Campagna di boicotaggio contro Israele

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Pio Laghi

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Pio Laghi

Di Paolo Maccioni
Il coccodrillo dell’AGI ne parla come di un uomo saggio e pio, come il suo nome promette. Arriva a scrivere: “dal ‘76 all’ ‘80 nunzio in Argentina (dove i suoi tentativi di mitigare la durezza della dittatura militare furono criticati fino all’accusa di connivenza con i sanguinari generali)” …
Chi conosce la storia dell’ultima dittatura argentina, chi ha letto i libri di chi ha conservato la memoria di quell’orrenda stagione (parecchi dei quali usciti pure in italiano) sa che il comunicato dell’AGI restituisce una storia fallace, inaccettabile. Il 27 aprile 1995 il cardinale Laghi dichiarava: “come potevo supporre che stavo trattando con dei mostri, capaci di buttare persone dagli aerei e altre atrocità simili? Mi si accusa di delitti spaventosi per omissione di aiuto e di denuncia, quando il mio unico peccato era l’ignoranza di ciò che veramente capitava …
Eppure il nunzio apostolico Laghi (all’epoca non ancora cardinale) disse:“Il Paese ha un’ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi che fronteggiano i germi: così nasce la violenza. I soldati adempiono al loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d’Aquino, il quale insegna che in casi del genere l’amore per la Patria si equipara all’amore per Dio”. Questo fu il manifesto d’appoggio al genocidio espresso dal nunzio apostolico Pio Laghi, intimo nonché compagno di tennis preferito dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera (tessera P2 numero 478) uno degli alti gradi del triumvirato (con i generali Jorge Rafael Videla e Orlando Ramón Agosti) che instaurò la dittatura col golpe silenzioso del 24 marzo 1976.Continua a leggere qui…

Cada uno por la justicia/Ognuno per la giustizia Bollettino 5

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del Gennaio 2009
LIMEDDH - Lega Messicana Per la Difesa dei Diritti Umani
Associazione dei genitori e familiari delle vittime di Sucumbíos — Ecuador
-         Los Buenos deseos para el Año Nuevo
-         El regreso de  Lucía Morett por Carlos Fazio
-         Oficial colombiano niega existencia de correos en laptop de  Raúl Reyes
-         El viaje de Álvaro Uribe a México por Annalisa Melandri
-         Naciones Unidas: Términos duros contra Colombia, por Gustavo Capdevilla IPS
-         Retorna a México Lucía Morett luego de medio año de virtual asilo  en Nicaragua
          Por Blanche Petrich
-         Presuntos malos tratos en detención/temor por seguridad y por integridad personal
-         Momentos de la vida
Versione integrale: in spagnolo
 

Angelo Panebianco: l’informazione al servizio dei crimini di Israele

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Scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 4 gennaio scorso, che il silenzio del mondo arabo rispetto all’attacco prima,  e all’invasione poi della Striscia di Gaza da parte di Israele,  potrebbe essere spiegato secondo la logica  per cui  onde evitare che … (avanzi il fondamentalismo islamico, l’Iran acquisti un ruolo di egemonia in Medio Oriente, etc etc) si accetta che…  (i palestinesi vengano sterminati e Gaza sia ridotta ad un cumulo di macerie).
In effetti, sebbene appaia come un agire cinico dinanzi al quale  è difficile rimanere indifferenti,  questo spiegherebbe anche perchè l’Egitto mantiene e ha mantenuto in passato chiuso il valico verso la Striscia da dove potrebbero passare invece cibo e medicinali per gli abitanti di Gaza  ridotti allo stremo dal blocco israeliano.
 
Questo silenzio avrà conseguenze storiche catastrofiche, preannuncia Uri Avnery, scrittore e attivista pacifista israeliano.
Come si spiega invece il silenzio dei governi occidentali?
Angelo Panebianco, analizzando proprio questo ma  anche l’esplicito consenso all’azione bellica israeliana del mondo occidentale  va ben al di là delle ragioni più o meno politiche, anche se condannabili, che lo determinano.
 
Egli azzarda la teoria secondo la quale il consenso generale di questi giorni da parte della comunità internazionale  all’attacco israeliano sarebbe dettato anche  da un “diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana”. In pratica, poiché secondo il Panebianco, per “gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e donne, come scudi umani”… bene fanno gli israeliani  allora a sterminarli tutti.
Questa è la conclusione logica alla quale si  sovviene terminando di leggere il periodo fuoriuscito dalla mente contorta di Angelo Panebianco . Invece no. Egli non è  così stolto. Ma disonesto lo è di sicuro e quindi conclude che : Israele “cerca di limitare le ingiurie alla popolazione civile, anche se naturalmente la natura del conflitto esclude che essa non sia coinvolta”.
I numeri, ovviamente a Panebianco dicono ben poco, perchè se ad oggi  possiamo contare più di 700 morti palestinesi, per la maggior parte civili, donne e bambini e più di 3.000 feriti, metà dei quali destinati a morire per mancanza di medicinali (e anche di ospedali, visto che vengono bombardati anche quelli) e soltanto 6 soldati israeliani, evidentemente di guerra non si tratta. Possiamo e dobbiamo chiamarlo genocidio.
 
E già questo potrebbe  di per sé bastare a far comprendere il pensiero di Angelo Panebianco: chi ha valori morali diversi da noi merita lo sterminio. Perchè non sterminare a questo punto tutti i tossicodipendenti invece di curarli, o gli zingari che non si piegano a vivere come noi? Invece qualche riga più in là  l’editorialista del Corriere della Sera  affonda completamente nella palude dei suoi ragionamenti,  accusando  addirittura Richard Falk, “relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi” dell’ONU, di “star usando la sua carica e le sue sponsorizzazioni per fare propaganda pro-Hamas e antiisraeliani ”.
 
Mi ha ricordato Uribe, il presidente colombiano quando accusa i difensori dei diritti umani in Colombia di essere membri delle Farc e poi gli spara addosso.
Così ha fatto Israele ieri, uccidendo con la complicità di tutti gli Angelo Panebianco del mondo due addetti palestinesi, due terribili terroristi di Hamas appartenenti all’ Unrwa — l’Agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi a Gaza, mentre guidavano un convoglio che portava aiuti umanitari.

Fabio De Leonardis: Palestina: 1881–2006

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Un proverbio arabo recita che, una menzogna ripetuta per tante volte, diventa realtà. La grande bugia è che la Palestina fosse una terra disabitata e, perciò data a un “popolo” senza terra, il che è una altra menzogna. in quanto la religione ebraica è una religione: trasformarla in una nazione è una bizzarria.
 
Il petrolio, come fu un tempo per la via della seta, presuppone anche il controllo delle vie di comunicazione. La Palestina non ha il petrolio, ma la sua posizione la rende indispensabile per il controllo delle ricchezze petrolifere da parte dell’imperialismo mondiale e di Israele. Una entità statale antiaraba nel cuore di questa regione ha significato destabilizzazione, divisione, guerre e povertà per il mondo arabo che paga carissimo questa strategia: la maggior parte dei paesi produttori di petrolio sono arretrati e sottosviluppati. La loro ricchezza, per colpa dei loro governanti. è nelle mani delle grandi compagnie petrolifere occidentali. Con il pretesto dello stato di guerra con Israele, la maggior parte delle entrate vengono spese per l’acquisto di armamenti — sempre dal l’occidente che si è alleato con regimi feudali e antidemocratici. Queste armi sono usate contro ogni ribellione popolare o contro i movimenti di opposizione a questi regimi. In nome della Palestina sono stati fatti colpi di stato, rovesciati governi, sono stati repressi nel sangue partiti comunisti e movimenti progressisti.
 
I palestinesi continuano a resistere in una giungla di fucili puntati contro di loro. sia dall’esercito israeliano, sia dai regimi arabi. L’ingenuità di essersi fidati dei nemici americani e israeliani, li ha portati ad accettare piani e a firmare ingiuriosi accordi.
 
Dopo la caduta dell’Urss la supremazia sul mondo era nelle mani della potenza americana, alleata di Israele e con l’attentato dell’ 11 settembre la nuova strategia americana della guerra preventiva ha peggioratola situazione dei palestinesi.
 
Le elezioni del 25 gennaio 2005 — definite democratiche e trasparenti da tutti gli osservatori internazionali — hanno portato al governo Hamas. Questi risultati sono stati accettati dal partito sconfitto, ma non da Israele, USA e UE che hanno imposto il blocco economico e politico: il popolo palestinese viene punito con un embargo vergognoso perché ha esercitato il suo diritto di eleggere democraticamente i suoi rappresentanti.
 
I palestinesi sono decisi a rivendicare con ogni mezzo necessario tutti i loro diritti inalienabili alla vita, alla terra, all’autodeterminazione. Per la soluzione di questo conflitto è necessario ritornare all’origine del problema e dar vita a un sistema politico, laico e democratico, che garantisca a tutti i milioni di cittadini — palestinesi e israeliani, oggi in conflitto, ma destinati a vivere insieme– uguali diritti e doveri, senza discriminazioni religiose o razziali.
 
Il libro ha particolare attenzione per la storia della sinistra palestinese e della sinistra non-sionista israeliana e contiene anche una ricca sitografia interna, un glossario che offre un inquadramento storico-politico delle più rilevanti organizzazioni politiche israeliane e palestinesi

Marcia dei folli — La schizofrenia di Israele tra le macerie della Striscia

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questo articolo è stato scritto prima dell’invasione di terra della Striscia e pubblicato da Il Manifesto il 4 gennaio scorso, mi sembra comunque un’ottima analisi politica della situazione.
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di Uri Avnery

Prima di demonizzarlo e bombardarlo a Gaza, Hamas è stato appoggiato da Tel Aviv, per contrastare l’Olp. E con i raid di oggi, lo Stato ebraico, non farà che rafforzare il movimento islamico  

 

Appena dopo la mezzanotte, l’emittente araba di Al Jazeera stava trasmettendo le notizie degli eventi di Gaza. Improvvisamente la telecamera ha inquadrato in alto, verso il cielo scuro. Lo schermo era nero fondo, non si riusciva a distinguere niente. Ma c’era un suono che si poteva sentire: il rumore degli aerei da guerra, uno spaventoso, terrificante boato. Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che stavano sentendo, nello stesso momento, quel suono, paralizzati dalla paura, in attesa delle bombe dal cielo. 
«Israele deve difendersi dai razzi che stanno terrorizzando le nostre città del sud», ha spiegato il portavoce israeliano. «I palestinesi devono rispondere alle uccisioni dei loro combattenti nella Striscia di Gaza», ha dichiarato il portavoce di Hamas. Per essere esatti, nessun cessate il fuoco è stato interrotto, perché nessun cessate il fuoco era mai iniziato. Il requisito principale di ogni cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l’apertura dei passaggi. Non ci può essere vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma le frontiere non sono state aperte, se non poche ore ogni tanto.

Bloccare un milione e mezzo di esseri umani per via di terra, mare e aria è un atto di guerra, esattamente come il lancio delle bombe o dei razzi. Paralizza la vita nella Striscia di Gaza: elimina gran parte delle fonti che creano occupazione, porta centinaia dimigliaia al limite della morte di fame, blocca il funzionamento della maggior parte degli ospedali, distrugge la distribuzione di elettricità e d’acqua.

Coloro che hanno deciso di chiudere i passaggi — sotto qualsivoglia pretesto — sapevano che non ci sarebbe stato nessun reale cessate il fuoco in queste condizioni. Questo è il fatto principale. Poi ci sono state piccole provocazioni volte deliberatamente a suscitare la reazione di Hamas. Dopo diversi mesi durante i quali i razzi Qassam a malapena si sono visti, un’unità dell’esercito è stata inviata nella Striscia «per distruggere un tunnel che arrivava vicino alla recinzione della frontiera». Da un punto di vista puramente strategico, avrebbe avuto più senso tendere un’imboscata sul nostro lato della frontiera. Ma lo scopo era quello di trovare un pretesto per metter fine al cessate il fuoco, in una maniera che consentisse di addossare la colpa ai palestinesi. E così è stato, dopo diverse piccole azioni del genere, nelle quali alcuni guerriglieri di Hamas sono stati uccisi, Hamas ha risposto con un massiccio lancio di missili, ed ecco, il cessate il fuoco è giunto alla fine. Tutti hanno incolpato Hamas. 

 


Qual è lo scopo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: rovesciare il governo di Hamas a Gaza. I Qassam sono serviti solo come pretesto. Rovesciare il governo di Hamas? Suona quasi come un capitolo estratto dalla «Marcia dei folli». Dopo tutto non è un segreto che fu il governo israeliano a supportare Hamas, all’inizio. Una volta interoggai su questo l’allora capo dello Shin-Bet, Yakakov Peri, che rispose enigmaticamente: «Non lo abbiamo creato noi, ma non abbiamo impedito la sua creazione.»
Per anni le autorità d’occupazione promossero il movimento islamico nei territori occupati. Ogni altra iniziativa politica era rigorosamente soppressa, ma lo loro attività nelle moschee era permessa. Il calcolo era semplice, e ingenuo: al tempo l’Olp era considerato il nemico principale, Yasser Arafat il satana. Il movimento islamico predicava contro l’Olp e Arafat ed era perciò visto come un alleato.

Abu Mazen, un «pollo spennato»
Con l’esplodere della prima intifada nel 1987, il movimento islamico si rinominò ufficialmente Hamas (l’acronimo arabo di «movimento islamico di resistenza») e si unì alla lotta. Anche allora lo Shin-bet non mosse un dito contro di loro per quasi un anno, mentre i membri del Fatah erano imprigionati o uccisi in gran numero. Solo dopo un anno lo sceicco Ahmed Yassin e i suoi colleghi furono arrestati. Da allora la ruota ha girato. Hamas è il satana odierno, e l’Olp è considerato da molti in Israele quasi una branca del movimento sionista. La conclusione logica per un governo di Israele interessato alla pace sarebbe stata quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: la fine dell’occupazione, la firma di un trattato di pace, la fondazione dello stato di Palestina, il ritiro entro i confini del 1967, una soluzione ragionevole al problema dei rifugiati, il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Questo avrebbe sicuramente arrestato l’ascesa di Hamas.
Ma la logica ha una scarsa influenza sulla politica. Niente del genere è accaduto. Al contrario, dopo l’uccisione di Arafat, Abu Mazen, che ha preso il suo posto, è stato definito da Ariel Sharon un «pollo spennato». Ad Abu Mazen non è stato concesso il minimo margine di operatività politica. I negoziati, sotto gli auspici americani, sono diventati una barzelletta. Il più autentico leader di Fatah, Marwan Barghouti, è stato mandato in carcere a vita. Al posto di un massiccio rilascio di prigionieri, ci sono stati «segnali» meschini e offensivi.
Abu Mazen è stato umiliato sistematicamente, Fatah ha assunto l’aspetto di una conchiglia vuota, e Hamas ha ottenuto una risonante vittoria alle elezioni palestinesi — le elezioni più democratiche mai tenute nel mondo arabo. Israele ha boicottato il governo eletto. Nella successiva battaglia interna, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. E ora, dopo tutto ciò, il governo di Israele ha deciso di «rovesciare il governo di Hamas a Gaza».
Il nome ufficiale dell’azione bellica è «piombo fuso», due parole tratte da una canzone infantile su un giocattolo di Hanukkah. Sarebbe stato più appropriato chiamarla «guerra delle elezioni». Anche nel passato le azioni militari sono state intraprese durante campagne elettorali. Menachen Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna del 1981. Quando Shimon Peres affermò che si trattava di una trovata elettorale, Begin alzò la voce al comizio seguente: «Ebrei, davvero credete che io potrei mandare i nostri figli coraggiosi alla morte, o, peggio ancora, ad esser fatti prigionieri da degli animali, solo per vincere le elezioni?». Begin vinse.
Ma Peres non è Begin. Quando, durante la campagna del 1996, ordinò l’invasione del Libano, tutti erano convinti che si trattasse di una trovata elettorale. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Netanyahu salì al potere. Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco. Secondo i sondaggi, la prevista vittoria di Barak gli ha fatto guadagnare 5 seggi della Knesset. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare sui cadaveri. Il successo potrebbe evaporare in un istante, se la guerra cominciasse a essere considerata un fallimento dall’opinione pubblica israeliana. Per esempio, se i missili continuano a colpire Beersheba, o se l’attacco di terra porta a un pesante numero di vittime tra gli israeliani.
Un esperimento scientifico
Il momento è stato scelto con cura anche da un altro punto di vista. L’attacco è cominciato due giorni dopo Natale, quando i leader americani e europei sono in vacanza. Il calcolo: anche se qualcuno volesse provare a fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle vacanze. Il che ha garantito diversi giorni senza alcuna pressione esterna. Un’altra ragione che rende il momento appropriato: sono gli ultimi giorni della permanenza di Bush alla Casa bianca. Ci si aspettava che questo idiota assetato di sangue appoggiasse entusiasticamente l’attacco, come in effetti ha fatto. Barack Obama non ha ancora iniziato il suo incarico, e ha quindi un pretesto per rimanere in silenzio: «C’è un solo presidente».
Questo silenzio non fa presagire nulla di buono per il mandato di Obama. La linea fondamentale è stata: non bisogna ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Questo è stato ripetuto incessantemente in ogni notiziario e talk show. Ma ciò non toglie che la guerra di Gaza sia una replica pressoché identica della seconda guerra del Libano. Il concetto strategico è lo stesso: terrorizzare la popolazione civile attraverso attacchi aerei costanti, seminando morte e distruzione. I piloti non corrono alcun pericolo, in quanto i palestinesi non hanno una contraerea. Il calcolo: se tutte le infrastrutture che consentono la vita nella Striscia sono letteralmente distrutte, e si arriva quindi alla totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas. Abu Mazen rientrerà poi a Gaza al seguito dei carri armati israeliani. In Libano questo calcolo non ha funzionato. La popolazione bombardata, cristiani inclusi, si è radunata attorno a Hezbollah, e Nashrallah è diventato l’eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile accadrà probabilmente anche questa volta. I generali sono esperti nell’usare le armi e nel muovere le truppe, non nella psicologia di massa.
Qualche tempo fa scrissi che il blocco di Gaza può essere inteso come un esperimento scientifico, mirato a scoprire quanto si può affamare una popolazione prima che scoppi. Questo esperimento è stato portato avanti con il generoso aiuto dell’Europa e degli Stati uniti. Finora non è riuscito. Hamas è diventato più forte e la gettata dei Qassam più lunga. La presente guerra è una continuazione dell’esperimento con altri mezzi. Potrebbe essere che l’esercito «non abbia alternativa» se non riconquistare la Striscia, perché non c’è altro modo per fermare i Qassam, se non quello — contrario alla politica del governo — di arrivare a un accordo con Hamas. Quando partirà la missione di terra, tutto dipenderà dalla motivazione e dalla capacità dei combattenti di Hamas rispetto ai soldati israeliani. Nessuno può prevedere quanto accadrà.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Al Jazeera trasmette immagini atroci: brandelli di corpi mutilati, parenti in lacrime in cerca dei loro cari tra le dozzine di cadaveri, una donna che solleva la sua bambina da sotto le macerie, dottori senza mezzi che cercano di salvare le vite dei feriti.
In milioni stanno vedendo queste immagini terribili, giorno dopo giorno. Queste immagini saranno impresse nella loro mente per sempre. Un’intera generazione coltiva l’odio. Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare ancora a lungo dopo che gli altri effetti della guerra saranno stati dimenticati in Israele.
Ma c’è un’altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni: l’immagine dei corrotti e passivi regimi arabi. Visto dagli arabi, un fatto s’impone su tutti gli altri: il muro della vergogna. Per il milione e mezzo di arabi a Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l’unica apertura al mondo che non sia dominata da Israele è il confine con l’Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo che consente la vit
a, da lì arrivano i medicinali che salvano i feriti. Al culmine dell’orrore questo confine resta chiuso. L’esercito egiziano ha bloccato l’unica via d’accesso per cibo e medicinali, mentre i chirurghi operano senza anestetici.
Per il mondo arabo, da un capo all’altro, hanno fatto eco le parole di Hassan Nashrallah: «I leader egiziani sono complici in questo crimine, stanno collaborando con il «nemico sionista» che cerca di rompere il popolo palestinese». Si può assumere che non intendesse solo Mubarak, ma anche tutti gli altri leader, dal re saudita al presidente dell’Anp. Se si guarda alle manifestazioni in tutto il mondo arabo, se si ascoltano gli slogan, se ne deduce l’impressione che i loro leader sono visti da molti come patetici nel migliore dei casi, come meschini collaborazionisti nel peggiore.
Questo avrà conseguenze storiche. Un’intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell’ideologia nazionalista secolare araba — i successori di Nasser, di Hafez al-Assad e Yasser Arafat– sarà messa fuori scena. In campo arabo, l’unica alternativa percorribile è l’ideologia del fondamentalismo islamico.
Questa guerra è un presagio infelice: Israele sta perdendo l’occasione storica di fare la pace con il nazionalismo arabo secolare. Domani potrebbe essere davanti a un mondo arabo uniformemente fondamentalista, un Hamas mille volte più grande.

 

 

 

(traduzione di Nicola Vincenzoni)

 

 

 

 


La dictadura, el exilio, la impunidad y la justicia internacional: hablan las víctimas de Alfonso Podlech Michaud.

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Conversamos con los ex presos políticos que estuvieron hace unas semanas atrás (1,2, y 3 de Diciembre) en Roma, testimoniando ante el fiscal italiano Giancarlo Capaldo en contra del ex Procurador Militar Alfonso Podlech Michaud, acusado por la magistratura italiana del homicidio y la desapareción, en octubre 1973, bajo la dictadura de Pinochet, del ex sacerdote ítalo chileno Omar Venturelli. Alfonso Podlech, contra quien existía una orden de captura internacional, fue detenido el 27 de julio de 2008 en el aeropuerto Barajas de Madrid y extraditado en Italia. Carlos Lopez Fuentes, ex preso político condenado en Consejo de Guerra por el Fiscal Militar Podlech a 9 años de cárcel, Jeremías Levinao, mapuche, militante del Movimiento Campesino Revolucionario, que en Temuco sufrió la cárcel y las torturas y su hija Tania. Ellos nos cuentan en esta entrevista, que parece más una conversación entre viejos amigos, los primeros días del golpe del 11 de septiembre de 1973 y lo que siguió después, en Temuco en la región meridional de Chile llamada Araucanía. Y el rol de Alfonso Podlech Michaud en el aparato represivo chileno. También nos hablan del exilio en Francia, donde viven actualmente.

 

A.M. — El martes pasado se encontraron con el fiscal Giancarlo Capaldo. ¿Cómo les pareció el encuentro y qué impresión tuvieron?

Carlos Lopez Fuentes — Yo personalmente pienso que el encuentro con Capaldo fue positivo, porque son testimonios y elementos nuevos que no estaban   en el proceso contra Podlech y   que pueden acelerar el juicio contra él.

Jeremías Levinao — De hecho fue positivo porqué pienso que en mi caso, yo entregué elementos de cómo se utilizaba la tortura durante la dictadura después del golpe y demostré que Podlech era el que ordenaba el castigo de los prisioneros.

 

A.M. — ¿En tu caso, Jeremías, puedes afirmar que la represión era más cruel contra el pueblo mapuche, y que muy diferente a la que se llevó en contra de todos los demás prisioneros políticos?

J.L. - Yo pienso que la represión fue la misma para todo el mundo, pero creo que fue masificada contra el pueblo mapuche por haber participado, de una manera destacada, en la profundización del proceso de la reforma agraria implementada por el gobierno de Salvador Allende. La reforma agraria afectaba al latifundio chileno de la zona y una gran parte de los latifundistas fueron beneficiados después del golpe con la recuperación de las tierras que habían sido expropiadas legalmente por el gobierno de la Unidad Popular. Y es por eso, que pienso que hubo cómo una venganza de la parte de los terratenientes que participaron en la represión.

 

A.M. — ¿Se adjuntaron elementos nuevos que puedan contribuir al juicio contra Podlech?

C.L.F. - Creo   que sí, porque yo entregué también mi testimonio escrito( legalizado en el consulado español en París), de mi querella contra Pinochet ante el juez Garzón. El testimonio que yo entregué en esa querella, es lo mismo que yo entregué al juez Capaldo, con nuevos elementos. No puedo dar detalles, pero exactamente el mismo testimonio que yo di contra Pinochet lo di contra Podlech, más nuevos elementos, que ya decía anteriormente, dispondrá la justicia Italiana ahora.

J.L. - Yo hice un testimonio contra Pinochet que fue legalizado en España. En mi caso entrego los detalles de torturas y tratamientos que yo recibí durante mi detención.

 

A.M. — ¿Ustedes conocieron Venturelli en la cárcel o lo conocían antes de la detención?

C.L.F. - Yo personalmente no lo conocía. Cuando llegué a la cárcel él estaba ya desaparecido. El desapareció el 4 de octubre del ‘73 y yo llegué a fines de noviembre del mismo ano a la cárcel. Lo que pasaba era que cuando uno llegaba a la cárcel, se acercaban inmediatamente a ti, muchos compañeros presos y te entregaban informaciones sobre lo que había que hacer y sobre todo te daban informaciones de la gente que había estado presa y que había desaparecido. Entonces te entregaban información para protegerte y al mismo tiempo para estuvieras consciente del peligro que seguías corriendo, aún estando en la cárcel. No era porqué estábamos a la cárcel que podíamos tener la seguridad de haber salvado nuestras vidas. La Fiscalía Militar dirigida por el Sr. Podelch nos tenía en sus manos, y las órdenes de esta Fiscalía eran: torturar, matar o hacer desaparecer. Los presos políticos que estaban ahí vieron como los compañeros que llegaban a la cárcel, como por ejemplo, el caso de Venturelli, podían desaparecer después. Podlech firmaba   la orden de libertad, salían de la cárcel y los esperaban otros equipos de las fuerzas represivas para llevárselos. Pero todo esto estaba coordinado por la Fiscalía Militar que funcionaba en el Regimiento Tucapel de Temuco y que trabajaba en conjunto con los otros uniformados (Fuerza Aérea, Carabineros y civiles).

 

AM. — ¿Y qué recuerdos tienen del 11 de septiembre en Temuco? A ti Carlos te detuvieron en noviembre de 1973, entonces ¿estabas libre en estos dos meses?

C.L.F. — No, yo estaba libre, pero estaba en la clandestinidad. El 11 de septiembre fue el golpe de Estado, empiezan a salir los bandos. Los bandos son los comunicados de las nuevas autoridades militares de la zona. En esos bandos los militares llamaban a la gente a presentarse a la Fiscalía o al Regimiento Tucapel. Ellos decían que era solamente para verificar la dirección, de donde vivían las personas aparecidas en los bandos. Hay mucha gente que desapareció después que se presentaron de buena fe al Regimiento Tucapel, cómo por ejemplo, el compañero Venturelli y muchos casos más. Quien podía pensar que por el hecho de ser llamado, por los bandos militares, podría significar: peligro de muerte.

 

A.M. — Entonces ya desde el mismo 11 de septiembre los militares tenían los nombres, de todos los que después desaparecieron o mataron o encarcelaron…

C.L.F. - Sí, claro. Si nosotros revisamos las listas de la gente que se presentaba al Regimiento Tucapel, vemos que en las listas estaban: los nombres de los dirigentes sindicales, de los dirigentes campesinos, de los profesores universitarios de izquierda, de los funcionarios de servicio nacional de salud, que eran de izquierda…

 

A.M. - Se dice que Podlech ya el 11 de septiembre estaba en la cárcel de Temuco firmando las ordenes de excarcelación de los militantes pertenecientes al grupúsculo de ultraderecha: Patria y Libertad, que se encontraban presos por delitos cometidos contra el gobierno de Unidad Popular. ¿Cuál fue antes y después del golpe el rol de Patria y Libertad?

C.L.F. - Patria y Libertad fue un movimiento de ultra derecha que nació en Chile, inmediatamente después de que Allende fue elegido democráticamente cómo Presidente de la República de Chile. El doctor Salvador Allende fue elegido el 4 de septiembre de 1970, cinco días después el movimiento Patria y Libertad estaba creado y el objetivo inmediato de ellos era boicotear y destruir el gobierno de Salvador Allende a través de un golpe de Estado. Patria y Libertad se auto disolvió dos o tres días después del golpe de Estado, cuando habían cumplido con su misión. Aunque muchos de sus miembros, cabe destacar, pasaron a integrar los aparatos represivos. La misión era boicotear el gobierno de Allende por todos los medios, sobre todo ilegales: atentados, volar los puentes, volar las vías férreas, matar dirigentes sindicales, mercado negro…

 

A.M. — ¿Y tu Jeremías cuando fuiste detenido?

J.L. - Yo fui detenido en junio de 1974.

 

A.M. — ¿Y desde el 11 de septiembre estabas en clandestinidad tu también?

J.L. – Si, yo también estaba en clandestinidad en Temuco.

 

A.M. — ¿Y qué recuerdos tienes de entonces?

J.L. — En el campo, los campesinos se organizaron para trabajar la tierra en cooperativas campesinas e asentamientos. Estas organizaciones estaban asesoradas de los organismos estatales: Corporación por la Reforma Agraria (CORA) y el Instituto de Desarrollo Agropecuario (INDAP). Estos eran organismos de ayuda a los campesinos para trabajar las tierras. Cómo existían listas de campesinos miembros de cooperativas, los militares se apoderaron de las listas de estos organismos y empezaron a reprimir y a pedir a los campesinos que se presentaran a los regimientos, a las fiscalías y a los puestos de policías. Los latifundistas aún pusieron a disposición sus vehículos personales para arrestar a los campesinos.

 

A.M. — ¿Cuánto tiempo estuviste preso?

J.L. — Yo estuve preso un año y medio, fui detenido en junio de 1974. Me mantuvieron en centro de detención secreta, donde fue torturado hasta el mes de octubre de 1974. En esa fecha me pasaron a la Fiscalía. Entonces en ese momento fui reconocido públicamente como preso político. Posteriormente, fui condenado en el penúltimo Consejo de Guerra en mayo de 1976. Este Consejo de Guerra estaba dirigido por Alfonso Podlech quien era el Fiscal Militar. Era Podlech que acusaba.

C.L.F. - El Consejo de Guerra estaba conformado 9 miembros: 3 carabineros, 3 miembros del Ejército y 3 de la Aviación. Este jurado dictaba las condenas, tomando como elemento esencial los cargos entregados por el Fiscal Militar. Y el Fiscal acusador, siempre, de todos los Consejos de Guerra de Temuco, fue Podlech, desde el principio hasta el final.     (altro…)


Chi assalterà il cielo?

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“La parola d’ordine dei Consigli di fabbrica e del controllo della produzione, cioè l’organizzazione di massa di tutti i produttori per l’espropriazione degli espropriatori, per la sostituzione del proletariato alla borghesia nel governo dell’industria e  quindi necessariamente dello Stato” — Antonio Gramsci  (“il nostro programma” da L’Ordine nuovo 1924)
E allora se per Gramsci agli inizi del ‘900 l’assalto allo Stato da parte del proletariato partiva dalla conquista dell’industria e delle strutture di produzione, dall’ “espropriazione degli espropriatori”, oggi ha ancora senso immaginare uno scenario simile?
E chi sono oggi gli “espropriatori”?
Si possono ancora identificare con gli industriali? Chi sono oggi gli Olivetti, gli Agnelli e i De Benedetti del 1920?
Così come gli espropriatori di allora hanno significativamente compiuto un balzo in avanti trasformandosi oggi nei centri finanziari di accumulo di denaro e capitale, cuore e motore nevralgico del paese e del suo sviluppo, nella stessa misura tale salto qualitativo dovrebbero compierlo coloro i quali sognano l’assalto allo Stato.
La finanza e i grandi centri finanziari, le banche, le assicurazioni, le borse, sono i punti sensibili dai quali  entrare.
Come farlo? E soprattutto chi può farlo?
I rivoluzionari di ieri e anche quelli di oggi, per poter diventare i rivoluzionari di domani dovrebbero smettere gli abiti sdruciti della piazza, le tute delle fabbriche e indossare giacca e cravatta…
 
 
 
 
 

Guido Piccoli e Ingrid Betancourt

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Ingrid Betancourt e il generale Montoya

Ingrid Betancourt abbraccia il generale Mario Montoya il giorno della sua liberazione. Il generale Montoya si è recentemente dimesso dalla sua carica  seguito dello scandalo dei “falsi positivi” , cioè persone sequestrate dall’esercito, poi uccise e fatte passare come appartenenti alle FARC. Si parla di migliaia di giovani innocenti.

Probabilmente  Guido Piccoli  è riuscito ad essere come  l’elefante nella cristalleria organizzata dal comitato Con Ingrid Betancourt a Bologna il 16 dicembre scorso per promuovere la candidatura dell’ex senatrice colombiana al Premio Nobel per la Pace e dove  Ingrid Betancourt ha ricevuto dal sindaco Sergio Cofferati la cittadinanza onoraria. All’evento hanno partecipato  anche il  presidente nazionale di Amnesty International, Paolo Pobbiati, l’attrice Margaret Collina,  i  cantanti Luca Barbarossa, Francesco Baccini e Marina Rei, e il giornalista dell’Unità Maurizio Chierici anche lui impegnato da tempo nella promozione della candidatura di Ingrid Betancourt al premio Nobel.

  
Qui di seguito la relazione che fa Guido Piccoli della serata, con i link per ascoltare sia il suo intervento che la risposta, (stizzita?)  di Ingrid Betancourt…
di Guido Piccoli:
Il 16 dicembre scorso Ingrid Betancourt è venuta a Bologna per ricevere la cittadinanza onoraria e per partecipare ad una grande iniziativa in suo onore organizzata dal Comitato Betancourt per promuovere la Fondazione Betancourt. Tra gli invitati, oltre ad alcuni cantanti, il giornalista Maurizio Chierici, il presidente di Amnesty International-Italia Paolo Pobbiati, anche il sottoscritto. Un invito gradito e inatteso, perché agli organizzatori erano certamente note le mie idee sul conflitto colombiano e, più in particolare, le mie perplessità su quanto espresso dalla Betancourt dal giorno della sua liberazione. In verità confesso che pensavo di essere estromesso, con una scusa o l’altra, in prossimità dell’evento. Mi sbagliavo.
 
Il 16 dicembre sono arrivato a Bologna, con la traccia di un intervento della durata calcolata di 9 minuti (come mi fu chiesto, riducendo il tempo dai 15 precedentemente assegnati). Al Palazzo d’Accursio, dov’era previsto il conferimento della cittadinanza da parte del sindaco Cofferati, alla presenza dell’intero consiglio comunale, ho cercato di trovare un alleato nel proposito di ampliare la visione sulla Colombia al di là della vicenda della Betancourt. In assenza di Maurizio Chierici, ho parlato con Paolo Pobbiati, dal quale ho un rifiuto netto: “non è un’occasione adatta”. La domanda “se non adesso quando? me la sono tenuta. Poi, l’anima del Comitato, Federico Bastiani mi ha presentato alla Betancourt. Lei è stata affettuosa. Le ho anticipato che avrei ampliato il discorso sul conflitto colombiano e che, probabilmente, avrei detto cose che avrebbe potuto non condividere. Lei mi ha risposto “benissimo, è importante il dialogo”. La stessa apertura l’ho trovata in Federico Bastiani. 
 
Poi è iniziato l’evento, con mezz’ora di ritardo sul programma che ha spinto gli organizzatori a chiedere di parlare per non più di 5 minuti. Sono costretto a tagliare ulteriormente il discorso.
 
La sala s.Lucia era occupata in ogni posto. Ci saranno state più di mille persone. Tutto è proceduto tranquillamente, tra un intervento e una canzone di Barbarossa, Baccini, Rei, The Bugs. Quasi alla fine sono stato annunciato dalla presentatrice come un “grande conoscitore della Colombia e delle Farc”. Questo è il mio intervento. E’ andata bene, interrotto due volte dagli applausi, nonostante un po’ di nervosismo e nonostante abbia dovuto all’ultimo momento tagliare il mio intervento.
 
Dopo di me ancora una canzone, poi il gran finale con l’intervento di Ingrid, che inizia piangendo. Il pubblico applaude. Traduco solo la parte nella quale Ingrid mi risponde:
 
“Ringrazio la persona che è stata qui parlando di Colombia e mostrando i problemi del mio paese che sono molti. Vorrei affermare il mio pensiero profondo, che quello che è successo a me e succede a molti in Colombia ci deve far riflettere sulle nostre idee, le nostre convinzioni, la nostra religione, i nostri pregiudizi perché molte volte pensiamo che abbiamo la verità, che quello che pensiamo è il giusto, ma io vorrei che noi guardassimo questi pensieri, questa ideologia, questa religione, questo che per noi pare fondamentale, lo guardassimo con molta attenzione perchè non c’è nulla che giustifichi togliere una vita umana, togliere la libertà”.
 
Alla fine tutti sul palco a salutare il pubblico. Durante un lungo abbraccio con Ingrid, le dico “dobbiamo incontrarci”, lei risponde “già ci siamo incontrati”.
 
Alla fine molti si avvicinano, anche colombiani, che mi ringraziano. Alcuni mi scrivono.
 
“Bravissimo Guido, sei stato grande con questo intervento!! Hay fatto molto bene. …..
Tu intervencion, las cosas que has dicho, es lo que muchos quisieramos gritar. Gracias por posibilitar con tu coraje nuestro desahogo.
Un Abrazo ”
 
Mi scrivono anche gli organizzatori, niente affatto risentiti per il mio intervento. Anzi, il giorno dopo mi mandano messaggi d’apprezzamento e di scuse per aver dovuto ridurre il mio intervento:
“ciao guido
ti volevo ringraziare ancora infinitamente per la tua
presenza a Bologna, hai dato un tocco alla serata molto importante
apprezzato da tutti.
non sai quando email ho ricevuto di apprezzamento
per te!!
ti manderemo delle foto della serata, a presto
Federico”
 
“Gentilissimo Guido,
sono Michael dei Bugs (www.theBugs.it),  nonché membro del comitato Con Ingrid Betancourt.
Ti scrivo perché mi preme ringraziarti moltissimo per la tua disponibilità e desidero farti i complimenti per il tuo intervento che, come avrai sentito dagli applausi, è stato estremamente apprezzato.
Desidero anche scusarmi a nome di tutto il comitato per i problemi legati alla ristrettezza dei tempi, problemi che ci hanno colto alla sprovvista e che, ti assicuro, non sono dipesi dalla nostra volontà.
E’ stato un vero peccato perché tutti quelli con i quali abbiamo parlato avrebbero voluto che il tuo intervento fosse durato di più. Ci dispiace sinceramente. 
Ti ringrazio ancora e ti saluto caramente: in attesa che ci preparino un cd/dvd con foto e video (che naturalmente ti invieremo: a quale indirizzo?) ti mando in allegato una foto del tuo incontro con Ingrid.
 Michael
 PS: ieri mattina Ingrid ci ha scritto ringraziandoci tutti per la “indimenticabile serata”
 
Indimenticabile serata, dice la Betancourt.
Lo scrive durante il viaggio verso il Messico dove ha annunciato che “se aislará del público por un año” e che “me voy a reunir con mi familia y voy a empezar una etapa de mi vida que va a ser muy importante, de reconstrucción personal; voy a aislarme y no me van a volver a ver por un tiempo”……
 
La Betancourt è in realtà molto più apprezzata fuori dalla Colombia che nel suo paese: basta la lettura di qualunque giornale o di qualunque sito colombiano per rendersene conto.
Innanzi tutto, se il suo dramma non commuoveva più di tanto quando lei era prigioniera, adesso commuove ancora meno una popolazione che soffre tragedie ben maggiori delle sue, e totalmente ignorate dal mondo.
Lo stesso giorno dell’iniziativa a Bologna, il giornale del potere, “El Tempo”, ospita in prima pagina un editoriale durissimo intitolato “Las torpezas de Betancourt” che comincia: “No sé si es ingenuidad o estupidez, pero Íngrid Betancourt adolece de un severo problema de enfoque”. E’ una critica “da destra” per il suo viaggio latinoamericano, durante il quale ha visitato dei presunti nemici di Uribe, da Correa a Chávez e Morales.
Ancora più pesanti le critiche “da sinistra”, che posso concentrare in un frammento di lettera che mi è arrivata:
“Muchos colombianos estamos cansados de ver a esta mujer andar por toda parte navegando en una inmerecida fama de luchadora y recibiendo cuanto premio existe, mientras que oculta (porque lo suyo es una voluntad de ocultamiento) todos los crimenes y escandalos del presidente que ladinamente ella respalda. Uno siente mucha impotencia. Pero de todos modos su actuacion es solo una confirmacion de lo que siempre ha sido. Pudiendo esta mujer haberse convertido en la conciencia etica, en la voz de denuncia de la gravisima situacion de colombia ante el mundo, lo que hace es aprovechar la imagen que le han creado para tender con su silencio un velo sobre casi todos los problemas del pais. Gran favor le esta haciendo a Uribe, a la parapolitica, al paramilitarismo, al narcotrafico, a la impunidad y a la continuacion de la guerra. Ella, la aceptica, la humanitaria, la adalid de la paz”
 
 

Guido Piccoli e Ingrid Betancourt

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la madre

“una madre de un muchacho del barrio Soacha que gritaba al descubrir que el cadáver de su hijo había sido presentado como guerrillero, posteriormente se descubrió que el muchacho en cuestión había sido secuestrado.”

 
Quizás el periodista y escritor Guido Piccoli,  el mayor conocedor italiano de la realidad colombiana,
autor del libro “El sistema del Pájaro. Colombia, paramilitarismo y conflicto social” (2005),  se pareció a un  elefante en la cristalería organizada el 16 de diciembre pasado por el comité Con Ingrid Betancourt a Bologna,  para promover la candidatura de la ex senadora colombiana al Premio Nobel de la Paz. En esa ocasión Ingrid  Betancourt recibió  por el alcalde Sergio Cofferati la ciudadanía honoraria.
Participaban también el presidente nacional de Amnesty International, Paolo Pobbiati, la actriz Margaret Collina, los cantantes Luca Barbarosa, Francesco Baccini y Marina Rei y el periodista del diario l’Unità, uno de los promovedores de  la candidatura de ingrid Betancourt al Premio Nobel de la Paz.
 
En seguida la intervención de Guido Piccoli y la respuesta (audio) de Ingrid Betancourt, claramente molesta…
 
por Guido Piccoli: 
Les agradezco por haberme invitado.
No quisiera ser el aguafiestas de esta ocasión. Comencé a interesarme de la situación colombiana….no, antes de comenzar pongo un despertador para dentro de cinco minutos. Apenas suene, termino, así como he prometido, ok! Bueno. Comencé a conocer, a amar y a escribir sobre Colombia a finales de los años ochenta, en le época de Pablo Escobar. Por aquel entonces, todos, tanto periodistas como amigos, me preguntaban por Escobar, me pedían que escribiera sobre él… me preguntaban si le había encontrado. El mal en persona.
 
Es emocionante estar al lado de Ingrid Betancourt. Ya le había visto y estoy muy contento de poder abrazarle. Ahora con Ingrid, del mal en persona pasamos al bien en persona. Es la única mejoría que noto, en verdad. Colombia no ha mejorado mucho en los últimos 15–20 años.
 
Mi tarea es la de ampliar un poco la perspectiva. Porque si el objetivo fuera solamente su vivencia, tendríamos una visión falsa de Colombia.
Si nos detuvieramos solo en su vivencia veríamos un solo delito del cual escandalizarnos. Además veríamos a los buenos de una parte –quienes le han liberado– y a los malos de otra, quienes la tuvieron secuestrada, robándole seis años y medio de su vida. Quienes continuan robando centenares de años a otras vidas.
 
Recuerdo inmediatamente una cuestión. Nosotros amamos los personajes. Recordamos la foto de Ingrid mientras abraza a un general.
En su lugar en aquel momento yo habría abrazado al mismo Satanás, si me hubiese liberado. Pero el mismo general después de 4 meses ha debido renunciar, antes de que lo obligaran a hacerlo, porel escándalo de los falsos positivos. Se trata de un secuestro, también éste es un secuestro de centenares, talvez de miles de jóvenes, que fueron secuestrados de sus casas, llevados a zonas de combate, obligados a vestir uniformes miméticos, asesinados y hechos pasar por guerrilleros. También como paramilitares en algunos casos. (aplausos)
¿Cuál es la razón de todo esto? Para que los soldados tuvieran permisos premios. Los responsables se encuentran en la cúpula. Para que los generales pudieran quedar bien con Uribe. Y para que el presidente Uribe pudiera cantar victoria sobre la guerrilla.
 
Creo que también éstos son secuestros y son secuestros terribles, imagínense las madres…hay una foto que tuvo amplia circulación, de una madre de un muchacho del barrio Soacha que gritaba al descubrir que el cadáver de su hijo había sido presentado como guerrillero, posteriormente se descubrió que el muchacho en cuestión había sido secuestrado.
 
Otros secuestros, rápidamente, voy rápido, rápido, otros secuestros terminados en la nada. En los últimos dos, tres años, han sido descubiertas 3.000 fosas comunes, gracias a la confesión de algunos paramilitares. Es decir, secuestros de personas que han desaparecido en la nada. Estos son los desaparecidos. Cuando hablamos de desaparecidos pensamos en Argentina, en Chile, pensamos en los vuelos de la muerte, en el estadio de Santiago. Pues bien, la suma de los desaparecidos en décadas en Colombia supera al total de la suma chilena y también argentina, la diferencia es que fueron realizados como por un boticario, tantos o pocos a diario, los adecuados, para evitar el crecimiento del tumor de la subverción.
 
Creo que esta información es importante. Nos la brinda Amnesty International, America’s Wath, Human’s Rights, decenas de organizaciones humanitarias colombianas a las que se acusa de ser aliados de la guerrilla. Así como podría ser yo acusado por mencionar estas cosas.
 
Esta es la misma lógica que ha ocasionado el secuestro de Ingrid Betancourt. Muchas personas me preguntaban “¿Por qué han secuestrado a Ingrid?” Porque las Farc tienen la misma lógica: “Quien no está conmigo está en mi contra“ Esto es terrible en una sociedad.
Pero en esta polarización no deberíamos caer ni siquiera cuando denunciamos, cuando nos escandalizamos, cuando nos conmovemos.
 
Me acerco a la conclusión: aún no ha sonado el despertador. Quiero decir algo. Nadie puede ni quiere absolver los crímenes de una parte, recordando los crímenes de la otra parte; pero tampoco es posible continuar interpretando la realidad colombiana, como se hace con otros conflictos, con los habituales “dos pesos y dos medidas”, es decir como un pugna entre “buenos” y “malos”.
 
Finalmente, de cualquier modo, este tipo de lógica nos lleva a tomar en consideración sólo los crímenes innegables de una parte, convirtiéndonos de alguna manera (ahora suena e despertador, concluyo) objetivamente en cómplices de la otra parte. Deberíamos estar contra todos los criminales y al lado de todas las víctimas, comenzando por los pobres que son los más indefensos y que en Colombia están aumentando, deberíamos estar del lado de los sindicalistas y de los indígenas (quienes son atacados por todos, inclusive por la guerrilla que no toleran su autonomía, pero sobre todo por el Estado y los paramilitares al servicios de las transnacionales). (aplausos)
Por lo tanto hay que construir una alternativa a la guerrilla y al narcotráfico, así como dice el eslogan de esta conferencia, pero también hay que construir una alternativa a todos los terrorismos, a la injusticia social, que como bien sabe Ingrid es la primera razón del conflicto. De otro modo “la libertad para todos los secuestrados y las diferentes condiciones de vida, instrucción y trabajo”, como está escrito aquí detrás, serán un propósito vacío y una fábula de navidad.
 
 


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