Può essere affidabile l’opinione dell’assassino di Roque Dalton? Per Massimo Cavallini sì.

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Cuando sepas que he muerto, no pronuncies mi nombre .
porque se detendrá la muerte y el reposo.

Tu voz, que es la campana de los cinco sentidos,
serfa el tenue faro buscado por mi niebla.

Cuando sepas que he muerto di sílabas extrañas.
Pronuncia flor, abeja, lágrima, pan, tormenta.

No dejes que tus labios hallen mis once letras.
Tengo sueño, he amado, he ganado el silencio.

No pronuncies mi nombre cuando sepas que he muerto
desde la oscura tierra vendría por tu voz.

No pronuncies mi nombre, no pronuncies mi nombre,
Cuando sepas que he muerto no pronuncies mi nombre.

Roque Dalton Garcia
 
Roque Dalton fu ucciso  da Joaquín Villalobos, dirigente dell’ Esercito Rivoluzionario del Popolo (EPR), organizzazione nella quale entrambi militavano,  il 10 maggio 1975. Accusato ingiustamente di far parte della CIA , fu giustiziato a sangue freddo senza nemmeno avergli dato  la possibilità di difendersi. Non fu nemmeno seppellito e il suo corpo fu lasciato ai cani e agli avvoltoi.  Così morì uno dei più grandi poeti latinoamericani.
L’opinione  di Joaquín Villalobos, consigliere di Álvaro Uribe e  assassino di Roque Dalton  merita secondo Massimo Cavallini di essere citata a sostegno  delle sue tesi esposte in questo suo articolo che altro non è che un’apologia della marcia contro le FARC  del 4 febbraio scorso.
Cavallini presentandoci  Joaquín Villalobos come “ex-guerrigliero, a suo tempo uno dei massimi leader del FMLN salvadoregno”,   omette due piccoli dettagli: assassino di Roque Dalton e consigliere di Álvaro Uribe..
Che autorevolezza può avere Massimo Cavallini? Che affidabilità può avere un giornalista che a supporto dei suoi articoli cita l’opinione di un volgare assassino che a detta di tutta la sinistra latinoamericana viene definito un “ladrón”, “asesino” y “maldito”?
Leggi anche: Massimo Cavallini e l’assassino di Roque Dalton di Gennaro Carotenuto

Val di Susa sotto attacco: così guida l’affondo del movimento il Corriere della Sera

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Si tratta di un vero e proprio attacco mediatico quello che la Val di Susa e il movimento NO TAV stanno subendo in questi giorni.
In realtà i media non si sono mai sbracciati molto per ascoltare la voce della Val di Susa e del suo popolo, che al di là del vero nocciolo della questione e cioè l’opposizione alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità nella tratta internazionale Torino-Lione, stanno dando filo da torcere ad amministrazioni locali, politici e imprenditori soprattutto per aver organizzato una forma di protesta e di partecipazione popolare intorno alle decisioni da prendere. Partecipazione  che è stata definita come “democrazia al lavoro” , operazione di vertenza sociale e territoriale”, “fare politica trasversalmente”. Sono tutti modi diversi per dire la stessa cosa. Centinaia di persone, decine di movimenti, partiti politici, sindacati, associazioni, amministrazioni comunali hanno creato un vero e proprio “laboratorio territoriale”, hanno presentato analisi del progetto e progetti alternativi, studi di impatto ambientale, tutto ciò per dire che loro nella Valle il treno non lo vogliono. Un grande movimento in difesa del territorio.
Probabilmente la crisi di governo e l’imminente appuntamento elettorale  stanno preparando il terreno, se nel giro di tre giorni, dal Corriere della Sera, a Tgcom al Tg5 di lunedì sera si stanno passando tutti la stessa notizia. Secondo il quotidiano di via Solferino, da sempre vicino agli industriali del nord, il movimento no-Tav sarebbe addirittura sulla via del pentimento. Tutti in fila a chiedere venia e pregare per i peccati commessi negli anni scorsi. Da quel 15 dicembre 1991,  quando con il nome di HABITAT si formò il primo comitato in difesa della Valle, avanti negli anni, passando per gli “ecoterroristi valsusini” , per i “lupi-grigi valsusini” attraverso  la manifestazione del maggio 2003 fino alle  manganellate prese al Seghino nell’ottobre del 2005, per lo sciopero generale del mese successivo, (ottantamila persone …tutte a chiedere perdono adesso?) fino ai   movimentati primi giorni di dicembre, sempre di quell’anno, con le ruspe a buttare giù il presidio e “l’ immacolata ribellione” dell’8 dicembre con la liberazione di  Venaus dal presidio delle forze dell’ordine. Ricordiamo inoltre  il grande forum del 17/18/19 febbraio del 2006 che ha visto la partecipazione di più di tremila persone. Questo solo per citare alcune delle tappe più significative di un grande movimento che da 8 anni difende il suo territorio. E’ bastata una pagina sul Corriere della Sera del 4 febbraio scorso, a firma di Alessandra Mangiarotti già nota ai valsusini, come conferma Chiara Sasso (la “cronista” dalla valle del settimanale Carta), per essere colei che “affonda non per la prima volta in malo modo il coltello” nel movimento.
Ebbene a detta delle autorevolissime voci di una barista, un benzinaio e un edicolante secondo il Corriere della Sera, “ora i no-Tav si pentono”.
Non bastano queste testimonianze, al coro si aggiunge anche un’immobiliarista che critica le strumentalizzazioni che ci sono state nella protesta e un’albergatrice che dice: “voglio la Torino-Lione e vi dico il perchè: ci porterà il lavoro”. Il nocciolo è infatti il lavoro. Secondo i valsusini intervistati dalla giornalista, che probabilmente  poco hanno a che vedere con l’anima e il cuore del movimento, adesso in Val di Susa “della Tav c’è bisogno” perchè in Valle la disoccupazione dilaga e bisogna pensare a dar da mangiare ai figli. Non più no-Tav dunque ma un forte e deciso si-Tav. Ma fa di più la giornalista,  oltre a dare voce a una decina di persone incontrate per strada e che probabilmente con il movimento non hanno nulla a che vedere, altera completamente il senso delle parole addirittura di Antonio Ferrentino, che da presidente della Comunità Montana Bassa Val di Susa e Val Cenischia, degrada al rango di “capopolo”. Praticamente gli fa dire, a lui, leader storico della rivolta, che:  “anch’io non scenderei più in piazza. E centinaia di persone me lo vengono a dire.”ho marciato, ora non marcerei”. Il perchè? E’ finito il tempo di urlare moriremo tutti d’amianto ora si parla di ragioni vere, di priorità.”
“Operazione molto brutta”,  ha definito lo scopo dell’articolo  della Mangiarotti proprio Antonio Ferrentino, che insieme ad  altri sostenitori del movimento si sono affrettati a pubbliacare su Carta una smentita a quanto scritto sul Corriere della Sera.
“La giornalista che l’ha scritto ha fatto una personale ricostruzione delle mie parole. Di parte direi, e con un obiettivo ben specifico – dice – Ho risposto a domande precise, come quella in cui mi si chiedeva se fossero previste altre manifestazioni in Valle alla quale ho risposto che al momento non sapremmo come e contro chi manifestare perché stiamo cercando di fare emergere, dal confronto con l’Osservatorio, quelle che sono le nostre osservazioni e la nostra contrarietà a quest’opera. È esattamente quello stiamo facendo all’interno di un tavolo di confronto. Sulle questioni tecniche ho detto poi che noi siamo d’accordo al potenziamento della linea storica, al nodo di Torino, e che il tunnel non è la priorità, se ne discuterà nei prossimi 10–15 anni. La cosa molto brutta è che la giornalista ha fatto emergere la sensazione che in Valle tutti abbiano cambiato idea. Nessuno di noi ha cambiato idea. Chi era favorevole è rimasto favorevole, chi era contrario è rimasto contrario. Nell’articolo però si possono leggere solo le valutazioni di chi è favorevole, non c’è nessun contrario all’opera. Mi sembra un’ operazione un po’ squallida. Si vuole lanciare il messaggio che in Valle non esiste più l’opposizione alla Tav, cosa totalmente falsa. È una operazione molto brutta».
Maurizio Piccioni, responsabile  del Comitato Spinta dal Bass, da me contattato, invece  mi ha confermato che in Valle si è molto discusso di questo articolo.   “Naturalmente  questa continua ad essere una Valle no TAV, purtoppo siamo sotto un  attacco mediatico di enormi proporzioni: dopo il Corriere, ecco seguire il Tg5  delle 20.00 di lunedì e il Tgcom”.
Mi conferma che in Val di Susa si stanno preparando risposte e mobilitazioni e una grossa assemblea per discutere del problema si è già tenuta ieri sera, mentre per il 13 febbraio prossimo è previsto un presidio in concomitanza con il tavolo politico di Roma.
La Valle fa sentire la sua voce e risponde con veemenza alla propaganda mediatica volta a denigrare una delle voci più importanti della partecipazione popolare in Italia, ma soprattutto volta a spianare il terreno ai prossimi giochi di potere.
 

Moises Naim: una nuova epidemia dilaga per l’Europa

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Moises Naim: una nuova epidemia dilaga per l’Europa
Su l’Espresso un criminale scrive di onestà intellettuale.…
 
C’è una nuova epidemia in giro per l’Europa, con principi  di focolai pericolosi anche negli Stati Uniti. In America Latina circa due terzi della regione ne è affetta.
Ce ne informa Moises Naim in un  articolo scritto per la  sua rubrica “Senza Frontiere” su l’Espresso.
E’ un’epidemia pericolosa soprattutto per gli interessi ai quali egli è sempre stato ossequiente: e cioè quelli degli Stati Uniti e dell’opposizione antichavista nel suo paese,  il Venezuela.
Questa  epidemia, come si apprende leggendo quanto scrive,  sarebbe la  sindrome di Stoccolma che si sta propagando per tutta Europa e che avrebbe come caratteristica principale quella di portare cittadini di continenti lontani a solidarizzare con “quelle bande di assassini e sequestratori” che sarebbero le FARC.
Secondo il venezuelano Naim, che ricordiamo (visto che a lui non piace farlo)  fu ministro dell’industria di Carlos Andrés Perez al tempo del Caracazo (il massacro, avvenuto a Caracas il 27 febbraio 1989,  di circa duemila?, seimila? centomila?  dimostranti   che protestavano per la dilagante  miseria in cui versava il paese a seguito delle  privatizzazioni selvagge del governo) ne sono  affetti singoli cittadini europei, associazioni, e perfino Oliver Stone e tre membri del congresso Usa che ne avrebbero  manifestato  i sintomi con l’invio di una lettera a Manuel Marulanda, alias Tirofijo, esprimendo compiacimento per aver fornito la prova in vita di Ingrid Betancourt.
Ed è abile, abilissimo Naim a giocare con le parole, dove si intende “dimostrare  compiacimento per aver fornito la prova in vita di Ingrid Betancort”, il suo estro prezzolato gli fa scrivere “le FARC per la prima volta in sette anni, si sono degnate di fornire in alcuni video la conferma di non aver ancora assassinato Ingrid Betancourt e altri ostaggi”. Supponendo così  in mala fede che fosse  scontato che le FARC avrebbero ucciso la Betancourt, ipotizzando poi che probabilmente lo faranno,  e infine mentendo spudoratamente,  in quanto da quando la Betancourt è prigioniera delle FARC, di  prove di  sopravvivenza in video, prima di quella recentissima del dicembre scorso alla quale egli fa riferimento,  ne sono state fornite almeno altre due, la prima  cinque mesi dopo il sequestro e una seconda nell’ottobre del 2003, ma si sa,  alterare i numeri fa sempre un certo effetto.
Leggendo l’articolo di Moises Naim si  potrebbe poi addirittura ipotizzare per qualcuno  il reato di complicità in traffico internazionale di stupefacenti in quanto secondo l’analista (sic) “la retorica con cui si vorrebbero equiparare le FARC ai movimenti di liberazione nazionale serve solo da facciata a una banda di crudeli mercenari del narcotraffico”.
Segnaliamo allora al perspicace autore dell’articolo che l’ultimo complice in ordine di tempo  di questa banda di volgari narcotrafficanti sarebbe  addirittura Yves Heller, il portavoce della Croce Rossa Internazionale in Colombia che in una recente intervista rilasciata a Página/12 afferma che in Colombia esiste di fatto una guerra e che “lo Stato si sta scontrando con gruppi armati organizzati che hanno un certo controllo del territorio, che stanno provocando conseguenze umanitarie, che esercitano operazioni militari intense e organizzate, che hanno un comando e un’organizzazione militare. Per questo secondo il CIRC (Comitato Internazionale della Croce Rossa) in Colombia esiste un conflitto armato interno  al quale va applicato il II protocollo di Ginevra”.   
Un riconoscimento dunque della condizione di belligeranti delle FARC, contrariamente alla posizione del governo colombiano che continua a  identificare la guerriglia  come “minaccia terrorista” o “terrorismo in democrazia” o come fa Naim “mercenari del narcotraffico”.
Ma la lista degli infettati dalla sindrome di Stoccolma è lunghissima, in essa troviamo i nomi, oltre ovviamente a quello del presidente del Venezuela Hugo Chávez che probabilmente è già un  malato terminale, anche quello di  Yolanda Pulecio, la mamma di Ingrid Betancourt che affermò addirittura di fidarsi più delle FARC che di Uribe, e dello stesso marito di Ingrid,  Juan Carlos Lecompte, che in più di una occasione ha criticato duramente Uribe, accusandolo addirittura di dialogare molto di più con i paramilitari che con le FARC per la liberazione degli ostaggi.
Ricordiamo a Naim inoltre che i governi di Brasile, Francia, Argentina, Cuba, Ecuador e  Svizzera hanno accettato di mediare per la liberazione di Clara Rojas e Consuelo Gonzáles de Perdomo e lo hanno fatto con un gruppo belligerante, riconoscendo loro per questo una valenza politica,  e non certo con una banda di mercenari narcotrafficanti.
Alla sindrome di Stoccolma secondo Moises Naim se ne starebbe per aggiungere un’altra e cioè la sindrome di Copenaghen  in quanto recentemente  nella capitale danese un tribunale chiamato a giudicare un’organizzazione  che vendeva partite di magliette con il simbolo delle FARC  con la promessa di devolvere alla guerriglia parte del ricavato (che  in Europa è  reato in quanto le FARC risultano nell’elenco  dei gruppi terroristici voluto da Washington e quindi il loro finanziamento proibito)  ha invece assolto l’organizzazione non considerando le FARC una  banda di terroristi. 
Richiama l’onestà intellettuale Moises Naim per affermare che in Colombia “le motivazioni ideologiche a suo tempo addotte da questi fuorilegge non esistono più”.  Non c’è bisogno di ricorrere all’onestà intellettuale, ma soltanto a un po’  di cognizione di causa per sapere che in Colombia le motivazioni per le quali esiste una guerra civile da cinquanta anni non sono soltanto ideologiche ma portano il marchio di  migliaia di crimini commessi dai paramilitari, in combutta con uno stato più terrorista e narcotrafficante delle stesse FARC,  condannato in varie occasioni dalla Corte Interamericana con sede in  Costa Rica,  per violazione dei diritti umani. Di tutto questo Naim non parla, si limita ad affermare che “la sindrome di Copenaghen nasce da un crudo calcolo politico” e si augura che solo cancellando definitivamente questa versione aggiornata della sindrome di Stoccolma  si aprirà la strada per liberare tutti gli altri prigionieri nascosti nella selva colombiana.
Il riferimento a Chávez e alla sua mediazione è esplicito, l’augurio che il presidente Venezuelano si faccia da parte anche ma  si illude se pensa che ci potranno essere altri ostaggi liberati senza la sua mediazione.
Le parole di Naim sono niente  altro che lo specchio della posizione di Álvaro Uribe e del governo degli Stati Uniti, che solerte nei giorni scorsi  ha provveduto ad inviare in Colombia John Walters (DEA) e Jim Stavridis (capo del comando Sud), i quali hanno affermato che il presidente venezuelano è un “sostenitore del narcotraffico” e che rappresenta  una “minaccia terroristica” nella regione. Immediatamente è partito il dispaccio per i giornalisti prezzolati, che Moises Naim ha prontamente raccolto. Chissà come si chiama questa malattia di cui sembra siano affetti molti giornalisti della stampa occidentale.…chissà come è possibile che l’Espresso occulta che Moises Naim è un responsabile di crimini contro l’umanità  e lo fa scrivere come se fosse un osservatore neutrale che può anche permettersi il lusso  di giudicare l’onestà intellettuale degli altri.
 

Ingrid Betancourt: la sua lettera politica manipolata anche da La Repubblica

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Ingrid Betancourt

Meno male che Ingrid Betancourt è un pò francese, meno male che è elegante e che è pure bella.
“Liberiamo il nostro cuore” come ci consiglia di fare Francesco Merlo sulle pagine di la Repubblica   e guardiamo il video di You Tube che la riprende nella selva, depressa, con il capo chino, smagrita e pallida, sorvegliata dai suoi carcerieri.
E’ quella che ognuno di noi,  pur senza aver visto il video ha immaginato fosse in tutti questi anni  la condizione di Ingrid Betancourt, e quella degli altri prigionieri nelle mani dei guerriglieri.
Meno male che Ingrid invece, caro Merlo, da bella che era è diventata pallida ed emaciata, meno male che aveva le catene ai polsi, meno male che ha inviato una lettera struggente alla madre.
Meno male infine, che Ingrid Betancourt è prigioniera delle FARC. Meno male che esiste ed è viva, perchè solo questo  dà una speranza di vita a tutti gli altri  prigionieri.
Mi chiedo cosa ne sarebbe degli altri  se per un fortunato evento fosse liberata solo lei.
Parliamoci chiaro, il mondo guarda alla Colombia perchè in Colombia in mezzo alla selva c’è Ingrid Betancourt, incatenata e sofferente. Il mondo guarda e ipocritamente si stupisce di trovarla trascurata e con lo sguardo spento, vestita solo di una “rozza tunica” come se nei tanti e lunghi giorni dell’oblio, in cui spesso la Colombia sprofonda nella sua condizione di “paese democratico moderno in lotta con un problema di terrorismo interno”, la Betancourt fosse in vacanza. Ogni tanto i riflettori si accendono su una barbarie che dura da mezzo secolo perpetrata sistematicamente contro un popolo che sopporta con dignità anche l’insopportabile.  I riflettori si accendono e ci si ricorda degli ostaggi e diventa evidente l’incapacità del governo colombiano di trattare, mediare, salvare. Un governo accecato da logiche di potere per le quali trattare vuol dire essere sconfitti. Vuol dire riconoscere che nel paese c’è una forza antagonista che chiede, sicuramente con metodi sbagliati (ma probabilmente gli unici vista la violenza istituzionale ben più cruenta),  di essere riconosciuta come voce in capitolo in una storia che da sempre è la storia degli esclusi contro le oligarchie, dei contadini contro i latifondisti, degli indigeni contro le multinazionali che saccheggiano il territorio.
Il mondo guarda alla Colombia non perchè è il paese dove muoiono ammazzati più sindacalisti che in qualsiasi altra parte del mondo, non perchè è il paese dove fare il giornalista rappresenta il mestiere più rischioso o dove la presenza militare degli Stati Uniti (addestramento, armi e presenza umana) è pari a dieci volte quella di ogni altro paese latinoamericano. Il mondo guarda alla Colombia per la sorte di Ingrid Betancourt.
Perchè ci sono i suoi figli che appaiono in televisione,  perchè c’è la madre che rilascia interviste a mezzo mondo, perchè c’è Sarkozy che riceve Chávez.
Perchè c’è una sua lettera, manipolata ad arte come solo la propaganda governativa colombiana sa fare in questi casi, che ha scosso giustamente gli animi, ma che per mostrare “la gratuità della sofferenza inflitta a una donna” da “guerriglieri marxisti con le bombe esplosive nelle tasche e le bombe ideologiche nella testa” come ricorda Merlo nel suo lungo quanto insulso articolo, è stata data alla stampa contro la volontà della famiglia che ha protestato definendo l’arbitrarietà del gesto una “violazione dell’intimità”. In questo caso  riusciamo a comprendere  appieno la gratuità della sofferenza inflitta a una madre.
 
La lettera.
Troppo facile iniziare a leggere e fermarsi a metà della lunga lettera. La prima parte è quella che racconta la vita pratica di Ingrid, le privazioni, i particolari crudeli di una prigionia ingiusta, l’amore per i figli, le speranze, i dettagli che hanno fatto sì che le parole di Ingrid Betancourt, accompagnate dalle immagini del video,  generassero  tanta indignazione toccando le corde più sensibili del nostro animo, ma anche quelle più impressionabili da quel gusto sottile e morboso che abbiamo per le tragedie altrui, così che sembra inaccettabile che alla Betancourt le FARC non permettano di avere un dizionario enciclopedico ma non sorprende invece  che nel cuore della foresta colombiana lei riesca a sentire tutti i giorni i messaggi della mamma e dei figli via radio.
La stessa morbosità che fa sì che si legga a metà la lettera e non si colgano invece passaggi ben più importanti, quasi tutti condensati nell’ ultima parte, quelli scritti da Ingrid Betancourt non madre , né figlia o moglie, ma donna politica,  che lotta anche incatenata perchè la Colombia sfugga all’occhio miope di tutto il mondo.
“Per un lungo periodo, siamo stati come i lebbrosi che rovinano la festa. Noi, i sequestrati non siamo un tema politicamente corretto suona meglio dire che bisogna affrontare con fermezza la guerriglia ‚anche se dovesse costare il sacrificio di vite umane”.
Un’accusa pesante al presidente Uribe, che si evince ancor di più nella versione originale della lettera, perchè questa dopo aver subito la manipolazione della propaganda uribista, incorre in Italia anche in quella de la Repubblica (dove sebbene in incipit si legga “questa è la lettera scritta come prova… etc etc da nessuna parte specifica che non è la versione integrale).
Ebbene Ingrid scrive: “suena mejor decir que hay un ser fuerte frente a la guerrilla, aún si se sacrifican algunas vidas humanas. Ante eso el silencio” che suona molto diversamente da quel “bisogna affrontare con fermezza la guerriglia”. Ingrid vuole proprio dire: c’è un uomo forte, un potere forte di fronte  alla guerriglia, anche se si sacrificano alcune vite umane e di fronte a questo solo il silenzio. E’ una condanna esplicita alle soluzioni militaristiche di Uribe, forse un riferimento alla morte degli 11 deputati di qualche mese fa. Non  nomina il nome di Uribe invano la Repubblica, preferisce tergiversare, anche con una traduzione.
Segue Ingrid scrivendo degli Stati Uniti, della “loro grandezza” e di Lincoln: “Cuando Lincoln defendió el derecho, a la vida, y a la libertad de los esclavos negros de América, también se enfrentò con muchas Floridas y Prateras. Muchos intereses económicos y políticos que consideraban eran superiores a la vida y a la libertad de un puñado de negros”. Il riferimento ai sequestrati, alla loro situazione e alle trattative per lo scambio umanitario è evidente, ma ha un curioso modo di proporre la traduzione la Repubblica: “Quando Lincoln ha difeso il diritto alla vita e alla libertà degli schiavi neri in America, egli ha anche affrontato molti interessi economici e politici considerati superiori alla vita e alla libertà di un pugno di neri”.
Florida y Praderas non sono spariti casualmente a mio avviso dalla traduzione di questo passaggio della lettera di Ingrid Betancourt.
Florida y Pradera rappresentano il NO di Uribe ad ogni tentativo di iniziare un dialogo con le Farc, di fatto il NO alla smilitarizzazione di questi territori  ha permesso che le trattative per lo scambio umanitario non venissero nemmeno iniziate. Come si poteva inserire una chiara accusa di Ingrid Betancourt a Uribe nel contesto di due pagine volte a mostrala  soltanto come bellissima nel suo dolore e depressa e  affranta vittima   della ferocia marxista delle FARC?
Ma Lincoln “ganó” scrive Ingrid, “vinse e rimase impresso nell’immaginario collettivo della nazione la priorità della vita dell’essere umano su qualsiasi altro interesse”. Lincoln non è Uribe però.
Tra i ringraziamenti che fa Ingrid Betancourt particolari parole di stima e affetto sono per Chávez e per Piedad Cordóba, per il loro “interessamento per una causa che è la nostra e che risalta così poco perchè il dolore degli altri, quando non fa parte delle statistiche, non interessa a nessuno”. Simbolico e carico forse di significato politico quel “Gracias Presidente” con il quale saluta Hugo Chávez.
Ovviamente dei passaggi su Chávez la Repubblica propone soltanto una banalissima riga, ovviamente la meno significativa: “A Piedad e a Chávez, tutto, tutto il mio affetto e la mia ammirazione. Le nostre vite sono lì, nel loro cuore, che so essere grande e generoso”.
Sono importanti anche le parole rivolte all’ex candidato presidenziale impegnato nelle trattative per un accordo umanitario Álvaro Leyva : “E’ stato vicino ad ottenere qualche risultato ma forze che stanno contro la libertà di questa manciata di dimenticati sono come un uragano che tutto vuole demolire. Non importa. La sua intelligenza, la sua nobiltà e la sua costanza, hanno fatto riflettere molti qui e più che la libertà di alcuni poveri pazzi condannati nella selva, si tratta di prendere coscienza di quello che significa la dignità dell’essere umano”.
Ancora una volta parole dure contro la politica, contro il governo, contro Uribe che rappresenta quei poteri che non vogliono la sua liberazione e quella degli altri e che volendo cogliere un senso  di più ampio respiro nelle parole di Ingrid, sono quei  poteri che  calpestano la dignità del popolo colombiano.
Grande e bellissima Ingrid Betancourt, hai fatto sentire la tua voce di condanna anche da dove ti trovi, peccato che da pochi è stata recepita.
E intanto la famiglia Betancourt, protesta contro il governo colombiano per la lettera data contro la loro volontà alla stampa, ma soprattutto protesta per la cessazione delle mediazioni di Chávez nelle capacità del  quale a livello mondiale si riponevano grandi speranze,
“Se la sua mediazione fosse continuata, molto probabilmente entro la fine dell’anno o al massimo al principio del 2008 avremmo avuto i nostri cari liberi” dice il marito di Ingrid Betancourt , Juan Carlos Lecompte in una recentissima intervista rilasciata a El Clarín, ed aggiunge: “ma il problema è Uribe, sono 5 anni e mezzo che dimostra la mancanza di volontà politica per giungere ad un accordo…se è per Uribe, i prigionieri possono anche morire”.
Certo, Uribe non è Lincoln e lo dice anche la bellissima Ingrid Betancourt dalla selva.
 
 
 
 
 

Venezuela: ancora una volta la disinformazione e la manipolazione

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di Attilio Folliero — La Patria Grande
Il Messaggero di oggi (08/11/2007), che prendiamo come esempio della ennesima manipolazione mediatica, titola: “Venezuela, i sostenitori del presidente Chavez sparano sugli studenti in corteo: un morto e 6 feriti, con la foto che ha fatto prontamente il giro del mondo, dove appunto si vede uno studente (chavista) con una pistola in mano. Ancora più vergognosa e delirante la notizia del TG2 ore tredici: “Chavez fa sparare contro gli studenti… In Venezuela la polizia ha fatto fuoco contro gli studenti che contestano il presidente Chávez.”
La realtà però è ben diversa da quanto vogliono far credere i vari media del mondo, che manipolano le notizie estrapolando una semplcie foto da un filmato. I fatti, come dimostrano i video che consigliamo di visionare, sono andati diversamente.
Lo stesso copione dell’11 aprile. Inviatiamo a vedere o rivedere i seguenti documentari:
Come al solito, da un filmato, o da un evento si estrapola un fotogramma e si costruisce la notizia: un chavista, un simpatizzante di Chávez con la pistola in mano diventa l’aggressore. Però, analizzando i filmati, integralmente ci si rende facilmente conto di come sono andati realmente i fatti.
I fatti sono questi.
In mattinata, un paio di migliaia di studenti di opposizione (la gran parte proveviente dalle università private), ha partecipato ad una marcia diretta al Tribunale Supremo (l’equivalente della nostra Corte Costituzionale), dove una delegazione è stata ricevuta dalla Preseidente. Praticamente l’obiettivo era introdurre un ricorso, con cui si chiedeva lo slittamento della data di realizzazione del referendum. Il Tribunale Supremo ha prontamente deciso oggi, rigettando la richiesta.
Il Messaggero parla di una marcia di ottantamila studenti! Possiamo tranquillamente affermare, senza temere di essere smentiti, che alla marcia c’erano qualche migliaio di studenti e forse stiamo anche esagerando. Tenendo presente che l’università che fornisce il numero più alto di partecipanti (qualche migliaio) alle marce è la Universitad “Simon Bolivar” che in questa occasione ha svolto regolare attività didattica e non era presente a questa marcia, se non con pochi rappresentanti; le università pubbliche hanno svolto tutte regolarmente attività didattica, per cui a questa marcia hanno partecipato solo le università private (come sempre); di conseguenza, non solo visivamente, ma anche numericamente possiamo dire che potevano essere presenti alla marcia non più di un paio di migliaia di studenti, considerando qualche centinaio per ogni università privata.
La deduzione logica coincide, dunque con quanto analizzato visivamente.
Il dopo marcia
Una parte di questi manifestanti, qualche centinaio, dopo la marcia si è diretta all’Univerità Centrale, evidentemente per effettuare una riunione — immaginiamo — per analizzare gli eventi della giornata.
Questo gruppo si è imbattutto in una cinquantina di studenti, quasi tutte donne, che stavano facendo propaganda a favore della riforma.
Nel sito di Radio YVKE si possono visionare quattro ineteressanti video, che mostrano il reale svolgimento degli avvenimenti: l’arrivo degli studenti di opposizione, l’aggressione agli studenti simpatizzanti di Chávez, l’assedio ed il tentativo di dare fuoco all’istituto in cui erano rifugiati gli impauriti studenti chavisti, lo studente della opposizione ferito dalle pietre che lanciavano gli stessi studenti di opposizione contro ghli studenti chavisti assediati, il tentativo di aggressione al ragazzo che stava filmando (Avila TV), l’incedio di un autobus.
Un altro video realizzato con un cellulare all’interno dell’istituto assediato mostra gli studenti chavisti: nessuna mitragliatrice e nessuna bomba a mano (in questi termini si è espresso come al solito Globovision, la tv di opposizione), ma solamente tanta paura; tante ragazze spaventate a morte.

La TV Globovision per tutto il giorno precedente, ha chiamato alla marcia con messaggi incitanti alla violenza. In qualsiasi altro paese civile del mondo, questa TV che incita continuamente alla violenza, fino a proporre più o meno apertamente l’assassinio del presidente, sarebbe gia stata chiusa dalle autorità giudiziarie. Qua, in Venezuela si aspetta lo scadere del contratto di concessione.

Alle parole deliranti del cronista di turno, a Globovision, è poi arrivato, fortunatamente un filmato in cui si vede un chavista con la pistola in mano, lo estrapolano dal contesto ed ecco confezionata la notizia: i chavistoi sparano sugli studenti di opposizione, come titola il Messaggero, che condisce la notizia con la presenza di un morto, per ottenere un maggior effetto. Smentiamo categoricamente quanto pubblicato dal Messaggero e dagli altri media, e possiamo assicurare che fortunatamente non c’e stato nessun morto. Il bilancio parla di 9 feriti, di cui uno per arma da fuoco; la maggior parte dei feriti si contano tra le file degli studenti simpatizzanti di Chavez.
Purtoppo in una società violenta, come quella venezuelana, sono molti ad andare in giro con le armi. Tra gli studenti simpatizzanti di Chávez, assediati c’era uno con la pistola. Vistosi assediato ed in pericolo, per aprire una via di fuga, ha tirato fuori la pistola (che vediamo nella foto) ed ha cominciato a sparare; gli aggressori si sono momentaneamente spaventati, si sono allontanati il tempo necessario per permettere agli studenti assediati di poter scappare e mettersi in salvo.
I fatti veri, dunque, sono andati esattamente in senso contrario da come proposto dai media: c’è stata una aggressione, ma da parte degli oppositori ai danni degli studenti simpatizzanti di Chávez.
Come si vede nelle immagini gli studenti di opposizione non solo hanno aggredito ed assediato e tentato di incendiare gli studenti simpatizzanti di Chávez, ma hanno anche provocato numerosi danni all’istituto preso d’assalto ed alla Università Central, dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Non solo: sono stati presi d’assalto da questa orda, anche le vie adiacenti l’università e sono state incendiate numerosi alberi di palme.
Le autorità universitarie hanno una forte responsabilità; il rettore in questione, l’italo venezolano Paris era all’estero ed il suo sostituto non ha mosso un dito: avrebbe dovuto chiamare le forze dell’ordine, che in virtù dell’autonomia esistente, possono entrare all’interno dell’università solo se chiamati dalle autorità universitarie. Le autorità universitarie hanno anche un’altra responsabilità: hanno invogliato gli studenti a partecipare alle marce ed alle proteste, agevolandoli anche negli esami, nel senso che non avendo potuto studiare per dedicarsi alle proteste, i professori sono stati invitati dalle autorità universitarie a concordare con gli studenti la data piu confacente per la realizzazione degli esami.
Il problema di fondo esistente in Venezuela non è la riforma costituzionale in se; addirittura si inventano una supposta elezione indefinita a vita di Chavez; mai falsità piu grande di questa: la riforma non prevede alcuna elezione indefinita dell’attuale presuidnte, ma semplicemente, come esiste in tutti i paesi civili del mondo, Italia compresa, la possibilità per qualsasi cittadino di potersi candidare alla presidenza della repubblica tutte le volte che lo desidera. Ovviamente dopo deve fare i conti con la elezione; sara eletto o rieletto presidente solo la maggioranza del popolo lo desidera. In Francia Chirac o chi per lui può candidarsi tutte le volte che lo desidera, cosi come in Italia un deputato; poi, per essere eletto effettivamente è necessaria la maggioranza dei voti ad ogni elezione. Tra l’altro non dimentichiamo che in Venezuela esiste la figura del referendum revocatorio a metà del mandato.
Il vero problema dunque non è la riforma in se, ma la lotta di classe esistente: da un lato una maggioranza consolidata, che si raccoglie attorno ad Hugo Chávez che punta ad una società profondamente differente, fondata sui principi del socialismo; dall’altro la minoranza oligarchica e le classi proprietarie si oppongono con tutte le forze e tutti i mezzi; sanno bene che elettoralmente non hanno alcuna speranza, per cui si appellano a qualsiasi mezzo, anche la violenza ed il colpo di stato; ovviamente il tutto finanziato dalla CIA, dal governo USA ed enti piu o meno governativi (vedasi finanziamenti a Sumate, Golpe del 2002, paro petrolero del dicembre 2002-gennaio 2003).

Tg2 ore 13: vergognoso servizio sul Venezuela

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(Foto AP)

“Chàvez (e non Chávez) fa sparare contro gli studenti.…
In Venezuela la polizia ha fatto fuoco contro gli studenti che contestano il presidente Chàvez. (e non Chávez).”
 
Non è un trafiletto tratto da Libero o da Il Giornale, ma piuttosto quanto si legge oggi sul sito del TG2.
E il servizio trasmesso in televisione  alle 13 non è da meno.
Si afferma (o meglio si fa dire a un manifestante che esibisce un proiettile…) che la polizia, contrariamente a quanto si legge nelle agenzie di tutto il mondo, avrebbe sparato colpi di arma da fuoco sugli studenti  che stavano manifestando  contro il referendum del 2 dicembre.
Nemmeno Globovision o la stampa d’opposizione venezuelana sono arrivate a tanto.
Il TG2 parla di alcuni giovani a volto coperto e mostra una foto dell’agenzia AP, (quella sopra) affermando senza mezzi termini che  si tratterebbe di “agenti dei corpi speciali con il volto mascherato”che sarebbero entrati nell’Università armati sparando sugli studenti. In realtà non si conoscono ancora le loro identità e le autorità in collaborazione con il Rettorato  stanno cercando di identificarli tramite le fotografie e le riprese video.
A questo punto ci piacerebbe che la redazione del TG2 ci fornisse la fonte dell’esclusiva.
Inoltre il servizio  fa riferimento a due morti quando a Caracas non ci sono state vittime.
I due morti ci sono stati in altri scontri a Maracaibo che nulla hanno a che vedere però con le proteste contro  il referendum del 2 dicembre prossimo.

 


Omero Ciai intervista Evo Morales, Angela Nocioni va in Argentina e su Liberazione strano concetto di “clima tranquillo” in Colombia…

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Omero Ciai in Argentina per le elezioni presidenziali vola a La Paz per intervistare Evo Morales il giorno prima della partenza del presidente boliviano  per il nostro Paese.
Non leggiamo il solito Omero ironico e sprezzante, ma è ovvio,  dal momento che  non sta parlando degli “incubi” del pensiero unico Fidel Castro e HugoChávez.
Per intervistare Hugo Chávez La Repubblica infatti inviò tempo fa  in Venezuela Daniele Mastrogiacomo, chissà come mai… non è Omero Ciai il latinoamericanista?
Probabilmente a Miami non avrebbero gradito…
Illazioni ironiche a parte, ancora una volta la solita occasione mancata per La Repubblica, la solita intervista piena di luoghi comuni triti e ritriti che tutti ormai conosciamo, la foglia di coca, l’antiamericanismo e la relazione  privilegiata con Chávez, (ed è piaciuto moltissimo a Ciai il fatto che Chávez abbia prestato a Evo l’aereo presidenziale per viaggiare in Italia). Domande banali per un’intervista di basso profilo. Che dire poi della scelta della fotografia di Evo Morales con il pane in testa? Non tutti i lettori di La Repubblica apprezzano Evo Morales per quello che è realmente e per quello che rappresenta per il suo popolo, per molti il presidente ideale va in giacca e cravatta, tipo Uribe insomma, come non pensare che la scelta abbia avuto lo scopo di ridicolizzarlo?
Voto 5. L’alunno si è applicato ma potrebbe fare di più.
 
E Angela Nocioni va in Argentina.
Mentre per tessere le lodi della  presidenta cilena che piace tanto alla nostra sinistra, Angela Nocioni il giorno prima del suo arrivo  in Italia va a rispolverare addirittura la legge sulla pillola del giorno dopo, cosa vecchia ormai di più di un anno e dimenticata sommersa nel mare di problemi e critiche rivolte al governo della Concertación (fra le quali anche quella di violazione dei diritti umani), in Argentina non riesce a trovare proprio nulla di buono nella vittoria di Cristina Fernandez.
Tra mafia peronista, corruzione e amicizie menemiste, la Nocioni non riesce nemmeno ad abbozzare un accenno a quelle che sono state le conquiste del governo di suo marito Nestor Kirchner, presidente uscente e cioè l’abbandono del modello neoliberale che ha portato nel 2001 il paese alla rovina, una politica estera basata sull’integrazione con gli altri paesi della regione, la crescita economica. Tutti impegni che Cristina Fernandez si è assunta a portare avanti anche nel suo mandato.
Voto 4. Per evidente mancanza di obiettività.
 
Invece sulla Colombia.…
Sansonetti potrebbe spiegare inoltre con che coraggio si può scrivere questo…(Liberazione del 31/10):
“..le operazioni di voto, vigilate da 170 mila agenti e soldati si sono svolte in un clima tranquillo nonostante i 21 candidati uccisi in campagna elettorale e le violenze registrate negli ultimi giorni…”
Clima tranquillo????
Le elezioni regionali più controverse e poco pulite della storia colombiana, Álvaro Uribe che invita a non votare il candidato del Polo Samuel Moreno indicandolo come candidato della guerriglia (che poi ha vinto)…e già questa equivale a una condanna a morte.…,29 candidati assassinati durante la campagna elettorale, perfino El Tiempo rivela che i politici in carcere arrestati nei mesi scorsi nell’ambito dello scandalo della parapolitica, dalle loro celle influiscono pesantemente sui voti e sui candidati, centinaia di denunce per irregolarità e minacce, e le elezioni comunque da ripetere in tre località per violenze durante le votazioni.
Che intende il quotidiano Liberazione per “clima tranquillo”?
Voto 3. Ma come si fa???
 

Un’ultima cosa sul Manifesto…

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per rispondere ad alcuni commenti..
Il Manifesto a fasi alterne  mi accompagna da quando avevo 17 anni.
Proprio per questo motivo  non riesco ad immaginare il panorama informativo in Italia senza il Manifesto in edicola e chissà forse per questo pretendo il meglio da quello che considero un po’ anche il “mio” giornale.
Ho trepidato quando nel giugno dello scorso anno, in copertina ho letto “Via Tomacelli, abbiamo un problema…” e mi sono detta “oh no ancora”… e ho creduto anche io come tanti, che fosse importante contribuire anche se con poco al “nostro” giornale.
Noam Chomsky scomodandosi dagli  Stati Uniti fece sapere al Manifesto che “in un’epoca in cui assistiamo ai processi di fusione e annessione alle grandi corporations dei media e un degrado dei loro contenuti, abbiamo ancor più bisogno di voci indipendenti di alta qualità (12/7/2006).
Richard Falk (professore di Diritto Internazionale applicato, Università di Princenton) scriveva il 15 luglio 2006 :“è importante che sopravviva come presenza giornalistica vitale, nell’interresse del giornalismo di qualità e per contrastare le numerose tendenze reazionarie, in Europa e altrove, fra le quali vanno incluse le crescenti fusioni degli organi di informazione e opinione sotto il controllo di un numero ristretto di magnati dei media appartenenti alla destra”.
Paolo Beni (presidente nazionale Arci) confermando l’invio dei primi 2000 euro raccolti fra i dirigenti nazionali, scriveva il 26 luglio 2006 che “gli spazi del confronto e del dissenso vengono costantemente messi in discussione da un sistema editoriale sempre più condizionato dai grandi poteri economici”.
Ma anche tante “donne, uomini, compagni che spesso si incazzano con noi, anche di brutto, ma poi hanno fiducia in questo giornale, lo sentono necessario” scriveva Valentino Parlato il 7 settembre 2006 confermando che la sottoscrizione aveva superato la cifra di 1,5 milioni di euro e preparando la seconda fase della campagna di sostegno al “mostro” una gigantesca colletta che ha coinvolto, pensionati, giovani, casalinghe, impiegati, ma anche dirigenti aziendali, politici, nomi importanti della cultura, piuttosto che i 15 studenti di Genova che hanno comprato 4 copie ciascuno del giornale o i ferrovieri romani, i pacifisti, la sagra del pesce e quella della castagna.
E lo stesso Parlato, preannunciando una grande assemblea nazionale del Manifesto e forse anche una festa, scriveva : “nell’attesa dovremmo avere, sul giornale, iniziative più appassionanti delle dispute tra quel che resta degli antichi partiti, avere inchieste, polemiche, battaglie culturali contro la tendenza dominante, anche in certi giornali democratici come la Repubblica, a seppellire il socialismo e tutte le idee di cambiamento” e invocava dopo gli “anni ruggenti” , “audacia, audacia”…
e ancora pochissimi mesi fa, ad agosto, ci chiedevano di acquistare “senza piagnistei di sinistra” il Manifesto a 5 euro: una richiesta militante che ribadisce come il manifesto sia sempre di più un “lusso di qualità” sia per chi lo fa che per chi lo legge. E cosa dire di Alias il sabato al “prezzo “militante di 5 euro?
Stonano quindi, cari amici, secondo me, dopo un anno di colletta, dopo un anno “di piagnistei di sinistra” ai quali tutti in buona fede abbiamo creduto, sentendoci partecipi del destino di un giornale, quasi identificandolo con il destino della libertà di informazione , le finestre pubblicitarie per Marsilio Editore, e non tanto, non volendo essere troppo puntigliosi,   perchè Marsilio Editore sia di RCS o della famiglia De Michelis,  come alcuni di voi fanno notare, ma piuttosto per i contenuti che esse pubblicizzano.
Dire che “davanti alla pubblicità non bisognerebbe guardare nulla” come scrive l’amico Azor, può andar bene per un supermercato, non per un prodotto culturale, perchè se mettiamo la cultura alla stregua di una qualsiasi merce per la quale vale il principio che è bene che venga venduta al miglior offerente, viene a snaturarsi  lo stesso ruolo formativo della cultura, e che questa possa essere la pratica dei grandi giornali di destra se non ci sorprende affatto, nemmeno  dovrebbe essere la via maestra da seguire se intendiamo la destra come promotrice del principi del liberismo contro quelli di un’etica dell’economia, ai quali noi lettori del Manifesto siamo affezionati..
E’ vero non ho letto il libro, ma sinceramente posso dire che mi è bastata l’anticipazione che ne fanno i due autori su Anna e sono certa di trovare in esso quanto si va leggendo ormai su tutta la nostra stampa nazionale. Solo il Manifesto si distingueva. Almeno per ora.
Alberto, leggere che “Il caudillo fa sempre notizia, per il suo eccentrico protagonismo e perchè lega benissimo con il peggio in circolazione. Da Saddam Hussein (questa mi mancava!!) ad Ahmadinejad passando per Roberto Mugabe. A Lula preferisce Morales e alla vecchia Europa la Russia di Putin” non mi sembra sia parlare di un libro che “sostenga una tesi in contrasto con ciò in cui crediamo”, mi sembra piuttosto sostenere una tesi in contrasto con quella che è la realtà dei fatti, parlare di “presunto” complotto della Cia contro Chávez sostiene l’ipotesi che il complotto possa essere  stato inventato di sana pianta quando ormai è un fatto  reale che è avvenuto.
E’ questo che io ho criticato, è stata la scelta dei due libri in un contesto generalizzato in cui la sinistra sta rivedendo le sue posizioni in materia di politica estera.
E’ vero che sulle pagine del Manifesto si fanno analisi serie sul Venezuela, ma riflettevo ieri appunto che ultimamente vengono fatte per lo più sulla politica estera del Venezuela, un silenzio sembra essere calato su Chávez, sul paese, sulla riforma costituzionale, sul partito unico, troppo difficile, troppo imbarazzante? Sento puzza di bruciato…
Ho solo fatto notare, come lo ha fatto Valentino Parlato attraverso la “richiesta militante” di contribuire con sottoscrizioni alla salvezza del Mostro, che sarebbe bene nel nome del “lusso di qualità” che vorremmo sempre leggere, di non “seppellire il socialismo e tutte le idee di rinnovamento”.
Anche la mia in fin dei conti è stata una “critica militante”…

Caro Manifesto.…e la coerenza?

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Caro Manifesto.….
 
pensavo che bastassero i vari La Repubblica, Liberazione e Libero nella veste di  sbandieratori di falsità e luoghi comuni su Chávez e il Venezuela.
Perchè pubblicizzare in prima pagina un libro che parla di Hugo Chávez (il caudillo pop) e lo indica come “la nuova icona della sinistra che di fatto assomiglia più al Duce che a Manu Chao”?
Perchè riempirci di belle pagine su Che Guevara se poi in prima si pubblicizza “La via del Che – il mito di Ernesto Guevara e la sua ombra”? di Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera?
E’ un caso che ambedue i libri siano editi dalla Marsilio Editori, che appartiene al Gruppo RCS e sotto la guida della famiglia De Michelis?
Perchè tante campagne abbonamenti, tante copie a 5 euro, “sostieni il mostro”, sostieni l’indipendenza … se poi si fanno contratti con chi l’indipendenza l’ha persa da tempo?
E’ vero a sinistra va tanto di moda parlar male di Chávez e fare del revisionismo su tutto, anche su Ernesto Guevara , ma la coerenza, caro Manifesto, per alcuni è ancora un bene prezioso.

Angela Nocioni ha copiato. E pure male.

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General Baduel

Raúl Isaías Baduel
 

Angela Nocioni ha scritto un articolo su Liberazione del 10 agosto dal titolo: “E’ successo”.
 
E’ successo che secondo la giornalista e secondo anche Clodovaldo Hernández, (El País di Madrid) dal quale la Nocioni  ha letteralmente  scopiazzato il contesto e ampi stralci di questo articolo del 27 luglio, “qualcuno di indubitabilmente chavista ha osato criticare in pubblico l’andazzo preso dalla Revolución”. (e non Revoluciòn come scrive la Nocioni).
Questo “qualcuno” secondo Angela Nocioni sarebbe niente di meno che Raúl Isaías Baduel, da poco ex capo dell’Esercito ed ex  Ministro della Difesa del Venezuela, uno dei fondatori del Movimento Bolivariano, diresse due giorni dopo il fallito golpe dell’11 aprile 2002 “l’Operación rescate de la Dignidad Nacional” con la quale  liberò  Hugo Chávez  riportandolo a Miraflores.
 
Andando all’articolo originale su El País,  Clodovaldo Hernández ha estrapolato alcune frasi  del discorso di fine mandato del generale   Raúl Isaías Baduel dello scorso  18 luglio, assegnandogli, inventandolo di sana pianta,  un senso marcatamente “antichavista” e ipercritico verso la rivoluzione bolivariana e l’operato dello stesso presidente Chávez. E’ un vecchio giochetto. Si prendono delle frasi da un discorso, si isolano dal contesto e si fa credere con l’aggiunta di qualche aggettivo e complemento  qua e là che il senso sia diverso da quello  originario. Soprattutto, la cosa più grave è che si vuol far credere che all’interno del processo bolivariano non esista da sempre un dibattito ampio, aspro, democratico.
 
Le stesse frasi, tradotte in italiano, sono state utilizzate da Angela Nocioni nel suo articolo, con l’aggiunta degli stessi aggettivi e complementi.
Addirittura ha scritto la Nocioni che il generale “ha scelto il giorno del suo ultimo discorso da ministro della Difesa per far sapere che a Caracas esiste una opposizione interna”.
 
E’ probabile che  Angela Nocioni non abbia neanche letto il discorso del generale Raúl Isaías Baduel. E comunque ha aspettato due settimane prima di scriverne.
 
La giornalista di Liberazione, ricamando intorno a poche frasi del discorso del generale,  nel suo articolo fa tutta una serie di supposizioni che risultano completamente fuori luogo e fuorvianti a chi abbia la volontà di andarsi a leggere a fondo le 11 pagine del discorso originale di Baduel.
La domanda è: la Nocioni ha letto il discorso di Baduel? Non essendoci nel testo nessun riferimento che non sia presente anche nel pezzo di Hernández, la conclusione ovvia è che la Nocioni non si è presa la briga di farlo.
 
Facciamo qualche esempio dei giochetti sporchi della Nocioni: quando su Liberazione getta lì “deve essere chiaro che un sistema socialista di produzione non è incompatibile con un sistema politico profondamente democratico con meccanismi di controllo e separazione dei poteri”, insinuando che si tratta di una critica al dittatore dal basco rosso, “dimentica” di citare la parte finale dello stesso periodo. Infatti il generale prosegue e completa: “…come ha ben segnalato il nostro Presidente Hugo Chávez [in una intervista]… : nella linea politica uno dei fattori determinanti del Socialismo del Secolo XXI deve essere la democrazia partecipativa. Il potere popolare. Bisogna mettere tutto nelle mani del popolo, il partito deve essere subordinato al popolo. Non il contrario”.
 
Quindi,  quello che la Nocioni definisce una “condanna esplicita del modello sovietico, una bocciatura del capitalismo di Stato e poi un affondo sul punto più delicato del potere del nuovo Venezuela Saudita” altro non è che un passaggio di un discorso dove il generale Baduel riferendosi al   “socialismo profondamente democratico” porta ad esempio, per convalidare la sua tesi, proprio una citazione di  Hugo Chávez ed in particolare quella in cui il presidente  parla di democrazia partecipativa nelle mani del popolo come uno dei fattori determinanti del Socialismo del XXI secolo.
 
La Nocioni inventa  interi passaggi del discorso. Dove dice per esempio che “un governo onnipresente non può essere un’alternativa credibile al capitalismo neoliberista che il presidente giura di voler superare”. Ho riletto attentamente il discorso decine di volte e non c’è traccia di questo passaggio.
 
Il discorso del generale Baduel  è un  discorso pieno di stima e fiducia nel Presidente Chávez, oltre che pieno di speranze in quello che è chiamato Socialismo del XXI secolo.
Pieno di critiche sì verso il “socialismo reale” da cui deve trarre insegnamenti per non ripetere gli errori del passato (come Hugo Chávez ha d’altra parte sempre sostenuto fin dal V Foro Sociale Mondiale, in cui ha gettato le basi del Socialismo del XXI secolo), ma nella sostanza un discorso pienamente dentro il percorso bolivariano e al fianco del presidente. Altro che quell’“opposizione interna” che vede la Nocioni.
 
Come lo stesso generale Baduel dice: “la Nazione oggi si trova in un passaggio politico sociale inedito, …e quando dico inedito mi riferisco tra le altre cose al processo di costruzione di un nuovo modello politico, economico e sociale che abbiamo denominato socialismo del XXI secolo… che implica la necessità imperiosa e urgente di formalizzare un modello teorico proprio e autoctono di Socialismo, che si rifaccia al nostro contesto storico, sociale, culturale e politico”. Questa frase non può non ricordare (anche se non osiamo sperare  che la Nocioni lo sappia) quell’ “o inventiamo o sbagliamo” del maestro di Bolívar, Simón Rodríguez, che il presidente Chávez cita continuamente.
E qualsiasi modello politico, economico e sociale,  in costruzione in una società democratica  è oggetto di dibattito ed è circondato da vivacità culturale. Tanto più in Venezuela.
Ma per la Nocioni questo è troppo difficile da comprendere, gettando il seme della falsità insinua soltanto che ciò presupponga un’ “opposizione interna”.
 
Svista ancor più grave, commettono i due, ma soprattutto la nostra, al non ricordare ai lettori che il discorso del generale Baduel altro non è che il prologo che lo stesso ha scritto all’ultima edizione del giugno 2007 del libro di Heinz Dieterich dal titolo Hugo Chávez e il socialismo del secolo XXI”.
Tutti sanno che Heinz Dieterich Steffan è consulente di Hugo Chávez ed egli stesso ha invitato il generale Baduel a scrivere la prefazione dell’ultima edizione del suo libro.
 
Infine mente la Nocioni, come mente il giornalista de El Pais dal quale ha copiato, quando dice che Baduel invece di concludere con “patria socialismo y muerte” conclude con “dio onnipotente ed eterno”.
Angela Nocioni se avesse letto il discorso avrebbe anche notato  che la conclusione di Baduel è stata: “Che Yahvé, Elohim degli Eserciti, Supremo creatore di tutte le cose, benedica e protegga per sempre la Repubblica Bolivariana del Venezuela”.
 
E che la protegga soprattutto dai giornalisti contafrottole.
Leggi anche:
La lettera a Liberazione di Paolo Rossignoli
La lettera a Liberazione di Gennaro Carotenuto
Invito inoltre a leggere (in spagnolo):


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