L’agenda destabilizzatrice di Enrique Capriles

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di Annalisa Melandri — in esclusiva per l’ Indro — 21 Giugno 2013

Si è dimostrato sicuramente più diplomatico e intelligente del  suo omologo colombiano, il presidente del Messico Enrique Peña Nieto, rifiutandosi di incontrare  Enrique Capriles Radonski, leader dell’opposizione venezuelana  uscito sconfitto dalle recenti elezioni del 14 aprile.

Se il colombiano Juan  Manuel Santos lo aveva ricevuto alla Casa de Nariño, sede del governo, il 29 maggio scorso, addirittura piantando in asso i leader della Comunità di San José di Apartadó  in un atto pubblico dove il governo doveva chiedere formalmente scusa alle vittime della comunità (il 25 febbraio del 2005 4 adulti e 4 bambini furono trucidati da esercito e paramilitari) per le dichiarazioni dell’ex presidente Álvaro Uribe che le aveva segnalate come «simpatizzanti della guerriglia», Peña Nieto ha risposto a Capriles invece  con un secco «no». «No, non  lo riceverò perché è evidente che il Governo del Messico ha riconosciuto il Governo venezuelano e non possiamo far parte di un conflitto interno, né prendere posizione», questa è stata la dichiarazione rilasciata da Londra, dove si trovava Peña Nieto dopo aver partecipato come inviato speciale per il  G8 tenutosi in Irlanda del Nord.

Le relazioni tra il Messico e il Venezuela, sono altalenanti sia dal punto di vista economico, ma anche da quello politico non si può dire infatti che si distinguano per cordialità. Anzi. Durante il governo di Vicente Fox (2000–2006) raggiunsero il momento più critico, quando ambedue i governi ritirarono i rispettivi ambasciatori. Felipe Calderón (2006–2012) visitò il Venezuela invece solo nel  2011, mentre  Enrique Peña Nieto, eletto a dicembre dello scorso anno, non vi si è  ancora recato. Probabilmente questo è proprio il motivo del rifiuto, il non voler pregiudicare a priori relazioni che potrebbero essere positive per entrambi. La visita di Capriles in Colombia  ha gettato  le premesse per una crisi diplomatica, Maduro ha dichiarato infatti che il presidente colombiano «ha dato una pugnalata alle spalle al Venezuela».

Capriles, che sta approntando un’ agenda pensata a suo dire, per «far conoscere la voce della maggior parte dei venezuelani all’estero»,  sta cercando consenso internazionale intorno ad  un non ben precisato progetto di delegittimazione del risultato elettorale. Non ben precisato perché il suo agire appare sconclusionato, senza un piano politico a lungo termine (e d’altra parte questa è una caratteristica dell’opposizione venezuelana, tanto è vero che Capriles si trova a dover affrontare la sua seconda sconfitta consecutiva), ma condotto soltanto sull’onda del sentimento   post elettorale.

Il riconteggio del totale dei voti, come Capriles ha chiesto, è stato effettuato, confermando  il risultato iniziale (Nicolás Maduro 50,61 per cento – Enrique Capriles 49,12 per cento); la maggior parte dei paesi vicini ha riconosciuto il risultato ed anzi, quasi tutti i capi di Stato latinoamericani hanno partecipato a Caracas, il 19 aprile scorso,  alla cerimonia di insediamento di Nicolás Maduro (in totale erano presenti 17 capi di Stato e di Governo oltre a decine di delegazioni internazionali); perfino gli Stati Uniti che inizialmente  hanno condiviso con l’opposizione la richiesta del riconteggio dei voti, di fatto non hanno mai delegittimato il processo elettorale; il nuovo governo, forte del risultato e dell’appoggio internazionale ricevuto, si è messo immediatamente al lavoro, dovendo affrontare  una  serie di difficoltà, prima fra  tutte la mancanza di prodotti di prima necessità sul mercato, e dovendo far fronte a strategie economiche volutamente miranti  alla destabilizzazione politica.

Se i poteri economici contrari al governo lavorano in questo senso, l’aspetto diplomatico della destabilizzazione è in mano a Henrique Capriles Radonski, capo dell’opposizione riunita nella coalizione Mesa de Unidad Democratica (MUD), politico di vecchia data nonostante la sua giovane età — fu vicepresidente del Congresso e presidente della Camera dei Deputati nel 1999 — attualmente  governatore dello Stato di Miranda, incarico che ricopre dal 2008.

Sebbene alcuni analisti vedono nel MUD  il nuovo volto dell’opposizione venezuelana, più moderata rispetto a quella apertamente eversiva che diresse il golpe  del 2002 contro il governo di Hugo Chávez  (dimenticando che Capriles fu tra quelli che assediarono l’ambasciata cubana proprio il giorno successivo all’arresto di Chávez), i fatti dimostrano che il cambiamento è solo di facciata e la matrice è invece rimasta la stessa. La destra venezuelana  continua ad essere destabilizzatrice, lo sanno i familiari degli undici morti tra le fila chaviste uccisi nei giorni immediatamente successivi alle elezioni, lo sanno i medici cubani costretti alla fuga inseguiti dagli oppositori, lo dimostrano gli ingenti danni agli edifici dell’edilizia popolare o alle sedi del PSUV, il partito  al governo provocati da una folla inferocita e incitata da  Enrique Capriles al sollevamento popolare in nome di un ipotetico fraude.

Frode che Capriles continua ad evocare in tutti gli ambienti di destra, statunitensi e latinoamericani, da quelli più moderati a quelli più estremisti, con i quali ha  noti e datati contatti. A cominciare proprio da quelli colombiani, dove il suo mentore  è l’ex presidente Álvaro Uribe, accusato di vincoli con il paramilitarismo dalle confessioni di  paramilitari detenuti negli Stati Uniti, acerrimo nemico di Hugo Chávez, con cui le relazioni erano pessime, arrivando quasi al limite di un conflitto regionale, spietato critico dell’attuale presidente Santos per l’apertura che aveva dimostrato verso Chávez.  L’aver accettato  l’incontro con Capriles da parte di Santos potrebbe rispondere infatti a pressioni esercitate dal settore più conservatore del suo partito, fedele ad Uribe, o da settori vicini all’apparato militare colombiano che non vedono di buon occhio la Revolución Bolivariana. Capriles  ha comunicato  che i prossimi paesi che visiterà saranno il Perú, il Brasile e il Cile e, «probabilmente»,  il Messico», a prescindere se il capo dello Stato lo riceverà o meno.

Mentre prepara la sua agenda personale,  trascurando i suoi impegni di funzionario pubblico come governatore dello Stato di Miranda, come fanno notare i suoi oppositori, il presidente Nicolás Maduro ha fatto rientro  in Venezuela dopo un viaggio lampo, ma dai contenuti abbastanza significativi in Europa. Ha visitato l’Italia, dove si è incontrato con il presidente  Napolitano e il Papa e dove presso la sede della FAO ha ritirato il premio per aver raggiunto il Venezuela con anticipo le prime «Mete del millennio», in Francia invece ha incontrato Francois Holland gettando le basi per un’«alleanza strategica» tra i due Paesi da perfezionare a Caracas il prossimo luglio oltre ai dirigenti della Renault, della Total e della Airbus.

 

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