Le uniformi di Tsahal

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Le magliette di moda nell’esercito israeleiano: “meglio ammazzarli da piccoli”.

La denuncia scioccante viene dal quotidiano israeliano Haaretz. Ai soldati israeliani piace andare in giro con magliette che superano i classici simbolismi del militarismo per addentrarsi nella guerra del futuro, quella asimmetrica nella quale il protagonista è il cecchino onnipotente con la testa vuota che ammazza civili, meglio se donne e bambini.

E questo si riflette nella moda, nell’abbigliamento dei soldati di Tsahal. Sembra vadano a ruba le magliette con disegni di bambini presi nel mirino, oppure madri piangenti sulle tombe dei figli oppure t-shirt come quella nella foto che mostra una donna palestinese incinta e lo slogan: “con un tiro due piccioni”.

Tutte le scritte sono per “uomini veri”, notevole per un esercito che fa dell’integrazione delle ragazze motivo d’immagine. I riferimenti sessuali, perfino allo stupro, sono continui come sono continui quelli alla maternità “piangeranno, piangeranno”. A una maglietta che mostra un bimbo ammazzato si accompagna un “era meglio se usavano il preservativo”. A quella con un bambino palestinese nel mirino si accompagna un “non importa quando si comincia, dobbiamo farla finita con loro” che suona in italiano come “meglio ammazzarli da piccoli”.
Leggi tutto il reportage di Haaretz qui e conserva questo link per la prossima volta che ti diranno che i palestinesi educano i figli alla cultura dell’odio.

Craxi e L’OLP. La legittimità della lotta armata

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Guido Piccoli: le verità di Gaza

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Fotografia di Annalisa Melandri
Le verità di Gaza.
Abraham Yehoushua, io la disprezzo.
Una cosa è chiara.
Israele, i suoi governanti e la gran parte del suo popolo non vogliono la pace. Per la preponderanza bellica, per gli appoggi internazionali, perché le guerre come l’attuale (accettando che possa chiamarsi così il massacro di questi giorni) gli comportano un centesimo delle vittime rispetto al nemico.
Israele, i suoi governanti e la gran parte del suo popolo non vogliono la pace per il fanatismo cresciuto con il compiacimento o la tolleranza della gran parte dell’intellettualità locale e internazionale.
Ma c’è una ragione in più. 
Come una parte dei palestinesi e degli arabi coltivano l’utopia di riprendersi la Palestina, buttando a mare gli israeliani, la gran parte degli israeliani coltiva il progetto (qualcosa più di un’utopia) di formare la grande Israele, Eretz Israel, cacciando ancora più palestinesi dalla loro terra e mantenendone la parte utile nel ruolo dei servi. La proclamazione del sogno dei primi suscita condanna e biasimo internazionali, l’attuazione del progetto dei secondi è accompagnato da accondiscendenza e comprensione internazionali.
Da qui la formulazione, volutamente inaccettabile, di “due popoli, due stati” che, secondo i progressisti israeliani (gli altri non ne vogliono nemmeno sentir parlare) sarebbe uno stato fortissimo, capace di vincere qualunque guerra, e dall’altro una serie di bantustan, stile sud Africa, oltre al campo di concentramento di Gaza, senza continuità territoriale, espropriato dell’acqua, senza esercito, senza controllo dei confini… Insomma, una pagliacciata che tutti fanno più o meno a gara a non vedere. Altrochè “confini del 1967”, Gerusalemme capitale condivisa, ritorno dei profughi, come sostengono le leggi internazionali, come vorrebbe un minimo di giustizia.
No, Israele non si accontenta.
Da qui la necessità di alimentare la rabbia e disperazione della popolazione palestinese e di rafforzare comunque e sempre la sua componente più radicale. Hamas è figlia di questa strategia. Vent’anni fa, ai tempi della prima Intifada, occorreva creare un contrappeso all’Olp di Arafat, che dopo essere stato costretto all’arma del terrorismo si era guadagnato una considerazione internazionale. Israele aveva bisogno di un nemico fondamentalista fatto a sua immagine e somiglianza, un nemico da spingere, sfidare e poi, naturalmente, vincere sul terreno preferito, la guerra. I soldi dell’Europa e in misura minore degli Usa hanno fatto il resto, trasformando l’entourage di Arafat –soprattutto dopo la sua morte – in una banda di corrotti. “Divide et impera” attuato vedendo bene di togliere di mezzo quei pochi elementi, insieme laici e radicali, e soprattutto onesti, capaci di negoziare e combattere, come Marwan Barghouti, incarcerato e condannato a cinque ergastoli.
E Israele continua ad alimentare Hamas. Anche adesso, mentre pare che lo voglia distruggere.
Con le ossa rotte, con molti martiri, con i già poveri arsenali bellici distrutti, Hamas ne uscirà rafforzato, come sono usciti rafforzati gli Hezbollah dalla guerra in Libano (quella si che pur asimmetrica sembrava più una guerra che un massacro). Mentre chi ne esce distrutto è Al Fatah che ha scelto Israele al suo popolo massacrato, decidendo di caricare brutalmente, come Israele e il peggiore dei regimi arabi, chi manifestava a Nablus, a Hebron o Ramallah contro il massacro, decidendo di mantenere in carcere i militanti di Hamas e associandosi alla condanna internazionale di Hamas come terrorista.
I palestinesi massacrati e divisi: perfetto. Israele gioisce perché può o potrà ancora di più dire al mondo che con Hamas non può negoziare perché terrorista e con l’Anp e Al Fatah nemmeno perché non rappresentativi.
E avanti così, dritto verso il progetto della Eretz Israel, tra bagni di sangue e ettolitri di ipocrisia sul pericolo dell’antisemitismo, creato ad arte in un terreno reso fertile dalla barbarie israeliana.
Hamas e Anp… e noi? A manifestare e a dividerci, tra chi… e chi… tra quelli di Assisi che ripetono parole d’ordine alle quali penso che non credano più nemmeno loro e quelli di Roma, dove sarei andato sapendo che non basta. Che occorre fare di più. Soprattutto denunciare, come se fossimo là, il sionismo fascista, i suoi progetti, i suoi amici e protettori, i suoi interessi, la sua strategia intelligente, ma anche evidente, quasi banale, a chi abbia memoria e onestà nel guardare. L’Intifada va portata nel mondo, con le modalità corrispondenti ad ogni situazione fino a costringere Israele ad accettare di essere uno stato normale, senza il diritto di commettere qualunque barbarie e ovunque. Fino a dare forza a quella minoranza coraggiosa di pacifisti, di militari che si rifiutano di partecipare al massacro, che sono bollati come traditori dai più. Con le “buone” non lo capiscono. Lo devono capire con “le cattive”. Se il debolissimo apparato militare di Hamas avesse causato non una decina di morti, ma centinaia di morti tra i fusti della Tsahal, in Israele non ci sarebbe il 78% di fan del massacro (la rivolta di Berkeley non è nata per compassione dei piccoli viet…).
 
Le “cattive” per noi sono il boicottaggio economico (come anche proposto da Naomi Klein) e l’isolamento intellettuale e culturale (come anche proposto da Ken Loach): Abraham Yehoushua avrebbe scritto, secondo quanto riportato da Vittorio Arrigoni sul Manifesto, che “uccidiamo i loro bambini oggi per salvarne tanti domani”. In realtà il pensiero non è così brutale, ma, più o meno, “Combattere Hamas non è possibile senza colpire i civili, bambini compresi. Un prezzo inevitabile per garantirci il futuro e salvare altri bambini domani”. Cinico, ma soprattutto disonesto Abraham Yehoushua, che non può non sapere che Hamas, e con Hamas l’odio, la violenza, il sogno di buttare a mare gli israeliani, non farà altro che crescere. Giustamente e logicamente: forse noi ameremmo di più il nostro carnefice, super armato e super protetto e super giustificato dal mondo che conta? O ci sottometteremo di più a lui per salvare cosa?: la vita di merda e disperata, che facciamo nei campi profughi, patendo la fame e le umiliazioni quotidiane?
Yehoushua non è uno stupido. Yehoushua lo sa. Per questo merita il mio disprezzo. Si penserebbe di difendere ancora il suo invito come ospite d’onore alla Fiera del Libro di Torino?
 

 

 



Chi brucia chi… (o cosa)

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Vi fa indignare  questa?

Avete mai sentito l’odore della carne umana bruciata?
Nemmeno io, ma ho letto da qualche parte che è un odore terribile, che non te lo dimentichi più.
Da  Gaza i medici raccontano  che la maggior parte delle ferite delle persone che riescono a giungere ancora vive in ospedale sono provocate da forti ustioni e dalle esplosioni delle bombe. Le ustioni sono rese ancor più terribili dall’utilizzo di munizioni al fosforo bianco.
 
Sicuramente diverso è l’odore di una bandiera bruciata.
 
Quindici giorni fa, sia a destra che a sinistra si è levato un coro unanime di condanne per una pezzo di stoffa   bruciato a Milano durante la manifestazione e ha fatto gridare allo scandalo la grande preghiera collettiva in piazza Duomo. Certo alla borghesia impellicciata pronta alla grande saga dei saldi di fine stagione, deve aver dato parecchio fastidio la vista di un’umanità  in preda al dolore. Il dolore, il loro dolore meglio guardarlo in televisione.

ferite da munizioni al fosforo bianco

 e questa?
Intanto sono passate due settimane e  Israele ha continuato sistematicamente a violare ogni diritto umano possibile e immaginabile. Il  suo esercito ha commesso e continua a commettere in queste ore crimini di guerra nella più completa impunità.
 
Non si leva tuttavia nessuna condanna a voce alta da parte della nostra classe politica, ma soprattutto da parte di tanti uomini di cultura e intellettuali che ancora hanno il coraggio di definirsi di sinistra. La politica quando  smette di giudicare la realtà e giudica soltanto i simboli, ha già  fallito.
 
Sabato prossimo  sarò in piazza con “gli islamici” come li ha definiti il Corriere della Sera.
Sarò con tutte le persone che non riescono a restare indifferenti al genocidio che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza.
Sarò con tutti  coloro che si sentono impotenti come me e anche con quelli che esprimeranno, invece di reprimerla,  la rabbia contro lo stato criminale d’Israele. Spesso reprimere la rabbia può diventare potenzialmente più pericoloso di una bandiera bruciata.
Leggi anche: “Bruciare una bandiera israeliana è molto, ma molto più grave che bruciare col fosforo un bambino palestinese” dal blog di Guido Piccoli.
 
 
 


Fuck you Tsahal!

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Non ho scritto nulla  sulle minacce di morte che Vittorio Arrigoni e gli altri cooperanti  dell’ISF che si trovano a Gaza,  stanno ricevendo da un esaltato sionista di estrema destra di nome Lee Kaplan,   che dal Canada gestisce questi due siti: stoptheism.com e dafka.org.
Non ne ho scritto perchè è  da ieri pomeriggio che faccio telefonate e mando mail per cercare di rendermi utile. Ho avuto una lunga  conversazione telefonica  con un funzionario della polizia postale di Roma e stamattina con  la responsabile dell’ufficio stampa dell’ambasciata canadese in Italia, ho mandato varie mail ai server che ospitano il sito in oggetto  chiedendo che venga oscurato quanto prima.
Purtroppo gli esaltati sono anche in Italia e quindi su un sito di Libero è apparso un articolo delirante di Kaplan tradotto in Italiano. Ma non fa riferimento a Vittorio Arrigoni, anche perchè è del 2006. Si sono guardati bene dal fare il suo nome, i vigliacchi,  in Italia.
Ringrazio comunque Gennaro Carotenuto, l’ottimo sito Emigrazione Notizie, Megachip  e Maurizio Matteuzzi che stamattina ne ha scritto in prima pagina sul Manifesto,  per aver trattato prontamente la notizia.
 
O.T.
L’esercito israeliano nella terza fase dell’attacco a Gaza ha lanciato alcuni volantini sulle macerie di quella che era Gaza City  dove c’era scritto:
 
Ai cittadini di Gaza. Prendetevi la responsabilità del vostro destino! A Gaza i terroristi e coloro che lanciano i razzi contro Israele rappresentano una minaccia per le vostre vite e per quelle delle vostre famiglie. Se desiderate aiutare la vostra famiglia e i vostri fratelli che si trovano a Gaza, tutto quello che dovete fare è chiamare il numero indicato di seguito e darci informazioni riguardo alle posizioni in cui si trovano i responsabili dei lanci dei razzi e le milizie terroriste che fanno di voi le prime vittime delle loro azioni. Evitare che vengano commesse atrocità è ora vostra responsabilità! Non esitate!.. E’ garantita la più totale discrezione. Potete contattarci al seguente numero: 02–5839749.Oppure scriverci a questo indirizzo di posta elettronica per comunicarci qualunque informazione abbiate riguardo a qualsiasi attività terroristica: href=“helpgaza2008atgmaildotcom%20PS”>helpgaza2008atgmaildotcom ”.
 
Beh, mi è venuto spontaneo togliermi una piccola soddisfazione… ho scritto una mail all’indirizzo citato indicando in oggetto: A SPECIAL KIND OF ROCKET…
e nel corpo… FUCK YOUUUUUUUU!!!!!!!!
L’impotenza fa fare le cose più stupide a volte…

Marcia dei folli — La schizofrenia di Israele tra le macerie della Striscia

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questo articolo è stato scritto prima dell’invasione di terra della Striscia e pubblicato da Il Manifesto il 4 gennaio scorso, mi sembra comunque un’ottima analisi politica della situazione.
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di Uri Avnery

Prima di demonizzarlo e bombardarlo a Gaza, Hamas è stato appoggiato da Tel Aviv, per contrastare l’Olp. E con i raid di oggi, lo Stato ebraico, non farà che rafforzare il movimento islamico  

 

Appena dopo la mezzanotte, l’emittente araba di Al Jazeera stava trasmettendo le notizie degli eventi di Gaza. Improvvisamente la telecamera ha inquadrato in alto, verso il cielo scuro. Lo schermo era nero fondo, non si riusciva a distinguere niente. Ma c’era un suono che si poteva sentire: il rumore degli aerei da guerra, uno spaventoso, terrificante boato. Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che stavano sentendo, nello stesso momento, quel suono, paralizzati dalla paura, in attesa delle bombe dal cielo. 
«Israele deve difendersi dai razzi che stanno terrorizzando le nostre città del sud», ha spiegato il portavoce israeliano. «I palestinesi devono rispondere alle uccisioni dei loro combattenti nella Striscia di Gaza», ha dichiarato il portavoce di Hamas. Per essere esatti, nessun cessate il fuoco è stato interrotto, perché nessun cessate il fuoco era mai iniziato. Il requisito principale di ogni cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l’apertura dei passaggi. Non ci può essere vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma le frontiere non sono state aperte, se non poche ore ogni tanto.

Bloccare un milione e mezzo di esseri umani per via di terra, mare e aria è un atto di guerra, esattamente come il lancio delle bombe o dei razzi. Paralizza la vita nella Striscia di Gaza: elimina gran parte delle fonti che creano occupazione, porta centinaia dimigliaia al limite della morte di fame, blocca il funzionamento della maggior parte degli ospedali, distrugge la distribuzione di elettricità e d’acqua.

Coloro che hanno deciso di chiudere i passaggi — sotto qualsivoglia pretesto — sapevano che non ci sarebbe stato nessun reale cessate il fuoco in queste condizioni. Questo è il fatto principale. Poi ci sono state piccole provocazioni volte deliberatamente a suscitare la reazione di Hamas. Dopo diversi mesi durante i quali i razzi Qassam a malapena si sono visti, un’unità dell’esercito è stata inviata nella Striscia «per distruggere un tunnel che arrivava vicino alla recinzione della frontiera». Da un punto di vista puramente strategico, avrebbe avuto più senso tendere un’imboscata sul nostro lato della frontiera. Ma lo scopo era quello di trovare un pretesto per metter fine al cessate il fuoco, in una maniera che consentisse di addossare la colpa ai palestinesi. E così è stato, dopo diverse piccole azioni del genere, nelle quali alcuni guerriglieri di Hamas sono stati uccisi, Hamas ha risposto con un massiccio lancio di missili, ed ecco, il cessate il fuoco è giunto alla fine. Tutti hanno incolpato Hamas. 

 


Qual è lo scopo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: rovesciare il governo di Hamas a Gaza. I Qassam sono serviti solo come pretesto. Rovesciare il governo di Hamas? Suona quasi come un capitolo estratto dalla «Marcia dei folli». Dopo tutto non è un segreto che fu il governo israeliano a supportare Hamas, all’inizio. Una volta interoggai su questo l’allora capo dello Shin-Bet, Yakakov Peri, che rispose enigmaticamente: «Non lo abbiamo creato noi, ma non abbiamo impedito la sua creazione.»
Per anni le autorità d’occupazione promossero il movimento islamico nei territori occupati. Ogni altra iniziativa politica era rigorosamente soppressa, ma lo loro attività nelle moschee era permessa. Il calcolo era semplice, e ingenuo: al tempo l’Olp era considerato il nemico principale, Yasser Arafat il satana. Il movimento islamico predicava contro l’Olp e Arafat ed era perciò visto come un alleato.

Abu Mazen, un «pollo spennato»
Con l’esplodere della prima intifada nel 1987, il movimento islamico si rinominò ufficialmente Hamas (l’acronimo arabo di «movimento islamico di resistenza») e si unì alla lotta. Anche allora lo Shin-bet non mosse un dito contro di loro per quasi un anno, mentre i membri del Fatah erano imprigionati o uccisi in gran numero. Solo dopo un anno lo sceicco Ahmed Yassin e i suoi colleghi furono arrestati. Da allora la ruota ha girato. Hamas è il satana odierno, e l’Olp è considerato da molti in Israele quasi una branca del movimento sionista. La conclusione logica per un governo di Israele interessato alla pace sarebbe stata quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: la fine dell’occupazione, la firma di un trattato di pace, la fondazione dello stato di Palestina, il ritiro entro i confini del 1967, una soluzione ragionevole al problema dei rifugiati, il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Questo avrebbe sicuramente arrestato l’ascesa di Hamas.
Ma la logica ha una scarsa influenza sulla politica. Niente del genere è accaduto. Al contrario, dopo l’uccisione di Arafat, Abu Mazen, che ha preso il suo posto, è stato definito da Ariel Sharon un «pollo spennato». Ad Abu Mazen non è stato concesso il minimo margine di operatività politica. I negoziati, sotto gli auspici americani, sono diventati una barzelletta. Il più autentico leader di Fatah, Marwan Barghouti, è stato mandato in carcere a vita. Al posto di un massiccio rilascio di prigionieri, ci sono stati «segnali» meschini e offensivi.
Abu Mazen è stato umiliato sistematicamente, Fatah ha assunto l’aspetto di una conchiglia vuota, e Hamas ha ottenuto una risonante vittoria alle elezioni palestinesi — le elezioni più democratiche mai tenute nel mondo arabo. Israele ha boicottato il governo eletto. Nella successiva battaglia interna, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. E ora, dopo tutto ciò, il governo di Israele ha deciso di «rovesciare il governo di Hamas a Gaza».
Il nome ufficiale dell’azione bellica è «piombo fuso», due parole tratte da una canzone infantile su un giocattolo di Hanukkah. Sarebbe stato più appropriato chiamarla «guerra delle elezioni». Anche nel passato le azioni militari sono state intraprese durante campagne elettorali. Menachen Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna del 1981. Quando Shimon Peres affermò che si trattava di una trovata elettorale, Begin alzò la voce al comizio seguente: «Ebrei, davvero credete che io potrei mandare i nostri figli coraggiosi alla morte, o, peggio ancora, ad esser fatti prigionieri da degli animali, solo per vincere le elezioni?». Begin vinse.
Ma Peres non è Begin. Quando, durante la campagna del 1996, ordinò l’invasione del Libano, tutti erano convinti che si trattasse di una trovata elettorale. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Netanyahu salì al potere. Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco. Secondo i sondaggi, la prevista vittoria di Barak gli ha fatto guadagnare 5 seggi della Knesset. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare sui cadaveri. Il successo potrebbe evaporare in un istante, se la guerra cominciasse a essere considerata un fallimento dall’opinione pubblica israeliana. Per esempio, se i missili continuano a colpire Beersheba, o se l’attacco di terra porta a un pesante numero di vittime tra gli israeliani.
Un esperimento scientifico
Il momento è stato scelto con cura anche da un altro punto di vista. L’attacco è cominciato due giorni dopo Natale, quando i leader americani e europei sono in vacanza. Il calcolo: anche se qualcuno volesse provare a fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle vacanze. Il che ha garantito diversi giorni senza alcuna pressione esterna. Un’altra ragione che rende il momento appropriato: sono gli ultimi giorni della permanenza di Bush alla Casa bianca. Ci si aspettava che questo idiota assetato di sangue appoggiasse entusiasticamente l’attacco, come in effetti ha fatto. Barack Obama non ha ancora iniziato il suo incarico, e ha quindi un pretesto per rimanere in silenzio: «C’è un solo presidente».
Questo silenzio non fa presagire nulla di buono per il mandato di Obama. La linea fondamentale è stata: non bisogna ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Questo è stato ripetuto incessantemente in ogni notiziario e talk show. Ma ciò non toglie che la guerra di Gaza sia una replica pressoché identica della seconda guerra del Libano. Il concetto strategico è lo stesso: terrorizzare la popolazione civile attraverso attacchi aerei costanti, seminando morte e distruzione. I piloti non corrono alcun pericolo, in quanto i palestinesi non hanno una contraerea. Il calcolo: se tutte le infrastrutture che consentono la vita nella Striscia sono letteralmente distrutte, e si arriva quindi alla totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas. Abu Mazen rientrerà poi a Gaza al seguito dei carri armati israeliani. In Libano questo calcolo non ha funzionato. La popolazione bombardata, cristiani inclusi, si è radunata attorno a Hezbollah, e Nashrallah è diventato l’eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile accadrà probabilmente anche questa volta. I generali sono esperti nell’usare le armi e nel muovere le truppe, non nella psicologia di massa.
Qualche tempo fa scrissi che il blocco di Gaza può essere inteso come un esperimento scientifico, mirato a scoprire quanto si può affamare una popolazione prima che scoppi. Questo esperimento è stato portato avanti con il generoso aiuto dell’Europa e degli Stati uniti. Finora non è riuscito. Hamas è diventato più forte e la gettata dei Qassam più lunga. La presente guerra è una continuazione dell’esperimento con altri mezzi. Potrebbe essere che l’esercito «non abbia alternativa» se non riconquistare la Striscia, perché non c’è altro modo per fermare i Qassam, se non quello — contrario alla politica del governo — di arrivare a un accordo con Hamas. Quando partirà la missione di terra, tutto dipenderà dalla motivazione e dalla capacità dei combattenti di Hamas rispetto ai soldati israeliani. Nessuno può prevedere quanto accadrà.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Al Jazeera trasmette immagini atroci: brandelli di corpi mutilati, parenti in lacrime in cerca dei loro cari tra le dozzine di cadaveri, una donna che solleva la sua bambina da sotto le macerie, dottori senza mezzi che cercano di salvare le vite dei feriti.
In milioni stanno vedendo queste immagini terribili, giorno dopo giorno. Queste immagini saranno impresse nella loro mente per sempre. Un’intera generazione coltiva l’odio. Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare ancora a lungo dopo che gli altri effetti della guerra saranno stati dimenticati in Israele.
Ma c’è un’altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni: l’immagine dei corrotti e passivi regimi arabi. Visto dagli arabi, un fatto s’impone su tutti gli altri: il muro della vergogna. Per il milione e mezzo di arabi a Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l’unica apertura al mondo che non sia dominata da Israele è il confine con l’Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo che consente la vit
a, da lì arrivano i medicinali che salvano i feriti. Al culmine dell’orrore questo confine resta chiuso. L’esercito egiziano ha bloccato l’unica via d’accesso per cibo e medicinali, mentre i chirurghi operano senza anestetici.
Per il mondo arabo, da un capo all’altro, hanno fatto eco le parole di Hassan Nashrallah: «I leader egiziani sono complici in questo crimine, stanno collaborando con il «nemico sionista» che cerca di rompere il popolo palestinese». Si può assumere che non intendesse solo Mubarak, ma anche tutti gli altri leader, dal re saudita al presidente dell’Anp. Se si guarda alle manifestazioni in tutto il mondo arabo, se si ascoltano gli slogan, se ne deduce l’impressione che i loro leader sono visti da molti come patetici nel migliore dei casi, come meschini collaborazionisti nel peggiore.
Questo avrà conseguenze storiche. Un’intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell’ideologia nazionalista secolare araba — i successori di Nasser, di Hafez al-Assad e Yasser Arafat– sarà messa fuori scena. In campo arabo, l’unica alternativa percorribile è l’ideologia del fondamentalismo islamico.
Questa guerra è un presagio infelice: Israele sta perdendo l’occasione storica di fare la pace con il nazionalismo arabo secolare. Domani potrebbe essere davanti a un mondo arabo uniformemente fondamentalista, un Hamas mille volte più grande.

 

 

 

(traduzione di Nicola Vincenzoni)

 

 

 

 


Gaza: Genocidio

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La banconota “nucleare” iraniana

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50mila rial

In Iran la nuova banconota da 50mila Rial, circa 4 Euro, celebra l’energia nucleare, in circolazione dal prossimo 12 Marzo.


Gli iraniani sono forse antisemiti?

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DI NAZANIN AMIRIAN
Rebelión

En español

Tutto è pronto per un’aggressione militare di Israele, Stati Uniti e dei loro alleati contro l’Iran, dalle conseguenze letteralmente inimmaginabili.

Un “incidente” accenderà la miccia della guerra. Gli ultimi atteggiamenti propagandistici di Bush, soprattutto nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, manifestano che il mandatario yankee abbia abbandonato il nemico Al Qaeda per convertire gli sciiti (cioè l’Iran) nel peggior nemico dell’intera umanità.

Per questo, oltre alle misure attuate nella regione con il fine di intraprendere la nuova follia bellica (come per esempio stimolare un’incipiente guerra civile in Libano, schierare i soldati della NATO in questo paese con lo scopo di destabilizzare Hezbollah in quanto alleato dell’Iran, provocare un conflitto tra Hamas e Al Fatah in Palestina e aumentare il numero delle truppe di occupazione in Iraq e Afghanistan) minaccia direttamente l’Iran con l’obiettivo di preparare l’opinione pubblica mondiale, così come per misurare le possibili reazioni della Repubblica Islamica.

Da lì l’assalto al consolato iraniano nel Kurdistan iracheno e la detenzione dei suoi funzionari, la fuga di notizie sul settimanale britannico The Sunday Times dei piani israeliani per lanciare un attacco nucleare all’Iran (ciò vuol dire che è Israele a possedere armi nucleari illegali mentre l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica le cerca in Iran!), che secondo militari iraniani hanno come obiettivo circa 1500 bersagli militari e civili; l’imposizione di sanzioni contro il commercio iraniano di materiali e tecnologia nucleare per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU; gli ordini di Bush di uccidere gli agenti iraniani in Iraq, in un chiaro stile mafioso, e i suoi progetti per ridurre il peso degli sciiti nel governo iracheno in favore dei sunniti e l’approvazione dell’Assemblea Generale dell’ONU di una risoluzione che condanna le negazioni dell’Olocausto, con lo sguardo rivolto all’Iran.

Proprio per questo ultimo atto, credo sia opportuno spiegare la posizione dei differenti settori del regime islamico rispetto a quella polemica conferenza del presidente Ahmadinejad, così come aghiungere una breve menzione sulle relazioni storiche tra gli Iraniani e gli Ebrei.

L’iniziativa del presidente Ahmadinejad, nel Dicembre scorso, di celebrare un incontro per “verificare se l’Olocausto realmente abbia avuto luogo durante la II Guerra mondiale” e che ha riunito elementi di estrema destra, nazisti, veterani razzisti, leader del Ku Klux Klan, tra gli altri, non solo ha provocato proteste fuori dal paese ma anche nei circoli politici iraniani e perfino in seno al frammentato regime islamico, dove lo scontro tra il clero conservatore e i militari islamici, rappresentato dal capo dell’esecutivo si è acuito più che mai. In mezzo si sono trovati i cittadini rassegnati che continuavano a domandarsi: “perché il presidente improvvisamente si occupa di alcuni fatti successi sessanta anni fa, all’altro capo del mondo e che non solo non hanno nulla a che vedere con l’Iran e i suoi interessi, ma al contrario con quello che sta accadendo nella regione?”.

È importante chiarire che né il discorso antisemita, né qualcosa di somigliante all’Olocausto hanno mai avuto luogo in Iran né nel resto del Medio Oriente. Le persecuzioni sistematiche che hanno subito gli ebrei in questa regione da parte dei diversi sistemi politici più che per motivi religiosi sono state per motivi politici; nello stesso modo in cui ci sono state persecuzioni contro gli sciiti, i sunniti, i comunisti, gli armeni e i curdi. Pertanto sebbene esista il fenomeno dell’antisionismo, dalla fondazione di Israele, questa regione non riconosce l’antisemitismo come una corrente politico-ideologica.

L’estemporaneo dibattito sull’Olocausto promosso da Ahmadinejad la cui intenzione forse non è stata altro che che quella di smascherare il doppio volto con il quale gli organismi internazionali misurano i crimini commessi da parte dei differenti stati e il suo intento di capeggiare la causa palestinese, sono stati duramente criticati nel paese. Questa retorica contro Israele non ha precedenti nei 27 anni della storia della Repubblica Islamica. Perfino Baztab, uno dei principali giornali digitali del regime, ha lanciato in internet la teoria secondo la quale una mano oscura tra coloro vicini al presidente avrebbe tessuto la trappola della conferenza. Per supportare la sua tesi, il giornale ricordava che anche l’ayatollah Khomeini, pur avendo una chiara posizione contro Israele non dubitò mai della veridicità dell’Olocausto, né tanto meno organizzò mai un seminario internazionale al riguardo.

Per questo si domanda: “Quali motivi aveva per spendere milioni di dollari e parlare di qualcosa che successe a migliaia di chilometri di distanza dall’Iran? E ricorda al capo dell’esecutivo che “lei è il presidente dell’Iran e non della Palestina”. Dal canto suo il quotidiano Jomhuri-e-Eslmi principale portavoce religioso, crede che con questo dibattito il presidente pretende di “stendere una cortina di fumo e sviare l’attenzione dell’opinione pubblica interna sui gravi problemi economici e politici che affliggono il paese”.

Un’altra critica viene mossa da parte dell’ex presidente Mohamed Jatami il quale considera insensato discutere sulla possibile esagerazione di alcuni storici e ricorda che “la morte anche solo di un ebreo è un crimine”. Un altro religioso riflettendo ad alta voce: “questo fatto non ha nulla a che vedere né con l’Iran, né con l’Islam né con nessuna delle necessità del paese. Non è giusto che il mondo intero veda agli iraniani, un popolo con tanta civiltà alle sue spalle, seduto al fianco di nazisti e fascisti”.

Farad Bagherzadeh, giornalista, va oltre e propone di condurre in tribunale gli organizzatori del congresso per aver “attentato contro la sicurezza nazionale del paese, in questo delicato momento”.

La storia delle relazioni tra gli iraniani e gli ebrei si fa risalire al secolo VI prima di Cristo. I racconti biblici di Ezra, Ester, Neemia e Daniele non solo situano il popolo ebraico in Persia, ma i testi di storia testimoniano che Ester (“stella” in persiano) fu una regina ebrea che governò l’Iran e che i 32 luoghi sacri degli ebrei, tra i quali la tomba del profeta Daniele situata nella vecchia città di Susa, nel sud dell’Iran, continuano ad essere luoghi di pellegrinaggio per gli ebrei e musulmani della regione.

Oggi circa 25000 Parsim, “persiani” in ebraico, il nome con il quale si indicano gli ebrei iraniani, fanno si che l’Iran sia dopo Israele, lo stato con il maggior numero di membri di questa comunità in Medio Oriente. Essi sono i discendenti degli ebrei liberati da Ciro il Grande dopo la conquista di Babilonia nel 539 a.C. Quell’imperatore persiano, promulgò, nella prima Dichiarazione dei Diritti Umani, un decreto con il quale si autorizzavano gli ebrei esiliati a far ritorno a Gerusalemme e riedificare il loro tempio, con la libertà totale di praticare la loro religione, parlare la loro lingua e mantenere vive le loro tradizioni. Oggi la comunità ebraico-iraniana possiede 43 sinagoghe attive, beneficia dei servizi sociali propri come vigilanza, case di riposo per anziani e un ospedale nella capitale di 102 camere che dà accoglienza anche ai connazionali non ebrei. Operano inoltre associazioni come il Consiglio centrale degli ebrei in Iran, la comunità ebraica di Teheran, così come organizzazioni di donne, giovani e circoli sportivi.

Pertanto, fatto salvo le multinazionali delle armi
e i settori relazionati, a nessuno, sia musulmano, cristiano e ebreo, conviene revisionare la storia e provocare ulteriori guerre e sofferenze in questa martoriata zona del pianeta.

Fonte: http://www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=45629
29.01.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI


Hrant Dink

2 commenti

…L’unica mia arma era la mia onestà.

Ma mi hanno condannato.

…sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito…

… sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo?…

…Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti.

Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà.

Perché qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini.

Impauriti, come me, ma come me liberi.

  E’ l’ultimo articolo pubblicato da Hrant Disk giornalista e scrittore turco armeno su Agos, il settimanale di cui era direttore, ieri mattina, poche ore prima di essere ucciso a Istanbul davanti alla redazione del suo giornale con tre colpi di pistola alla testa.In base all’articolo 301 del codice penale turco era stato ritenuto colpevole di offesa all’identità turca per aver parlato apertamente del genocidio armeno del 1915 e contro di lui si era scatenata una campagna mediatica diffamatoria che forse lo aveva ucciso ancor prima che lo raggiungessero le tre pallottole.

 


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