Manfred Reyes Villa faccia di bronzo

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Cochabamba, protesta del 16/1/07

“Si ladran los perros es señal de que avanzamos”
Come è accaduto già per il Messico, quando con l’amica Monique di Oaxaca abbiamo tenuto una sorta di “diario messicano”, in cui raccontarvi quanto accadeva in quel paese nei “giorni caldi” di Oaxaca, cosi’ per la Bolivia e Cochabamba con l’amico Rafael Rolando Briancon cercheremo di tenere teso un filo di solidarietà verso quel paese e verso il popolo boliviano.
Nei giorni scorsi a Cochabamba ci sono stati violenti scontri tra i rappresentanti dei movimenti sociali e coloro che a gran voce chiedevano le dimissioni del prefetto Manfred Reyes Villa e i fascisti di Juventud Democratica da lui stesso fomentati e sobillati.
L’11 gennaio scorso, negli ultimi scontri si sono avuti due morti e centinaia di feriti.
Molto accomuna Oaxaca e Cochabamba, in ambedue i casi la popolazione ha reclamato a gran voce le dimissioni di un rappresentante del governo, in ambedue i casi tale figura è stata appoggiata e sostenuta dalla destra piè reazionaria e dal suo braccio armato, cioò i paramilitari.
In ambedue i casi per esempio si è colpito il mezzo con cui gli indigeni, i contadini, gli studenti avevano trovato un mezzo di espressione per reclamare i loro diritti, cioè la radio, Radio Universidad a Oaxaca e Radio Alter-Nativa Lachiwana a Cochabamba.
Riporto qui di seguito uno scritto dell’amico Rafael Rolando, purtroppo non ho ora la possibilità di tradurlo per intero, però ne riassumo brevemente il contenuto: Manfred Villa dopo esser riuscito nel suo intento di dividere il paese, si è recato a Washington niente di meno che davanti all’ Osservatorio per i Diritti Umani (Human Right Watch)e in una riunione avuta con il segretario generale dell’ Organizzazione degli Stati Americani OEA ha denunciato il fatto che secondo lui la Bolivia sta virando verso il totalitarismo e che la “Democrazia, i diritti costituzionali, e i Diritti Umani sono stati violati in Bolivia sotto il governo del MAS”.
Manfred Villa inoltre denuncia a Washinghton che“esiste una persecuzione politica … che istiga la violenza e la persecuzione razziale…”
Queste le sue dichiarazioni dal tono delirante come quella “il governo incentiva la resurrezione dei gruppi armati come quello de los ponchos rojos e i legami dell’ETA basco con i deputati del MAS”.
Si chiede inoltre Rafael come possa  Manfred Villa farsi ora difensore della democrazia se fu in passato il suo maggior detrattore appoggiando la dittatura di Garcia Meza.
Manfred y su majadera mortificación
Rafael Rolando Prudencio Briancon
 
No sólo que le faltó valor civil para dar la cara y ni que decir el de militar –valor– que como a ex capitán del ejercito y graduado nada mas y nada menos que en las Escuelas de las Américas le correspondía mostrar para ponerle el pecho a la pendencia que provocó premeditadamente al convocar a un nuevo Referéndum por las Autonomías en Cochabamba; Sino que ahora se le ha dado por mudarse martirizadamente en un pechoño periplo para quejarse del quilombo que desató desatinada, desintegradora y desestabilizadoramente con la manipuladora movidita de la Media Luna de convocar nuevamente a un Referéndum por las Autonomías.
 
Así que Manfred se movilizó en una majadera misión con la muletilla mostrarse mártir del plebeyo y patriótico paroxismo de los cochabambinos que le jodieron esa su jugarreta de dividir el país y con la cual ahora justifica que el jaleo que estalló enardecidamente en la Llajta fue por culpa del gobierno nacional.
 
Entonces en vez de dar la cara en Cocha, fue a poner su cara de cartucho santurrón en Washington, nada menos que ante la el Observatorio de Derechos Humanos (OOHuman Right Watch), el Centro por la Justicia y el Derecho Internacional y la Oficina del Diálogo Interamericano, con la concluyente y conspiradora confesión de que “La Democracia, las garantías Constitucionales y los Derechos Humanos han sido violados en Bolivia, impulsado por el propio gobierno del MAS”.
 
Asimismo asustadamente asevera el muy manchachi de Manfred de que: “Existe persecución política y el peligro latente de un régimen de totalitario, que se declara rebasado por sus sectores y se niega a dar garantías a los ciudadanos, mientras instiga a la violencia y fundamentalismo racial indigenista, impulsando el derrocamiento de las autoridades democráticamente elegidas en las pasadas elecciones”.
 
Es así como secuencial y solapadamente, se fue uno a uno ante los mencionados organismos internacionales a denunciar desventuradamente de que: “fue el gobierno nacional el que desactivó a las fuerzas del orden exponiendo a las instituciones democráticas y la población a la furia de grupos de choque, que en ausencia de autoridad, cortaron el suministro de agua a la ciudad, bloquearon las vías de acceso, agredieron a periodista e incendiaron el palacio prefectural, provocando el repudio y reacción de la ciudadanía que salió a defenderse por mano propia”. Siendo que la organización de grupos de choque estuvo a cargo de los croatas Pavisic y compañía, como por el Director del Parque Tunari –entre otros– quien azuzó arteramente a que se tale la arboleda del parque para dotar de garrotes a los Jóvenes por al Democracia.
 
Intrigando inconfesablemente aún mas, señaló que “El gobierno incentiva el resurgimiento de grupos armados como los ponchos rojos y las vinculaciones del ETA vasco con diputados masistas”.
 
Y no se quedó ahí el calumnioso capitán, quien insidiosamente insinuó de que: “Existe una violación del Estado de Derecho, Violación a las Garantías Constitucionales, Violación a la Libertad de Expresión y Violación a los Derechos Humanos –manoseando la muerte del sobrino del Secretario General –otro de los inefables instigadores– además del amedrentamiento a los familiares de la víctima y los testigos de la muerte del joven Cristian Urresti Ferrel.
 
O sea que después de desear desintegrar el país con los eNFRentamientos promovidos provocadoramente al convocar a un nuevo referéndum y que fue realmente la resistente razón de la revuelta en el valle porque el prefecto proscribió precisamente la voluntad del pueblo expresado en el primer referéndum; ahora se le dio por magnificarse como mártir de las malhadadas masas.
 
No se de dónde saca este capitán al cuadrado –del Ejército y primera Autoridad del Departamento– de que el gobierno central es el que “desactivó las fuerzas del Orden” si fue el como primera autoridad del departamento, quien ordenó la sistemática represión policial de las movilizaciones que mantenían los cumpas cocaleros en vigilia hasta que el prefecto deje sin efecto al convocatoria a referéndum.
 
Presupongo que preverán prolijamente estos precavidos organismos internacionales el prontuario antidemocrático del capitán, así como su cuestionado currículo que quiere meterles gato por liebre al hacerse ahora al defensor de la Democracia, cuando fue su detractor durante la dictadura Garciamesista.  
 
 
 
 


Venezuela y ley habilitante

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In Italia la diffamazione a mezzo stampa é punita dall’articolo 595 del Codice Penale che recita: “Se l’offesa é recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicitá, ovvero in atto pubblico, la pena é della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione” (da aggiornare ad euro — ndr).

Ció premesso, continuamente su stampa e televisione venezuelana leggiamo ed ascoltiamo notizie false, tendenziose e diffamatorie. Questi media, ripresi dai suoi alleati all’estero, vogliono far apparire Chavez come un dittatore. La scusa, adesso, é la cosidetta Legge Abilitante per la quale il Presidente del Venezuela, in questo caso Hugo Chávez, avrá podestá legilativa in alcune materie.

C”e da dire che queste leggi comunque dovranno essere ratificate dal Parlmento. Inoltre, non c’é assolutamente niente di dittatoriale; noi, in Italia abbiamo la stessa figura: i decreti legge. I decreti legge sono presenti, con nomi differenti (chi ha studiato diritto costituzionale comparato conosce la materia) in tutte le costituzioni democratiche del mondo. I decreti legge altro non sono che la possibilitá per il governo di legiferare, in eccezione alla Legge che prevede la podestá legislativa riservata al Parlamento. In Venezuela prendono il nome di Ley habilitante. Siamo di fronte alla stessa figura giuridica.

E’ vero che in italia a volte si criticano i governi per l’uso eccessivo di questa figura, peró nessuno si permetterebbe di paragonare il presidente del Consiglio di turno che utilizza i decreti legge, a Hitler, come succede in Venezuela. La copertina che mostriamo é del giornale “Tal Cual”. Una copertina del genere, in Italia avrebbe provocato dibattiti a non finire. Diffamare il presidente del Consiglio in tale modo avrebbe comportato non solo le pene di cui all’articolo corripondente del Codice Penale, ma conseguenze ben piú pesanti per il giornale colpevole di una simile diffamazione.

Secondo questi media, Il Venezuela sarebbe il paese della dittatura, il paese della repressione della libertá di stampa. La veritá, sotto gli occhi di tutti, é che in questo paese manca l’apparato giudiziario. I media possono dire tutto e di piú, con la piú assoluta impunitá fino al punto di permettersi di confessare in diretta di essere attori protagonisti di un colpo di stato e continuare a trasmettere anno dopo anno. Immaginate in italia, una televisione implicata in un fallito colpo di stato? Cosa gli succederebbe? Pensate che starebbe ancora in linea? Si accusa il governo Chavez di voler chiudere le televisioni! Negli otto anni di Governo Chávez (meno 47 ore di dittatura; é bene non dimenticarlo) le uniche televisioni silenziate sono state VTV, la televisione dello Strato ed una piccola televisione privata di nome Catia TV; entrambe silenziate dal breve governo del dittatore Carmona e suoi complici (nella fattispecie il sindaco di Caracas, Alfredo Peña).

La copertina in questione ha provocato la reazione, non solo nostra, ma anche di giornalisti seri ed obiettivi come Piero Armenti, giornalista de La Voce d’Italia, giornale notoriamnte vicino alle posizioni dell’opposizione, che nel suo Notizie da Caracas, titola TEODORO PETKOFF E’ IMPAZZITO”

 

Gentile Direttore Ezio Mauro

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INVITO TUTTI GLI AMICI BLOGGER  CHE DOVESSERO AVERE PROBLEMI O INSODDISFAZIONI CONIUGALI DI QUALSIASI GENERE A SCRIVERE LE LORO LETTERE E INVIARLE AL DIRETTORE DI LA REPUBBLICA
Gentile Direttore
Ezio Mauro
 
Questa mattina ero al bar con quella sfigata della mia amica Giuditta V. con  la quale mi incontro  tutte le mattine per la consueta colazione e per condividere con lei pene e dolori. La sua vita a partire da quella matrimoniale infatti è un totale disastro. Poverina sa, ha un marito… Leggendo   La Repubblica abbiamo trovato però la soluzione a tutti i suoi problemi. Innanzitutto vogliamo ringraziarla per questo, è difficile infatti che un grande giornale mainstream come il suo  possa avere a cuore i problemi sentimentali e coniugali di tanti suoi lettori tanto da avere il coraggio di pubblicarli addirittura in prima pagina.
Infatti sicuramente darà questa opportunità anche a Giuditta  come già ha fatto questa mattina con la signora Veronica Berlusconi, mi pare si chiami così quella poveraccia di stamattina, così violata nella sua identità di donna…
Voglio dire,  con tutto ciò che accade nel mondo: la guerra in Iraq, Vicenza che non ci sta, i neonazifascisti che vogliono riscrivere la storia, i nostri ragazzi in Afghanistan, il riscaldamento del pianeta, gli errori di Bush e in ultimo anche Fidel che sta molto meglio (con buona pace di Omero Ciai) dedicare un paginone alle lettrici incasinate ci sembra veramente …rivoluzionario oserei dire.
Questa è la lettera di Giuditta sperando che attraverso le pagine di La repubblica possa toccare le corde più sensibili di quel porco di suo marito Ignazio.
 
Caro Direttore
di La Repubblica
Le scrivo sperando che mio marito leggendola, possa rendersi conto di tutti gli errori che sta commettendo verso di me, sposa fedele e devota. Già da tempo mi sono accorta caro Direttore che lui non mi guarda più come una volta, praticamente sono diventata trasparente, certo mi rendo contro che con tre figli  da sfamare, il mutuo da pagare, le bollette etc etc e un lavoro da netturbino precario la sera non abbia più voglia di me, ma cosa devo fare io?
Avevo messo da parte con grandi sacrifici 60 euro facendo la cresta sulla spesa e sono entrata in un negozio di biancheria intima e li ho spesi tutti lì, m anche questo non è bastato.
L’altra sera ero andata a dormire presto, all’improvviso però mi sono alzata e  ho scoperto che stava guardando un film porno in tv. A volte mi vengono dei dubbi perché il telefono squilla e lui va a rispondere sul balcone, che le sue energie le dedichi ad un’altra persona?
La mia amica Annalisa mi dice di mandarlo a quel paese, in fin dei conti mi tratta anche male e a volte mi mette anche le mani addosso, ma poi dice che mi vuole tanto bene,  ma sa con tre bambini… Questa è l’ultima possibilità che mi rimane.
Ignazio, se la leggi, tua moglie Giuditta ti ama ancora nonostante tutto, ma per favore non ledere ancora la mia dignità.
Ringraziandola per la magnifica possibilità che mi ha concessa cordialmente la saluto, ah…dimenticavo ora avviso anche mia cognata Luisa, pure lei sa … non sta messa per niente bene…
Giuditta V.
 
La lettera di Cronache da  un mondo gabbato di Raffaele Mangano
La lettera di Pensierofilia
La lettera di Gennaro Carotenuto
La lettera di Neroassenso

Fabrizio Pecori: Dal Gange all’Annapurna

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Stupa di Bodnath

Stupa di Bodnath

Ringrazio Fabrizio Pecori, fotografo viaggiatore e itinerante, perché accogliendo una mia richiesta, di ritorno dall’India  mi ha reso partecipe con questa foto della magia soave e delicata dello sventolare delle lungta, le bandierine votive che trasportano verso il cielo le preghiere dei monaci tibetani. “Il vento, facendo garrire gli stendardi, legge l’invocazione alla divinità; il sole facendo stingere le scritte e la pioggia dilavando le bandiere recitano anch’essi reiteratamente l’invocazione Om mani padne hum! che può essere tradotta Salve o gioiello nel fiore di loto, salve! “. (Mario Fantin)
Lo “stupa” o “monumento spirituale” della fotografia è lo stupa di Bodnath meta di intenso pellegrinaggio fin dal 1400 da ogni parte  dell’Asia e sorge a pochi chilometri a nord-est di Kathmandu.
Vi invito a frequentare nei prossimi giorni il blog di Fabrizio (ma sicuramente vale la penna di tenerlo fra i favoriti) perché ogni suo viaggio non si esaurisce al ritorno, ma come è sua consuetudine lo estende delineando  con le sue fotografie e i suoi racconti dei particolari percorsi di conoscenza che generalmente occupano uno spazio temporale e visivo molto ampio, come a voler conservare quanto più a lungo possibile negli occhi e nel cuore il fascino del Lontano.

Matisse e Bonnard. Viva la pittura!

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Henri Matisse - Le bonheur de vivre

Henry Matisse — Le bonheur de vivre

Si concluderà il 4 febbraio la mostra “Matisse e Bonnard. Viva la pittura!” ospitata al Complesso del Vittoriano a Roma.
“Viva la Pittura!” è l’inno con il quale i due amici e colleghi celebrarono sia il loro amore per l’espressione artistica sia la loro amicizia che in questa espressione trovava il naturale punto di arrivo ma anche originariamente quello di partenza. Un’amicizia che durò tutta una vita e che si sviluppò in una lunga e interessantissima corrispondenza tra i due artisti.
Non è necessario essere dei critici d’arte per cogliere la sensibilità e la ricerca cromatica intesa come percorso formativo in cui Matisse e Bonnard si sono incontrati, ma anche poi per riuscire a soffermarsi su quelle che sono state le loro diversità espressive più evidenti. Per questo, basta entrare al Vittoriano con gli occhi di chi è “sedotto dal colore” come diceva di se stesso Pierre Bonnard. Confesso di esserlo sempre stata, fin da bambina.  Il colore, i colori, la loro trasparenza o il loro spessore, mi hanno sempre sedotta e quindi pur non essendo critico d’arte sento di aver compreso il senso di quel “Viva la pittura!” che per me è ricerca estetica e forse interiore e che pur dovendo necessariamente far riferimento a una scuola pittorica o di pensiero  nel caso di Matisse e Bonnard  l’Impressionismo,   rimane comunque un “sentire il colore” (e di conseguenza restarne sedotta) che afferma con forza la sua identità libera da qualsivoglia schema formale o di riferimento accademico. 
E lasciandomi sedurre con gioia dai colori ho colto delle differenze significative a mio avviso nelle opere dei due pittori.

Pierre Bonnard - Panoramic view of Le Cannet 1941

Pierre Bonnard — Panoramic view of Le Cannet

Nei quadri di Bonnard, i colori sembrano fuggire da qualsivoglia costrizione dell’artista, essi sembrano fondersi l’un con l’altro dando vita a  vaghe immagini oniriche, mentre Matisse scopre la forza del colore, (forse più nelle opere della sua maturità) il quale sembra quasi ferire la tela e impossessarsene  violentemente e prepotentemente.
“Quattro macchie di colore, il verde scuro del folto degli alberi, il verde luminoso del mare, il giallo della sabbia e il blu del cielo. Vanno soltanto cambiate le dimensioni delle macchie per realizzare venti diverse vedute” Pierre Bonnard
E quindi in Bonnard il colore diventa pura ricerca cromatica e non mezzo espressivo e nei suoi paesaggi ti rendi conto  che un tramonto riesci a immaginarlo dalle sfumature delle montagne e non da quelle del cielo, dalla sfumatura blu-pervinca di un muretto,  attraverso la quale si riesce quasi a sentire il pomeriggio d’estate che volge al termine ma che è ancora saturo di calore.
In questi giochi di tonalità soffuse e trasparenze ti aspetteresti da un momento all’altro di non veder più nulla se non un fondersi gioioso di colori.
Nei quadri di Matisse invece i colori, come in aperto contrasto fra di loro sembrano duellare sulla tela dando maggior  vigore ai primi piani e così le fronde degli alberi all’inizio di un viale sembra che le puoi quasi cogliere…
Forse Bonnard trasmette una punta di malinconia in più rispetto all’amico, la malinconia che funge da elemento di fusione e che conferisce tonalità e trasparenze lievemente accennate ai colori.  Forse in lui si coglie una maggior languidezza che sì è vero che si traduce in un diverso risultato estetico ma che comunque ha origine probabilmente da una diversa sensibilità dell’artista, una malinconia interiore che affiora nelle trasparenze. I cieli di Bonnard appaiono quasi sempre carichi di pioggia, come a preannunciare un temporale improvviso.
Il sentire che si diluisce nel colore con la complicità della luce in Bonnard, la prepotenza e l’esuberanza dello spirito che si versano colorati sulla tela come a voler dire “ecco io ci sono, sono il colore” in Matisse.

Henri Matisse - Madame Matisee

Henri Matisse — madame Matisee

E questo differente sentire o diversa sensibilità e oserei dire temperamento dell’artista, si esprimono  anche in una diversa rappresentazione delle figure umane, in Bonnard volti nascosti da grandi cappelli, occhi socchiusi , sguardi velati che non si incrociano mai con quelli degli altri, nemmeno quelli dei bambini in Scena di strada  del 1905 dove perfino la bimba che gioca con il cagnolino sembra volgere  lo sguardo altrove, personaggi distanti emotivamente, forse ognuno perso nella sua solitudine. Sembra che guardino sempre altrove i personaggi di Bonnard, non incrociano mai il tuo sguardo, mentre guardano proprio te e nessun altro con spavalderia e sicurezza quelli di Matisse. Occhi languidi in Bonnard, sguardi vivi in Matisse.

Pierre Bonnard - Jeaune femme

Pierre Bonnard — Jeaune femme

La ricerca del giusto mezzo espressivo per delineare un sentire profondo trova ampia manifestazione anche nella rappresentazione del nudo in entrambi gli artisti ed è anche lì che si riesce a cogliere differenze sostanziali fra i due.
Il nudo di Bonnard appare sempre velato da una luce sottile, trasparente, quello  di Matisse ti sconcerta e ti intimidisce in quanto lo esprime quasi spudoratamente ostentando forme e pose senza nessun riferimento al del comune senso del pudore.
Le modelle di Matisse sono nude, lì per i nostri occhi e  felici di esserlo, potremmo quasi dire.

Pierre Bonnard - Nude against the light

Pierre Bonnard — Nude against the light

Quelle di Bonnard (ma forse una spiegazione razionale a questo possiamo trovarla nel fatto che la sua modella fu sempre la sua compagna Marthe) le immagini nel riflesso di uno specchio antico, le vedi volte di spalle o di profilo, quasi pudiche, nascondendo le parti intime con drappi o vestiti.
La sensualità velata in Bonnard in contrapposizione a quella ostentata in Matisse.
“Devo dipingere un corpo  di donna, prima ne rifletto le forme in me stesso, gli conferisco grazia, fascino. È forse la sublimazione del desiderio che non tutti riescono a percepire” Henri Matisse

Henri Matisse - Grande Odalisque à culotte bayadère 1925

Henri Matisse — Grande Odalisque à culotte bayadère 1925

Nel momento in cui ebbi una scatola di colori in mano mi sentii trasportato in una sorta di paradiso. Ero gloriosamente libero, tranquillo e solo. Henri Matisse
 
Trasportata in questa meravigliosa scatola  di colori che è stata la mostra Matisse-Bonnard, ne sono uscita sedotta e affascinata.
 
“Il quadro è un succedersi di macchie che si legano fra loro  e finiscono per formare l’oggetto, il tratto sul quale l’occhio si posa”. Paul Bonnard
 
Dopo essersi posato su questo meraviglioso susseguirsi di “macchie” che si sono legate fra di loro a raccontarmi un percorso di vita, ma anche di  amicizia, di stima profonda e affinità di sensibilità tra i due artisti, l’occhio attraverso il colore riesce a intuire finalmente quale sia la gioia che muove un artista nel momento sublime del creare.
Viva la pittura!
 
 


D’alema — Rice : Endless love

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  Condy, darling, pensaci tu alle preoccupazioni di Vicenza, che a me mi ci scappa da ridere”

 “Don’t worry be happy, dear Massimo…”

Soundtrack: Dont’worry be happy

 


Governo e Autogoverno

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GOVERNO E AUTOGOVERNO

Come cambia l’America Latina. Esperienze di democrazia a confronto

 

 SABATO 27 GENNAIO 2007-ORE 10–18

Sala del Consiglio Provinciale di Roma. Via IV Novembre 119/A

Partecipano:

Raúl Zibechi, Oscar Olivera, Pablo Romo, Edmundo Vargas, Marco Calabria, Giuseppe De Marzo, Adriano Labbucci, Francesco Martone, Maurizio Matteuzzi, Serena Romagnoli, Raffaele K. Salinari.


Scelte di governo

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Ma non dicevano che il governo era ostaggio della sinistra radicale?  Certo che si tratta di un sequestro anomalo…i sequestrati che fanno praticamente come gli pare.…

Basta che Berlusconi gridi all’anti-americanismo  e si corre ai ripari…ma non avevamo cambiato governo ad Aprile dell’ anno scorso? e dove si è visto che il governo neo eletto deve seguire le linee di quello precedente? E soprattutto, se è così PERCHE’ SI VA A VOTARE?

SOLIDARIETA’ AI VICENTINI


Erba: il miracolo del sangue.

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C’è stato bisogno del mostro, anzi dei mostri, di una carneficina, perché un paese venisse allo scoperto con tutta la sua ipocrisia e falsità.

Una lezione morale intrisa di sangue purtroppo.

Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi sono stati solo il braccio armato di una cittadina intera che non ha mai visto di buon occhio e che non aveva mai accettato il tunisino “faccia di cioccolato” con precedenti penali e la sua giovane moglie “viziata figlia di ricchi mobilieri”.

Ognuno in questa storia ha fatto il proprio dovere fino in fondo interpretando magistralmente la sua parte, dal comandante della stazione dei Carabinieri che solerte, anni prima aveva avvertito i genitori di Raffaella che la ragazza frequentava un poco di buono, alla dirimpettaia Gaia che da dietro le finestre controllava tutti i movimenti della coppia dello scandalo e ancora oggi tra Azouz e Olindo sceglierebbe il mostro che “appare così gentile”, mentre l’altro era sempre violento e irascibile, al proprietario del bar che chissà quante ne aveva sentite e dette tra un caffè e un bicchierino sulla strana Raffaella e il suo balordo marito, ai vecchi amici “perbene” della ragazza che la avevano isolata appena lei aveva conosciuto Azouz “faccia di cioccolato”, alle centinaia di comparse che si voltavano dall’altra parte o abbassavano lo sguardo al loro passaggio o spettegolavano agli angoli delle strade.

Ognuno ha recitato il suo ruolo, anche Olindo e Rosi lo hanno fatto, da bravi psicopatici, forse tragici portavoce di un intero paese sono passati diligentemente come era nella loro natura dalle parole ai fatti e con il sangue hanno lavato via tutto: ipocrisia, falsità razzismo, diffidenza. Tutto l’intero vocabolario dell’intolleranza spazzato via come per magia.

Ora il paese si è stretto intorno ad Azouz, tutti gli tendono la mano, lo consolano e gli chiedono scusa, lui con la sua “faccia di cioccolato” dice che lo hanno fatto sentire finalmente cittadino di Erba.

Grazie Jousef, Raffaella, Paola e Valeria, il vostro sangue ha compiuto il miracolo.


Caro (si fa per dire) G.W.Bush.…

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Caro (si fa per dire) G.W. Bush , le sue dichiarazioni spesso e volentieri mi lasciano sconcertata spingendomi più di una volta a chiedermi se lei “ci è o ci fa”.

I suoi discorsi contengono infatti talmente tali e tante insensatezze che sto pensando seriamente di farne un’enciclopedia, magari  in fascicoli raccolti per argomenti: per esempio

La Democrazia , I Diritti Umani, Le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, Saddam e il libero tribunale che lo ha condannato,  Abu Ghraib Grand Hotel, Guantanamo Resort….

Strano destino il suo, abituati come ci ha  fino a questo momento alle sue sparate quasi quotidiane, una volta tanto che le esce di bocca una sacrosanta verità questa rischia quasi di passare inosservata.

L’affermazione che “Chávez sta andando contro la storia” perché intende nazionalizzare elettricità e telefoni nel suo paese e soprattutto restituire ai venezuelani il controllo dei giacimenti petroliferi è quanto di più vero lei abbia affermato ultimamente.

Se intendiamo il corso della storia come lei lo intende e come fino ad ora è stato inteso dai suoi predecessori, ebbene sì Chávez sta  andando contro la storia.

E meno male…

Caro (sempre si fa per dire)  G.W.Bush ho sempre pensato che gli Stati Uniti  il corso della storia lo hanno  modificato e manipolato a proprio esclusivo uso e consumo: avete bruciato civili con il Napalm, avete raso al suolo città e ipotecato con metastasi e leucemie le vite delle generazioni future di un intero paese, avete creato dittatori “ad personam” salvo poi impiccarli quando troppo scomodi,  ne avete creati altri talmente sanguinari che solo Satana avrebbe potuto, (mi sa che quasi quasi è vera la storia della puzza di zolfo…), avete creato guerre  e conflitti esclusivamente per i vostri interessi considerando  il pianeta alla stregua di  un enorme tabellone di Risiko.

Avete ucciso o fatto uccidere chiunque abbia intralciato i vostri piani criminali e forse con uno solo non ci siete riusciti e a lui per questo va tutta la mia stima e sto parlando di Fidel Castro (non si agiti, per favore G.W. Bush dovesse scappargli un’altra “esportazione della democrazia” non si sa mai…). E sappiamo tutti con che mezzi “democratici” generalmente la esportate la democrazia!

Ricordo che in passato  un altro grande uomo ha cercando di cambiare la storia, la storia del suo paese ma non glielo avete permesso, questo uomo è stato Don Salvador Allende.

Il futuro che  egli aveva immaginato  per il Cile non era quello che  voi avevate programmato. “Una historia canta el viento de amor lucha y agonía , de un pueblo que florecía conquistando el nuevo tiempo” (Una  storia narra il vento d’amore, di lotta e agonia, di un popolo che rifioriva conquistando il tempo nuovo) cantavano gli Intillimani in memoria di quel nuovo corso della storia evidentemente non gradito al  governo di allora del suo paese.

E con Chávez che intenzioni avete? Mi raccomando che la storia non si ripeta…

Insomma fino a questo momento la storia scritta da voi con la complicità  di  “sante alleanze” in Venezuela aveva senso solo per un 15% della popolazione, l’altro 85% era un “sin historia”, senza storia. Ora con Chávez finalmente anche per loro ci sarà storia che vuol dire futuro, vita e progresso, caro (si fa per dire G.W. Bush) e non ciò che intendete voi, morte, povertà, guerre, bombe intelligenti, dominio imperialista, sfruttamento….

Insomma tra tante cazzate, una sacrosanta verità. Io  pensavo che forse un barlume di saggezza…   invece avete iniziato a bombardare

la Somalia e la storia si ripete…

Le rimetto in allegato una  poesia di Pablo Neruda (morto di crepacuore a causa vostra, uno tra i tanti) affinché le rinfreschi la memoria:

 

Gli Avvocati del dollaro

 

Inferno americano, pane nostro

intinto nel veleno, c’è un’altra

lingua nel tuo perfido falò:

è l’avvocato creolo della compagnia straniera.

È colui che rinsalda i ceppi

della schiavitù nel suo paese,

e disdegnoso va in giro

con la casta dei gerenti,

guardando con aria superiore

le nostre bandiere stracciate.          

Quando arrivano da New York

le avanguardie imperiali,

ingegneri, calcolatori,

agrimensori, periti,

e misurano terra conquistata,

stagno, petrolio, banane,

nitrato, rame, manganese,

zucchero, ferro, gomma, terra,

si fa avanti un nano scuro,

con un sorriso tutto giallo,

e consiglia, con gran garbo,

agli invasori recenti:

Non occorre pagar tanto 

questi indigeni, sarebbe

sciocco, signori, aumentare

questi salari. Non conviene.

Questi plebei, questi meticci

solo saprebbero ubriacarsi 

con tanti soldi. No per Dio.

Sono primitivi, poco più 

che bestie, li conosco bene. 

No , non pagateli tanto.

Viene adottato. Gli mettono

una livrea. Veste da “gringo”,

sputa come un “gringo”. Balla

come un “gringo”, e fa carriera.

Possiede un’auto, whisky, stampa:

lo eleggono giudice e deputato,

lo decorano, ed è Ministro,

ed è ascoltato nel Governo.

Sa lui chi è incorruttibile.

Sa lui chi è già corrotto.

Lui lecca, unge, e decora,

elogia, sorride, e minaccia.

E così si svuotano nei porti

le repubbliche dissanguate.

Dove abita, chiederete,

questo virus, quest’avvocato,

questo fermento dell’immondizie,

questo duro pidocchio sanguinario,

ingrassato col nostro sangue?

Abita nelle basse zone

equatoriali, nel Brasile,

ma la sua dimora è pure

nel cerchio centrale d’America.

Lo troverete nelle impervie

alture di Chuquicamata.               

Dove fiuta ricchezza sale

sui monti, supera gli abissi,

con le ricette del suo codice

per derubare terra nostra.

Lo troverete a Puerto Limón,

a Ciudad Trujillo, a Iquique,

a Caracas, a Maracaibo,

ad Antofagasta, in Honduras,

a imprigionare il nostro fratello,

ad accusare il suo compatriota,

a spogliare peones, aprire

porte di giudici e possidenti,

comprare la stampa, guidare

la polizia, il randello, il fucile,

contro la sua famiglia dimenticata.

Pavoneggiarsi, nel vestito

in smoking, nei ricevimenti,

inaugurare monumenti

con queste frasi: Signori, 

la Patria conta più della vita,

è nostra madre, è nostra terra,

difendiamo l’ordine, fondiamo

nuove caserme, altre prigioni. 

E muore glorioso, “il patriota”

senatore, patrizio,eccellenza,

con decorazioni del Papa,

illustre, prospero, temuto,

mentre la tragica progenie

dei nostri morti, che ficcarono

la mano nel rame, grattarono

la terra profonda e severa,

muoiono battuti e dimenticati,

in fretta in fetta riposti

nelle loro casse funerarie:

un nome, un numero sulla croce

che il vento scuote, uccidendo

persino la cifra degli eroi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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