Elezioni in Venezuela: la “battaglia definitiva”?

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La sfida tra Chávez e Radonski si fa incandescente. Circa 19 milioni di elettori sono chiamati a decidere se seguire il Socialismo del XXI Secolo o cambiare modello.

di Annalisa Melandri per L’Indro*- 5 Ottobre 2012

Probabilmente quello di domenica prossima in Venezuela rappresenta l’appuntamento elettorale recente più importante in tutta l’America latina e non solo, viste le ripercussioni che ha nel mondo intero quanto accade a livello economico e politico nella patria del’Libertador’ Simón Bolivar.

Hugo Chávez alla guida della coalizione Gran Polo Patriotíco si candida per la quarta volta consecutiva e fa i conti questa volta con il giovane avvocato Henrique Capriles Radonski, leader del partito Primero Justicia, già governatore dello stato di Miranda, nonché vicepresidente del Congresso della Repubblica e presidente della Camera dei Deputati tra il 1999 e il 2000, che ha riunito l’opposizione sotto la sigla Mesa de Unidad Democrática(MUD).

I bolivariani e il popolo chavista in generale sembrano guardare con poca apprensione all’appuntamento elettorale: ben oltre i favorevoli risultati dei sondaggi di questi giorni la loro sicurezza sta nella convinzione che il processo messo in marcia nel paese ormai da circa quindici anni difficilmente potrà arrestarsi e che questo ha ancora bisogno dell’appoggio del suo leader e promotore.

Al di là dei risultati positivi in tutti i settori, sui quali tuttavia l’opposizione dissente, quello che ha tenuto insieme i venezuelani e li ha stretti ancor di più intorno al loro ’Comandante’ è l’essere riusciti, come paese e come popolo, a recuperare la dignità nazionale e la sovranità.

Populismo? Sicuramente Hugo Chávez può essere definito un presidente populista, ma quale governante dell’America latina (dove tutte le repubbliche sono di tipo presidenziale) non lo è?

Lucidità di analisi in questo caso può darla solo la conoscenza della storia recente dell’America latina, regione che è stata come nessun’altra prostrata e svenduta negli ultimi decenni del secolo scorso dalle politiche neoliberali imposte dal ’Washington Consensus’,che nel caso specifico del Venezuela, originarono la crisi sociale e politica culminata nelCaracazo del febbraio 1989, una delle più violente e sanguinose repressioni di una protesta sociale con un numero di morti ancora non ben identificato (i dati ufficiali parlano di 300 morti, ma fonti extra ufficiali stimano siano dell’ordine di migliaia).

Si può ben capire come Chávez sia apparso sulla scena politica del paese come il ’salvatore della patria’, come colui che ha offerto in Venezuela un certo grado di benessere alla portata di tutti e non solo della classe iper privilegiata, che aveva vissuto fino a quel momento più nell’opulenza che nel benessere.

Innegabili sono tuttavia anche per l’opposizione i dati relativi all’accesso all’educazione e agli alloggi, che testimoniano le conquiste raggiunte dal ’Socialismo del XXI secolo’ di Hugo Chàvez e del suo partito, il Partido Socialista Unido del Venezuela (PSUV); nel 2012 per esempio, l’economia è cresciuta del 5,6 per cento rispetto ai primi mesi dell’anno precedente, in maggior parte questa crescita è dovuta al settore edilizio, che ha registrato un’espansione nella prima metà del 2011 del 22,5 per cento grazie al programma di edilizia popolare del governo.

Inoltre rispetto agli indici di povertà, questa è passata dal 1999 al 2011 dal 42,8 per cento al 27,4 per cento mentre la povertà estrema è passata dal 16,6 per cento al 7 per cento. Il coefficiente di Gini invece che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è passato dallo 0,469 del 1999 al 0,390 del 2011.

Chávez ha superato fino ad oggi ogni prova elettorale brillantemente e con ampio margine di consenso. L’eterogenea opposizione venezuelana, nella quale si inseriscono partiti politici (tanto di destra come anche alcuni di sinistra), movimenti civili e religiosi, e che gode dell’appoggio anche economico dell’oligarchia latinoamericana e del governo degli Stati Uniti, non ha saputo dal canto suo, in passato, organizzarsi intorno a una proposta concreta e veramente alternativa diversa dalle solite promesse (anche quelle intrise di populismo) come quelle di aumentare la sicurezza e gli investimenti stranieri.

Nonostante le reiterate accuse di brogli elettorali nelle passate elezioni, il cui risultato comunque l’opposizione ha sempre finito con l’accettare, e l’ombra che si vuole cercare di gettare anche sulle prossime, le elezioni venezuelane sono le più ’osservate’ da parte degli organismi internazionali e sono anche quelle più trasparenti, tanto che perfino l’ex presidente statunitense Jimmy Carter, (che non si può certo annoverare tra i seguaci di Chávez), ha recentemente dichiarato che “delle 92 elezioni che abbiamo monitorato, direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”.

Oggi, Henrique Capriles Radonski, che si dichiara umanista di centro, parla come uno di sinistra, ammiccando ai settori più umili e puntando per la sua vittoria sulla grande massa di ’ninis’ (ni chavistas ni opositores), gli indecisi, che si aggirano tra il 14 e il 20 per cento dei votanti e che quindi sono in grado di fare la differenza.

Afferma inoltre di volersi rifare al ’modello brasiliano’ dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, anche se questo ha confermato il suo appoggio incondizionato a Hugo Chávez.

A pochi giorni dalle elezioni il clima si fa sempre più effervescente. Si rincorrono i sondaggi, la cui pubblicazione per legge è stata vietata una settimana prima delle elezioni, con risultati anche diametralmente opposti, che generano incertezza tra i circa 19 milioni di venezuelani chiamati a votare in questo processo elettorale.

La tendenza fino a questo momento sembra suggerire che Chávez possa vincere senza troppe difficoltà anche se nelle ultime ore probabilmente la forbice tra le due posizioni si è lievemente ridotta.

Si è parlato fino all’ultimo giorno utile di pubblicazione dei medesimi, di una vera e propria “guerra dei sondaggi”, fenomeno che si è osservato anche in altre recenti elezioni come per esempio quelle realizzate nella Repubblica Domenicana, quando sia maggioranza che opposizione si accusano reciprocamente di finanziare agenzie addette ai sondaggi elettorali. Nel caso del Venezuela gli ultimi sono stati realizzati dalla Predicmatíca che dava Capriles in vantaggio con il 52,9 per cento e Chávez con il 47,1 per cento; dalla Dátanalisis che dava in vantaggio Chávez con il 49,4% e Capriles con il 39 per cento; dalla Meganalisis che dava Chávez in vantaggio con il 58,5 per cento e Capriles con il 30,8 per cento.

I candidati hanno chiuso la campagna elettorale con molteplici manifestazioni dei loro rispettivi sostenitori, quasi in una misurazione mediatica di forza. Hugo Chávez a Caracas sotto una pioggia battente ha ricordato ai suoi che “si stanno giocando la vita del Venezuela”, mentre Enrique Capriles Radonski, che nel corso della campagna ha girato il paese ’casa per casa’, visitando provocatoriamente anche le roccaforti più irriducibili del chavismo, ha salutato i suoi a Barquisimeto, quarta città del Venezuela, capitale dello stato Lara dove ha dichiarato che è “l’ora del futuro” e rivolgendosi a Chávez: “lei non fermerà il progresso di questo popolo”.

In un paese troppo polarizzato dove l’opzione elettorale appare sempre più come opzione ’di vita o di morte’ si sta decidendo il futuro di un paese sulla base di due opposti modelli sociali, politici, economici e anche ideologici.

C’è da sperare che, comunque vadano le cose, ’la battaglia definitiva’ la vinca il popolo venezuelano.

 

 



[i] Dati CEPR Center for Economic and Policy Research (rapporto “E’ sostenibile la ripresa económica del Venezuela?”

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