La marcia silenziosa degli zapatisti

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di Annalisa Melandri per L’Indro* — 2 gennaio 2013

Hanno scelto ancora una volta una data simbolica per ritornare sulla scena politica e sociale gli zapatisti in Messico. Il 21 dicembre, giorno della fine del calendario Maya ed inizio di un nuovo ciclo,  circa 40 mila ‘basi di appoggio’ (i comitati civili) zapatisti, hanno abbandonato i loro territori ‘liberati’ del Chiapas e sono scesi a valle, invadendo silenziosamente le strade di cinque comuni: San Cristóbal de las Casas, Palenque, Ocosingo, Altamirano  e Las Margaritas.

A differenza di quanto avvenuto  il 1 gennaio del 1994, quando fu proprio l’EZLN, l’Esercito  Zapatista di Liberazione Nazionale che allora  invase e occupò, armi in pugno quelle stesse città,  dichiarando nella Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, “guerra  allo Stato messicano”, questa volta tutto è avvenuto in forma pacifica e si potrebbe dire in “un assordante silenzio,  interrotto solo dal frusciare lento dei passi ordinati degli zapatisti indigeni, quasi tutti di discendenza maya, che compongono le basi di appoggio civile del EZLN.

Anche nel 1994, la data non fu scelta a caso, era infatti il giorno dell’entrata in vigore  del NAFTA, il Trattato di libero commercio di stampo neoliberale tra Messico, Stati Uniti e Canada. Il movimento zapatista (che talvolta,correttamente, viene definito neozapatista per distinguerlo da quello che appoggiava Emiliano Zapata nel  1911),  sicuramente fu il   precursore del movimento internazionale che venne dopo,  fortemente critico delle  politiche neoliberiste imposte negli anni’90 in America latina dal ‘Washington Consensus’.

Il movimento,  dopo il Levantamiento Zapatista, come fu definita quell’insurrezione del 1994,  acquistò immediatamente notorietà a livello nazionale ma soprattutto internazionale  e conquistò fin dal primo momento le simpatie dei movimenti di sinistra di tutto il mondo, sia  per il carisma e l’indubbio fascino romantico del suo leader, il Subcomandante Marcos, con il volto perennemente nascosto da un passamontagna nero, ma anche perchè i movimenti indigeni e le loro lotte avevano sempre  raccolto consenso tra i movimenti sociali  soprattutto europei, probabilmente,  e questo potrebbe essere certamente tema per un dibattito a parte,   anche per una specie di  espiazione collettiva che la sinistra europea sente di dover avere per la colpa, mai pagata fino in fondo dal continente, del colonialismo in America latina.

Dopo 12 giorni di combattimenti tra l’esercito messicano e i ribelli guidati da Marcos, iniziarono numerosi   tentativi di dialogo con il governo  dell’allora presidente Ernesto Zedillo, culminati nella firma degli accordi di San Andrés il 16 febbraio del 1996, accordi che non vennero mai rispettati fino in fondo dalle autorità messicane. Con la presidenza di Vicente Fox (2000–2006) il governo sembrò aprirsi maggiormente  alle richieste provenienti dal movimento zapatista anche se alla fine si dimostrerà più un’apertura  di facciata che sostanziale.

Successivamente nel 2001, il Subcomandante Marcos dette l’annuncio della realizzazione di una marcia sulla capitale Città del Messico, dove giunse alla guida del suo esercito  il 12 marzo nello Zócalo capitolino, (la principale piazza della città e una delle più grandi al mondo) gremito di circa 200mila persone. Con lo slogan “mai più senza di noi” gli zapatisti reclamavano maggiori  diritti per i popoli indigeni.

Seguirono tre anni di silenzio fino al 2005 quando con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona l’EZLN riferisce di voler abbandonare le armi e comunica la decisione di continuare la battaglia sul piano politico.  Ne nasce un ampio e orizzontale movimento civile e pacifista che vuole “raccogliere la parola della gente semplice ed umile”, si chiamerà la La Otra Campaña (l’Altra Campagna) e Marcos ne assumerà  il ruolo di Delegato Zero. La Otra, come verrà soprannominata per brevità, percorrerà tutto il paese per incontrare le numerose  realtà sociali, politche e culturali che già avevano dato adesione alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Raccoglierà le simpatie di una buona parte del mondo culturale e politico del Messico, importanti scrittori e uomini di cultura se ne faranno portavoce, si caratterizzerà tuttavia, e forse questa sarà la sua forza almeno in quel momento, per la presa di distanza netta dalla politica e dai tre principali partiti messicani e cioè il Partido de Acción Nacional (PAN) di destra, il Partido de la Revolución Democratica (PRD) di centro sinistra e il Partido Revolucionario Institucional (PRI) di centro destra.

Dopo l’allerta rossa e la mobilitazione nazionale dichiarata da Marcos e dall’EZLN in seguito alla dura repressione da parte delle forze governative contro il  movimento civile di protesta alla costruzione dell’aeroporto internazionale a San Salvador Atenco nel 2006,seguono anni di silenzio, nei quali anche Marcos sembrò essere scomparso dalla scena, tanto che molti pensarono che avesse abbandonato il paese per vivere in Europa.  Il movimento zapatista e La Otra Campaña continuarono le loro attività in forma molto più locale e nelle zone circoscritte delle comunità indigene contadine,  i Caracoles, mantenendo tuttavia, seppur in modo più discreto,  appoggio e simpatia in Messico e all’estero, soprattutto in Europa. C’e’ chi sostiene che questo ritirarsi dalla scena mediatica sia stata una strategia politica dell’EZLN, altri osservatori invece puntano l’accento sulle critiche che il movimento, soprattutto in Messico,  inizia a ricevere.

Viene accusato di essere troppo autocelebrativo e di essersi mantenuto troppo circoscritto alla comunità indigena del Chiapas, ignorando spesso aperture importanti e talvolta negando appoggio, ad altre realtà politiche e sociali del paese, allontanadosene. La condanna si manifesta apertamente  quando  la Otra Campaña nega, coerentemente tra l’altro con i suoi principi di apoliticità, il suo appoggio alla campagna presidenziale di Manuel López Obrador, che perderà le elezioni nel 2006. Oltre alle accuse pesanti di brogli effettuati  dal Partido de  Acciòn Nacional che risulterà vincitore con il suo candidato Felipe Calderòn,  una delle cause della sconfitta sarà imputata proprio al mancato appoggio di Marcos al Partido Revolucionario Democratico di López Obrador.

Dopo sei anni di governo di Felipe Calderón, il sessennio “luttuoso” come è stato definito per l’enorme carica di violenza che si è dispiegata in tutto il paese per la lotta la narcotraffico portata avanti  in sinergia con il governo  degli Stati Uniti e che ha lasciato  un saldo di oltre 60mila morti e risultati tangibili  del tutto discutibili visto che il paese  di trova in mano dei cartelli dei narcos,  nel corso delle ultime elezioni il dibattito sull’appoggio del movimento zapatista  ai partiti di sinistra  si è ripresentato.

López Obrador, candidato presidenziale alla testa  di una coalizione di partiti tra i quali il PRD  ed il Partido del Trabajo (Partito del Lavoro),   ha rinnovato pubblicamente prima delle elezioni l’invito  al movimento zapatista ad appoggiarlo,  ma  il  Subcomandante Marcos in uno scambio epistolare intercorso nei mesi precedenti con il filosofo e scrittore Luis Villoro sul tema “etica e politica” aveva già espresso la posizione dell’ELZN e del movimento zapatista: per gli zapatisti tutti i politici sono uguali intendendo riaffermare ancora una volta il rifiuto per una politica che si esercita solo ed esclusivamente nelle urne, deplorando la posizione generalizzata secondo la quale ci sia “una sola possibilità di scelta, o la via elettorale o quella armata”, che dimostrerebbe una grande “mancanza di immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e mondiale”. Proprio un grande “errore storico” avrebbe infatti, secondo Marcos, portato a credere che la sinistra come forza politica possa stare al potere: “la sinistra al potere è una contraddizione” afferma infatti in una di queste lettere dell’ottobre/novembre del 2011.

Gli zapatisti, il 21 dicembre scorso, a volto coperto, in perfetto ordine militare e in assoluto silenzio,  in Chiapas hanno espresso in altra forma quello che migliaia di messicani avevano manifestato appena venti giorni prima  per le strade di Città del Messico,  in occasione dell’insediamento al governo  di Enrique Peña Nieto,  e che per  questo sono stati duramente repressi dalle forze di sicurezza (2 degli oltre cento feriti in gravissime condizioni, oltre cento i detenuti) e cioè l’insoddisfazione per un sistema, quello della democrazia rappresentativa che lungi dal rappresentare i cittadini, rappresenta solo il potere, quello economico e politico. Questo sembra ribadire Marcos nel  comunicato che l’EZLN ha diffuso  dopo la marcia in Chiapas del 21 dicembre: “Avete sentito? E’ il suono del vostro mondo che crolla. E’ quello del nostro che risorge. Il giorno in cui fece giorno, era notte. E notte sarà il giorno in cui farà giorno. Democrazia, libertà e giustizia!”.

Una grande crepa, per dirla con le parole del sociologo messicano John Holloway, vicino al movimento zapatista, sembrerebbe che si stia aprendo nel sistema di potere in Messico, ancora indefinita, ancora incerta, indecisa e contraddittoria, ma comunque una crepa, e le crepe si sa, una volta formatisi, camminano solo in avanti.

 

*scritto in esclusiva per L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione

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