Guido Piccoli: le verità di Gaza

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Fotografia di Annalisa Melandri
Le verità di Gaza.
Abraham Yehoushua, io la disprezzo.
Una cosa è chiara.
Israele, i suoi governanti e la gran parte del suo popolo non vogliono la pace. Per la preponderanza bellica, per gli appoggi internazionali, perché le guerre come l’attuale (accettando che possa chiamarsi così il massacro di questi giorni) gli comportano un centesimo delle vittime rispetto al nemico.
Israele, i suoi governanti e la gran parte del suo popolo non vogliono la pace per il fanatismo cresciuto con il compiacimento o la tolleranza della gran parte dell’intellettualità locale e internazionale.
Ma c’è una ragione in più. 
Come una parte dei palestinesi e degli arabi coltivano l’utopia di riprendersi la Palestina, buttando a mare gli israeliani, la gran parte degli israeliani coltiva il progetto (qualcosa più di un’utopia) di formare la grande Israele, Eretz Israel, cacciando ancora più palestinesi dalla loro terra e mantenendone la parte utile nel ruolo dei servi. La proclamazione del sogno dei primi suscita condanna e biasimo internazionali, l’attuazione del progetto dei secondi è accompagnato da accondiscendenza e comprensione internazionali.
Da qui la formulazione, volutamente inaccettabile, di “due popoli, due stati” che, secondo i progressisti israeliani (gli altri non ne vogliono nemmeno sentir parlare) sarebbe uno stato fortissimo, capace di vincere qualunque guerra, e dall’altro una serie di bantustan, stile sud Africa, oltre al campo di concentramento di Gaza, senza continuità territoriale, espropriato dell’acqua, senza esercito, senza controllo dei confini… Insomma, una pagliacciata che tutti fanno più o meno a gara a non vedere. Altrochè “confini del 1967”, Gerusalemme capitale condivisa, ritorno dei profughi, come sostengono le leggi internazionali, come vorrebbe un minimo di giustizia.
No, Israele non si accontenta.
Da qui la necessità di alimentare la rabbia e disperazione della popolazione palestinese e di rafforzare comunque e sempre la sua componente più radicale. Hamas è figlia di questa strategia. Vent’anni fa, ai tempi della prima Intifada, occorreva creare un contrappeso all’Olp di Arafat, che dopo essere stato costretto all’arma del terrorismo si era guadagnato una considerazione internazionale. Israele aveva bisogno di un nemico fondamentalista fatto a sua immagine e somiglianza, un nemico da spingere, sfidare e poi, naturalmente, vincere sul terreno preferito, la guerra. I soldi dell’Europa e in misura minore degli Usa hanno fatto il resto, trasformando l’entourage di Arafat –soprattutto dopo la sua morte – in una banda di corrotti. “Divide et impera” attuato vedendo bene di togliere di mezzo quei pochi elementi, insieme laici e radicali, e soprattutto onesti, capaci di negoziare e combattere, come Marwan Barghouti, incarcerato e condannato a cinque ergastoli.
E Israele continua ad alimentare Hamas. Anche adesso, mentre pare che lo voglia distruggere.
Con le ossa rotte, con molti martiri, con i già poveri arsenali bellici distrutti, Hamas ne uscirà rafforzato, come sono usciti rafforzati gli Hezbollah dalla guerra in Libano (quella si che pur asimmetrica sembrava più una guerra che un massacro). Mentre chi ne esce distrutto è Al Fatah che ha scelto Israele al suo popolo massacrato, decidendo di caricare brutalmente, come Israele e il peggiore dei regimi arabi, chi manifestava a Nablus, a Hebron o Ramallah contro il massacro, decidendo di mantenere in carcere i militanti di Hamas e associandosi alla condanna internazionale di Hamas come terrorista.
I palestinesi massacrati e divisi: perfetto. Israele gioisce perché può o potrà ancora di più dire al mondo che con Hamas non può negoziare perché terrorista e con l’Anp e Al Fatah nemmeno perché non rappresentativi.
E avanti così, dritto verso il progetto della Eretz Israel, tra bagni di sangue e ettolitri di ipocrisia sul pericolo dell’antisemitismo, creato ad arte in un terreno reso fertile dalla barbarie israeliana.
Hamas e Anp… e noi? A manifestare e a dividerci, tra chi… e chi… tra quelli di Assisi che ripetono parole d’ordine alle quali penso che non credano più nemmeno loro e quelli di Roma, dove sarei andato sapendo che non basta. Che occorre fare di più. Soprattutto denunciare, come se fossimo là, il sionismo fascista, i suoi progetti, i suoi amici e protettori, i suoi interessi, la sua strategia intelligente, ma anche evidente, quasi banale, a chi abbia memoria e onestà nel guardare. L’Intifada va portata nel mondo, con le modalità corrispondenti ad ogni situazione fino a costringere Israele ad accettare di essere uno stato normale, senza il diritto di commettere qualunque barbarie e ovunque. Fino a dare forza a quella minoranza coraggiosa di pacifisti, di militari che si rifiutano di partecipare al massacro, che sono bollati come traditori dai più. Con le “buone” non lo capiscono. Lo devono capire con “le cattive”. Se il debolissimo apparato militare di Hamas avesse causato non una decina di morti, ma centinaia di morti tra i fusti della Tsahal, in Israele non ci sarebbe il 78% di fan del massacro (la rivolta di Berkeley non è nata per compassione dei piccoli viet…).
 
Le “cattive” per noi sono il boicottaggio economico (come anche proposto da Naomi Klein) e l’isolamento intellettuale e culturale (come anche proposto da Ken Loach): Abraham Yehoushua avrebbe scritto, secondo quanto riportato da Vittorio Arrigoni sul Manifesto, che “uccidiamo i loro bambini oggi per salvarne tanti domani”. In realtà il pensiero non è così brutale, ma, più o meno, “Combattere Hamas non è possibile senza colpire i civili, bambini compresi. Un prezzo inevitabile per garantirci il futuro e salvare altri bambini domani”. Cinico, ma soprattutto disonesto Abraham Yehoushua, che non può non sapere che Hamas, e con Hamas l’odio, la violenza, il sogno di buttare a mare gli israeliani, non farà altro che crescere. Giustamente e logicamente: forse noi ameremmo di più il nostro carnefice, super armato e super protetto e super giustificato dal mondo che conta? O ci sottometteremo di più a lui per salvare cosa?: la vita di merda e disperata, che facciamo nei campi profughi, patendo la fame e le umiliazioni quotidiane?
Yehoushua non è uno stupido. Yehoushua lo sa. Per questo merita il mio disprezzo. Si penserebbe di difendere ancora il suo invito come ospite d’onore alla Fiera del Libro di Torino?
 

 

 


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