Assange torna a parlare di informazione

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di Annalisa Melandri — in esclusiva per l’Indro  - 8 febbraio 2013

Julian Assange torna a parlare di mezzi di informazione e potere dall’ambasciata ecuadoriana a Londra  dove si trova  dal 19 giugno del 2012.

L’attivista e giornalista australiano, fondatore di Wikileaks,  in una intervista concessa al quotidiano brasiliano  ‘O Estado de Sao Paulo dice che il grande problema dell’America latina è la “concentrazione mediatica, cioè la detenzione del potere dell’informazione in mano a poche famiglie, concetto  che viene espresso sovente anche come ‘latifondismo mediatico’ o ‘latifondo dell’informazione’.

Assange, sul quale pende un mandato di cattura dell’Interpol dietro richiesta delle  autorità svedesi per  presunti delitti di natura sessuale,  si rifugiò nell’ambasciata ecuadoriana a  Londra, paese dove in si trovava in quel momento (e al quale le autorità svedesi hanno  chiesto l’estradizione), denunciando come  il suo arresto in Svezia sia  solo il primo passo per una  successiva estradizione negli Stati Uniti dove è stato aperto un procedimento contro di lui per spionaggio e dove per tale reato le  pene sono molto severe, contemplando finanche la pena di morte.

Proprio per la reale possibilità che esiste che il governo degli Stati Uniti chieda l’estradizione di Assange alla Svezia e che questo paese  gliela conceda, il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dopo circa due mesi di consultazioni interne e a livello internazionale,  decise  di concedere l’asilo politico a Julian Assange.

Assange, in occasione della presentazione del suo nuovo libro ‘Cypherpunks’ che tratta di Internet e della libertà di espressione, incalzato dalle domande del giornalista brasiliano sul rapporto difficile di Rafael Correa con i mezzi di informazione ecuadoriani e sui presunti ‘attacchi’ di Correa alla stampa,  ha dichiarato che i media  “dovrebbero essere attaccati  di più  perchè le prime responsabilità etiche della stampa sono  la precisione e la verità. E anche la rappresentatività. Non perchè i media rappresentano grandi famiglie devono dimenticarsi di questo”. Infatti ha aggiunto,   il “grande problema in America latina, ma anche in altri paesi  è la concentrazione dei mezzi di comunicazione. Ci sono sei famiglie in Brasile che controllano il 70% della stampa. In Svezia invece una sola casa editrice controlla il  60% e in Australia il 60% è  controllato da Robert Murdoch”.

Si tratta di quello che Ignacio Ramonet, giornalista e scrittore  spagnolo, accademico  specializzato in comunicazione, ex direttore di ‘Le Monde Diplomatique e cofondatore e presidente di ‘Media Watch Global’ (Oservatorio internazionale sui media) definiscelatifondismo mediatico,  che si ha  quando cioè “una impresa si costituisce come gruppo con una serie di compagnie associate tramite fusioni, […] concentrazioni in cui si trovano imprese del settore della  stampa, della radio, della  televisione, di  internet e del cinema”.

Come fa notare  anche Assange  nell’intervista con il quotidiano brasiliano (“ci sono sei famiglie in Brasile che controllano il 70% della stampa”) la peculiarità del latifondo mediatico in America latina (e di qui il nome) è che i gruppi mediatici in questa regione “appartengono a un piccolo gruppo di famiglie. In certa misura le stesse famiglie che tradizionalmente hanno dominato la vita economica del paese e che sono famiglie storicamente legate alla grande proprietà (terriera ndr), cioè a quello che dava il potere economico almeno fino a qualche decennio fa.  Parlare di latifondo mediatico  vuole far capire la superficie enorme che questi gruppi coprono e il carattere familiare che posseggono” (Ramonet).

È andato oltre Assange, ricordando anche la “libertà di distribuzione”, una delle cose più importanti che internet ci ha dato, ma ha anche avvertito dei pericoli che offrono le reti sociali e internet in generale: “chi ha  a che fare con la vigilanza di massa trova una fonte enorme di dati in rete. […] Il caso di Facebook è impressionante. Le persone semplicemnete stanno facendo milioni di ore di lavoro gratuito per la CIA, mettendo in rete tutti i loro amici, le loro relazioni, i parenti, raccontando tutto quello che stanno facendo.”.

Già in una precedente intervista concessa a settembre al quotidiano argentino ‘Página/12′, Assange aveva avvisato i governanti latinoamericani del pericolo insito nel fatto che “una percentuale importante delle comunicazioni tra  i paesi latinoamericani arrivano negli Stati Uniti e  poi ritornano nella regione. Questo vale per le grandi imprese di comunicazione, per i provider internet  e per i pagamenti in dollari. È un tema serio che ha a che vedere con la  sovranità”, aveva detto,  sottolinenando che “le accuse storiche delle interferenze degli Stati Uniti hanno ancora vigenza”.

Assange ha inoltre anticipato ai giornalisti brasiliani che migliaia di cable Wikileaks verranno diffusi nel corso del 2013 e che molti di questi riguarderanno proprio il colosso latinoamericano.

Un tema quello del latifondismo mediatico, che meriterebbe analisi approfondite anche nel nostro paese, dove veramente pochi gruppi, che si contano sulle dita di una mano,  si contendono la totalità del panorama culturale e informativo  generale, lasciando poco margine d’azione a piccoli, e talvolta innovativi ed interessanti progetti editoriali che per emergere avrebbero bisogno di concorrenza meno aggressiva e meno sleale,  di agevolazioni e soprattutto di spazio dove potersi presentare al pubblico.

 

 

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