Cile: il vertice del popolo mapuche

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Bandera mapuche

I mapuche  da anni chiedono la restituzione di terre che considerano  di loro proprietà ancestrale.

di Annalisa Melandri in esclusiva per L’Indro — 16 gennaio 2013

Inizia proprio oggi, mercoledì 16 gennaio, il vertice mapuche sul cerro (collina) Ñielol, nei pressi di Temuco nel sud del Cile, organizzato dall’associazione Consejo de Todas las Tierras, Consiglio di Tutte le Terre, che raggruppa le  maggiori organizzazioni rappresentanti del popolo mapuche, gli abitanti nativi originari del Cono Sud del continente americano (che vivono attualmente tra Argentina e Cile) e che ha convocato il vertice in seguito alla recrudescenza delle tensioni tra la popolazione indigena  e il governo cileno, nel corso delle quali, a causa di un incendio appiccato in una  proprietà terriera, è morta una coppia di anziani latifondisti.

Nella regione dell’Araucanìa, a circa 700 chilometri a sud della capitale Santiago, nel corso dell’anno appena concluso e dopo un biennio di relativa tranquillità,  si è registrato infatti un considerevole aumento del conflitto sociale che vede scontrarsi,  spesso lasciando dietro di sé morti e feriti,  i  mapuche — soprattutto i settori più radicali riuniti nel Coordinamento Arauco Malleco (CAM) — e i Carabinieri e l’Esercito cileni.

Sono diversi gli attacchi incendiari che si sono registrati dall’inizio di quest’anno  nella regione e le autorità, senza tuttavia fornire nessuna prova, hanno accusato, come avvenuto già varie volte in passato,  i mapuche di ricevere finanziamento e addestramento dalla guerriglia colombiana delle FARC. Quest’accusa, abbastanza improbabile,  sembra volta tuttavia a giustificarel’applicazione della durissima legislazione antiterrorismo con la quale vengono sanzionati atti contro la proprietà  privata e che risale all’epoca della dittatura di Augusto Pinochet quando era utilizzata per condannare delitti che si consideravano  di matrice politica.

Un mapuche, Celestino Córdoba è stato infatti  arrestato nell’ambito delle indagini sulla morte dei due anziani coniugi  e accusato  di “incendio terrorista” e rischia oltre dieci anni di carcere secondo tale legislazione (Legge Antiterrorista), la cui applicazione, attualmente,  è  sotto accusa da parte delle istituzioni internazionali per la difesa dei Diritti Umani. I mapuche denunciano inoltre chetale legislazione viene applicata esclusivamente contro loro esponenti in un ulteriore tentativo di criminalizzazione della loro lotta.

Per avviare  una discussione sulla situazione recente ma anche per “prendere la decisione più appropriata ed accettabile per entrambe le parti” è stato  convocato il vertice odierno, al quale era stato  invitato anche il presidente Sebastián Piñera che tuttavia ha declinato l’invito. Sono stati invitati inoltre  rappresentanti delle  istituzioni locali, esponenti della Chiesa Cattolica, i  candidati alle elezioni presidenziali di quest’anno  e vari esponenti della società civile. Il vertice mapuche  ha anche l’obiettivo di “rivedere e far valere i trattati di autodeterminazione mapuche, la smilitarizzazione del territorio e l’avanzamento  verso un nuovo Patto Sociale tra i mapuche e lo Stato.

I mapuche, che rappresentano la popolazione indigena più numerosa del Cile (sono circa un milione) da anni sono in conflitto aperto con il governo per il recupero delle terre che considerano di loro proprietà ancestrale e collettiva e contro le politiche portate avanti dallo Stato per svendere le risorse del paese ai capitali stranieri quali lo sfruttamento delle foreste ad opera delle multinazionali del legno, la costruzione di dighe e centrali idroelettriche, lo sfruttamento minerario delle enormi ricchezze del sottosuolo. Queste sono solo alcune delle  opere che mettono in serio rischio di estinzione queste popolazioni e che vengono attuate senza le obbligatorie consultazioni con le medesime così  come disposto dalla convenzione n. 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite.

Il popolo mapuche, uno dei più fieri tra le popolazioni indigene dell’America latina, che  riuscì a resistere oltre trecento anni alla dominazione spagnola, ha dalla sua parte  un orgoglio secolare che caratterizza la strenua e caparbia  rivendicazione della  proprietà dei suoi territori. Affermano  da secoli prepotentemente e con orgoglio il diritto di vivere sulle proprie terre con le quali possiedono un legame indissolubile, ma riconfermano  anche con fierezza usi e tradizioni antiche che non vogliono  perdere.

La maggior parte delle terre delle quali reclamano la proprietà erano state consegnate loro dalla riforma agraria realizzata da Salvador Allende e dal suo governo di stampo socialista (1970–1973) che colpì i latifondisti locali, i quali una volta instaurata  la dittatura del generale Pinochet (1973–1990) se ne riappropriarono, cacciando i mapuche.

Non sono pochi tuttavia i settori della società cilena che richiamano  l’attenzione del governo sulla necessità di rivedere la politica di mano dura attuata fino a  questo momento rispetto alla  questione mapuche,  politica che generalmente è stata condivisa  da tutti i governi succeduti alla dittatura  e che  non ha fatto altro invece che incancrenire ed esasperare un conflitto che ha radici sociali ed economiche profonde ed antichissime.

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