L’America latina e centrale all’Assemblea dell’ONU

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di Annalisa Melandri

in esclusiva per L’Indro — 27 settembre 2013

È iniziata questo martedì la 68esima sessione plenaria dell’Assemblea delle Nazioni Unite che, per lo meno per quanto riguarda l’America latina e centrale,  ha visto l’esposizione di molti e importanti temi.  Come annunciato,  alcuni presidenti latinoamericani hanno approfittato di questo scenario per denunciare problematiche che si erano presentate già nei mesi scorsi e che avevano acceso non solo il dibattito politico nazionale dei loro Paesi, ma anche  quello internazionale.

È il caso per esempio del Brasile, il cui presidente Dilma Rousseff ha criticato duramente l’amministrazione Obama per il programma di spionaggio statunitense rivelato alcuni mesi fa dal tecnico della National Security Agency (NSA), Edward Snowden. Tra i Paesi messi sotto controllo dalla NSA c’era infatti proprio il gigante giallo-oro. Tra le problematiche di rilievo, inerenti a questioni territoriali, di particolare importanza la disputa che va avanti ormai da tempo, tra la Colombia e il Nicaragua per un contenzioso sulle acque territoriali. Il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha accusato il Nicaragua di esercitare una politica espansionista nel Caribe, violando trattati internazionali precedentemente stipulati con Costa Rica, Honduras, Giamaica e Panama. La contesa  va avanti da anni.  Nel 2001 il Nicaragua aprì il caso presso la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite con riferimento alla disputa con la Colombia  sul «territorio e la delimitazione marittima» nel Mar dei Caraibi, reclamando un’area di circa 50mila kmq che includeva l’arcipelago di San Andrés e altri isolotti minori, sottrattigli nel 1928 con il Trattato  Bárcenas Meneses-Esguerra (rigettato unilateralmente nel 1980 dal Governo di Ricostruzione Nazionale nicaraguense con la motivazione che negli anni in cui fu firmato e ratificato il  paese  era occupato militarmente dagli Stati Uniti).

Nel 2007 alla Colombia vennero  riconosciute le isole di San Andrés,  Providencia e Santa Catalina, ma la sentenza in prima istanza non definì i i limiti delle  acque territoriali rimandando la questione alla decisione finale, data a conoscere nel  novembre del 2012. In quell’occasione venne confermata la decisione del 2001 e  alla Colombia furono annessi anche il gruppo di isolotti noti come Siete Cayos, ma gli venne sottratto, passando al Nicaragua,   il 43 per cento delle acque circostanti, pari a una superficie di mare di 75mila kmq. Il presidente colombiano Santos, nel novembre scorso ha dichiarato che il Governo non ha intenzione di riconoscere tale decisione e il 27 novembre del 2012 denunciò presso l’ Organizzazione degli Stati Americani (OSA) il Patto di Bogotà  con il quale la Colombia  riconosceva la giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia. Si trattò del primo passo per il ritiro definitivo dalla Corte.

Il paradosso vuole che,  anche se alla Colombia è stata riconosciuta sovranità territoriale sulle isole, queste si troverebbero ad essere circondate al di fuori della porzione delle loro acque territoriali, da un’ampia superficie di mare appartenente al Nicaragua, mare che fino a quel momento ha rappresentato l’unica fonte di sostentamento per gli abitanti di quegli atolli, ricco com’è,  di pesce pregiato. Solo nel Cayo Quitasueño si pescano 200 tonnellate l’anno di aragoste, 100 di caracol pala (noto anche come lambí o conchiglia regina) e 2000 di altri pesci. La Colombia ha incassato presso l’Assemblea delle Nazioni Unite l’appoggio di Panama e Costa Rica, concretizzato nella firma congiunta dei tre paesi, in calce a un documento lasciato agli atti dell’Assemblea. Particolarmente deciso l’intervento di Laura Chinchilla,  presidente del Costa Rica che ha parlato di «mancanza di rispetto assoluto da parte del governo del Nicaragua verso le norme più elementari della condotta e della convivenza tra gli Stati» e ha accusato l’amministrazione del presidente Daniel Ortega di «voler ampliare i limiti della sua piattaforma continentale».

Ma come dicevamo, diverse sono state  le istante che hanno avuto voce in questa 68esima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Il presidente di El Salvador, Mauricio  Funes ha chiesto nel corso del suo intervento un «cambiamento radicale nel sistema economico mondiale[…] che non sia basato sulla speculazione finanziaria e sul consumismo». E di consumismo ha parlato anche nel suo magistrale discorso (a tutto tondo, contro imperialismo, modello economico neoliberale e globalizzazione)  il presidente dell’Uruguay,  José “Pepe” Mujica, ex guerrigliero di 78 anni: «Sembra che siamo nati solo per consumare e consumare e  quando non possiamo farlo ci carichiamo di frustrazioni, povertà ed autoemarginazione» ha denunciato mentre ha condannato anche «il Dio Mercato» che ha occupato il posto nel tempio delle «antiche divinità immateriali».

Il presidente guatemalteco Otto Pérez Molina ha posto enfasi invece sulla lotta al narcotraffico, flagello che colpisce in modo particolare il suo paese  –crocevia del traffico di droga verso il Messico e i Caraibi–  e sulle violazioni e i crimini commessi contro  i migranti che dall’America centrale, percorrendo la stessa rotta degli stupefacenti, cercano di raggiungere gli Stati Uniti, dove ha ricordato  Molina, si consuma il 90 per cento  della cocaina che passa per il Centroamerica. Il primo ministro di Antigua e Barbuda , Winston Baldwin Spencer ha invece posto l’accento sugli effetti  del cambio climatico che colpiscono più duramente i piccoli stati insulari,  puntando il dito contro la responsabilità «morale, etica e storica» dei paesi sviluppati rispetto a  questo problema,  di cui  lamenta  l’assenza di azioni concrete.

Assente invece Danilo Medina, presidente della Repubblica Dominicana. Dopo la comunicazione da parte della Presidenza, della cancellazione del suo viaggio a New York (ufficialmente per motivi legati alla presentazione del Bilancio Generale dello Stato) sulla stampa locale si sono lette illazioni secondo le quali l’assenza del presidente all’Assemblea Generale dell’ONU sarebbe da considerarsi  come segno di malumore dovuto alla visita, appena qualche giorno fa, di una delegazione  delle Nazioni Unite con lo scopo di chiedere  al Governo dominicano un intervento a favore della popolazione haitiana presente in Repubblica Dominicana  con posizione migratoria irregolare. Visita che è stata vista come intromissione negli affari interni dello Stato da buona parte del panorama politico locale. L’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica ha emesso comunque proprio in queste ore un comunicato dove si conferma che la cancellazione della visita nulla ha che vedere con la visita degli ispettori ONU nel Paese.

Posizione comune tra la maggior parte dei mandatari dei paesi dell’America latina e centrale è stata comunque quella rispetto alla necessità di una profonda riforma dello stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sebastián Piñera, presidente del Cile, ha espresso la necessità di «abbandonare la  logica dei veti che corrisponde ad un mondo che ormai non esiste  più»  mentre Cristina Fernández,   presidente dell’Argentina, avanzando  la stessa richiesta,  ha detto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite funziona ancora sulla base di un contesto superato come quello della Guerra Fredda. Identica posizione hanno assunto al rispetto il Brasile, l’Uruguay e il Venezuela. Inoltre, come sempre, quasi all’unanimità è stata chiesta la fine dell’ormai anacronistico embargo contro Cuba.

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