che meglio rappresentano l’ipocrisia generale del paese Italia.
“Abbiamo dovuto usare le maniere forti” hanno scritto nei loro temi alcuni bambini della scuola.  Siamo consapevoli  che si è trattato di un esiguo numero di bambini, rispetto a quanti invece hanno dimostrato di avere maggior senso civico.  Quello che è certo invece è che tutti i genitori e gli insegnati  dei bambini di quel complesso scolastico sono consapevoli che i loro figli e i loro alunni, anno , anno dopo anno, dall’asilo alle elementari e poi alle medie, respirano giorno dopo giorno  fibre di amianto. E non solo loro, ma tutta la popolazione che vive nei dintorni di Via Luigi Volpicella a Ponticelli.
Via Volpicella è infatti la strada  dove si trovano i bipiani ed è adicente a Via Angelo Camillo De Meis, dove risiede proprio  la scuola del quartiere, la Giovanni Bosco. Purtroppo la vulgata generale che si è mobilitata nel denunciare l’emergenza rom prima e gli episodi di razzismo popolare che ne sono seguiti poi, si è dimenticata   di denunciare il razzismo istituzionale che condanna moltissimi bambini, di ogni nazionalità, piccoli studenti di quella scuola  a vivere nei bipiani fatiscenti adiacenti al plesso scolastico, respirando giorno dopo giorno la polvere d’amianto che li sta uccidendo lentamente e che si sparge in tutta la zona. Fu un bambino albanese nella primavera del 2003 a scrivere all’allora sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, denunciando la situazione. Tutto è rimasto immutato.
Petizioni, denunce, richieste  sono state fatte anche da parte di alcuni comitati di cittadini e da politici locali, tutte rigorosamente senza nessun seguito,  ma non c’è mai stata   nessuna azione rabbiosa e violenta come quella messa in moto per liberare in una sola nottata i campi nomadi da quella presenza umana fastidiosa, maleodorante che “è sporca”, “che non lavora” , e che “ruba i nostri figli”.
Nessuna “emergenza sicurezza” per l’amianto,  che c’è ma non si vede  ( e non ruba i bambini).

A Chiaiano “no global” per tutti i gusti

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Due no global a Chiaiano

Sono abbastanza sicura del fatto che quando vengono usati genericamente e impropriamente  termini come no global  e centri sociali   sui giornali o per televisione,  ciò viene fatto con lo scopo di gettare discredito  su  quello di cui si sta parlando.  
Questo espediente viene utilizzato spesso. Un po’ troppo, ultimamente.  E a causa dell’uso sbagliato che ne viene sempre fatto, queste due parole evocano nella maggior parte dei lettori di un quotidiano o nei telespettatori di un TG immagini riconducibili alla violenza giovanile, al dissenso estremo, se non al terrorismo vero e proprio.
Ultimamente, ogni volta che nei mezzi di dis-informazione si vuole testimoniare una protesta di popolo, un’espressione di dissenso,  un momento qualsiasi di manifestazione in cui realtà diverse si incontrano con obiettivi comuni si usano questi due termini. Generalmente sempre a sproposito.  E’ stato fatto per esempio recentissimamente con la protesta dei giovani studenti dei collettivi di sinistra dell’Università La Sapienza, dove senza che fossero direttamente coinvolti,  i centri sociali sono stati tirati in ballo dal Corriere della Sera e dal TG1.
E’ successo anche ieri  a Chiaiano. Una manifestazione che ha coinvolto praticamente TUTTA la società civile, a partire dai bambini in carrozzina, fino a quelli delle elementari  e medie che aprivano il corteo con gli   striscioni, anziani, casalinghe,  i comitati (perchè così si chiamano) “No Tav” della Val di Susa, quelli “No Dal Molin” di Vicenza , i  rappresentanti del WWF, gli “Amici di Beppe Grillo”, politici e politicanti che sono stati tenuti in coda al corteo,  lavoratori, disoccupati, uomini e donne.
Diecimila persone giunte da tutta Italia in una manifestazione pacifica per dire un grande ed unitario NO alla discarica.
Ebbene questa  Italia per la Repubblica, che salva solo i bambini, sempre e comunque anime innocenti è tutta  no global. (vedi al link le foto di tutti i no global, terribili…) Lo è anche in un articolo di ieri di Alberto D’Argenio e Conchita Sannino dal titolo: “Rifiuti i dubbi della Ue sul decreto – Ronchi non torniamo indietro. Oggi Chiaiano blindata per il corteo no global” e poco importa che nel resto dell’articolo si sia cercato di spiegare più o meno onestamente (sicuramente meno) cosa fossero questi generici no global. Una parola fuori posto in un titolo e la frittata è pronta per metà.
Anche il Corriere della Sera ieri parla di “Tensione a Chiaiano: corteo anti-discarica con i no global”, che però a differenza di quanto fa il  quotidiano romano, quello di  Via Solferino non spiega nemmeno quali siano questi no global che manifestano: “a Chiaiano sono attesi, con i comitati campani, no global da tutta l’Italia”. Punto. Troppa fatica per Luigi Offeddu (il giornalista) spiegarci da cosa o da chi fosse composta questa generica orda di barbari che si preparava ad occupare Chiaiano.
Già,  occupare… Perchè no global e occupazione spesso vanno insieme nei mezzi di dis-informazione. Occupazione  è un’altra parola chiave, usata in questo caso per fortuna, parsimoniosamente. Lo fa soltanto  il Giornale di Silvio Berlusconi (come poteva esimersi) titolando: “Discarica: I no global occupano Chiaiano” abbinando una bella foto a testimonianza di quanto espresso. A questo punto fatemi/vi il favore di aprire il link e di guardare bene in faccia  i no global che hanno occupato Chiaiano. Chissà come ve li immaginate vero? Invece no. Età media sulla quarantina, per la maggior parte donne mature,  vestite di tutto punto, tutti quanti visibilmente stanchi, sudaticci e con qualche chilo di troppo. Che tipi strani stì no global.…
  

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