ATTACCO COLOMBIANO A TELESUR — UNA COINCIDENZA?

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LIBERTÀ PER IL GIORNALISTA ARRESTATO IN COLOMBIA!!

Fredy Muñoz Altamiranda da domenica 12 novembre  si trova in stato  di arresto a Bogotà con l’accusa di essere un terrorista.
Fredy è il corrispondente dalla Colombia di TeleSUR, nonché membro fondatore dell’emittente televisiva..
Domenica sera al suo arrivo all’aeroporto di Bogotà di ritorno da Caracas dove si era recato per un corso di formazione audiovisiva, è stato prelevato da agenti del DAS (il Dipartimento Amministrativo di Sicurezza colombiano) e condotto nei loro uffici dove da allora si trova formalmente in stato di arresto.
Egli è inoltre imputato dal servizio di sicurezza di far parte del fronte 37 delle FARC e di ribellione.
Nell’inchiesta condotta dalla Fiscalía 5 di  Barranquilla  (dove verrà presto trasferito)  il giovane giornalista è accusato da alcuni testimoni di essere un addetto agli esplosivi  del gruppo sovversivo delle FARC e di aver partecipato ad attentati contro le infrastrutture del Paese.
Secondo i testimoni Altamiranda  avrebbe partecipato ad attentati contro le centrali elettriche di ElectroCosta.
In una lettera pubblica lo stesso Fredy informa:”Questa è un’accusa che come me hanno subito centinaia di giornalisti nel mondo, dal momento che l’unilateralismo statunitense accusa di terrorismo coloro i quali gli si oppongono con la ragione e con  le prove”.  Egli ha potuto affermare inoltre che “questo è un colpo in più  inferto  al giornalismo libero e critico” e che “pretendono di piegarlo con la forza e la falsità”. Ha inoltre ringraziato  tutti coloro che gli sono vicini e che gli insegnano a “ non perdersi d’animo perché fare giornalismo è rendere pubblico quello che non si vuole che si sappia”.
Il presidente di TeleSUR  Andrés Izarra  ha segnalato,  in una intervista relativamente all’accaduto, che non esclude ci sia una relazione “con interessi che pretendono colpire la credibilità di TeleSUR e colpire le relazioni bilaterali tra  Colombia e Venezuela… Contro TeleSUR è stata  attuata ogni tipo di manovra, accusa, falsità e  disprezzo, similmente come è stato fatto contro il Venezuela e il processo di integrazione. Casualmente le accuse più aggressive e le offese più dure che abbiamo subito a TeleSUR vengono dalla Colombia”.  
E forse  Fredy Muñoz Altamiranda  è diventato scomodo in Colombia proprio perché rendeva pubbliche troppe cose e dava voce a chi generalmente voce  in Colombia non ne ha:  dalla cronaca delle manifestazioni dei familiari dei desaparecidos, ai recenti omicidi di insegnanti  (11 solo nei primi quattro mesi dell’anno)  da parte dei paramilitari,  alla diffusione della notizia che lo Stato Colombiano è stato dichiarato (dal Consiglio di stato, il massimo tribunale del paese)  responsabile per “inefficienza” della morte dei 63 soldati avvenuta nel corso di un’azione contro le FARC .
In una conversazione telefonica che ha potuto avere con TeleSUR lunedì scorso, Fredy Altamiranda ha lanciato un appello a tutta la comunità internazionale affinché si presti molta attenzione a ciò che accade in Colombia e che secondo la sua opinione in quel paese “dire la verità è pericoloso”. Questa però non è una novità come non è una novità che ciò che si verifica in Colombia, accade sotto l’indifferenza del mondo intero.
La FELAP (Federazione latinoamericana dei giornalisti) ha lanciato un appello nel quale “manifesta  profonda preoccupazione e  opposizione  alla detenzione del corrispondente di TeleSUR a Bogotà”.
La FELAP “si unisce alla denuncia di questo grave attacco alla libertà di espressione e al libero esercizio della professione ed esige che le autorità colombiane liberino immediatamente il giornalista in carcere”.
Termina il comunicato affermando che “la detenzione di Muñoz Altamiranda presuppone l’intenzione di colpire un progetto come quello di TeleSUR  di  chiaro impegno verso una informazione che si confronta con l’atteggiamento di coloro i quali detengono l’opprimente egemonia della comunicazione, a partire dai monopoli e oligopoli nazionali e internazionali”.
In uno scenario latinoamericano dove sempre più si vanno stringendo alleanze scomode per gli Stati Uniti e dove  governi e uomini di  sinistra prendono il posto dei soliti fantocci filoamericani, la Colombia si va sempre più delineando come il fedele alleato  di Washington.
Álvaro Uribe Vélez,  preoccupato probabilmente dai risultati delle recenti elezioni americane, ma forse di più dalle dichiarazioni di Jorge 40 e di Salvatore Mancuso, storici capi paramilitari, i quali si sono detti disposti a “dire tutta la verità sui loro legami con la classe politica”,  proprio nei giorni scorsi  è volato negli Stati Uniti per chiedere la proroga del Plan Colombia , in scadenza proprio a  dicembre e di fatto fallimentare in quanto non ha raggiunto nessun risultato nella lotta alla droga e alla guerriglia.
Suona quanto meno strana questa coincidenza e se Andrès Izarra ha la diplomazia di parlare di casualità nel fatto che le accuse più aggressive verso l’emittente televisiva che,  ricordiamolo, nasce grazie all’impegno di paesi come il Venezuela, l’Argentina l’Uruguay e Cuba con lo scopo preciso di contrastare il monopolio mediatico statunitense sul continente latinoamericano, noi non possiamo fare a meno di chiederci che promessa abbia fatto il Dr. Uribe a Washington in cambio della conferma del Plan Colombia e probabilmente in cambio di protezione negli Stati Uniti se le  rivelazioni di Jorge 40 e di  Mancuso dovessero rivelarsi troppo “esplosive”.

CONTROMAFIE E COLOMBIA, L’INTERVENTO DI GUIDO PICCOLI

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Ho seguito l’intervento di Guido Piccoli  nell’ambito di CONTROMAFIE– STATI GENERALI DELL’ANTIMAFIA, (17/18/19 novembre) convegno nazionale  promosso a Roma presso la sede della CGIL,  da LIBERA l’organizzazione che riunisce il cartello di associazioni  antimafia nato nel 1995 e costituita e presieduta da Don Luigi Ciotti.
Guido, che a mio avviso si distingue per essere una delle poche voci “fuori dal coro” dei luoghi comuni e delle banalità, oltre che delle menzogne che circondano la Colombia e le sue vicende, ha affrontato l’aspetto del narcotraffico e dei fenomeni ad esso legati relativamente al paese latinoamericano di cui è profondo conoscitore.
La Colombia e soprattutto i colombiani  infatti, oggi più che mai  hanno bisogno di verità,  perché solo la verità e la denuncia sistematica di quanto accade in quel paese, riusciranno a spezzare quella catena di violenza e di barbarie in cui quel popolo vive da più di 50 anni.
Come fa ben  notare Guido infatti, se è vero che le tragiche vicende dei desaparecidos cileni o argentini hanno raccolto giustamente   la compassione e la solidarietà  mondiale, è pur vero che quegli avvenimenti sono stati circoscritti  agli anni delle dittature; molto poco e raramente si parla  invece di tutti quei desaparecidos colombiani che numericamente parlando forse sono anche di più di quelli cileni o argentini  ma la cui tragedia, silenziosamente, lentamente e sistematicamente si consuma nel silenzio globale da mezzo secolo a questa parte cioè da quando in quel paese è iniziato il conflitto civile e che non è mai più  terminato.
Sì tutto questo accade ancora  infatti sotto gli occhi di tutti,  nel governo “democratico” di  Álvaro Uribe. Perché si parla di Colombia sempre come di un “paese democratico”. Perché in Colombia si tengono elezioni, perché esistono i partiti politici, anche quello Comunista, perché formalmente non si è mai avuto un colpo di stato e perché non girano carri armati  per le strade. Ma basta questo per fare della Colombia un “paese democratico”? Agli occhi del mondo sì. Ma la “democratica” Colombia ha il suo “democratico” presidente, Dr. Álvaro Uribe Vélez, notoriamente colluso con il narcotraffico,  figlio di Alberto Uribe Sierra noto trafficante che fu arrestato e poi rimesso in libertà, Uribe fu colui il quale tra l’altro legalizzò gli emergenti gruppi paramilitari dandogli una struttura sociale (“Las Convivir”). Egli vinse “democraticamente” le elezioni presidenziali del 2002 grazie alle frodi organizzate da Jorge Noguera (ex console a Milano e allora capo del  DAS,  la polizia segreta colombiana) con l’appoggio tinto di sangue dei paramilitari. Affermare che Álvaro Uribe  sia un  narcoparamilitare sembra però oggi ancora eccessivo. Ricordo tempo fa per esempio, che questa mia affermazione in una discussione su di un blog frequentato tra l’altro da buoni conoscitori della realtà latinoamericana incontrò qualche critica. Purtroppo questa è la  realtà dimostrata nei fatti e per fortuna sempre più evidente anche alla luce degli ultimi scandali che hanno sconvolto l’apparato della politica e della giustizia in Colombia. Guido Piccoli non ha remore a chiamare Uribe paramilitare perché la realtà colombiana la  conosce molto bene e per chi come lui la conosce bene, non può che stridere la  diversa attenzione  per esempio che richiamano sulla comunità internazionale,  le elezioni in altre regioni  latinoamericane. Le elezioni in Venezuela sono senz’altro più limpide e corrette di quelle colombiane, ma mentre in Colombia, fa notare Guido, i pochissimi osservatori  internazionali vengono ospitati negli alberghi di lusso di Bogotà e non vengono inviati invece nelle zone rurali dove maggiormente imperversano i paras e i loro metodi persuasivi, il Venezuela (e accadrà anche il prossimo 3 dicembre) viene invaso da osservatori internazionali dislocati in tutto il paese. L’aspetto secondo me fondamentale che si è chiarito, in quanto rispondeva  proprio ad una domanda che avrei voluto rivolgere a Guido è stato quello della distinzione tra narcoparamilitarismo e narcoguerriglia. Se del primo fenomeno, complici i media colombiani legati alla classe politica,  si parla molto poco , il secondo viene sempre strumentalizzato, da una parte dal governo colombiano che legittima così un uso improprio ed eccessivo della forza e della repressione militare, e da un’altra parte  dagli Stati Uniti  i quali giustificano in questo modo l’enorme sforzo economico e militare rappresentato  dal Plan Colombia che si vende come “un vasto programma per la pace, la  prosperità e il rafforzamento dello Stato”,  ma che in realtà rappresenta il più grosso sistema di controllo del suo cortile di casa. Mentre i paras gestiscono  la parte finale dell’intero processo di produzione della droga dove gli introiti sono ben maggiori e maggiori sono anche i legami e le coperture necessarie tra le  forze politiche e di polizia, la guerriglia controlla la fase iniziale del processo produttivo (dove i guadagni sono minori) , nel senso di tassare le coltivazioni ai contadini come d’altra parte fa  però con qualsiasi altra attività che rientri nei territori da essa controllati. Anche le politiche  di produzioni alternative alla coca che vengono ampiamente promosse dall’ Unione Europea si sono dimostrate essere  un totale fallimento, affinché queste  abbiano successo è necessario infatti, che ci sia una vera riforma agraria con un’equa distribuzione della terra, ma per far ciò bisognerebbe cambiare le politiche internazionali e soprattutto l’atteggiamento verso quei paesi come il Venezuela che effettivamente  stanno attuando una redistribuzione sociale delle terre.
Lo stesso questore di Bolzano esperto in narcotraffico globale e che ha tenuto nella stessa mattina un lungo e interessante intervento sulla criminalità legata al traffico di stupefacenti, ha concluso con una nota di pessimismo, purtroppo il traffico di droga produce un’immensa quantità di danaro e dietro ad esso si celano interessi oltre che economici, anche politici e di controllo mondiale.
Il punto di partenza potrebbe essere intanto proprio quello di raccontare la verità.                                                                

MARCIANDO VERSO CITTA’ DEL MESSICO

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Pubblico qui di seguito la lettera amara ma anche piena di speranza ed entusiasmo  ricevuta dall’amica Monique di Oaxaca, Messico.
Abbiamo deciso di tenere insieme una sorta di diario messicano che si arricchirà dell’apporto di sue notizie, commenti, foto, nonché sensazioni su quanto sta avvenendo in questi giorni nel suo paese.
Entrambre crediamo nella verità e nella giustizia e ciò di cui ora più che mai ha bisogno tutto il Messico e i fratelli messicani sono proprio verità e giustizia.
Domani 20 novembre è un giorno importante per il Paese, allo zócalo di Ciudad de México si riuniranno più di 4 milioni di persone (secondo gli organizzatori) per il giuramento del legittimo presidente “el peje” Andrés Manuel López Obrador. C’è ansia ma anche entusiasmo. Monique ci sarà e presto ci farà avere notizie più dettagliate.
Diffonderemo la verità ognuno dalla sua trincea.
 
AGUANTA QUE EL PUEBLO SE LEVANTA!
 
Annalisa,
con piacere ricevo il tuo messaggio. Ti manderò notizie, foto e sensazioni sul giuramento del presidente legittimo del Messico, Andrés Manuel López Obrador.
C’è apprensione su quello che succederà in quel giorno, si dice anche che arriveranno l’esercito e la Polizia Federale per arrestare AMLO. Non credo che succederà. Come fai a controllare  più di tre milioni di persone riunite nello zócalo, non credo che permetteremo che il governo attui questa misura repressiva.
Credo che sia lo svegliarsi delle coscienze. Andrés Manuel rappresenta un simbolo di speranza. Il popolo del Messico è sofferente ed è ancora più ferito dopo la frode elettorale. Hanno rubato la presidenza ad Andrés Manuel. All’estrema destra non sarebbe convenuto che un uomo incorruttibile arrivasse al potere. Tutti i settori si sono uniti per far credere che “el peje” fosse un pericolo per il Messico. I mezzi di comunicazione hanno ben fatto il loro lavoro di discredito. È stata impressionante la manipolazione dell’informazione e gli elettori alla fine hanno votato per l’estrema  destra. Il Messico è sottosopra, ci sono focolai accesi in molti stati del paese, Oaxaca e Michoacán sono alcuni di essi. Gli abitanti di Oaxaca continuano a lottare e ti ringrazio per le parole di solidarietà per la nostra gente.
Oggi sono aumentati i prezzi di benzina, latte e pane. Ieri sono scesi in sciopero i 58 zuccherifici che riforniscono il paese di zucchero. Il narcotraffico continua a lasciare tracce. Si prevede uno sciopero nazionale dei professori in appoggio al movimento di Oaxaca. C’è anche apprensione su quanto si dice che  il 1 dicembre l’opposizione non permetterà a Felipe Calderón (presidente illeggittimo) di prendere il potere. La coppia presidenziale (Vicente e Marthita) è coinvolta in uno scandolo con risvolti penali per aver appoggiato un’associazione denominata “Amigos de Fox”, l’arcivescovo del Messico invischiato in casi di omosessualità  e c’è di più… molto di più.
Ti abbraccio dal mio Messico sofferente, ma continuiamo a lottare, ognuno dalla sua trincea.
Mi congratulo con te per trattare nel tuo spazio questo tipo di argomenti.
Rimaniamo in contatto
 
Monique dal Messico.
 
 

MARCHANDO HACIA CIUDAD DE MÉXICO

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Publico la carta amarga pero llena de esperanza y entusiasmo recibida por la amiga Monique de Oaxaca , México.
Hemos decidido juntas de tener como un diario méxicano que se enriquecerá con sus noticias, informes, fotos, además de sensaciones por lo que está ocurriendo en su país.
Las dos creemos en la verdad y en la justicia y lo que más necessita ahora todo México y los hermanos méxicanos son propio verdad y justicia.
Mañana, 20 de novembre es un día importante para el paIs, en el zócalo de Ciudad de México se reunirán más de 4 millones de personas (según los organizadores) por el juramento del presidente legítimo “el peje” Andrés Manuel López Obrador. Hay expectativa pero también entusiasmo. Monique estará allá y pronto nos enviará noticias más detalladas.

AGUANTA QUE EL PUEBLO SE LEVANTA!

Annalisa:

Con gusto recibo tu mensaje. Sí, te enviaré información, fotos y sentires de la toma del presidente legítimo de México: Andrés Manuel López Obrador.

Existe expectativa de lo qué sucederá ese día, pues, hasta se comenta que entrará el ejército y la Polícia Federal a detener a AMLO. No creo que suceda tal. Cómo controlas a más de tres millones de personas reunidas en el zócalo, si el gobierno actua de esa manera represiva,creo que no lo permitiríamos.

Yo creo que es el despertar de la conciencias. Andrés Manuel representa el símbolo de la esperanza. El pueblo de México está dolido y quedó más lastimado después del fraude electoral. Le robaron la presidencia a Andrés Manuel. A la ultraderecha no le convenía que un hombre incorruptible llegara al poder. Todos los sectores se unieron para expresar que “El peje”, era un peligro para México. Los medios de comuniación hicieron su labor de desprestigio.Fue impresionante la manipulación de la información y la gente finalmente se movió hacia la ultrederecha.
México está convulsionado, hay focos rojos en muchos estados del país, Oaxaca y Michoacán son uno de ellos. Los Oaxaqueños siguen luchando y gracias por tus palabras de solidaridad y con nuestro pueblo.

Hoy subió la gasolina, la leche, el pan. Ayer estalló la huelga en los 58 ingenios que abastecen al país de azúcar. El narcotrafico sigue dejando su huella. Se prevee un paro nacional de profesores en apoyo al movimiento de Oaxaca. También surge la expectativa que el 1 de diciembre la oposición no permitirá a Felipe Calderon(presidente espurio) tomar el mando. La pareja presiencial (Vicente y Marthita) involucrados en demandas por los abogados que apoyaron a una Asociación demoninada “Amigos de Fox”…El arzobispo de México involucrado en casos de pederastas…y aún hay más.…mucho más.

Te abrazo desde mi México dolido, pero seguimos luchando, cada uno desde su trinchera.

Y te felicito por tratar en tu espacio este tipo de temas.
Me contaba Elio que allá no le llegan datos del acontecer mexicano.

Estamos en contacto.

Monique de México.


IL RICATTO A MANO ARMATA DI DE GREGORIO

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Traendo spunto dal ricatto “armato” del senatore De Gregorio il quale minaccia di non dare l’appoggio alla finanziaria se in essa non viene inserito un miliardo di euro in più per le forze armate, è bene far presente alcune cose:
Durante il precedente governo , l’accordo fra Italia e Francia per l’attuazione del “programma Fremm”  (noto in Italia con il nome Rinascimento e che prevede la realizzazione in collaborazione con la Francia di 27 fregate da combattimento) saltò per mancanza di fondi nella finanziaria 2006 a firma Giulio Tremonti.
In quell’occasione il governo Berlusconi fu duramente ripreso per il suo mancato impegno con la Francia e soprattutto con la Fincantieri , dal senatore Ds Lorenzo Forcieri  presidente della delegazione parlamentare italiana presso la Nato (guarda un po’) e attualmente sottosegretario alla difesa dell’attuale governo.
Sul sito del ministero della difesa tra l’altro nella pagina personale del sottosegretario Forcieri si legge testualmente : ”è stato inoltre primo firmatario di importanti disegni di legge, puntualmente approvati, in materia di riconversione produttiva delle imprese operanti nel settore degli armamenti” ma questo suona comunque contraddittorio con il suo impegno a favore delle commesse belliche navali di Fincantieri.
Nella finanziaria dello scorso anno comunque alla fine venne emesso uno stanziamento di 30 miliardi di euro per il proseguimento del “programma Fremm” e venne  inserito nella tabella di spese del ministero delle attività produttive. Forcieri fu particolarmente critico con Tremonti, sostenendo che il mancato finanziamento al programma Fremm in realtà penalizzava duramente l’industria italiana.Come se per rilanciare l’industria italiana fosse necessario partire da quella bellica.
La finanziaria a firma Padoa Schioppa ha fatto di più.  Quel finanziamento è stato raddoppiato ed è stato inserito nelle voci di spesa del ministero per lo sviluppo economico. Inoltre è stato previsto che i 60 milioni di euro del  2007 passino a  135 nel  2008/2009 e che dal 2010 in poi fino al 2022, anno in cui si dovrebbe concludere il programma, il “Fremm” riceva  un totale di un miliardo e 665 milioni di euro. La finanziaria 2007 prevede 18 miliardi 134 milioni di euro per i fondi del ministero della difesa, contro i 17 miliardi 782 milioni di euro dell’anno 2006. Aggiungendo voci extra e aggiustamenti  vari si prevede di superare i  20 miliardi di euro, circa 3 in più rispetto alla  finanziaria 2006.
Inoltre, confermando nei fatti  un appoggio politico ai servizi di sicurezza e intelligence, ad essi vengono destinati 615 milioni di euro, (25 in più rispetto al 2006).
Ulteriori investimenti sono previsti per la partecipazione al controverso programma bellico americano Jsf in cui però l’Italia già ha investito 1 miliardo di dollari a fondo perduto come quota partecipativa e altri 11 sono destinati all’acquisto di 131 caccia. Inoltre sono previsti   7 miliardi di euro per l’acquisto di 121 Eurofighter Typhoon (programma bellico europeo in cui l’Italia partecipa con l’Alenia insieme a Gran Bretagna, Spagna e Germania).
Accade cioè che nello stesso momento in cui l’Italia con l’Alenia prtecipa alla costruzione del caccia europeo (Eurofighter), contemporaneamente l’americana Lokheed Martin nella costruzione del caccia statunitense concorrente di quello europeo.
Quindi veramente non si si capisce cosa ancora voglia in più De Gregorio se poi teniamo anche conto che…
l’Alitalia fallisce
Trenitalia pure
la sanità non ne parliamo
la scuola piange
i precari protestano
l’editoria stenta….
etc. etc.
 

ROBERTO SAVIANO: “NON RISCRIVEREI GOMORRA”

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Qualche settimana fa sono stata fra coloro i quali avevano espresso  in vari modi  appoggio e solidarietà a Roberto Saviano per le minacce ricevute e l’isolamento in cui si era ritrovato dopo l’enorme successo editoriale riscosso dal suo Gomorra.
Ora permettetemi e soprattutto permettimi Saviano, qualche dubbio.
Rinnovo anche qui la mia solidarietà per le minacce e le intimidazioni che hai ricevuto e considero coraggioso l’aver scritto il libro e forse ancor di più  l’aver gridato a voce alta dal palco di Casal di Principe “andate via da questa terra” ai padrini di cui hai fatto nome e cognome pubblicamente. Trovo deplorevole l’isolamente ambientale in cui ti sei trovato.
È stato il tuo agire conseguente a tutto questo che, consentimelo, non condivido. Già subito dopo essere esploso il caso sui media, la solidarietà sul web, gli appelli, le lettere di intellettuali e scrittori, non ho condiviso il silenzio con cui hai risposto a quanti facevano a gran voce il tuo nome come nuovo paladino della lotta alla camorra. Perché il silenzio? Avevi già detto tutto dal palco di Casal di Principe, l’hai scritto sul libro, pensi che quel silenzio  eventualmente servisse a salvarti la vita nel caso qualcuno avesse deciso di farti fuori? Ho sempre detestato i “no comment” come ho sempre detestato il rinnegare le proprie azioni. Ho letto più di una volta che hai dichiarato che se tu avessi immaginato le conseguenze probabilmente non avresti scritto il libro.
Oggi me lo confermi. Lo confermi dalle pagine di El País in un intervista riportata da La Repubblica:  “No. Non riscriverei Gomorra. E non per le minacce, ma per quello che esse hanno comportato: il comportamento degli editori e di molte persone vicine. La solidarietà è solo una parola”. Non si intende bene a cosa ti riferisci e forse avresti potuto essere un po’ più esauriente nella risposta, che detta così può dare luogo a interpretazioni diverse.
Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha realmete spaventato? Credo che quando giunge il momento per essere coraggiosi, o lo si è  fino in fondo o è meglio tacere. Come stai facendo tu, penso che sia offensivo e poco rispettoso verso coloro (tanti o pochi questo non lo so, ma comunque ammirevoli) che trovano comunque il coraggio vero di varcare le soglie delle questure napoletane (e non solo) per denunciare estorsioni, ricatti, minacce e abusi a cui sono sottoposti quotidianamente e che poi, senza scorta, senza rifugi segreti, senza interviste e senza solidarietà via web, sono costretti a far ritorno nel loro negozio, nella loro casa, nel loro quartiere e sperare di rimanere vivi. Questo è il vero coraggio  e come il coraggio e l’onestà impongono a tutte queste persone  il dovere morale di non tornare sui propri passi e di non ritrattare, questo stesso coraggio, di essere cioè coerenti fino in fondo con l’onestà a cui tanto aneliamo, dovrebbe essere anche il tuo, caro Roberto.  

DOÑA SOLEDAD

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Doña Soledad,
que tocas a mi cuarto
que te puedo yo ofrecer
en cambio del cuento tierno de tu historia?
Doña Soledad,
recorriendo juntas caminos de fuego
entre versos del alma de quien amó
y que por amar murió y sin embargo murió amando y quizá por eso amando todavía más,
entre suspiros de quien no alcanzó a ver más la luz
y que quien sabe si murió por desear la luz,
entre los hojos de miles y miles de hijos matados por el poder
y que fueron matados simplemente por desear de no dejarte sola,
Doña Soledad.

SANDINO, CARDENAL E ORTEGA

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Per quanto riguarda le riflessioni politiche sui recenti risultati elettorali in Nicaragua e sui dubbi che circondano la figura di Daniel Ortega rimando volentieri a quanto scritto dagli amici VERO SUD AMERICA e NOTIZIE DALL’IMPERO.
La sottoscritta pur  essendo scettica in merito all’essere ancora di sinistra di Ortega, soprattutto rispetto ai compromessi e alle allenaze che ha stretto per avere potere (compreso anche quella con la parte più reazionaria e conservatrice della chiesa nicaraguense per cui ha votato contro l’aborto terapeutico nel suo paese), preferisco, come suggerisce GENNARO CAROTENUTO, vedere il bicchiere mezzo pieno, se non altro nella prospettiva in cui la vittoria di Ortega appare come un’ulteriore indebolimento della supremazia USA nella regione in virtù dell’appoggio avuto da Cuba e Venezuela.
Il poeta nicaraguense, Ernesto Cardenal tuttavia è molto scettico sul suo ex-compagno di lotta Daniel,  di cui dice in una recente intervista sul Manifesto del 5/11 che egli “fa solo ipocrita demagogia” avendo perduto tutti i valori e gli ideali che lo animavano nel passato.
Mi piace ricordare quei valori e quegli ideali con una poesia proprio di Cardenal che si chiama “Hora O” e che è dedicata ad Augusto Sandino e di cui è stata fatta una bellissima e struggente versione musicale dal gruppo Chiloe:
He is a bandido”, decía Somoza, “a bandolero”.
Y Sandino nunca tuvo propiedades.
Que traducido al español quiere decir:
Somoza le llamaba a Sandino bandolero.
Y Sandino nunca tuvo propiedades.
Y Moncada le llamaba bandido en los banquetes
y Sandino en las montañas no tenía sal
y sus hombres tiritando de frío en las montañas,
y la casa de su suegro la tenía hipotecada
para libertar a Nicaragua, mientras en la Casa Presidencial
Moncada tenía hipotecada a Nicaragua.
“Claro que no es” —dice el Ministro Americano
riendo— “pero le llamamos bandolero en sentido técnico”.
¿Qué es aquella luz allá lejos? ¿Es una estrella?
Es la luz de Sandino en la montaña negra.
Allá están él y sus hombres junto a la fogata roja
con sus rifles al hombro y envueltos en sus colchas,
fumando o cantando canciones tristes del Norte,
los hombres sin moverse y moviéndose sus sombras.

Su cara era vaga como la de un espíritu,
lejana por las meditaciones y los pensamientos
y seria por las campañas y la intemperie.
Y Sandino no tenía cara de soldado,
sino de

poeta convertido en soldado por necesidad,
y de un hombre nervioso dominado por la serenidad.
Había dos rostros superpuestos en su rostro:
una fisonomía sombría y a la vez iluminada:
triste como un atardecer en la montaña
y alegre como la mañana en la montaña.
En la luz su rostro se le rejuvenecía
y en la sombra se le llenaba de cansancio.
Y Sandino no era inteligente ni era culto
pero salió inteligente de la montaña.


GARAGE OLIMPO — TEATRO L’ORANGERIE, ROMA

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Dal 7 al 26 Novembre — INFO

 


Pinochet e Saddam, due giustizie a confronto

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Igor Vartchenko/ Russia

Due vicende giudiziarie, due imputati eccellenti. Di uno abbiamo immagini perfino delle ispezioni orali a cui è stato sottoposto dopo la cattura, dell’altro sappiamo ben poco se non che sia affetto da una non meglio identificata “demenza senile” o “demenza vascolare” che però gli ha permesso di compiere operazioni finanziare da manuale.
Saddam Hussein e Augusto Pinochet Ugarte.
Un processo mediatico sebbene prevedibile nella sua conclusione quello a Saddam Hussein del quale sono stati studiati i gesti, le espressioni e perfino l’abbinamento della camicia alla sua giacca, passato quasi in sordina eppure molto meno scontato nel suo svolgimento  quello a Pinochet, che ha avuto più enfasi forse per i tesori bancari e i lingotti d’oro che non per il genocidio e le violazioni dei più elementari diritti umani commesse dal dittatore cileno.
Del processo a Saddam si dice da molto tempo che sia una farsa, la sua condanna lo conferma. Un processo finanziato “in toto” dagli Stati Uniti. I giudici sono stati nominati dall’esecutivo e successivamente sostituiti con altri più malleabili, il presidente della corte Ritzak al Amin, curdo,  si è dimesso  per le troppe pressioni ricevute dal governo,  il collegio difensivo decimato con tre avvocati uccisi ed uno ferito ed altri  che hanno abbandonato l’incarico in seguito alle minacce ricevute.
Un processo con una sentenza già scritta fin dall’inizio ma opportunamente emessa pochi giorni prima delle elezioni americane di midterm, come a voler rassicurare gli elettori indecisi sulla effettiva necessità dello sforzo americano in Iraq.
Bernardo Valli dalle pagine de La Repubblica dice che c’era da aspettarselo che in un paese dove il sangue scorre a fiumi che la pena potesse essere capitale, vale la pena  ricordargli  che il processo solo fisicamente si è tenuto in Iraq , la regia è stata altrove,  ben più lontano dalle strade insanguinate di Bagdad.
Perfino Amnesty International e Human rights watch e non certo un gruppo di no global scalmanati hanno  definito “una vicenda losca” il processo a Saddam Hussein, in primo luogo condannando l’ingerenza di Stati Uniti e Inghilterra.
Tutto l’apparato giudiziario è stato viziato nella forma per permettere questa condanna che oggi Bush saluta come “trionfo della democrazia”. Se è vero che Saddam Hussein è stato condannato nel suo paese da un tribunale speciale che legittimamente ha applicato la legislazione vigente, è sempre vero che egli viene custodito da milizie americane in un luogo segreto.
Il processo a Saddam Hussein  doveva essere tenuto da  un tribunale speciale come è accaduto per esempio  per il Ruanda o la ex Jugoslavia,  o direttamente dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Ma in questo  caso ci sarebbe stato un processo giusto. E  la Corte Penale Internazionale dell’Aja non contempla la pena di morte e il suo trattato non è stato ratificato né dagli Stati Uniti né dall’Iraq e inoltre si sarebbero ampiamente diffuse a livello mondiale e per lo più in sede giuridica le complicità iniziali del governo americano ai crimini di Saddam Hussein. Oggi per esempio si apre la seconda fase del processo, quella relativa alla strage di Halabja del 1988 dove vennero uccise 180mila persone con armi chimiche e se fonti interne alla CIA addirittura mettono in dubbio la responsabilità di Saddam Hussein nella strage, si sa per certo che gli Stati Uniti erano i fornitori di armi chimiche al regime iracheno. Paradossale e grottesco questo processo.
Robert Fisk corrispondente britannico da  Beirut per The Independent in una sua recentissima intervista fa appunto notare che la condanna a morte del dittatore iracheno è avveuta per la strage di Dujail dove le vittime sono state “solo” 148 ma le armi chimiche non c’entravano nulla.
Un’altra anomalia formale consiste nel fatto che il tribunale che ha condannato Saddam Hussein e il cui Statuto è stato redatto nel 2003 sotto il controllo diretto degli Stati Uniti, sta giudicando retroattivamente i crimini commessi da Saddam Hussein e inoltre  lo stesso Statuto concede pieni poteri decisionali ai giudici nel caso di crimini non previsti dalla legislazione penale vigente, come quelli per cui l’imputato è stato condannato alla pena capitale.
L’altro imputato, non meno crudele e sanguinario, il vecchio novantunenne Augusto Pinochet, è  lentamente invecchiato insieme al suo processo. Quello che colpisce è infatti la dinamica , estremamente veloce e rapido il processo a Saddam Hussein e repentina la sua condanna, processo che è stato portato avanti in un paese in guerra, completamente distrutto, e sotto occupazione militare e  che ha dovuto creare ad hoc un tribunale e una corte. Lentissimo e pieno di controversie  quello al dittatore cileno quasi a prendere tempo affinchè  non giunga mai a passare un solo giorno dietro le sbarre.
Il processo a Pinochet inizia nel lontano 1988 quando il giudice spagnolo Baltasar Garzón invia tramite Scotland Yard un mandato di arresto al dittatore (che nel frattempo si trovava in una clinica inglese) con le accuse di tortura e genocidio. La stessa Inghilterra che oggi sorride alla condanna a morte  di Saddam Hussein in quel caso negò l’estradizione in Spagna di Pinochet e dopo un breve periodo di arresti domiciliari a Londra lo rispedì  nel suo paese.
In Cile dopo essere stato privato dell’immunità parlamentare Pinochet venne inquisito e condannato, ma la  sentenza fu successivamente annullata dalla Corte d’Appello per motivi di salute (demenza vascolare). A seguito di controlli medici, finalmente nel 2004 decade anche questa immunità e il vecchio Pinochet viene giudicato abile ad affrontare il processo. Con un recente provvedimento che lo accusa di 35 rapimenti, un omicidio e 24 casi di tortura nella vicenda di Villa Grimaldi, centro di detenzione dove furono tenuti sotto sequestro e torturati migliaia di oppositori al regime, viene dichiarato colpevole  ma posto agli arresti domiciliari per motivi di età. Le accuse contro Pinochet vanno dai reati più propriamente finanziari, a quelli di omicidio, torture, sequestri di persona. È accusato tra l’altro dell’omicidio del generale Carlos Prats e di sua moglie a Buenos Aires e per il suo ruolo nel Plan Condor.   Il suo processo ha  diviso in due un paese,  il Cile, dove l’oligarchia e quindi il potere economico e militare è molto forte e ancora protegge il suo “padrino”. E perché non ricordare anche  i crimini commessi da Pinochet contro il popolo Mapuche che fin dall’11 settembre 1973 è stato vittima della repressione? Non è dato nemmeno di sapere il numero esatto dei suoi morti e desaparecidos,  mentre intere comunità contadine hanno subito torture ed espropri delle lore terre che erano riusciti a recuperare finalmente con la riforma agraria di Allende.
Saddam e Pinochet, entrambi coccolati e finanziati dagli Stati Uniti, entrambi processati,  ma uno diventato ormai sicuramente più comodo da morto che non da vivo se non altro per legittimare una guerra a cui non crede più nessuno, l’altro vecchio “demente” ormai inoffensivo in quanto l’appoggio della Casa Bianca al golpe cileno non è più un mistero , e comunque ancora oggi così influente da negargli anche un solo giorno di cella, due dittatori a confronto, due giustizie (??) su cui riflettere.


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