I libri di testo servono per sostenere il modello attuale e coprire i responsabili della distruzione ambientale.

0 commenti

Così si deduce da uno studio, realizzato in Spagna, applicabile a qualsiasi paese del mondo.

DI ANTONIO HERNANDEZ E YAYO HERRERO
Rebelión
EN ESPAÑOL
“Se fossi miliardaria…. comprerei un’automobile sportiva, uno scooter, uno yacht, dal momento che se prendo l’autobus arrivo tardi…”. Questa citazione, riportata in un libro d’inglese, è uno degli esempi sui valori antiecologici che vengono diffusi attraverso i libri di testo.
Uno studio recente sui libri di testo dell’educazione formale conclude che gli stessi non permettono di prendere coscienza della gravità della crisi ambientale, né mostrano le conoscenze necessarie per costruire un mondo sostenibile.
Lo studio realizzato da Ecologisti in Azione su 60 libri di testo, afferma che gli stessi non menzionano la crescente insostenibilità dell’attuale modello economico e sociale e nascondono il rapido deterioramento di tutto ciò che è necessario per vivere: l’acqua. l’aria limpida, i terreni fertili e gli alimenti sani…
Nonostante lo studio sia stato realizzato in Spagna, un paese principalmente capitalista, le conclusioni dello stesso si possono applicare anche a paesi che aspirano a un differente modello economico e sociale come ad esempio il Venezuela, dal momento che i principali parametri dell’insostenibilità fanno parte di una cultura ampiamente accettata da molti settori della sinistra trasformatrice.
I libri di testo confondono in maniera sistematica il benessere con la crescita economica, nonostante le numerose e crescenti prove, tanto a livello umano come ambientale, contrarie a questa posizione. In questo senso i libri di testo non mettono in relazione la distruzione ambientale con l’attuale modello di sviluppo, il quale concede delle priorità principalmente all’economia monetaria e a quella affarista. Essi elogiano all’infinito le possibilità della tecnologia senza analizzare né discutere sui grandi disastri ambientali derivati dal poco dibattito e controllo sociale che c’è sugli usi e sugli orientamenti della medesima. Non fanno riferimento al fatto che il controllo imprenditoriale e militare della scienza e della tecnologia ha fatto di queste un fattore d’impulso di prim’ordine per il degrado delle condizioni di vita.
I libri di testo ignorano sistematicamente il lavoro gratuito a cui le donne si dedicano da sempre e la natura, che sono determinanti per la sostenibilità, nello stesso modo in cui si disprezzano qualificandole come “arretrate”, tutte le culture che sono state capaci di vivere in armonia con il loro ambiente.
Essi non solo ignorano uno dei concetti fondamentali per comprendere la sostenibilità e cioè quello del limite fisico alla crescita, ma educano anche chiaramente affinchè ragazzi e ragazze partecipino felicemente a un mondo di consumi, di ipermobilità e di iperurbanizzazione che esaurisce le risorse del pianeta. I libri di testo citano appena l’esistenza delle multinazionali e il ruolo che queste svolgono nel saccheggio e nella distruzione degli ecosistemi e delle culture; le rare occasioni in cui vengono citate le imprese è a titolo di propaganda.
A conclusione dello studio, Ecologisti in Azione afferma che i libri di testo in uso oggi servono principalmente per legittimare l’attuale sistema di distruzione ambientale. Essi aiutano ben poco a creare attitudini e comportamenti in linea con il rispetto e la salvaguardia del pianeta. Siccome i libri di testo rappresentano una forma di conoscenza che la società considera seria e obiettiva, Ecologisti in Azione considera che è urgente una profonda revisione di tutte le categorie e concetti con i quali il sistema educativo e la società nel suo insieme progettano la relazione tra la società e la Natura.
Dopo aver letto questa nota, qualsiasi persona che aspiri a una società più giusta ed equa e che sia in grado di poter vivere armonicamente con la Natura, non potrà credere che misurare il grado di “ricchezza” o “sviluppo” di un paese si posssa fare in base a indicatori come il PIL o l’aumento delle vendite delle automobili, marchingegno tecnico feticcio della società individualista capitalista ed elemento fondamentale nel disastro ambientale odierno.
Questa ultima prospettiva, che in forma chiara vediamo in alcuni discorsi dei ministeri venezuelani e di altri paesi che hanno optato per costruire una società differente, va intesa secondo la colonizzazione culturale del capitalismo, che non si può eliminare dalla sera alla mattina e ancora meno se i gruppi imprenditorali dell’editoria e della comunicazione che pubblicano i libri di testo sono gli stessi da un lato all’altro dell’Atlantico. Questo studio può essere un buon punto di partenza per discutere di quei valori che sono così radicati in noi stessi e che se non riusciamo a liberarcene, difficilmente potremo costruire una società sostenibile sia ambientalmente che socialmente.

Lo studio si può scaricare dalla pagina web di Ecologisti in Azione al seguente indirizzo: www.ecologistasenaccion.org

Antonio Hernández e Yayo Herrero
Fonte: http://www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40037
26.10.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI


Muri vecchi e nuovi

0 commenti

Proprio mentre si consolida a livello mondiale la globalizzazione, mentre l’economia e i mercati si liberalizzano, proprio mentre si firmano nuovi trattati di libero commercio, e allorchè il raggiungimento di tutti questi obiettivi pare il fine ultimo o  il sogno finalmente realizzato degli economisti neoliberisti di mezzo mondo, ecco che si assiste ad un fenomeno che in un certo modo si pone in maniera contraddittoria rispetto a tutto questo.

E se sulle nostre tavole è sempre più facile trovare cibi esotici, se possiamo perfino gustare una tazza di Caffè Rebelde stando comodamente seduti in salotto a Roma, se l’acqua francese attraversa le Alpi e arriva in Italia e quella italiana fa altrettanto e arriva in Francia, succede sempre più spesso che a questo “dilatarsi” o “espandersi”, che a mio avviso non necessariamente è sinonimo di progresso, si contrapponga una tendenza ad opera di quelle stesse forze che promuovono questa espansione, nella direzione di  una involuzione che si manifesta nei modi più disparati ma con un unico comun denominatore che può essere riassunto con la parola “rinchiudere”. Se da una parte all’economia americana fa comodo la manovalanza  del Centro America, nello stesso tempo lungo i confini con il Messico si costruisce un muro che contenga il suo migrare. Se le nostre imprese viaggiano all’estero in cerca di manodopera più a buon mercato, quando questa arriva in Italia viene riunchiusa nei cpt o in quartieri ghetto che poi vanno circondati da muri, come a  Padova.

Se la caduta del muro di Berlino era stata salutata come l’inizio di una nuova fase storica, a quale fase storica precludono tutti i muri che vengono costruiti sempre più spesso?

Israele, costruisce un muro imprigionando i palestinesi e sottraendogli terre, con il muro “vengono cancellati gli attenti, complicati e  pazienti gesti di ascolto, comprensione, negoziazione e compromesso, che sono tutti necessari per generare una soluzione possibile per Israele e la Palestina. Divide il modo tra nero e bianco. Concretizza l’aggressione ed invita alla violenza” (Mina Hamilton).

Se da un lato si chiede alle donne musulmane di togliersi il velo, invitandole a  liberarsi da quel “muro” che le separa dall’occidente, quanti muri vengono creati ogni volta per separare l’occidente dall’oriente, il nord dal sud?

E se nel 1979 in The Wall i Pink Floyd raccontavano di un muro immaginario ma pur sempre percepibile, creato dall’alienazione ma condito anche di schizofrenia, i muri odierni sono reali, fatti di cemento e adornati da filo spinato, torrette di controllo e videocamere, creano essi stessi alienazione e sono il frutto di una moderna schizofrenia secondo la quale gli esseri umani, alcuni esseri umani vanno rinchiusi , nascondendo la vista delle loro miserie, debolezze e misfatti a tutti gli altri.

Proprio come si è fatto nella Repubblica Dominicana dove, quando in occasione della visita del Papa fu costruito un muro affinchè non vedesse la miseria della gente.O come il muro dei ricordi di Adolfo Pèrez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980, il muro cioè che la dittatura argentina di cui egli stesso fu prigioniero, fece costruire nella città di Rosario affinchè le delegazioni straniere ospiti per i mondiali di calcio del 1978 non potessero vedere le miserie di Villa Las Flores, uno dei quartieri più poveri dell’intero paese.

E probabilmente in questi giorni c’è già chi sta pensando di costruire muri nello spazio, perché, citando Adolfo Pérez Esquivel “si continuerà a costruire i muri della stupidità e della crudeltà umana che oggi dividono il mondo. Dobbiamo riscattare l’umanità, riscattandoci a noi stessi e condividendo il cammino dei popoli nella diversità e nell’unità; dobbiamo saper ascoltare la Madre Terra e tutta la natura cui apparteniamo e che abbiamo il dovere di salvaguardare in questo piccolo pianeta chiamato Terra”.


Quanto è progressista Stiglitz.

0 commenti

Eduardo Gudynas

En Español

La figura dell’economista Joseph Stiglitz appare sempre più frequentemente come riferimento e fonte di ispirazione per tutti coloro che sostengono nuove politiche di sviluppo. Ci troviamo nella situazione in cui un economista tradizionale appare come una figura celebrata dai più diversi movimenti alternativi.
C’è qualcosa di strano in tutto questo: Stiglitz continua ad essere un economista convenzionale, non è il sostenitore di nessun cambiamento radicale né rivoluzionario nell’economia dello sviluppo, al contrario le sue posizioni sono quasi sempre ancorate alla tradizione liberale.
E’ vero che Stiglitz ha attaccato duramente alcune posizioni economiche attuali. Ma è necessario porre le sue argomentazioni in prospettiva.
Egli ha ottenuto notorietà per le sue forti critiche al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e specialmente su come venivano applicate alcune ricette di aggiustamento strutturale. Sebbene il suo libro più venduto, “La globalizzazione e i suoi oppositori” pubblicato nel 2002, nel titolo richiami ad una revisione di tutti i processi globali attuali, quello che in realtà prevale nelle sue pagine sono interrogativi e critiche al comportamento del FMI. Vi si trovano molte delle questioni e rivalità personali tipiche della comunità internazionale di Washington.
Stiglitz parte da una visione ristretta della globalizzazione. La definisce come un processo economico inteso come “l’eliminazione degli ostacoli al libero commercio ed una più ampia integrazione delle economie nazionali” e la cui “forza” è “l’arricchimento di tutti, in modo particolare dei poveri”. Questa è una visione della globalizzazione essenzialmente economica, che in se stessa ha un indiscusso potenziale positivo, mentre il dibattito dovrebbe basarsi piuttosto sul modo di “amministrare” la globalizzazione. Partendo da queste idee, ne “La globalizzazione e i suoi oppositori”, egli punta il dito specialmente contro il FMI. Quasi tutto ciò che scrive è vero; dalla miopia nell’applicazione degli strumenti fino all’arroganza dei suoi funzionari che fanno pressioni per riforme strutturali.
Ma Stiglitz non pone gli stessi interrogativi sull’istituzione sorella del FMI, cioè la Banca Mondiale. Ricordiamo che questo economista ha occupato una posizione di prestigio in questa banca dal 1997 al febbraio del 2000. Stiglitz ha una visione abbastanza semplicistica della Banca Mondiale, dal momento che la presenta come un’istituzione che dipende dalle decisioni del FMI e non affronta adeguatamente il suo ruolo come promotrice di iniziative e programmi di sviluppo, attraverso i quali si delineano dalle riforme della sicurezza sociale agli investimenti nelle infrastrutture. Sebbene meno noti delle famose lettere di intenti e dei programmi di aggiustamento strutturale del FMI, gli accordi con la Banca Mondiale, sia sotto forma di programmi allo sviluppo sia sotto forma di fondi strutturali, hanno rappresentato il fondamento degli studi sulle riforme di mercato fino a pochi anni fa. Negli anni in cui c’era Stiglitz non si sono registrate migliorie sostanziali atte a convertire l’impatto sociale e ambientale dei processi finanziati dalla Banca, e nemmeno sono migliorate le condizioni di trasparenza e accesso all’informazione.
Le relazioni della Banca Mondiale, e specialmente i suoi rapporti annuali sullo sviluppo mondiale, hanno ottenuto lo stesso trattamento. Certamente il volume sulla povertà (2000/2001) è stato al centro di un certa polemica, alla quale ha partecipato Stiglitz, ma in ogni modo l’accento era posto sulle riforme di “seconda generazione”. Negli anni di Stiglitz alla Banca Mondiale si erano completate la serie di proposte di riforme strutturali per l’America Latina, guidate dall’ufficio del capo economista responsabile della regione. In questi anni è apparso il conosciuto trio di pubblicazioni di Shahid, J. Burki e Guillermo Perry, con la lunga lista di riforme che si dovrebbero applicare in America Latina, dall’apertura commerciale alla decentralizzazione e municipalizzazione dello Stato. Molte di queste proposte sono state messe in pratica in alcuni paesi.
Sebbene Stiglitz abbia criticato la nomina di P. Wolwitz alla presidenza della Banca Mondiale (fatto che gli ha valso applausi), ricordiamo che i candidati erano l’ex presidente messicano Ernesto Zedillo, l’ex presidente della Banca Centrale del Brasile, Arminio Fraga e l’ex vicepresidente della Banca Mondiale, Kemal Dervis (Turchia). I punti a loro favore era che avevano esperienza di sviluppo economico e di mercati finanziari e che si erano laureati o tenevano lezioni nelle Università di Yale e Princeton o che potevano contare sull’appoggio del Financial Times (Stiglitz su El Pais, Madrid, 12 Marzo 2005). Queste non appaiono argomentazioni convincenti da una prospettiva rinnovatrice.
Certamente Stiglitz dice molte cose interessanti in materia di economia ed in alcuni momenti ha delle ispirazioni di eterodossia. E’ molto piacevole leggerlo e riflettere su alcuni punti. È anche vero che alcune sue critiche dirette al cuore della comunità dei tecnocrati globali di Washington, hanno un forte impatto. Bisogna però riconoscere che possiede una visione semplicistica della globalizzazione, dal momento che insiste sui suoi aspetti economici convenzionali. Una delle mie frasi preferite pronunciata da Stiglitz per dimostrare il suo semplicismo si trova nelle conclusioni di “La globalizzazione e i suoi oppositori”, quando afferma: “il mondo è complicato”. Ci si potrebbe aspettare che offrisse un’analisi un po’ più dettagliata, nonostante il fatto che nessuno possa negare che il mondo sia complicato. Questa stessa cosa la affermano molti altri economisti e leader sociali da molto più tempo e con maggiori dettagli.
È evidente che nella globalizzazione influiscono anche altri processi, come quelli che vanno dall’ambito delle ideologie politiche ai modelli culturali di consumo. Stiglitz li rammenta ogni tanto, a volte li intuisce, ma non li elabora in profondità. Per esempio non indaga su una economia alternativa sul tema della povertà, non ha un confronto con le posizioni di Amartya Sen, dovrebbe analizzare e molto più approfonditamente una riforma politica per una nuova economia, e così via con altre questioni. In quasi tutti gli scritti di Stiglitz si finisce per notare che manca lo sviluppo delle problematiche, si annuncia una analisi interessante, si presume che ci sia un approfondimento della materia, come nel caso della OMC o del rinnovamento delle Nazioni Unite… ma restiamo sulla superficie del rinnovamento amministrativo e delle riforme da attuare tramite la gestione. Le proposte alternative di Stiglitz sono quasi una rapida revisione, appesantite da una certa aria di superiorità e per questo motivo somigliano più a dei ricettari. Si tratta di “un’altra ricetta” con alcuni aspetti interessanti ma sempre una ricetta. Certamente l’esempio più chiaro fu il suo scritto “verso una nuova agenda per l’America Latina” pubblicato dal CEPAL nel 2003 e riprodotto in molti paesi. Buona parte delle sue proposte tuttavia sono molto generiche e non differiscono sostanzialmente dalle “nuove” riforme che si discutono in ambito CEPAL, BID e perfino nella stessa Banca Mondiale.
È fondamentale fare un passo avanti, e domandarsi perché ci siano tante persone affascinate dagli scritti di Stiglitz. Sembrerebbe che l’asse del dibattito si sia spostato verso destra, dal momento che un economista liberale come Stiglitz finisce per essere indicato come progressista. O piuttosto continuiamo i
mpacciatamente a cercare persone con prestigio, che abbiano un premio Nobel o una cattedra negli Stati Uniti. Non ci sono nel seno dei movimenti sociali economisti alternativi che dicano più o meno le stesse cose? Sicuramente esistono, nonostante José Luis Fiori abbia ragione quando afferma che la sinistra ha avuto molte difficoltà a produrre i suoi propri programmi economici. Proprio per questo non è il momento di guardare esclusivamente alle cattedre economiche universitarie dell’emisfero nord per promuovere ancora di più il dialogo e le analisi economiche all’interno dei propri movimenti sociali.

Eduardo Gudynas
Fonte: http://www.peripecias.com/
Link:http://www.peripecias.com/desarrollo/104GudynasStiglithtmlzCritica.
30.09.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI


Chi paga per il cambiamento climatico?

0 commenti

Peter Singer                                                                   EN ESPAÑOL
Ecoportal.net
16/09/06


Scrivo questo articolo da New York agli inizi di agosto, quando il sindaco ha dichiarato uno stato di emergenza per il caldo per prevenire interruzioni diffuse dell’erogazione di energia elettrica dovute dell’uso intenso dei condizionatori che si prevede.
Gli impiegati municipali potrebbero essere esposti a denunce penali se impostano i loro termostati sotto i 78 gradi Fahrenheit (25,5 Celcius). Ciò nonostante, l’utilizzo dell’energia elettrica ha raggiunto livelli senza precedenti.
Negli Stati Uniti, i primi sei mesi del 2006 sono stati i più caldi da più di un secolo a questa parte. Anche l’Europa sta sperimentando un’estate eccezionalmente calda.
La torrida estate settentrionale coincide perfettamente con la prima del documentario “Una verità scomoda”, che vanta la partecipazione dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Per mezzo di grafici, immagini, ed altri apporti notevoli, si argomenta in forma convincente che le nostre emissioni di diossido di carbonio stanno causando il riscaldamento del pianeta, o, come minimo, stanno contribuendo a causarlo e che quindi dobbiamo affrontare urgentemente questo problema.
Gli americani sono soliti parlare molto di moralità e di giustizia, ma la maggior parte di essi continua a non rendersi conto che il rifiuto del loro paese di firmare il Protocollo di Kyoto e l’atteggiamento che ne consegue, che tutto rimane uguale, in merito alle emissioni di gas ad effetto serra è uno degli errori morali più gravi.
Già sta avendo conseguenze nocive per gli altri e la maggiore ingiustizia è che sono i ricchi quelli che stanno utilizzando la maggior parte dell’energia che provoca le emissioni all’origine del cambio climatico, mentre saranno i poveri che si sobbarcheranno la maggior parte dei costi.
Per rendersi conto dell’ingiustizia, mi basta rivolgere uno sguardo al condizionatore che fa sì che la temperatura del mio studio sia sopportabile. So bene che ho fatto più di quello chiesto dal sindaco, impostando la temperatura su 28F (27C), ma continuo ad essere parte di un circuito di retroazione. Lotto contro il calore utilizzando più energia, e ciò contribuisce al consumo di più combustibile fossile e all’emissione di più gas ad effetto serra nell’atmosfera e ad un maggiore riscaldamento del pianeta.
È successo anche quando stavo vedendo “Una verità scomoda”: in una notte calda, la sala del cinema era così fresca che ho rimpianto di non esseremi portato una giacca.
Il caldo uccide. Un’ondata di caldo in Francia ha causato 35.000 morti nel 2003 ed un’altra simile in Gran Bretagna il mese scorso ha causato più di 2000 morti, secondo stime ufficiali. Anche se non si può attruibuire nessuna di queste ondate di caldo al riscaldamento del pianeta, ciò farà si che simili fenomeni siano più frequenti. Inoltre, se si permette che l’innalzamento della temperatura del pianeta continui, il numero di morti che si registrerà quando le precipitazioni si faranno più erratiche e causeranno tanto siccità prolungata quanto inondazioni molto gravi supererà di molto il numero di morti per il caldo in Europa. Uragani intensi e più freequenti ucciderannno molte più persone. Lo scioglimento dei ghiacciai polari causerà l’innalzamento del livello del mare, il quale inonderà le fertili regioni alle foci dei fiumi, dove centinaia di migliaia di persone coltivano i prodotti con i quali si nutrono. Si diffonderanno le malattie tropicali che uccideranno anche più persone.
Secondo cifre delle Nazioni Unite, nel 2002 le emissioni per abitante dei gas ad effetto serra negli Stati Uniti furono 16 volte superiori a quelle dell’India, 60 volte superiori a quelle del Bangladesh e più di 200 volte superiori a quelle dell’Etiopia, del Mali o del Chad. Altre nazioni sviluppate con emissioni quasi equivalenti a quelle degli USA sono Australia, Canada e Lussemburgo. D’altro canto Russia, Germania, Gran Bretagna , Italia, Francia e Spagna hanno livelli compresi tra la metà ed una quarta parte di quelli statunitensi.
Il livello di questi paesi continua ad essere superiore alla media mondiale e a più del 50 per cento di quello delle nazioni più povere nelle quali ci saranno morti causate per il riscaldamento del pianeta.
Se un soggetto che inquina danneggia un altro, il danneggiato di solito ha una difesa giuridica. Per esempio se una fabbrica riversa prodotti chimici tossici in un fiume che io uso per irrigare la mia produzione agricola e distrugge il mio raccolto, posso denunciare il proprietario della fabbrica. Se le nazioni ricche inquinano l’atmosfera con diossido di carbonio e distruggono i miei raccolti a causa dei cambiamenti nella frequenza delle precipitazioni o i miei terreni vengono inondati per un aumento del livello del mare non si dovrebbe anche poter sporgere denuncia?
Camilla Toulmin. che dirige l’International Institute for Enviroment and Development (IIED) ONG con sede in Londra, ha assistito ad una conferenza sul cambio climatico che Al Gore ha pronunciato in giugno. Gli ha domandato cosa pensasse in merito al risarcimento dei danni a coloro i quali sono più colpiti dal cambio climatico, ma hanno contribuito in misura minore a causarlo. La domanda sembrò averlo colto di sorpresa e lui non ha appoggiato l’idea. Come Toulmin, anche io mi domando se questa è una verità che risulta essere troppo scomoda, perfino per lui.

Peter Singer è PROFESSORE DI BIOETICA, UNIVERSITÀ DI PRINCETON – Clarín y Project Syndicate , 2006

Traduzione per comedonchisciotte a cura di  ANNALISA MELANDRI


Pagina 8 di 8« Prima...45678