Simone Bruno: Álvaro Uribe e i testimoni scomodi

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di Simone Bruno
Fonte: Carta
La liberazione di sei ostaggi decisa pochi giorni fa dalle Farc diventa l’occasione, per il presidente colombiano, per scagliarsi contro la stampa non allineata alle posizioni del suo governo e colpevole di dire che in Colombia è in corso una guerra.
Negli ultimi giorni l’attenzione dei colombiani non è stata catturata solo dalla liberazione dei sei sequestrati che le Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia [Farco] hanno deciso di rilasciare in maniera unilaterale. Il paese ha potuto scoprire anche che esistono giornalisti presidenzialmente corretti, alcuni che fanno «feste terroriste» con la guerriglia e che se tutti gli altri operatori dell’informazione vengono schedati dall’esercito non è poi così grave.
Le rivelazioni sono state rese note martedì scorso da un iracondo presidente Alvar Uribe de Velez sull’ uscio della casa di Alan Jara, ex governatore della regione del Meta, rilasciato quello stesso giorno dalle Farc.
Lo scontro con la stampa è cominciato durante la liberazione dei primi quattro sequestrati la scorsa domenica. In quell’occasione, tra i membri della commissione umanitaria c’era Jorge Enrique Botero, noto giornalista colombiano, colui che con un libro sui sequestrati parlò per primo delle condizioni disumane in cui erano tenuti i prigionieri delle Farc e che per primo rivelò l’esistenza del piccolo Emmanuel, nato durante il sequestro di sua madre Clara Rojas.
Botero fa parte di «Colombianas y colombianos por la paz» un’organizzazione di attivisti, intellettuali, giornalisti e gente comune che ora conta circa 130 mila persone e che ha ottenuto questa liberazione unilaterale dalle Farc dopo uno scambio epistolare lungo sei mesi.
Davvero una buona notizia per il paese, un primo passo verso il risveglio di una società civile assopita nelle città e che ignora la violenza che sconvolge la vita dei propri connazionali nelle zone rurali dove si concentra il conflitto.
Botero, in un collegamento in diretta con Telesur, la catena televisiva, con aspirazioni continentali e sede a Caracas aveva denunciato la presenza di aerei militari colombiani che sorvolavano la zona del rilascio, nonostante l’impegno del governo a sospendere ogni operazione militare per facilitare questa serie di operazioni umanitarie.
Secondo il governo, l’errore di Botero era quello di aver svolto il ruolo da giornalista, quando in quel momento sarebbe dovuto essere solo un garante, per di più aveva intervistato in diretta il comandante guerrigliero incaricato di scortare gli ostaggi fino agli elicotteri messi a disposizione dal governo brasiliano.
La reazione del governo per bocca di Juan Manuel Santos, ministro della difesa con aspirazioni presidenziali, è stata immediata e furente: «Il signor Botero si presta al gioco pubblicitario del terrorismo», è stato solo uno dei commenti piovuti domenica scorsa. Gli aerei erano certo lì, ma oltre i 20 mila metri che, secondo il governo, erano stati pattuiti e in ogni casi sono stati allontanati appena la Corce Rossa internazionale lo ha richiesto.
Lo stesso giorno, Hollman Morris, il giornalista colombiano più conosciuto e premiato all’estero [premio defender di Human rights watch, premio Canadian journalist for free expression, vari riconoscimenti di Reporter senza frontiere, premio Nuevo Periodismo 2007 e l’italianissimo premio Ciriello tra gli altri] era sul luogo del rilascio dei sequestrati per conto di Radio Francia International [Rfi], dopo aver passato vari giorni nella selva colombiana alla ricerca di un’intervista con un alto esponente della guerriglia.
Durante il ritorno verso la città di Florencia, Hollamn e il suo cameraman sono stati fermati dall’esercito con l’intento di sequestrare il materiale giornalistico. In seguito membri della Dijin, la polizia giudiziaria colombiana hanno schedato e fotografato i giornalisti per ragioni sconosciute e solo dopo molte ore e l’intervento di diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani sono stati rilasciati.
Il mattino seguente l’ira del governo si è abbattuta anche su Hollman, accusato di due cose. La prima di aver estorto interviste ai sequestrati minacciati dai guerriglieri e indotti a rispondere secondo i loro ordini, la seconda di essere scappato alla scorta incaricata di proteggerlo. La Corte interamericana dei diritti umani obbliga infatti lo stato colombiano a proteggere Hollman sin da quando ha subito gravi minacce di morte nel 2006 a seguito di una segnalazione del presidente Uribe. Anche in quell’occasione il presidente lo accusò di aver legami con la guerriglia, a causa di un lavoro svolto durante un attacco guerrigliero insieme alla Bbc di Londra. Poco dopo il presidente fu costretto a chiedere scusa pubblicamente.
Il governo fa finta di ignorare una sentenza della Corte costituzionale colombiana del 2008 che riconosce che se la persona sotto protezione è un giornalista, che vuole comunque continuare le sue indagini, allora la protezione non può intaccare la sua libertà di espressione e richiede quindi di accorgimenti particolari: «In particolare è ovvio che i comunicatori posso avere necessità di una certa riservatezza per poter intervistare fonti riservate o per poter fare alcune indagini», hanno scritto i giudici.
Hollman stesso ci ha raccontato il suo punto di vista sulle interviste pilotate dei sequestrati: «Le interviste pilotate ovviamente mi preoccupano, ma il giornalista ha sempre la possibilità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no. È qui che a mio modo di vedere il giornalista si blinda. Uno decide cosa dire, cosa pubblicare, cosa rendere visibile e quali immagini far vedere. Io sono molto sorpreso, fino ad oggi non ho pubblicato una sola immagine del mio materiale e mi trovo nell’occhio del ciclone. Ho fatto due reportage dal posto per Rfi, dopo aver parlato con i sequestrati e in nessun momento ho utilizzato le loro interviste. Perché? Per la semplice ragione che non mi sembrava il caso. Quei ragazzi erano nelle mani della guerriglia e quindi quel materiale ha perso per me qualunque interesse, non ha nessun valore giornalistico, è per questo che non ho mai usato quelle interviste e non lo utilizzerò mai».
Hollman, che da quindici anni racconta la storia del conflitto colombiano, dando voce alle vittime che i grandi mezzi di comunicazione troppo spesso dimenticano è un testimone scomodo, come il titolo del film sulla sua storia che sta facendo il giro di vari festival europei. Qualcuno che racconta l’altra faccia del conflitto, quella violenta, quella delle vittime, quell’anima nera della guerra che il presidente nega quando nega l’esistenza stessa del conflitto, riducendo la guerriglia a semplici terroristi e ipotizzando che dopo averli sterminati il paese sarà in pratica la Svizzera andina. Il presidente fa finta di ignorare i problemi sociali, le ragioni per cui ancora oggi migliaia di ragazzini senza futuro non vedono nulla migliore nella vita che ir al monte.
«Se questo paese non si rende conto che esiste un conflitto armato – continua Hollman – un conflitto armato che è barbaro, non potremo mai parlare di pace. C’è gente a Bogotá, a Medellin che dice che in questo paese non c’è una guerra. Se non c’è la guerra è perché non la stiamo mostrando. E i pochi che la mostriamo siamo accusati di essere alleati della guerriglia. Cos’è che da profondamente fastidio al ministro Santos e che preoccupa profondamente certi settori del paese? Che in questo paese esistano giornalisti, o senatori, o leader d’opinione che parlano di pace. Per parlare di pace bisogna innanzi tutto riconoscere l’esistenza di un conflitto armato in questo paese. Il governo vuole dirci cosa possiamo e cosa non possiamo far vedere.»
Il prologo è proprio durante la conferenza stampa appena fuori la casa di Alan Jara che ha preferito lasciare il presidente solo davanti alle telec
amere. Uribe ha colto l’occasione per scagliarsi di nuovo contro Hollman Morris: «Una cosa sono i giornalisti e un’altra cosa i giornalisti amici dei terroristi […] Il signor Morris era lì per fare una festa terrorista» ha dichiarato livido in volto e con l’indice proteso al cielo. Il presidente Colombiano ha poi continuato dicendo che a lui «sta molto a cuore la libertà di stampa», per poi subito dopo evadere la domanda di un giornalista di Telesur, preferendo commentare che la catena internazionale deve stare attenta a non trasformarsi in Telefarc. Poco dopo un giornalista di CityTv, il canale di Bogotà, ha gridato la sua rabbia al presidente per i maltrattamenti che le forze dell’ordine avevano riservato alla stampa per tutto il giorno e per il fatto che gli stessi militari li riprendessero e fotografassero. «Queridos amigos – ha risposto il presidente calmando le acque – che problemi ci sono se vi riprendono, guardate quante camere avete voi!».
Calmandosi ha quindi affermato che ora i giornalisti in colombia si sentono più sicuri, riferendosi probabilmente a quelli che usano in maniera presidenzialmente corretta la loro etica professionale, come ad esempio Álvaro García, ex direttore del seguitissimo canale televisivo Rcn, il più vicino alle posizioni presidenziali.
García ha visto premiata la sua impeccabile etica con una fresca nomina ad ambasciatore in Argentina. Holmman invece al momento della nostra intervista aveva già ricevuto una decina di email di minaccia e d’insulti.

Colombia, liberato il quinto ostaggio

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(ANSA) — BOGOTA’, 3 FEB — Le Farc hanno liberato oggi un altro ostaggio: l’ex governatore Alan Jara è stato consegnato dai guerriglieri colombiani alla mediatrice Piedad Cordoba e ai delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Lo ha reso noto il portavoce della Croce Rossa, Yves Heller, precisando che Jara è in viaggio dal posto dove è avvenuto il rilascio verso Villavicencio, cittadina a 190 Km a sud di Bogota.

Hollman Morris fermato dall’esercito colombiano

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Hollman Morris

La Fondazione per la Libertà di Stampa diffonde in queste ore il seguente comunicato nel quale informa che il giornalista colombiano Hollman Morris, direttore di Contravía sarebbe stato fermato da membri dell’esercito colombiano  insieme con alcuni suoi collaboratori per essersi rifiutato di consegnare materiale girato nel corso delle operazioni per la liberazione degli ostaggi da parte della guerriglia colombiana.
 
L’ultimissima notizia che giunge dalla Colombia è che è stato liberato soltanto dopo l’arrivo del Defensor del Pueblo e della Polizia Judicial y de Investigación (DJIN).
 
FUNDACIÓN  PARA LA LIBERTAD DE PRENSA
Febrero 2 de 2009
 
Hollman Morris, director del programa periodistico Contravía y  corresponsal de medios extranjeros, viene siendo hostigado por miembros del Ejercito y, al parecer, se encuentra retenido por negarse a entregar su material periodistico.
 
El periodista se encuentra en el departamento de Caquetá, al sur del país, zona donde se están desarrollando las liberaciones de los secuestrados de las FARC. Según le comentaron algunas fuentes a la FLIP , Morris y dos periodistas que lo acompañan han tenido que enfrentar sucesivos retenes del Ejercito y al parecer se encuentran retenidos por negarse a entregar su material periodistico. En este momento una comisión de la Defensoría del Pueblo se está trasladando a la zona. La FLIP trató de ponerse en contacto con las autoridades militares, pero no fue posible.
 
* * *
 
La Fundación para la Libertad de Prensa (FLIP) emite esta alerta para que el mando central del Ejercito de informació inmediata sobre las condiciones y razones por las que Hollman Morris y su equipo periodisticoo están retenidos. De la misma forma, expresa su preocupación por el hecho de que las autoridades militares están exigiendo, sin orden de un juez, la entrega del material periodistico. Este hecho constituye una violación de la reserva de la fuente.
 
 
 
 

Le Farc liberano unilateralmente quattro prigionieri.

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i tre poliziotti liberati

 
Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno mantenuto la promessa.
 
In una serie di accordi maturati attraverso una corrispondenza epistolare con il comitato  Colombiani per la Pace costituito da  intellettuali e uomini di cultura colombiani, ma anche comuni cittadini e promosso dalla senatrice Piedad Córdova, la guerriglia era giunta alla decisione unilaterale di liberare 6 ostaggi. Si tratta di tre poliziotti e un militare dell’esercito e di due uomini politici.
 
Il primo febbraio, dopo una giornata che ha fatto stare con tutti con il fiato sospeso,  sono stati consegnati alla Croce Rossa Internazionale e alla presenza della senatrice Piedad Córdova e di due giornalisti, lexis Torres Zapata, Juan Fernando Galicia e José Walter Lozano, membri della Polizia Nazionale e il soldato  William Giovanni Rodríguez, prigionieri da circa due anni delle FARC.
 
La missione ha rischiato di fallire per le numerose azioni militari dell’esercito colombiano nella zona, come ha denunciato anche uno dei due giornalisti presenti, Jorge Enrique Botero.
 
Le affermazioni di Botero, che è stato testimone delle azioni miltari dell’esercito, sono state immediatamente e duramente smentite   dall’Alto Commissario per la Pace Luis Carlos Restrepo.
 
Anche Iván Cepeda, uno dei membri di Colombiani per la Pace ha chiesto urgenti risposte al governo colombiano di fronte all’evidente violazione delle garanzie precedentemente accordate per la liberazione dei prigionieri, violazione che ha rischiato di far saltare l’operazione e che ha messo in serio pericolo la vita degli  ostaggi.
 
Un guerrigliero inoltre sarebbe morto e uno risulterebbe scomparso nel corso dell’azione militare intrapresa dall’esercito nella zona.
Cepeda ha ricordato l’alta levatura morale e integrità di tutti i firmatari delle missive inviate alle FARC, corrispondenza grazie alla quale si è ottenuta la promessa della liberazione degli ostaggi, affermando che  pertanto  egli stesso non è disposto ad accettare le  insinuazioni da parte dell’altro Commissario Restrepo, che ha gettato discredito e ha messo in dubbio la serietà e credibilità del lavoro compiuto dai Colombiani per la Pace.
 
L’accordo tra le FARC e i Colombiani per la Pace prevede che nei prossimi giorni siano liberati anche l’ex governatore del Meta Alán Jara e l’ex deputato Sigifredo Lopez che si trovano nelle mani della guerriglia rispettivamente dal 2001 e dal 2002.
 
Già da lunedì 2 febbraio Alán Jara potrebbe essere liberato e il mercoledì successivo probabilmente potrebbe essere la volta di Sigifredo Lopez.
 
Si allega copia di una lettera da firmare e inviare a tutte le autorità colombiane, in appoggio al comitato Colombiani per la  Pace con la quale si denunciano le minacce ricevute dalla senatrice Piedad Córdova e si chiede al governo colombiano di cessare le azioni militari  che rischiano soltanto di mettere in pericolo la vita degli ostaggi.
Mandare adesioni a: apoyointernacionalpazcolombiaatgmaildotcom  (apoyointernacionalpazcolombiaatgmaildotcom)  
La decisione presa da parte della guerriglia delle Farc-Ep di liberare unilateralmente gli uomini politici Alán Jara e Sigifredo López, e i 4 militari che si trovano in loro potere, costituisce una parte dell’impegno assunto dalle Farc-Ep con i Colombiani per la Pace.
 
Proprio dai Colombiani per la Pace veniamo a sapere che questa decisione unilaterale di liberare i prigionieri sta attraversando un momento difficile dovuto a gravi problemi.
 
Una delle sue promotrici, la senatrice Piedad Córdova e i suoi più stretti collaboratori sono stati minacciati e anche gli   altri firmatari dello scambio epistolare sono stati perseguitati o minacciati di morte.
 
Due giorni fa le Forze Militari colombiane hanno bombardato un gruppo di guerriglieri che custodivano e stavano portando in un luogo stabilito Alán Jara per consegnarlo alla commissione umanitaria. Questa azione militare ha posto in grave pericolo la vita e l’incolumità del politico del dipartimento del Meta.
 
Come segnalato nella nostra lettera precedente appoggiamo l’iniziativa dei Colombiani per la Pace, e in primo luogo sosteniamo lo scambio epistolare con le Farc-Ep, che sta ottenendo il raggiungimento di uno dei suoi obiettivi umanitari.
 
Le gravi notizie ricevute possono minare un cammino di speranza per tutti i colombiani e le colombiane.
 
Sollecitiamo il governo colombiano conformemente ai principi del Diritto Internazionale e della Costituzione Nazionale ad avere rispetto per l’iniziativa cittadina e a cessare le azioni militari che mettono in pericolo la vita e l’incolumità dei prigionieri.
 
A intraprendere tutte le misure giudiziarie necessarie contro le persone e le organizzazioni armate che stanno dietro le minacce contro Piedad Córdova e contro i firmatari dell’iniziativa Colombiani per la Pace.
 
Alla senatrice Piedad Córdova e agli altri colombiani che fanno parte di questa proposta rinnoviamo la nostra disponibilità e il nostro sostegno, affinché contino sul nostro appoggio nel momento in cui abbiano bisogno di noi per intraprendere nuove iniziative umanitarie e la ricerca di risultati positivi per la pace duratura con giustizia e democrazia.
 
 
 

Madame Betancourt, che magnifica delusione!

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Ingrid Betancourt a Torino

Mi informano che Ingrid  Betancourt ha tenuto la settimana scorsa un incontro pubblico a Terni, dove ha ritirato il “Premio San Valentino un anno d’amore” 2009. Ha parlato di tante belle cose, poco o niente di Colombia. Poi rispetto alla liberazione delle altre persone sequestrate, ha citato la vicenda di Aung San Suu Ki e quella del caporale israeliano Gilad Shalit. Senza aggiungere nessun’altra parola, su Gaza, sui bambini massacrati (almeno loro…) sulla guerra. Niente di niente. Liberate il caporale Gilad Shalit…
Qui di seguito invece le le impressioni di un amico dell’incontro con Ingrid Betancourt  di sabato 24 gennaio scorso all’Arsenale della Pace di Torino.

di Riccardo Gavioso

Ieri al Sermig eravamo in molti desiderosi d’incontrare Ingrid Betancourt. E per sentirla parlare, vederla finalmente sorridere e provare l’emozione d’incrociare quel suo sguardo così forte e diretto, ci siamo sobbarcati qualche inevitabile disagio.

Abbiamo dovuto far buon orecchio alla cattiva sorte, e sorbirci i tanti che la circondavano sul palco, e che, escluso il padrone di casa, Ernesto Olivero, non avevano nulla da dire, ma lo hanno fatto con sfoggio di tanta impeccabile quanto insignificante eloquenza. Abbiamo dovuto apprendere dal vice di Bondi che era ansioso di correre a casa dalla consorte per raccontale le mirabilie udite con i suoi occhi, senza poterci togliere la curiosità se, come il suo superiore, era uso scrivere rime poetiche per magnificare, oltre alla sua, anche la Signora Veronica Lario in Berlusconi. Abbiamo dovuto aspettare che nelle prime tre file si accomodasse la “Torino che Conta”, e che con la storia della Betancourt c’entrava come un trapano Black&Decker in una natura morta fiamminga.

Io non conto, e ho atteso pazientemente in quarta fila.

Finalmente è venuto il turno di Ingid che, alternando meravigliose parole in spagnolo e francese, spesso interrotta da applausi spontanei, tra considerazioni filosofiche sul valore della sofferenza, sul significato cristiano del cambiamento e sulle parabole che meglio lo rappresentano, ha raggiunto la fine del discorso senza che una sola volta il termine Colombia facesse capolino, tanto per riportare il significato della vita sulla terra in generale, e in particolare su quella per cui si è battuta politicamente fino a rischiare la vita. In definitiva chi avesse voluto apprendere qualcosa della situazione della Colombia, presente e passata, poteva avere miglior sorte all’interno di un’agenzia di viaggi.

La possibilità di interloquire non era prevista. Forse nel timore che qualcuno potesse sottrarre parte del pubblico dall’empireo in cui commosso si lasciava cullare: cosa non bella, ammettiamolo, ma certamente utile. Quindi la domanda che avrei voluto porre a Ingrid Betancourt, la porrò pubblicamente ora:

“Negli ultimi cinquant’anni delle enormi e vergognose ingiustizie sono state humus ideale per la violenza. Numerosi gruppi hanno scelto la lotta armata come sistema di lotta, a volte travolti da una follia che faceva sembrare la scia di sangue che si lasciavano dietro più il fine che non il mezzo. Molti hanno operato in Sudamerica e in America Centrale, diversi in altri continenti e alcuni nel cuore dell’Europa. Se in Colombia nascevano le FARC, noi imparavamo a conoscere le Brigate Rosse, la banda Bader Meinhoff, l’Esercito Repubblicano Irlandese, l’ETA. Ora, lei non crede che lottare contro la violenza lasciando che permangano inalterate le cause che l’hanno generata, sia inutile come estirpare una mala erba lasciando le radici nel terreno? E soprattutto non crede che l’immensa forza mediatica che la sua vicenda ha catalizzato, vista la superficialità dei nostri mezzi d’informazione, rischi, ora che si è felicemente conclusa, di cancellare qualsiasi traccia di quelle ingiustizie e negare visibilità ai molti che ancora si trovano ad affrontare il dramma che è stato il suo per sei lunghissimi anni?”


Guido Piccoli e Ingrid Betancourt

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Ingrid Betancourt e il generale Montoya

Ingrid Betancourt abbraccia il generale Mario Montoya il giorno della sua liberazione. Il generale Montoya si è recentemente dimesso dalla sua carica  seguito dello scandalo dei “falsi positivi” , cioè persone sequestrate dall’esercito, poi uccise e fatte passare come appartenenti alle FARC. Si parla di migliaia di giovani innocenti.

Probabilmente  Guido Piccoli  è riuscito ad essere come  l’elefante nella cristalleria organizzata dal comitato Con Ingrid Betancourt a Bologna il 16 dicembre scorso per promuovere la candidatura dell’ex senatrice colombiana al Premio Nobel per la Pace e dove  Ingrid Betancourt ha ricevuto dal sindaco Sergio Cofferati la cittadinanza onoraria. All’evento hanno partecipato  anche il  presidente nazionale di Amnesty International, Paolo Pobbiati, l’attrice Margaret Collina,  i  cantanti Luca Barbarossa, Francesco Baccini e Marina Rei, e il giornalista dell’Unità Maurizio Chierici anche lui impegnato da tempo nella promozione della candidatura di Ingrid Betancourt al premio Nobel.

  
Qui di seguito la relazione che fa Guido Piccoli della serata, con i link per ascoltare sia il suo intervento che la risposta, (stizzita?)  di Ingrid Betancourt…
di Guido Piccoli:
Il 16 dicembre scorso Ingrid Betancourt è venuta a Bologna per ricevere la cittadinanza onoraria e per partecipare ad una grande iniziativa in suo onore organizzata dal Comitato Betancourt per promuovere la Fondazione Betancourt. Tra gli invitati, oltre ad alcuni cantanti, il giornalista Maurizio Chierici, il presidente di Amnesty International-Italia Paolo Pobbiati, anche il sottoscritto. Un invito gradito e inatteso, perché agli organizzatori erano certamente note le mie idee sul conflitto colombiano e, più in particolare, le mie perplessità su quanto espresso dalla Betancourt dal giorno della sua liberazione. In verità confesso che pensavo di essere estromesso, con una scusa o l’altra, in prossimità dell’evento. Mi sbagliavo.
 
Il 16 dicembre sono arrivato a Bologna, con la traccia di un intervento della durata calcolata di 9 minuti (come mi fu chiesto, riducendo il tempo dai 15 precedentemente assegnati). Al Palazzo d’Accursio, dov’era previsto il conferimento della cittadinanza da parte del sindaco Cofferati, alla presenza dell’intero consiglio comunale, ho cercato di trovare un alleato nel proposito di ampliare la visione sulla Colombia al di là della vicenda della Betancourt. In assenza di Maurizio Chierici, ho parlato con Paolo Pobbiati, dal quale ho un rifiuto netto: “non è un’occasione adatta”. La domanda “se non adesso quando? me la sono tenuta. Poi, l’anima del Comitato, Federico Bastiani mi ha presentato alla Betancourt. Lei è stata affettuosa. Le ho anticipato che avrei ampliato il discorso sul conflitto colombiano e che, probabilmente, avrei detto cose che avrebbe potuto non condividere. Lei mi ha risposto “benissimo, è importante il dialogo”. La stessa apertura l’ho trovata in Federico Bastiani. 
 
Poi è iniziato l’evento, con mezz’ora di ritardo sul programma che ha spinto gli organizzatori a chiedere di parlare per non più di 5 minuti. Sono costretto a tagliare ulteriormente il discorso.
 
La sala s.Lucia era occupata in ogni posto. Ci saranno state più di mille persone. Tutto è proceduto tranquillamente, tra un intervento e una canzone di Barbarossa, Baccini, Rei, The Bugs. Quasi alla fine sono stato annunciato dalla presentatrice come un “grande conoscitore della Colombia e delle Farc”. Questo è il mio intervento. E’ andata bene, interrotto due volte dagli applausi, nonostante un po’ di nervosismo e nonostante abbia dovuto all’ultimo momento tagliare il mio intervento.
 
Dopo di me ancora una canzone, poi il gran finale con l’intervento di Ingrid, che inizia piangendo. Il pubblico applaude. Traduco solo la parte nella quale Ingrid mi risponde:
 
“Ringrazio la persona che è stata qui parlando di Colombia e mostrando i problemi del mio paese che sono molti. Vorrei affermare il mio pensiero profondo, che quello che è successo a me e succede a molti in Colombia ci deve far riflettere sulle nostre idee, le nostre convinzioni, la nostra religione, i nostri pregiudizi perché molte volte pensiamo che abbiamo la verità, che quello che pensiamo è il giusto, ma io vorrei che noi guardassimo questi pensieri, questa ideologia, questa religione, questo che per noi pare fondamentale, lo guardassimo con molta attenzione perchè non c’è nulla che giustifichi togliere una vita umana, togliere la libertà”.
 
Alla fine tutti sul palco a salutare il pubblico. Durante un lungo abbraccio con Ingrid, le dico “dobbiamo incontrarci”, lei risponde “già ci siamo incontrati”.
 
Alla fine molti si avvicinano, anche colombiani, che mi ringraziano. Alcuni mi scrivono.
 
“Bravissimo Guido, sei stato grande con questo intervento!! Hay fatto molto bene. …..
Tu intervencion, las cosas que has dicho, es lo que muchos quisieramos gritar. Gracias por posibilitar con tu coraje nuestro desahogo.
Un Abrazo ”
 
Mi scrivono anche gli organizzatori, niente affatto risentiti per il mio intervento. Anzi, il giorno dopo mi mandano messaggi d’apprezzamento e di scuse per aver dovuto ridurre il mio intervento:
“ciao guido
ti volevo ringraziare ancora infinitamente per la tua
presenza a Bologna, hai dato un tocco alla serata molto importante
apprezzato da tutti.
non sai quando email ho ricevuto di apprezzamento
per te!!
ti manderemo delle foto della serata, a presto
Federico”
 
“Gentilissimo Guido,
sono Michael dei Bugs (www.theBugs.it),  nonché membro del comitato Con Ingrid Betancourt.
Ti scrivo perché mi preme ringraziarti moltissimo per la tua disponibilità e desidero farti i complimenti per il tuo intervento che, come avrai sentito dagli applausi, è stato estremamente apprezzato.
Desidero anche scusarmi a nome di tutto il comitato per i problemi legati alla ristrettezza dei tempi, problemi che ci hanno colto alla sprovvista e che, ti assicuro, non sono dipesi dalla nostra volontà.
E’ stato un vero peccato perché tutti quelli con i quali abbiamo parlato avrebbero voluto che il tuo intervento fosse durato di più. Ci dispiace sinceramente. 
Ti ringrazio ancora e ti saluto caramente: in attesa che ci preparino un cd/dvd con foto e video (che naturalmente ti invieremo: a quale indirizzo?) ti mando in allegato una foto del tuo incontro con Ingrid.
 Michael
 PS: ieri mattina Ingrid ci ha scritto ringraziandoci tutti per la “indimenticabile serata”
 
Indimenticabile serata, dice la Betancourt.
Lo scrive durante il viaggio verso il Messico dove ha annunciato che “se aislará del público por un año” e che “me voy a reunir con mi familia y voy a empezar una etapa de mi vida que va a ser muy importante, de reconstrucción personal; voy a aislarme y no me van a volver a ver por un tiempo”……
 
La Betancourt è in realtà molto più apprezzata fuori dalla Colombia che nel suo paese: basta la lettura di qualunque giornale o di qualunque sito colombiano per rendersene conto.
Innanzi tutto, se il suo dramma non commuoveva più di tanto quando lei era prigioniera, adesso commuove ancora meno una popolazione che soffre tragedie ben maggiori delle sue, e totalmente ignorate dal mondo.
Lo stesso giorno dell’iniziativa a Bologna, il giornale del potere, “El Tempo”, ospita in prima pagina un editoriale durissimo intitolato “Las torpezas de Betancourt” che comincia: “No sé si es ingenuidad o estupidez, pero Íngrid Betancourt adolece de un severo problema de enfoque”. E’ una critica “da destra” per il suo viaggio latinoamericano, durante il quale ha visitato dei presunti nemici di Uribe, da Correa a Chávez e Morales.
Ancora più pesanti le critiche “da sinistra”, che posso concentrare in un frammento di lettera che mi è arrivata:
“Muchos colombianos estamos cansados de ver a esta mujer andar por toda parte navegando en una inmerecida fama de luchadora y recibiendo cuanto premio existe, mientras que oculta (porque lo suyo es una voluntad de ocultamiento) todos los crimenes y escandalos del presidente que ladinamente ella respalda. Uno siente mucha impotencia. Pero de todos modos su actuacion es solo una confirmacion de lo que siempre ha sido. Pudiendo esta mujer haberse convertido en la conciencia etica, en la voz de denuncia de la gravisima situacion de colombia ante el mundo, lo que hace es aprovechar la imagen que le han creado para tender con su silencio un velo sobre casi todos los problemas del pais. Gran favor le esta haciendo a Uribe, a la parapolitica, al paramilitarismo, al narcotrafico, a la impunidad y a la continuacion de la guerra. Ella, la aceptica, la humanitaria, la adalid de la paz”
 
 

Guido Piccoli e Ingrid Betancourt

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la madre

“una madre de un muchacho del barrio Soacha que gritaba al descubrir que el cadáver de su hijo había sido presentado como guerrillero, posteriormente se descubrió que el muchacho en cuestión había sido secuestrado.”

 
Quizás el periodista y escritor Guido Piccoli,  el mayor conocedor italiano de la realidad colombiana,
autor del libro “El sistema del Pájaro. Colombia, paramilitarismo y conflicto social” (2005),  se pareció a un  elefante en la cristalería organizada el 16 de diciembre pasado por el comité Con Ingrid Betancourt a Bologna,  para promover la candidatura de la ex senadora colombiana al Premio Nobel de la Paz. En esa ocasión Ingrid  Betancourt recibió  por el alcalde Sergio Cofferati la ciudadanía honoraria.
Participaban también el presidente nacional de Amnesty International, Paolo Pobbiati, la actriz Margaret Collina, los cantantes Luca Barbarosa, Francesco Baccini y Marina Rei y el periodista del diario l’Unità, uno de los promovedores de  la candidatura de ingrid Betancourt al Premio Nobel de la Paz.
 
En seguida la intervención de Guido Piccoli y la respuesta (audio) de Ingrid Betancourt, claramente molesta…
 
por Guido Piccoli: 
Les agradezco por haberme invitado.
No quisiera ser el aguafiestas de esta ocasión. Comencé a interesarme de la situación colombiana….no, antes de comenzar pongo un despertador para dentro de cinco minutos. Apenas suene, termino, así como he prometido, ok! Bueno. Comencé a conocer, a amar y a escribir sobre Colombia a finales de los años ochenta, en le época de Pablo Escobar. Por aquel entonces, todos, tanto periodistas como amigos, me preguntaban por Escobar, me pedían que escribiera sobre él… me preguntaban si le había encontrado. El mal en persona.
 
Es emocionante estar al lado de Ingrid Betancourt. Ya le había visto y estoy muy contento de poder abrazarle. Ahora con Ingrid, del mal en persona pasamos al bien en persona. Es la única mejoría que noto, en verdad. Colombia no ha mejorado mucho en los últimos 15–20 años.
 
Mi tarea es la de ampliar un poco la perspectiva. Porque si el objetivo fuera solamente su vivencia, tendríamos una visión falsa de Colombia.
Si nos detuvieramos solo en su vivencia veríamos un solo delito del cual escandalizarnos. Además veríamos a los buenos de una parte –quienes le han liberado– y a los malos de otra, quienes la tuvieron secuestrada, robándole seis años y medio de su vida. Quienes continuan robando centenares de años a otras vidas.
 
Recuerdo inmediatamente una cuestión. Nosotros amamos los personajes. Recordamos la foto de Ingrid mientras abraza a un general.
En su lugar en aquel momento yo habría abrazado al mismo Satanás, si me hubiese liberado. Pero el mismo general después de 4 meses ha debido renunciar, antes de que lo obligaran a hacerlo, porel escándalo de los falsos positivos. Se trata de un secuestro, también éste es un secuestro de centenares, talvez de miles de jóvenes, que fueron secuestrados de sus casas, llevados a zonas de combate, obligados a vestir uniformes miméticos, asesinados y hechos pasar por guerrilleros. También como paramilitares en algunos casos. (aplausos)
¿Cuál es la razón de todo esto? Para que los soldados tuvieran permisos premios. Los responsables se encuentran en la cúpula. Para que los generales pudieran quedar bien con Uribe. Y para que el presidente Uribe pudiera cantar victoria sobre la guerrilla.
 
Creo que también éstos son secuestros y son secuestros terribles, imagínense las madres…hay una foto que tuvo amplia circulación, de una madre de un muchacho del barrio Soacha que gritaba al descubrir que el cadáver de su hijo había sido presentado como guerrillero, posteriormente se descubrió que el muchacho en cuestión había sido secuestrado.
 
Otros secuestros, rápidamente, voy rápido, rápido, otros secuestros terminados en la nada. En los últimos dos, tres años, han sido descubiertas 3.000 fosas comunes, gracias a la confesión de algunos paramilitares. Es decir, secuestros de personas que han desaparecido en la nada. Estos son los desaparecidos. Cuando hablamos de desaparecidos pensamos en Argentina, en Chile, pensamos en los vuelos de la muerte, en el estadio de Santiago. Pues bien, la suma de los desaparecidos en décadas en Colombia supera al total de la suma chilena y también argentina, la diferencia es que fueron realizados como por un boticario, tantos o pocos a diario, los adecuados, para evitar el crecimiento del tumor de la subverción.
 
Creo que esta información es importante. Nos la brinda Amnesty International, America’s Wath, Human’s Rights, decenas de organizaciones humanitarias colombianas a las que se acusa de ser aliados de la guerrilla. Así como podría ser yo acusado por mencionar estas cosas.
 
Esta es la misma lógica que ha ocasionado el secuestro de Ingrid Betancourt. Muchas personas me preguntaban “¿Por qué han secuestrado a Ingrid?” Porque las Farc tienen la misma lógica: “Quien no está conmigo está en mi contra“ Esto es terrible en una sociedad.
Pero en esta polarización no deberíamos caer ni siquiera cuando denunciamos, cuando nos escandalizamos, cuando nos conmovemos.
 
Me acerco a la conclusión: aún no ha sonado el despertador. Quiero decir algo. Nadie puede ni quiere absolver los crímenes de una parte, recordando los crímenes de la otra parte; pero tampoco es posible continuar interpretando la realidad colombiana, como se hace con otros conflictos, con los habituales “dos pesos y dos medidas”, es decir como un pugna entre “buenos” y “malos”.
 
Finalmente, de cualquier modo, este tipo de lógica nos lleva a tomar en consideración sólo los crímenes innegables de una parte, convirtiéndonos de alguna manera (ahora suena e despertador, concluyo) objetivamente en cómplices de la otra parte. Deberíamos estar contra todos los criminales y al lado de todas las víctimas, comenzando por los pobres que son los más indefensos y que en Colombia están aumentando, deberíamos estar del lado de los sindicalistas y de los indígenas (quienes son atacados por todos, inclusive por la guerrilla que no toleran su autonomía, pero sobre todo por el Estado y los paramilitares al servicios de las transnacionales). (aplausos)
Por lo tanto hay que construir una alternativa a la guerrilla y al narcotráfico, así como dice el eslogan de esta conferencia, pero también hay que construir una alternativa a todos los terrorismos, a la injusticia social, que como bien sabe Ingrid es la primera razón del conflicto. De otro modo “la libertad para todos los secuestrados y las diferentes condiciones de vida, instrucción y trabajo”, como está escrito aquí detrás, serán un propósito vacío y una fábula de navidad.
 
 


Cresce l’appoggio internazionale allo scambio epistolare con le FARC-EP

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Mentre il presidente colombiano Álvaro Uribe nel suo messaggio di Natale al paese afferma che secondo lui non si può costruire la pace in Colombia con”i terroristi”, con quelli che “semplicemente non fanno altro che spargere il sangue del popolo colombiano”, noi non possiamo invece non ricordare che  proprio i suoi militari, i corpi di polizia, i paramilitari che lavorano per il Potere in Colombia sono quelli che si macchiano dei crimini più sanguinari e violenti, ultimo tra i quali  l’uccisione da parte di membri dell’esercito di Edwin Legarda, marito di Aida Quilcué, leader  indigena del CRIC.
Contrariamente  alle  parole  di Uribe che non lasciano spazio al dialogo  e a trattative, autorevoli esponenti della comunità internazionale, tra i quali spiccano nomi illustri da sempre impegnati nella risoluzione di conflitti diversi da quello colombiano, affermano invece di voler appoggiare e sostenere un dialogo e uno scambio epistolare con il Segretariato Maggiore  delle FARC-EP, confidando sulle capacità di mediazione della senatrice Piedad Còrdova, che gode della fiducia della guerriglia colombiana.
Un segnale importante che,   contro la miopia e l‘ ottusità del presidente colombiano il quale  continua a proporre al suo paese la soluzione militare come l’unica possibile, apre nuovi spiragli di speranza.AM
 
Mientras que el presidente colombiano Álvaro Uribe en su mensaje de Navidad reitera que no se puede construir la paz en Colombia con “los terroristas”, con los que “simplemente lo que hacen es derramar la sangre al pueblo colombiano”, nosotros no podemos olvidar que propio sus militares, sus cuerpos policiales, los paramilitares que trabajan por el Poder en Colombia son los que se manchan de los crimenes mas sangrientos y violentos, por último el asesinato por parte de miembros del ejército, de Edwin Legarda, esposo de Aida Quilcué, lider indìgena del CRIC.
Contrariamente a las palabras de Uribe, que no dejan espacio al diálogo y a negociaciones, notables expónentes de la comunidad internacional, entre quienes  destacan nombres ilustres desde tiempo comprometidos con la busqéda de paz en conflíctos diferentes del colombiano,  afirman de quere apoyar y sustentar un diálogo  y un intercambio epistolar con el Segretariado Mayor de las FARC – EP, confiando en las capacidades de mediación de la senadora Piedad Córdoba que goza de la confianza de la guerrilla colombiana.
Una signal importante que contra la miopía y la torpeza del mandatario colombiano quien sigue proponiendo a su país la solución militar cómo la única posible, deslumbra  nuevos rayos de esperanza.AM.
para firmar esa carta: href=“apoyointernacionalpazcolombiaatgmaildotcom“>apoyointernacionalpazcolombiaatgmaildotcom
Signori
Firmatari  della lettera dell’11 settembre 2008
Alla Senatrice Piedad Córdoba
Ai Signori del
Segretariato dello Stato Maggiore Centrale delle FARC-EP
Al comandante Alfonso Cano
 
 
I sottoscritti firmatari di questa lettera, donne e uomini di diversi luoghi del pianeta, interessati alla realtà della Colombia,  non indifferenti bensì preoccupati/e per i gravi fatti che ogni giorno degradano la vita e le libertà del suo popolo, costernati/e per l’oscuro futuro del paese e nello stesso tempo incoraggiati/e per i segni sociali e politici che provengono dalle sue lotte, desideriamo esprimere il nostro sostegno  a quelle volontà che intraprendono un dialogo e che attraverso di esso illumina la profonda certezza di trovare vie d’uscita degne e giuste al conflitto sociale, politico, armato che va avanti da decenni;
In questo senso, sostenitori e sostenitrici delle differenti voci  di pace e giustizia, tra queste manifestazioni di speranza facciamo nostra e appoggiamo la lettera che lo scorso mese di settembre 2008, promossa dalla senatrice Piedad Córdoba, con l’urgenza di compiere passi verso la comprensione, chiedendo che spazi di dialogo siano aperti dall’insorgenza colombiana con la società civile nazionale e internazionale, iniziando uno scambio epistolare con il Segretariato delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia, FARC-EP.
Conoscendo la risposta positiva delle FARC-EP a questa proposta e la loro conferma, vogliamo pubblicamente ed esplicitamente appoggiare questo scambio epistolare e il suo dovere etico, sicuri del fatto che migliaia e migliaia di voci si uniranno, chiedendo il dialogo, al quale speriamo possa unirsi anche l’Esercito di Liberazione Nazionale, ELN, tanto rispetto a necessarie soluzioni umanitarie e di diritto internazionale applicabili al confronto, quanto per accogliere questo supremo proposito di andare verso obiettivi finali basati su ideali di giustizia per tutti.
Sappiate che potete disporre dei nostri sforzi e dei nostri mezzi per accompagnare risolutamente questo processo da spazi della comunità internazionale, facendo nostro l’interesse comune di costruire una pace fondata sulla ragione e la giustizia sociale.
Primi firmatari:
Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel de la Paz, Argentina.
James Petras, profesor emérito Universidad de Binghamton, New York, Estados Unidos.
François Houtart, profesor emérito Universidad de Lovaina, Bélgica.
Olivier BESANCENOT, Porte Parole de la Ligue Communiste Révolutionnaire (France)
Sophie THONON-WESFREID,  Présidente de l’Association France Amérique Latine (France)
Roseline VACHETTA, Ligue Communiste Révolutionnaire, ex eurodiputado (France)
Alain KRIVINE, Ligue Communiste Révolutionnaire,  ex eurodiputado (France)
Catherine Marchais, Fonctionnaire Territoriale, Ville de Nanterre
Jessica Lorena Colling, secrétaire centre d’affaire , Colombie/Luxembourg
Raed Charaf, , Doctorant en Sociologie, EHESS, Francia.  Libano
Valérie TECHER,  Association France Amérique Latine (France)
Philippe Colin, enseignant, université de Paris Grand-ouest-La défense
Donneys Vuillet Maria Victoria, France
José Angel Calderon Gil, sociologo, profesor en l’Université des Sciences et Technologies de Lille, France
Alain KRIVINE, Ligue Communiste Révolutionnaire (France)
Christophe Enault, ingénieur, cadre industriel, France
Daniel BENSAID,  philosophe (France)
Julien LEGER, Agent territorial, FRANCE
Olivier  ROUBI,  France
Dominique Pélissier, Assistante Commerciale, France
Gerardo Heredia,  Periodista,  Francia  Ecuador
Gerard LEFRANCOIS, Retraité, FRANCE
Christophe Kenderian France-Amérique latine Bordeaux, Francia)
Meunier Fernand,  Président de l’ONG Explorer Humanity  France.
Denise Mendez,  Paris Francia
Paulina Macias, Profesion: Psicoanalista,  Paris (Francia)
Lionel Mesnard  Cyber-Periodista, http://lionel.mesnard.free.fr, Paris – Francia
Pedro Tostado Sánchez DNI nº 00770712M Sociólogo, Madrid (España)
Alberto Giráldez, Comunidad de Base Cristiana , Santo Tomas, Madrid. España
Gumersindo Martin cmf,  Misionero Claretiano, Valladolid , España.
David Martín, trabajador social, presidente del Colectivo Sur Cacarica, España.
Asociación: PROYECTO COLOMBIA SIGLO XXI (España)
Gloria T. de Garza Asociación de Usuarios del Agua de Saltillo AUAS, A.C. Saltillo, México.
Guadalupe Rodríguez, Lic. Filosofía y activista socioambiental, Salva la Selva, Alemania
Elisa Norio, Lic. Literatura Extranjera, Secreteria  Associazione Centro di Accoglienza
 “E. Balducci” Udine – Italia
Daniela Del Bene, Italia
Chiara Galimberti Arese (MI) Italia  GIM
Massimo Buccheri-Udine – Italia
Libertad Sánchez Gil, Miembro de la ARMH de Mérida y Comarca y de la Comisión Ética para la Verdad
Antonio Peratoner — Rete Radiè Resch — gruppo di Udine
Maria Grazia Visintainer — Rete Radiè Resch — gruppo di Udine — Italia
"2">Paola Gandrus, Tricesimo, Italia>Paola Gandrus, Tricesimo, Italia
"2">Giorgio Zuliani, Tricesimo, Italia>Giorgio Zuliani, Tricesimo, Italia
"2">Silvia Pellegrino - Gela (CL) Italia>Silvia Pellegrino - Gela CL Italia
Elly Verrijt – Degaarde Foundation, The Netherlands
Mary Bricker-Jenkins, the Poor People’s Economic Human Rights Campaign (PPEHRC), USA
Vincenzo Cesarano — Mereto di Tomba — Esecutivo regionale RdB-CUB del F.V.G.
Miguel Angel Garcia Aguirre ONG (Maderas del Pueblo del Sureste,AC) Chiapas, Mexico
Tronchin Federica, Venezia, Italia
"2">Sandra Del Fabro Unicef  Udine – Italia>Sandra Del Fabro Unicef  Udine – Italia
"2">Marcella Alletti- Palermo – Italia>Marcella Alletti- Palermo – Italia
Roberta Perisutti, Centro Ernesto Balducci, Udine, Italia
Fernando Rovetta Klyver, profesor universitario Castilla La Mancha, Espana
Viviana Mattiussi Pinzano al T. (PN) – Associaz Radio Voce Nel Deserto — PN – Italia
Pedro Faro (Chiapas) Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas
Surood Mohammed Falih, Human Right Officer , Kirkuk, Iraq
Elizabeth Deligio Soa Watch (Escuela de las Americas) USA
Manuel Adame Moldes, educador social, Vigo, España
Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel de la Paz, Argentina.
James Petras, profesor emérito Universidad de Binghamton, New York, Estados Unidos.
François Houtart, profesor emérito Universidad de Lovaina, Bélgica.
Santiago Alba Rico, filósofo, España.
Enrique Santiago Romero, jurista, España.
Monseñor Samuel Ruiz García. Secretaria Internacional de Solidaridad Monseñor Romero SICSAL, México.
Pascual Serrano, periodista, España.
Ana Andrés Ablanedo, Lingüista, Coordinadora de Soldepaz Pachakuti, Asturias,
España.
Carlos Taibo, profesor universitario, Madrid, España.
Francisco Erice, profesor universitario, Oviedo, España.
Ana García, activista social y política, Asturias, España.
Carlos Fazio, profesor, periodista, Periódico La Jornada, México.
Belén Gopegui, escritora, España.
Constantino Bértolo, escritor y editor, España.
Eduardo Romero, activista social, historiador, escritor, Asturias, España.
Carlos Fernández Liria, profesor universitario, Madrid, España.
Rafael Escudero Alday, profesor universitario, Madrid, España.
Ángeles Maestro, médica, dirigenta política, España.
Javier Arjona, activista social y político, Asturias, España.
Pablo Lorente Zapatería, Coordinador ALDEA-Nafarroa, España.
María Jesús Pinto, antropóloga, Catalunya, España.
Rafael Palacios, educador, Portavoz Nacional del Bloque por Asturies, España.
Javier Orozco Peñaranda, activista social e investigador, Colombia/España.
Carlos Alberto Ruiz, abogado, investigador social, Colombia/España.
Ramón Chao, periodista, España/Francia.
Hernando Calvo Ospina, periodista y escritor, Colombia/Francia.
Tomàs Gisbert Caselli, investigador en conflictos y cultura de paz, Catalunya, España.
Alberto Cruz, periodista, investigador relaciones internacionales, España.
Juan Manuel Ibeas, profesor universitario, Burgos, España.
Miguel Ángel Giménez Casado, educador, presidente de Asoc-Katío, España.
Pierluigi Di Piazza, sacerdote, responsable Centro Ernesto Balducci, Zugliano, Udine, Italia.
Pilar Sánchez, psicóloga, red Capicúa, España.
Sergio Yahni, periodista, Alternative Information Center, Jerusalem
Francesc Riera Isern, investigador, agricultor, País Vasco, Estado Español.
Dolores González, directora, Servicio de Asesoría para la Paz, México.
Pablo Romo, analista, Servicio de Asesoría para la Paz, México.
Miguel Álvarez, asesor de procesos de Paz, Servicio de Asesoría para la Paz, México.
Gilberto López y Rivas, investigador del INNA y colaborador del periódico La Jornada, México.
Ángel Guerra Cabrera, periodista, Cuba/México.
Clemencia Correa, profesora universitaria, UACM México.
Camilo Pérez Bustillo, profesor universitario, UACM México.
Rocío Redondo Sánchez, psicóloga, Madrid, España.
Rubén García Clarck, profesor universitario, UACM México.
Francisco Javier Garcés Molina, médico, activista social, España.
María Rosario Gómez Serrano, estudiante, activista social, Puerto Rico.
José María Caravantes García, ingeniero, activista social, España.
Eduardo Correa, profesor universitario, UACM México.
Hassan Dalband, profesor universitario, UACM México.
Andrés Redondo, psicólogo, España.
Enrique González Ruiz, director Programa Derechos Humanos, UACM México.
Jorge Ruiz, estudiante doctorado, México.
Francisco Cerezo, Coordinador Nacional Comité Cerezo, México.
Alejandro Cerezo, Coordinador Nacional Comité Cerezo, México.
Manuel Aguilar Mora, Liga de Unidad Socialista, México.
Jaime González, Liga de Unidad Socialista, México.
José María Bautista Monente, presidente Iniciativa Solidaria Internacionalista, España.
Gonzalo Rodríguez, maestro, miembro del Comité Canario de Solidaridad con los Pueblos, Estado Español.
Iñaki Markiegi, experto en cooperación y derechos humanos, País Vasco, España.
Beatriz Cruz Osorio, activista social, miembro de la Red Canaria por los Derechos Humanos en Colombia, Estado Español.
Raúl Villegas, profesor Universitario UACM, México.
Pablo Gutierrez Vega, profesor universitario, Sevilla, España.
Javier Anuzita Alegría, director fundación Mundubat, País Vasco, España.
Raul Romeva, diputado al Parlamento Europeo, Catalunya, España.
Mario Amorós, periodista e historiador, España.
Joan Herrera, diputado al Congreso de España de grupo ICV-EUiA.
Juan Guirado García, presidente ACSUR Las Segovias, España.
Magali Thill, directora, ACSUR Las Segovias, España.
Francisco Pérez Esteban, Coordinador de Política Internacional de Izquierda Unida, miembro de OSPAAL, España.
Juan José Tamayo, teólogo, profesor universitario, Madrid, España.
Francisco Javier Vitoria Cormenzana, teólogo, profesor universitario, País Vasco, España.
 
 
 
 

Colombia, attentato contro Aída Quilcué, leader indigena del CRIC, ucciso il marito

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Edwin y Aida
 
(Foto Simone Bruno)
 
La testimonianza di Simone Bruno, dalla Colombia.
per ASud
  
L’attentato contro la consigliera maggiore del Cric, Aída Quilcué, ricorre nel diciassettesimo anniversario del massacro del Nilo, quando 20 indigeni, incluse donne e bambini, furono massacrati da agenti statali Colombiani.
 
Per quei fatti il governo si è dichiarato colpevole e ha chiesto pubblicamente scusa, impegnandosi a seguire le raccomandazioni della Commissione Interamericana dei diritti umani per risarcire il popolo Nasa a livello individuale e collettivo. Cosa che ancora non ha fatto.
 
Un altro 16 di Dicembre e un altro attentato contro il popolo Nasa.
 
Poco prima dell’alba la macchina del Cric stava andando da Belalcázar a Popyan quando è stata raggiunta da diverse raffiche di mitra. I colpi hanno colpito il veicolo di fronte e su uno dei lati uccidendo Edwin Legarda, sposo di Aída.
 
Secondo il generale Justo Eliseo Peña, comandante della terza divisione dell’esercito Colombiano a sparare sarebbe stato un gruppo di soldato campesinos, ossia una di quelle istituzioni del governo centrale che legalizzano il coinvolgimento dei civili nel conflitto interno Colombiano, o che, secondo alcuni settori sociali, legalizza ancora una volta il paramilitarismo nel paese.
 
Quel veicolo è quello nel quale Aída Quilcué percorre giornalmente quella stessa strada. Aída è una delle leader più visibili a livello nazionale della Minga conclusasi poche settimane fa. L’attentato è avvenuto vicino il municipio di Totoró, all’interno di una riserva indigena. Nel momento in cui scriviamo la guardia indigena ha arrestato 40 militari, che si trovavano all’ interno della riserva e quindi soggetti alle autorità ancestrali.
 
Questo attentato avviene nell’ambito di una offensiva che ha colpito il Cric da quando è terminata la Minga. Sono stati emessi ordini di cattura contro i coordinatori della guardia indigen e lo scorso 13 di Dicembre è stata saccheggiata la Radio Pa‘yumat nel Cerro de Munchique Los Tigres, dove sono stati manomessi l’antenna di trasmissione e altri apparati.
 
 
 

Brutal atentado contra Aìda Quilcué líder indìgena del CRIC. Matan su esposo

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Por Simone Bruno - Colombia
Difícil creer al general Justo Eliseo Peña, comandante de la tercera división del Ejército Colombiano, que aseguró, en una entrevista con La W Radio, que un grupo de soldados campesinos disparó por error contra la camioneta de la Cric (consejo regional indígena del Cauca), en el cual usualmente se moviliza la líder Aída Quilcué.
A menos que el general no se refiera al error de haber matado al esposo de Aída y no a la líder indígena.
La camioneta iba a recoger la consejera mayor Aída Quilcué en Popayan cuando a las 4 de la mañana fue refagueada por hombres del Ejército Nacional mientras pasaba por la finca San Miguel de propiedad del Señor Bolívar Manquillo, en la vereda Gabriel López del municipio de Totoró. “En esta finca hay presencia permanente de tropas del ejército Nacional” afirma el comunicado de la ACIN (asociación de cabildos indígenas del norte del Cauca).
A su interior iba una misión medica y Edwin Legarda, esposo di Aída. Los 17 golpes disparados contra el vehículo han tenido impacto en los lados y en la parte frontal, cosa que contradice la versión oficial, según la cual los militares dispararon porque el carro no paró en un retén.  Edwin recibió 3 balas, una en el tórax y dos en las piernas. Llegó vivo en el hospital de Popayán en donde murió poco despues.
La Cric y la Acin confirman que testigos oculares aseveraron que en el área no había ningún tipo de retén militar. La misma Aída Quilcué dijo: “el atentado era para mi” y agregó que “ante este vil atentado, que reafirma el cumplimiento de las amenazas reiterativas al CRIC y a la ONIC, por atrevernos a contar, movilizar, desalambrar senderos y pensamientos, denunciar la crisis humanitaria y genocida que viven nuestro pueblos, no nos callará, por tanto el claro que el atentado contra el CRIC es un atentado contra la ONIC, el Movimiento Indígena colombiano y a todos aquell@s que nos atrevemos a proponemos cambios desde el sentir de los pueblos”.
Hoy es el 16 de Diciembre, y recurre también el decimoséptimo aniversario de una de las masacre más violenta y simbólica perpetrada contra los indígenas del Cauca. La masacre del Nilo, en la cual agentes del estado han matado 20 comuneros, incluidos mujeres y niños. Por esta masacre el estado ha reconocido su responsabilidad, pedido perdono y prometido reparación individual y colectiva, que hasta hoy no ha cumplido.
La Consejera Mayor había regresado a penas ayer desde Suiza, como una de las delegadas de la ONIC (organización Nacional Indígena Colombiana) ante la asamblea de evaluación de los 60 años de la ONU”.
Era entonces fácil imaginar que se seria desplazada en este misma camioneta por este mismo camino que cada día recorre. Este hecho y la fecha simbólica del 16 de Diciembre asombran de dudas la versión oficial del error.
Desde que se supieron los hechos los indígenas han rodeado la base militar en Totoró pidiendo la admisión de responsabilidad y de juzgar los responsables según las leyes ancestrales, como previsto por la constitución Colombiana.
El presidente de la ONIC Luis Evelis Andrade denunció a la agencia Efe que las amenazas contra los pueblos del suroeste, se incrementaron desde la reciente “minga” por efecto de los señalamientos por parte de altos cargos del Gobierno del presidente Álvaro Uribe.
Este atentado se enmarca efectivamente en una serie de hechos y amenazas, como las ordenes de capturas contra los coordinadores de la guardia indígena, y el asalto contra la radio comunitaria Pa‘yumat en el Cerro de Munchique Los Tigres, donde están ubicados todos los equipos de transmisión y la antena. Una estrategia de “agresión integral” contra los indígenas por parte del estado y de los grupos insurgentes. Esto se explica por el rechazo por parte de los indígenas del conflicto en sí mismo, no importa por cual actor venga. Atacar la idea de la guerra es atacar quienes de esta viven y que con esta se reproducen: la insurgencia y el ejército nacional que vive de los enormes gastos del plan colombia. 
foto de Simone Bruno

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