Grazie Vicenza e grazie popolo della pace!

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vicenza 17/2/07

Foto tratta dal sito Altra Vicenza

Grazie Vicenza e grazie al popolo della pace!

Grazie anche a Berlusconi che parlando di un giorno triste perché in Italia si è manifestato contro una base americana, si è reso soltanto molto più ridicolo di quanto già non fosse.

Grazie infine ad Amato, Parisi, Rutelli, Battista (Corriere della Sera)  etc etc che con il loro “terrorismo di stato” hanno permesso che il suono delle parole della pace si sia udito ancora più chiaramente.

Fredy Muñoz e la “prueba reina”

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RENOVANDO LA SOLIDARIEDAD A FREDY MUÑOZ

Era scontato che succedesse. La liberazione di Fredy Muñoz non poteva non nascondere qualche insidia, non poteva concludersi  così “banalmente” una vicenda che ha rappresentato un duro attacco alla libertà di espressione in un paese dove questa è già un’utopia. Una vicenda che si inserisce in un contesto di rapporti difficili tra due paesi che appaiono sempre più lontani. Come già preannunciato a suo tempo dai legali  e dallo stesso Muñoz,  egli, oltre a vedere aggravata la sua di per sé difficile posizione con la magistratura colombiana, è  realmente anche in pericolo di vita.

La rivista  colombiana  Cambio pubblica quella che a suo dire è la “prova principe”, quella che inchioderebbe definitivamente l’imputato alle sue responsabilità, o alle manipolazioni di cui è oggetto a seconda dei punti di vista. Addirittura si vocifera che

la Fiscalía abbia emesso già un mandato di cattura per Fredy Muñoz.

La fotografia, ritrarrebbe il corrispondente di TeleSUR in un accampamento delle FARC sorridente tra i guerriglieri con un bicchiere di vino in una mano e un M16 nell’altra.

Questa fotografia sarebbe stata “casualmente” ritrovata nell’accampamento di Martin Caballero, comandante del fronte 37 delle FARC, dall’esercito colombiano durante una perquisizione all’indomani della liberazione dell’ex ministro Arajuco.

Un investigatore consultato dalla rivista Cambio afferma che “non ci sono dubbi che Fredy Muñoz è colui il quale appare sulla foto in compagnia dei guerriglieri e questo conferma che il corrispondente di TeleSUR  in Colombia fa parte integrante di uno dei fronti più agguerriti delle FARC”.

Oltre alla fotografia  ci sono altre prove “schiaccianti” sull’attività eversiva di Fredy  che consistono in alcuni fogli in bianco ritrovati nella “sua” abitazione  recanti il timbro del fronte 35 delle FARC e 17  fogli di uno scritto dal titolo “La dottrina del Fascismo”.La fotografia appare manipolata grossolanamente, tanto è vero che in internet girano altre “prove schiaccianti” su altri personaggi come quella qui sotto:Alvaro Uribe

Si notano infatti nella foto che ritrarrebbe Fredy Muñoz, zone di diversa nitidezza. Sebbene Fredy si trovi sullo stesso piano del guerrigliero con la maglietta del Che, la sua immagine appare molto più sfocata e il corpo non sembra corrispondere al suo, sul quale sarebbe stata posta una sua fotografia.

I metodi sono quelli già ben noti della Fiscalía Colombiana, il mezzo è un settimanale che pare  si stia prestando sempre più agli interessi del potere militare e paramilitare.

Fredy Muñoz ha prontamente  replicato alle accuse con una lunga lettera pubblicata sul sito di TeleSUR e di cui riporto qui di seguito la traduzione: (Qui la versione originale)

“Come preannunciato, una nuova montatura è stata  il risultato della campagna di criminalizzazione contro la libera stampa, contro la libertà di espressione e contro la democratizzazione dell’informazione che avanza nel continente con l’ espansione di TeleSUR.

Il 31 gennaio scorso i nostri avvocati ottennero  che

la Fiscalía General dello Stato trasferisse il mio processo  per ribellione e terrorismo da Cartagena delle Indie a Bogotà.

Processo che è rimasto  appeso a un filo con l’infondatezza delle prove annesse e che consistevano in testimonianze contraddittorie di cosiddetti “testimoni burattini” e in “rapporti di indagini” inconsistenti e senza valore probatorio.

Il giorno dopo della notifica da parte dei miei avvocati del trasferimento del processo, il 1 febbraio scorso, una minaccia di morte mi è giunta attraverso la posta elettronica firmata da un gruppo paramilitare identificato come “Aguilas Negras”. In  questa nota ci definisce “rospi comunisti travestiti da giornalisti” e ci minaccia di aspettarci la morte.

Dopo questa intimidazione alcuni mezzi di comunicazione hanno iniziato a diffondere la notizia, la domenica  del 4 febbraio scorso,  che

la Fiscalía avrebbe emesso contro di me un nuovo ordine di cattura, notizia diffusa direttamente da organismi centrali di quell’istituzione.  A questo punto già si era organizzata tutta la montatura.

In modo brusco, intempestivo e in linea con i metodi di questo organismo, una mia presunta fotografia in compagnia di guerriglieri delle FARC  compare  “abbandonata” dai ribelli nello stesso luogo dove era tenuto sequestrato il ministro Fernando Araújo e di cui se ne ha notizia solo oggi un mese e mezzo più tardi. È stato abbinato  collegato in modo approssimativo, questo successo, il più sensibile e significativo  per l’opinione pubblica negli ultimi mesi, alla  persecuzione e alle  segnalazioni contro di me.

Questa fotografia è stata definita dalla rivista Cambio come la “prova principe” e affermano i servizi che è stata scattata all’inizio del 2006 mentre allora  era dimostrato il mio impegno continuo  con TeleSUR.

Un altro mezzo di informazione, assicura in un contesto di irresponsabile ambiguità, che detta foto fu scattata ad aprile 2005 , periodo in cui era risaputo pubblicamente che mi trovavo in fase di consegna del documentario “Il treno che arriva a Clamar” per la serie “Tropici” di Telecaribe.

Seriamente, ho visto e fatto migliori fotomontaggi di questo.

Che modo grossolano e irresponsabile di rivivere una criminalizzazione che è iniziata i primi giorni di maggio 2005 quando quegli stessi servizi di sicurezza colombiani, incentivati dagli Stati Uniti “confusero” il ritornello della canzone “Tieta” di Caetano Veloso e cantato  in un passaggio promozionale di TeleSUR da una giovane brasiliana, con un’apologia del gruppo basco ETA, riconosciuto internazionalmente come terrorista.

E seguì con le dichiarazioni del congressista nordamericano Connie Mack sul denaro e sforzo che dedicherebbero da Washington per contenere e bloccare TeleSUR, quando non era andato in onda ancora nemmeno un servizio giornalistico.

Questa piega che prende ora la persecuzione, avallata da un fotomontaggio e dalla pubblicazione irresponsabile da parte della rivista  Cambio di informazioni  scritte in mala fede, e indiscutibilmente falsa, è inoltre un grave attacco al segreto istruttorio, alla presunzione di innocenza e al nostro diritto alla difesa, aggredito con queste prove che “sono state prodotte” alle spalle dei nostri avvocati.

Insiste questa rivista nel dire, tra le altre falsità, come già dissi nel novembre passato, che nel “mio” appartamento è stata trovata carta intestata delle FARC, quando nella stessa inchiesta e nella sentenza del Tribunale della Corte di Appello che mi concesse la libertà, si dichiara che né l’appartamento perquisito era il mio alloggio, e né dal verbale di perquisizione risulta che fu mai ritrovata della carta intestata.

Ma questo è il risultato del compromesso di alcuni mezzi di comunicazione del paese con gli organi militari e di sicurezza, che in modo irresponsabile pubblicano ciò che gli capita fra le mani, senza nessun rigore né etica giornalistica e con evidente intenzione di causare danno.

Ci troviamo di fronte alla forma più specializzata di coercizione della libertà di stampa e di criminalizzazione della diversità informativa. Così come gli Stati Uniti accusano  giornalisti arabi, rifugiati in Francia, di far parte della rete “Al Qaeda” e di aver partecipato alla  terribile tragedia dell’11 settembre  solo per aver intervistato e informato sulle caratteristiche ed azioni di quel gruppo, qui in Colombia si pretende di  detenere l’annunciata espansione di TeleSUR con fotomontaggi come questo.

Ai nostri avvocati è stato negato l’accesso alla pratica, la quale è passata per la città di Cali, fatto inspiegabile secondo i molti giuristi consultati. Non è stato inoltre ancora notificato il pubblicizzato ordine di cattura. Credevamo che le fughe di notizie fossero l’eccezione e invece si scopre che è re la regola, indagando  un po’ nel passato dei funzionari giuridici coinvolti in questa montatura.

Il DAS  di  Barranquilla manovrato dal paramilitare Rodrigo Tovar Pupo, alias Jorge 40 è l’ente  che esegue l’arresto. Precedentemente  aveva arrestato Alfredo Correa de Andreis, amico e maestro, e  una dozzina tra attivisti sociali, studenti, sindacati, dirigenti culturali e maestri.

È  provata la partecipazione di paramilitari e agenti di questo corpo nel ripudiato crimine di Alfredo Correa ed  di dettagli  a sangue freddo trapelati dal  personal computer di Jorge 40 , trovato nella proprietà dell’ alias “Don Antonio”  un militare in ritiro al servizio del paramilitarismo.

Il pubblico ministero Manuel Hernando Molano Rojas, non specializzato, e con delega alla cosiddetta  Unidad de Reacción Inmediata del DAS nel Atlántico, accogliendo  la mia richiesta di  istruttoria,  alla conclusione di essa chiese scusa al mio avvocato per le “irregolarità commesse” e mi disse testualmente  “A te quelli che ti vogliono fottere (sic) sono quelli della Marina”.

Il processo giunge allora nelle mani del giudice di terzo grado di Cartagena, Miriam Martínez Palomino, (responsabile di arresti di massa denunciati dal Tribunale del Popolo del Bolívar, conclusi  con l’assoluzione dei prigionieri) la quale è seriamente implicata  con gruppi paramilitari, come  fu denunciato anche da avvocati di parte di Cartagena in una nota dell’anno 2004.

Questi avvocati, stanchi della corruzione e del servilismo  della Fiscalía al paramilitarismo, denunciarono in un comunicato che Miriam Martínez  Palomino, con Demóstenes Camargo de Ávila, (oggi a capo  dei pubblici ministeri di Cartagena, e colui il quale all’epoca accusò  Alfredo Correa de Andreis e a dirigenti come Amaury Padilla Cabarcas), e con i   pubblici ministeri Pedro Díaz Pacheco e Jesús García Castillo, guidati dal direttore di sezione della fiscalía di Cartagena, erano  compromessi con  il paramilitarismo.

Alla metà dell’anno 2004 questo gruppo di funzionari giuridici si riunirono, dice il comunicato, in una proprietà in San Jacinto, Bolívar, dell’ex senatore conservatore Rodrigo Barraza, proprietà nella  quale giunse una pattuglia della polizia che ebbe uno scontro a fuoco con loro e li scoprì in compagnia dei  capi paramilitari, Antonio Orozco Ochoa, alias “el comandante” e Álvaro Rodríguez Pérez, alias “don Rodri” , più otto paramilitari che servivano da scorta.

In possesso  di questa congiura  di  fiscalía-paramilitarismo, si trovarono copie di tutte le pratiche di persone  che furono arrestate nella regione, accusati di ribellione e terrorismo.

Ciò nonostante questo accaduto  fu cancellato da un ordine della Fiscalía General alla cui direzione in quel momento c’era Luis Camilo Osorio, al quale si attribuiscono ora, dopo le prime libere deposizioni dei capi paramilitari, le più oscure alleanze con queste organizzazioni di ultradestra.

Dalle mani di questi pubblici ministeri uscì il processo che oggi, dopo un inesplicabile passaggio dalla città di Cali, pensa di risorgere sotto il peso di fotomontaggi come quelli mostrati da alcuni mezzi di comunicazione del paese.

Faccio un appello alle associazioni nazionali ed internazionali dei Diritti Umani, alle Organizzazioni Non Governative, alle associazioni che difendono la libertà di stampa, al giornalismo indipendente, alle corporazioni della stampa, alle associazioni degli utenti della stampa, e a tutta la collettività critica e attiva del nostro continente ad essere vigile rispetto all’evolversi di questa situazione.

Nego pubblicamente, quanto  affermano in forma tendenziosa gli organismi di sicurezza e i suoi mezzi di corte, che sono uscito dal paese. Dallo scorso 1 febbraio a causa delle gravi e continue minacce contro la mia vita mi proteggo da esse e faccio in modo di proteggere anche la mia famiglia, all’interno del mio paese. Nonostante queste circostanze, i miei avvocati non hanno abbandonato il processo.

Voglio richiamare l’attenzione del Tribunale Nazionale del Popolo affinché garantisca il nostro diritto alla vita , al processo giusto, alla libera espressione e al buon nome, il mio, della mia famiglia e quello dei miei colleghi di TeleSUR  in  Colombia e che intervenga tra tante e tali sleali minacce.”

Fredy Muñoz 14 Febbraio 2007

Traduzione di Annalisa Melandri

Sul sito di TeleSUR ulteriori notizie.

Post precedenti:


Gianni Minà premiato al Festival internazionale del Cinema di Berlino.

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“Berlino mi premia, l’italia mi ignora”. Gianni Minà è stato il primo italiano ad essere premiato a Berlino con il “Berlinale Kamera” un ambito riconoscimento che il Festival Internazionale del cinema di Berlino assegna dal 1986 a personaggi del mondo cinematografico per il loro impegno. La consegna del premio  è avvenuta l’11 febbraio presso il Filmpalast. 
 
Grazie a Gianni Minà da parte mia per l’impegno,   la passione e  l’autonomia intellettuale che distinguono il suo lavoro e per la sua  “l’ingovenabilità” di cui fu accusato a Viale Mazzini,   se per “governabilità” si intende il tradimento della verità.
Non tutta l’Italia la ignora Sig. Minà, mi creda…
 
Per ulteriori dettagli il post di Verosudamerica di Antonio Pagliula.

Le sette meraviglie del Mondo Moderno

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machu picchu

Ho visitato Machu Picchu molti anni fa, anzi moltissimi, ma il ricordo è vivido. E’ un luogo che ti lascia “qualcosa” tanto è magico. E questo “qualcosa” io non so descriverlo. Ma tra quelle rovine si percepisce magia, mistero, forse anche dolore e la sensazione di “sentirsi infinitamente piccoli al centro di quel ombelico di pietra, ombelico di un mondo disabitato, orgoglioso ed elevato” (Pablo Neruda).
Nella seconda metà di febbraio le autorità peruviane preposte  riceveranno il certificato attestante la candidatura di Machu Picchu a partecipare al gigantesco sondaggio globale che sceglierà le 7 meraviglie del Mondo Moderno,  il prossimo 7 luglio. Lo stesso accadrà a quelle italiane per il Colosseo.  Le aspiranti località candidate erano inizialmente 77 e in seguito ad un’accurata selezione ne sono rimaste 21 tra le quali possono scegliere gli internauti di tutto il mondo.
Interessante notare come il numero 7 si ripeta, anche nella data del 7 luglio (07/07/07).
Condizione per l’ammissione dei monumenti era che questi fossero “frutto della creazione della mano dell’uomo e in buono stato di conservazione e inoltre devono essere stati completati entro il 2000”.
Le 7 meraviglie del Mondo Antico furono scelte dal poeta Antipatro di Sidone e dal matematico Filone di Bisanzio tra il 250 e il 226 a.C. Oggi di quelle  antiche sette meraviglie,   restano in piedi solo le Piramidi di Giza. È per questo che ne verranno scelte altre sette.
Qui il sito dove si può votare.
 

Las siete maravillas del mundo moderno

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Visité Machu Picchu hace muchos años, hace muchissimos años, pero el recuerdo está vivo. Es un lugar que te “deja” algo, tanto es mágico. Y ese “algo” yo no se decribirlo. Pero entre aquellas ruinas se percibe magia, misterio, creo dolor también y la sensación de “sentirse infinitamente pequeño en el centro de aquel ombligo de pietra; ombligo de un mundo deshabitado, orgulloso y eminente” (Pablo Neruda) .En la segunda mitad de febrero las autoridades peruanas correspondientes recibirán el cetificado de candidatura de Machu Picchu para participar a el gigantesco sondeo global con el que se escojerán la 7 maravillas del Mundo Moderno el proximo 7 de julio. Italia participa con el Coliseo.
Las aspirantes localidades candidatas originalmente fueron 77 y luego después de una meticolosa selección se quedaron en 21 entre las cuales pueden escojer los internautas de todo el mundo.Es muy interessante notar como el numero 7 se repite también en la fecha del 7 de julio (07/07/07). Los monumentos deben ser “fructo de la creación del hombre, deben hallarse  en buena conservación y deben haber sido terminados entre el año 2000”.Las 7 maravillas del Mundo Antiguo fueron escojidas por el poeta Antipatro de Sidón y por el matemático Filon de Bizancio entre el 250 y el 226 a.C. Al día de hoy de aquellas 7 maravillas se quedan solamente la Pirámides de Giza. Por esa razón se irán a escojer las otras siete.
Aquí el sitio donde se puede votar.

“Costruire molotov”

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Ho riscontrato dalle statistiche di Shinystat che un visitatore è entrato nel sito attraverso la chiave di ricerca “costruire molotov”. Ora tutto quello che può aver trovato  sull’argomento è questo articolo dove parlavo dell’associazione EDUCA di Oaxaca accusata falsamente dall’emittente controrivoluzionaria del governatore  Ulises Ruiz, Radio Ciudadana,   appunto di costruire molotov.
Spero che  il post su Oaxaca abbia esaurito tutta la sua curiosità  ma mi mette comunque molta inquietudine pensare alle intenzioni di colui il quale effettua una ricerca del genere…
 

Vicenza non fa rima con violenza, caro Pierluigi Battista.

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Nonostante Pierluigi Battista dalle pagine del Corriere della Sera di ieri (8/2)  pare che si  sia dato un gran da fare per criminalizzarla, gli organizzatori, cioè l’Assemblea permanente  dei cittadini di Vicenza, credono che la manifestazione nazionale contro l’allargamento della base USA  di sabato 17 febbraio  sia “pacifica e colorata, determinata e rumorosa”.
Il suo articolo di fondo di questa mattina, dal titolo inequivocabile “Vicenza e Violenza” (scelto non solo per la rima baciata) infatti preannuncia “scenari di nuove violenze e irruzione di frange che puntano alla metamorfosi della protesta in chiave guerrigliera”. Ora per intenderci meglio, Pierluigi Battista è quello che per esempio parla di “commedianti della rivoluzione” latinoamericani o “despoti populisti” e consiglia di ascoltare Mario Vargas Llosa per capire il fenomeno della “maledizione latinoamericana” o che butta nello stesso calderone Chávez, Lenin, Mao, Stalin, Hitler, Mussolini e Fidel Castro.
Si comprende benissimo quindi perché utilizzi inappropriatamente il termine “protesta in chiave guerrigliera” in questo contesto,  se non con lo scopo, evidentemente in mala fede di associare ben noti fenomeni di teppismo e violenza con le proteste guerrigliere che con i primi nulla hanno a che vedere. In effetti il suo articolo è una aperta critica alla manifestazione e alla sinistra radicale e alla sua “anima estremista che si sente parte dell’ideologia e della fraseologia dei movimenti”, quelli con la bandiera della pace e la maglietta del Che, per intendersi.
E questa è la prima precisazione. La seconda riguarda il paragone della situazione attuale con il   1977 e la contestazione di Luciano Lama all’Università di Roma.  L’unica cosa che accomuna eventi e contesto  forse è la data, infatti l’episodio dell’Università di Roma accadde il 17 febbraio, episodio che secondo Battista  “rese drammatica la deriva terroristica di un ribellismo caotico e primitivo, consegnò le piazze italiane al predominio delle P38 e degli stregoni della lotta armata”. Egli pare  aver cancellato  tutti gli avvenimenti precedenti e gli anni difficili anteriori al  1977. La conclusione ovvia caro   Battista è forse che la manifestazione di Vicenza consegnerà le piazze al predominio delle P38 e rappresenterà l’anticipazione di una nuova ondata di violenza magari di stampo terroristico? Francamente mi sembra esagerato. Forse anche più esagerato di Giampaolo Pansa che pur definendo la sinistra italiana un “pulviscolo di piccoli gruppi presenti un po’ dovunque, cellule di esaltati” li vede  “per fortuna lontani mille miglia dalla geometrica potenza dei loro gemelli di un trentennio fa.”
La giornata di Vicenza caro Battista non sembra imporre dilemmi analoghi a quelli di  Lama e del PCI di allora e non è simile la disponibilità di strati estesi della protesta a lasciarsi sedurre dalle lusinghe della radicalizzazione violenta. Che fondamento ha questa sua affermazione? Sarà pur vero  che una parte della sinistra va a manifestare contro una decisione del suo stesso governo ma sicuramente non lo farà sedotta dalla violenza, ma forse, al contrario lo farà sedotta dalla pace. E se dovesse capitare che frange estreme di delinquenti dovessero dar luogo a episodi di violenza sicuramente non saranno con questi elementi che si identificherà il movimento di Vicenza. Già e qui viene la terza riflessione, l’Assemblea permanente di  Vicenza è un movimento, proprio come quelli a noi tanto cari dell’America Latina, un movimento dal basso, che rappresenta la precisa volontà dei cittadini di essere proprietari del territorio in cui vivono e partecipi delle decisioni importanti che li riguardano. I movimenti e le assemblee e i presidi permanenti non rappresentano solamente una “fraseologia della sinistra” come Pierluigi Battista riduttivamente li definisce ma sono l’anima stessa del territorio e la democrazia partecipativa dei cittadini che lo abitano. Ha idea di cosa si stia parlando Sig. Battista?
Vicenza non fa rima con violenza.
Leggi qui l’articolo di Pierluigi Battista

Perú: Paramilitari e Apra accusati della morte del dirigente minatore Saúl Cantoral

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Saul Cantoral

ll  13 febbraio si compiono 17 anni dall’assassinio del dirigente metallurgico che per difendere oltre 60 mila minatori peruviani , sfido’ governo e paramilitari.

Il ricordo dell’ uomo nei versi del poeta Juan Cristóbal

In questi giorni la Corte Interamericana dei Diritti Umani sta esaminando la documentazione presentata dai familiari del dirigente “minatore” peruviano Saúl Cantoral, sequestrato, torturato ed assassinato insieme ad una sindacalista il 13 febbraio 1989.
Riporto dal blog Siamo un fiume lento dell’amico Azor quanto segue:
Il Crimine. Saúl Cantoral, ex segretario generale della Federazione Nazionale dei minatori, metallurgici e siderurgici del Perù venne assassinato  il 13 febbraio 1989 da due membri paramilitari del gruppo  Rodrigo Franco.  I Motivi.  Cantoral aveva indetto due scioperi generali in favore dei diritti dei minatori sviluppando l’ attività  di base del sindacato. Era stato per questo motivo minacciato di morte.
Saúl Cantoral Huamaní, aveva 42 anni, era sposato e padre di 4 figli.  Venne dapprima sequestrato, torturato ed infine eliminato . Era nato nel 1946  in un villaggio vicino Ayacucho. Visse a   Nazca  da bambino e poi lavoro’  nella Marcona Mining Company e nella  Hierro Perú. Nel 1987 venne eletto segretario generale  del sindacato dei minatori. Il 17 luglio 1988, a seguito del rifiuto di governo e sfruttatori di miniere di un tavolo di trattative per discutere migliori condizioni di vita e di lavoro per la gran massa di  lavoratori si iniziò uno sciopero che durò fino al 16 agosto. Più di 60 mila lavoratori bloccarono la produzione mineraria. Secondo il governo di Alan Garcia vennero perduti oltre 120 milioni di dollari.  Il 9  agosto, in pieno sciopero,  Saúl Cantoral  fu sequestrato  e torturato. Gli vennero iniettate sostanze  che gli provocarono danni all’organismo. Alla fine il governo riconobbe lo statuto nazionale dei minatori, ma finito lo sciopero  respinse e non mantenne l’accordo. Così i minatori si videro costretti a riprendere lo sciopero il 17 ottobre. Il governo ed i padroni delle miniere iniziarono una campagna di accuse contro i  dirigenti sindacali efiniti sovversivi e  seguaci o infiltrati di Sendero Luminoso.  Il secondo sciopero fu piu’ violento del primo, vennero militarizzati gli accampamenti dei lavoratori, la polizia ed i militari perseguirono  i centri minerari. Lo sciopero fini il  12 dicembre.
Il 13 febbraio  1989 alle 19:30  Saúl Cantoral, e  Consuelo García, altra dirigente dei minatori, vennero sequestrati da uomini armati, caricati su un’auto e  ritrovati cadaveri alle 11 del giorno dopo nel Parco Wiracocha di Cantogrande. Saúl aveva 7colpi  sparati alle spalle ed alla nuca. A 12 metri di distanza c’era il cadavere  di Consuelo García.
Il caso Cantoral e’ approdato nei giorni scorsi alla Corte Interamericana per i diritti umani di San Jose’ di Costa Rica. I parenti sono scettici perche’ accusano  l’attuale presidente del Peru’ Alan Garcia di essere responsabile della morte del dirigente ” minero”. Secondo  loro dietro il comando paramilitare  che uccise Saúl Cantoral c’era l’Apra, il partito di governo  che favoriva l’oligarchia locale e le multinazionali.
Quella che segue è una poesia di Juan Cristóbal (Lima, 1942) che fa parte di un libro inedito dal titolo El llanto/ el fuego – Il pianto/il fuoco. – Traduzione di Azor
Saúl Cantoral non è morto
Giammai lasciasti che le parole o i venti ti chiudessero gli occhi
Ne’ la terra cosi’ aspra come la disperazione dei lupi
Ti intristisse le mani con le quali piantavi
Nei momenti di calma
Passiflora e mango
Che mangiavi con la tua compagna prima di andare al lavoro

Il tempo fu una porta aperta nella tua vita

Per questo nessuno pote’ capire (malgrado la tua faccia di contadino insonne)
A che ora  insegnavi l’amore ai tuoi figli
E la felicita’ (come un eucalipto) ai tuoi amici di quartiere
E sebbene il sole non raggiungesse la pienezza nelle tue labbra
Popolasti con stelle e scioperi i sogni dell’uomo
Per questo/ una notte/   quando nessuno ti vide
Partire per  quell’angolo dove nemmeno i passeri esistono
La polizia approfitto’ per spaccarti il cuore in infiniti  pezzi
Quando ti seppellirono una mattina di cardi e pioggia
Crebbero sementi e venti come mari umani
E nessuno pote’ dimenticare quando ballavi huaynitos*
Nella semplicita’  delle feste
Ne’ lasciare di ripetere quello che diceva tua moglie
con una foto tua sul petto:
“Saúl Cantoral non e’ morto/ vive/  come la primavera vive
negli splendori meravigliosi dell’alba”
 
 

Perú: Paramilitares y el Apra acusados por la muerte del dirigente minero Saúl Cantoral

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El 13 de febrero se cumplen 17 años del asesinato del dirigente minero que por defender 60 mil mineros peruanos desafió gobierno y paramilitares

Recordando el hombre con un poema de Juan Cristóbal

 En esos días la Corte Interamericana de Derechos Humanos está examinando los documentos presentados por los familiares del dirigente “minero” peruano Saúl Cantoral, quien fue secuestrado, torturado y asesinado junto a otra sindacalista el 13 de febrero de 1989.

 

Traduco ese post  desde el blog Somos un río lento del amigo Azor:

El crimen Sául Cantoral, ex secretario general de la Federación Nacional de los Mineros y Metalúrgicos del Perú, fue asesinado el 13 de febrero 1989 por miembros del grupo paramilitar Rodrigo Franco.
Los motivos Cantoral había organizado dos huelgas generales por los derechos de los mineros desarrollando la actividad básica del sindicato. Por eso había sido amenazado de muerte.
Saúl Cantoral Huamaní tenía 42 años, era casado y padre de 4 hijos. Fue antes secuestrado, torturado y luego matado. Nació en 1946 en un pueblo cerca de Ayacuyo. El vivió en  Nazca cuando era niño y luego trabajó en la Marcona Minino Company y en la Hierro Perú. En 1987 fue elegido secretario general del sindicato de los mineros. El 17 de julio 1988 el gobierno y los explotadores de minas luego de haber rechazado  una mesa de tratativas para buscar mejores condiciones de vida y de trabajo por los mineros, esos empezaron una  huelga que siguió hasta el 16 de agosto. Más de 60 mil trabajadores pararon la producción minera. Según el gobierno de Alan García se perdieron como 120 millones de dolarés. El 9 de agosto durante la huelga, Saúl Cantoral fue secuestrado y torturado. Le inyectaron sustancias que dañaron su organismo. Por fin el gobieno reconoció el estatuto nacional de los mineros, pero terminada la huelga rechazò y no cumplió con el acuerdo. Así que los mineros se vieron obligados a organizar otra huelga por el 17 de octubre. El gobierno y los proprietarios de las minas empezaron una campaña denigrante contra los dirigentes sindicales quiens fueron llamados subersivos e fueron  acusados de hacer parte del grupo de Sendero Luminoso.
La segunda huelga fue más violenta de la primera, fueron militarizados los campamentos de los mineros, la policía y los paramilitares los persiguieron. La huelga terminò el 12 de dicembre.
El 13 de febrero 1989 a las 19:30 Saúl Cantoral y Consuelo García, otra dirigente de los mineros fueron secuestrados por hombres armados, llevados en un carro y encontrados cadaveres a las 11 del día siguiente en el Parque Wiracocha de Cantogrande. Saúl fue matado por 7 balas a las espaldas y uno en la cabeza, a una distanzia de 12 metros estaba el cuerpo de Consuelo García.
El caso Cantoral ha llegado a la Corte Interamericana de los Derechos Humanos de San José de Costa Rica. Los familiares no tienen mucha fé porqué acusan de ser responsables de la muerte del dirigente “minero”el actual presidente peruano Alan García. Ellos están convencidos que detrás del grupo paramilitar que mató Saúl Cantoral estaba el Apra el partido del gobierno que favorecía la oligarquía y las multinacionales.
Lo que sigue es el poema de Juan Cristóbal (Lima 1942) que pertenece a un libro inédito con el titúlo de El llanto/el fuego.
SAUL CANTORAL NO HA MUERTO
Jamás dejaste que las palabras o vientos te cerraran los ojos
Ni la tierra tan hosca como la desesperación de los lobos
Te entristeciera las manos con las cuales plantabas
en tus minutos de calma
Granadillas y mangos
Que comías con tu compañera antes de ir al trabajo
El tiempo fue una puerta abierta en tu vida
Por eso nadie pudo entender (a pesar de tu rostro
de campesino sin sueño)
A qué hora le enseñabas el amor a tus hijos
Y la felicidad (como un eucalipto) a tus amigos de barrio
Y si bien el sol no alcanzó la plenitud en tus labios
Poblaste con estrellas y huelgas los sueños del hombre
Por ello / cierta noche / cuando nadie te vio
Partir a ese rincón donde ni siquiera los gorriones existen
La policía aprovechó para partirte el corazón en infinidad de
pedazos
Cuando te enterraron una mañana de cardos y lluvia
Crecieron semillas y vientos como mares humanos
Y nadie pudo olvidar cuando bailabas huaynitos
en la sencillez de las fiestas
Ni dejar de repetir lo que tu esposa decía con una fotografía tuya
en el pecho:
“Saúl Cantoral no ha muerto / vive / como la primavera vive
en los resplandores maravillosos del alba”
 

Alla redazione di Fahrenheit in merito alla false affermazioni di Rocco Cotroneo.

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Gentile redazione di Fahrenheit,
sono indignata per le affermazioni false e tendenziose del giornalista Rocco Cotroneo, ospite della vostra trasmissione di venerdì in merito alla Chiesa cattolica brasiliana e alle relazioni tra i presidenti Lula e Chávez.
Ci sono 130 milioni di cattolici in Brasile, e in gran parte (purtroppo) vivono in favelas, e le relazioni tra Lula e Chávez sono così buone che il primo ha partecipato alla campagna elettorale dell’ultimo.
Vi sarei molto grato se per amore di verità rettificaste pubblicamente le “inesattezze” di Cotroneo.
Mi capita inoltre proprio oggi di leggere queste parole del vescovo di Lugano Mons. Pier Giacomo Grampa in merito alla realtà della chiesa cattolica in Brasile: “Non è possibile raccontare nel breve spazio di una colonna, di un paese vasto, complesso contrastato e contraddittorio come il Brasile e nemmeno della sua Chiesa con le sue 269 diocesi, 434 vescovi, di cui 135 emeriti, circa 130 milioni di cattolici e la presenza di oltre 400 tra movimenti ecclesiali e nuove comunità… La Chiesa brasiliana è in fervida attesa della visita del Santo Padre Benedetto, che, a maggio, inaugurerà la quarta assemblea generale del CELAM che comprende i rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’America Latina.. E’ nello spirito del Vangelo che tutto viene programmato e compiuo, nutrito con la lettura della Scrittura, una rigorosa formazione, liturgie vive ed intense. Nella cappella del Centro della Gioventu’ di Fortaleza apetro 24 ore su 24 l’Esposizione all’Eucaristia è continua giorno e notte. Alla messa che ebbi la gioia di celebrarvi parteciparono piu’ di 2500 persone in gran parte giovani”.
Quasi quasi la Chiesa cattolica è piu’ accessibile in Brasile che da noi…
 
Annalisa Melandri
 
 
Si legga al riguardo anche La dinsinformazione attacca Radi3Rai di Gennaro Carotenuto 
 
 


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