Venti di pace in Colombia?

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di Annalisa Melandri per L’Indro* - 30 agosto 2012

Sottoscritto un accordo per iniziare dialoghi di pace tra Governo e FARC

VENTI DI PACE IN COLOMBIA?

Per ottenere dei risultati sono necessarie riforme strutturali nel Paese, come quella agraria integrale con garanzia per i colombiani di libero accesso alla terra

 

È stato Jorge Enrique Botero, giornalista colombiano direttore dei servizi televisivi del canale latinoamericano Telesur a sciogliere per primo il riserbo che circondava l’avvio di negoziati di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC-EP) e il governo colombiano.

Il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Forze Armate Rivoluzionarie dellaColombia (FARC) hanno appena sottoscritto un accordo per iniziare dialoghi formali di pace.Questo accordo è stato firmato a L’Avana e il suo contenuto sarà reso pubblico dal presidente Juan Manuel Santos che darà anche informazioni sull’agenda tematica dello stesso”, ha anticipato Botero lo scorso lunedì 27 agosto, confermando che il processo era già iniziato nel mese di maggio e che vede coinvolti come mediatori i governi del Venezuela, di Cuba, della Norvegia e del Cile aggiuntosi all’ultimo momento. Proprio a Oslo, ad ottobre, inizieranno le sessioni di dialogo.

Quelle che erano semplici voci e indiscrezioni sussurrate a mezza voce da alcune settimane, a questo punto sono diventate una certezza. D’altra parte, negli oltre cinquanta anni di durata del conflitto armato in Colombia non è certo la prima volta che vengono avviati dialoghi di pace volti a risolvere quella che si può considerare una vera e propria guerra civile. È stato alla fine lo stesso presidente Juan Manuel Santos a confermare nella serata di lunedì dalla Casa de Nariño, sede del governo, quanto anticipato alcune ore prima da Telesur, parlandodell’avvio di “conversazioni esplorative” con la guerriglia. Il dialogo si baserà su tre principi fondamentali - ha spiegato Santos - primo: si apprenderà dagli errori del passato per non ripeterli; secondo: qualsiasi processo dovrà avere come obiettivo la fine del conflitto e non il suo prolungamento; terzo: si manterranno le operazioni e la presenza militare su ogni centimetro di territorio nazionale”. “Il Governo sta operando con prudenza, serietà e fermezza, anteponendo sempre il benessere e la tranquillità di tutti i cittadini del nostro Paese” ha concluso al termine del suo breve discorso.

Non è la prima volta che si cerca in Colombia una via d’uscita al conflitto, l’ultima e la più importante sotto la presidenza di Andrés Pastrana che nel 1998 iniziò un processo di distensione e dialogo nel Caguán, mentre i paramilitari delle AUC continuavano impunemente i massacri. Fu un disastro. I negoziati vennero interrotti unilateralmente dal governo con la condiscendenza degli Stati Uniti nel 2002, senza dare nemmeno il tempo alla guerriglia di evacuare la zona di distensione come pattuito.

In varie occasioni, fin dallo stesso giorno del suo insediamento, ad agosto del 2010, JuanManuel Santos ha espresso il desiderio di portare la pace nel suo martoriato Paese. Tuttavia non si può dimenticare che fu ministro della Difesa tra il 2006 e il 2009 durante il governo del suo predecessore Álvaro Uribe Vélez, che con la sua politica di “sicurezza democratica” ha di fatto lasciato un Paese militarizzato, polarizzato e per niente pacificato dimostrando quindi il fallimento del suo progetto. Un totale fallimento, sia dal punto di vista della lotta alla guerriglia, che ha dimostrato grande versatilità e capacità di adattamento e di risposta ai duri colpi ricevuti, sia sul fronte della smobilitazione dei paramilitari delle AUC che si sono riorganizzati con sigle diverse. La soluzione militare del conflitto, perpetrata ininterrottamente per tutti gli otto anni della presidenza di Uribe, ha segnato tutta la società colombiana. Ha perfino varcato i confini nazionali, con l’invasione nel 2008, avallata dall’allora ministro Santos, del territorio ecuadoriano per bombardare di notte un accampamento della guerriglia, uccidendo il numero due delle FARC Raúl Reyes, e alcuni giovani studenti messicani che vi erano stati ospitati. La Colombia si trovò sull’orlo di un conflitto internazionale con il Venezuela e l’Ecuador e saltarono le trattative per la liberazione di Ingrid Betancourt che si stavano svolgendo a fasi alterne proprio in quell’ accampamento. Per questo, credere ciecamente oggi ad un presidente Santos versione “colomba” quando ha avuto ruolo di “falco” nell’amministrazione Uribe, sembra difficile, ed è proprio questa la critica che gli viene mossa dai alcuni analisti e sociologi che stanno valutando la portata reale delle trattative di pace con la guerriglia.

D’altra parte è anche vero che Santos una volta eletto ha marcato un’inversione di tendenza netta rispetto all’ “uribismo” che lo ha portato al potere e che non poteva più votare per Álvaro Uribe dal momento che questo si è visto bocciare la seconda rielezione dalla Corte Costituzionale. Santos ha dato al Paese una nuova immagine internazionale, si è dimostrato più aperto al dialogo e conciliante con l’irruento presidente venezuelano Hugo Chávez a differenza di Uribe che era con lui in aperta ostilità, ha fatto più promesse (anche se più di forma che di sostanza) ai settori più emarginati come i “desplazados” (gli sfollati) e le vittime della violenza paramilitare, ha svolto un ruolo di mediatore nei conflitti e nei momenti di crisi nella regione (è stato il mediatore con Chávez per il ritorno dell’ex presidente honduregnoManuel Zelaya, deposto da un colpo di stato, nel suo Paese) e ha affermato in varie occasioni di voler portare la pace nel Paese anche con il dialogo.

Oggi l’indice di popolarità di Juan Manuel Santos a due anni dalle elezioni, nonostante tutto questo, è in netto calo. Una recente inchiesta lo situa al 48% contro il 71% di appena un anno fa, con proiezioni al ribasso. Probabilmente le contraddizioni tra quello che era e quello che è sono all’origine di questo calo di consenso. Da una parte i settori più poveri della società continuano ad aspettare diritti ed uguaglianza che difficilmente arriveranno senza riforme strutturali che intaccherebbero sicuramente gli interessi dell’oligarchia che lo ha portato al potere, dall’altra, proprio quest’oligarchia si sente tradita dalla “colomba” Santos. Lo stesso ex presidente Álvaro Uribe, che ne rappresenta ancora una buona parte, ha un atteggiamento apertamente critico contro il suo ex ministro, definendolo apertamente un “traditore”.

La pace senza riforme strutturali in Colombia è difficile da immaginare, lo sa bene anche la guerriglia delle FARC che ha fatto di questo assioma la sua bandiera. Su di un totale di 46 milioni di persone, circa 21 milioni vivono in povertà come ha confermato la rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese e il 74 % vive nelle città o nei cinturoni di miseria che le circondano. Proprio le zone rurali sono quelle in cui la miseria si fa maggiormente sentire e dove più alto è il consenso sociale all’insorgenza armata, che in cinquant’anni non è mai diventata una vera e propria guerriglia urbana. La pace in Colombia non può prescindere infatti da una vera riforma agraria integrale con garanzia per i colombiani di libero accesso alla terra. Lascia ben sperare il fatto che proprio il punto 1 del testo di accordo iniziale per il dialogo tra il governo e le FARC che sta circolando in queste ore, parli proprio di “politica di sviluppo agrario integrale” come determinante per “stimolare l’integrazione delle regioni e lo sviluppo sociale ed economico equitativo del Paese”.

 

*“Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione”.

Leggi qui il Testo integrale dell’accordo firmato a L’Avana per l’avvio dei dialoghi di pace tra guerriglia colombiana delle FARC  e governo colombiano

 

 

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