La mafia è una montagna di merda!

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Uribe al terzo mandato?

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Alvaro Uribe

Le smanie di Uribe per  essere rieletto per la terza volta
di Maurizo Matteuzzi
21 agosto 2008
 
Si vedrà ora quale sarà la reazione dei paesi democratici dell’occidente (America in testa), degli ultrà del liberalismo (alla Vargas Llosa) e dei media della sinistra super-light (tipo il madrileno El País o la nostrana Repubblica) sempre pronti a gridare al lupo quando si tratta di Chávez, di Morales o di Correa. Si vedrà presto cosa diranno di uno dei loro beniamini, il colombiano Álvaro Uribe, che sbava per essere rieletto nel 2010 per un terzo mandato consecutivo — che la costituzione proibisce — e restare altri 4 anni al palazzo Nariño di Bogotá. Naturalmente, anche lui, non per ambizione personale ma «per garantire la continuità della sua politica di sicurezza democratica». Che, facendo della Colombia il (praticamente unico) vassallo degli Stati uniti nel Cono sud — è solo di qualche giorno fa l’annuncio della concessione per 10 anni di ben 7 basi militari agli Usa per combattere «il narco-traffico e il terrorismo» — e facendone quello che Chávez ha definito «l’Israele dell’America latina» rispetto ai paesi dell’area, ha portato a qualche innegabile successo, come la liberazione di Ingrid Betancourt e l’uccisione di Raúl Reyes, il numero due delle Farc (molto indebolite).
L’altro ieri, in concomitanza con la notizia che il brasiliano Lula ha escluso per l’ennesima volta l’ipotesi di un terzo mandato nel 2010 (previa anche in Brasile la riforma della costituzione), il senato colombiano ha approvato il progetto di legge che convoca un referendum per approvare la riforma della costituzione e consentire il terzo mandato consecutivo. 56 i voti a favore, tutti provenienti dai 7 partiti della coalizione uribista, 2 i contrari, ma i senatori d’opposizione se ne erano andati per protesta contro quella che uno di loro, il liberale Juan Manuel Galán (figlio del candidato presidenziale assassinato nell’89), ha definito «il massacro della costituzione del ’91». Una costituzione peraltro già riformata da Uribe 5 anni fa — comprandosi i voti, come ha dimostrato la magistratura — per consentirgli un secondo mandato. Caustico anche il commento su Uribe di Gustavo Petro, leader del Polo Democático Alternativo (sinistra moderata): «In 8 anni non è stato capace di togliere lo Stato dalle mani delle mafie». In evidente riferimento alle «infiltrazioni» (eufemismo) dei para-militari — i grandi alleati di Uribe — nei gangli statali più vitali.
Finora Uribe faceva lo gnorri. Sembrava guardare da lontano le smanie dei suoi scudieri intenti a raccogliere le firme popolari necessarie per spingere il Congresso a votare la legge sul referendum (alla fine ne sono state raccolte più di 4 milioni). In maggio sembrava addirittura prendere le distanze: il terzo mandato «mi sembra sconveniente perché perpetua il presidente e sul piano personale perché non vorrei apparire come uno aggrappato al potere». Tutto fumo. Martedì la legge sarà alla Camera, dove dovrebbe passare. Poi l’ultima parola spetterà alla Corte costituzionale, dove potrebbe trovare qualche difficoltà. E alla fine, per essere valido, il referendum dovrà registrare un’affluenza di almeno il 25% dell’elettorato (7.4 milioni, molti).

Redazione Dialogos a Telejato con Pino Maniaci

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Loro sono bravissimi, un valido esempio di coerenza e impegno per tutti noi. Lui è eccezionale. Chissà che ne verrà fuori…
 
I ragazzi di Corleone Dialogos domani condurranno il TG con Pino Maniaci di Telejato. Sono orgogliosa di essere loro amica (anche se a distanza) e supporter così come lo sono di aver conosciuto Pino  dal vivo e di avergli stretto la mano non tanto tempo fa,  in occasione della presentazione a Roma di AgoraVOX.
 
E’ bello percorrere le  strade dell’antimafia almeno idealmente insieme, perchè coloro che tra mille difficoltà e pericoli le battono quotidianamente,  sappiano di non essere soli.
 
Grandi ragazzi!

Bozza — (Quale progresso?)

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BOZZA (QUALE PROGRESSO?)


Ben inserito socialmente

stabile economicamente

moderato politicamente

socialmente accettabile

affidabile in ogni senso.

Mentre vi sforzate di essere tutto ciò,

il Partito Mondiale degli Economisti Globali

decreta

la condizione sub umana di miliardi di persone.

(21/03/08)

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Le radici storiche della fame: di Pietro Bevilacqua

Miseria dell sviluppo di Pietro Bevilacqua — Edizioni Laterza

tanto per interrogarsi un pò su cosa sia lo sviluppo e cosa intendiamo per progresso, visto che al riguardo ne ho sentite delle belle!


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Le radici storiche della fame: di Pietro Bevilacqua
Miseria dell sviluppo di Pietro Bevilacqua — Edizioni Laterza
tanto per interrogarsi un pò su cosa sia lo sviluppo e cosa intendiamo per progresso, visto che al riguardo ne ho sentite delle belle!

La lunga corsa dei Mapuche

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Rayen KvyehDi Geraldina Colotti
LE MONDE diplomatique — Il Manifesto
Giugno 2009
«In Cile, la siriuazione dei mapuche peggiora,
la repressione continua – dice la poetessa Rayen
Kvyeh al manifesto –. Nonostante le promesse
della presidente Michelle Bachelet, si continua ad applicare
la legge antiterrorismo del dittatore Pinochet.
Per far condannare in quanto terroristi i mapuche che
si battono per il recupero delle proprie terre, vengono
prodotte prove inaccessibili alla difesa e testimoni falsi
che depongono mascherati, pagati anche 50 milioni di
pesos. Spese che figurano nel bilancio della Procura
della repubblica». Al Museo delle arti e tradizioni popolari
di Roma, dove l’abbiamo incontrata, Rayen
Kvyeh ha presentato la sua nuova raccolta, Luna di cenere,
a cura di Antonio Melis. «Dall’oriente/ le voci degli
avi mi chiamano,/ il sogno dei loro fuochi/ circola
nel mio sangue ribelle…» recita una poesia dal titolo
Araucaria prigioniera. Rayen elenca i nomi delle comunità
colpite dalla costruzione delle centrali idroelettriche
dell’impresa spagnola Endesa (ora gruppo Enel),
nell’alto Bio bio, canta la resistenza ambientalista dei
mapuche, la battaglia per il recupero dei loro territori
ancestrali. Nella precedente raccolta, Luna dei primi
germogli, il testo a fronte era in mapudungun, l’idioma
dei mapuche, indice di una riscossa indigena che si evidenzia
anche sul piano culturale. Questa volta, invece,
il testo a fronte è in spagnolo: «La riappropriazione
della propria lingua, negata dalla colonizzazione e dagli
stati coloniali – scrive Antonio Melis nella nota introduttiva
–, si accompagna alla capacità di piegare
anche la lingua del colonizzatore al proprio mondo
simbolico ed etico». Un corpo a corpo accompagnato
dal suono del kul kul (uno strumento a fiato mapuche
ricavato da un corno bovino) e scandito dal ritmo del
kultrun, il tamburo usato dalla sciamana nelle cerimonie
rituali di questo popolo fiero e antico.
I mapuche, ovvero gente della terra. Un milione
circa di persone che vive tra la parte centromeridionale
del Cile e la capitale Santiago (un numero di poco
inferiore è presente oltre la cordigliera delle Ande, in
Argentina), e abita da tempi lontanissimi
in quei territori. «Per
più di mille anni – spiega Rayen
– la Nación mapuche si è estesa
su quei territori ancestrali, che
anticamente andavano dal fiume
Itata e al Reloncavi, in Cile , alle
attuali province di Neunquen, la
Pampa e il Rio Negro in Argentina.
La totalità del territorio, diviso
in mapu, era il Wallmapu. I
mapuche erano dediti all’orticultura,
al taglio degli alberi, alla
caccia e alla pesca, lavoravano
la ceramica e intrecciavano
cesti, celebravano il culto della Mapu Nuke, la madre
terra. Erano particolarmente abili nell’arte militare».
Una risorsa che ha permesso loro di resistere nel corso
del tempo alle diverse invasioni coloniali: la seconda
avanzata degli incas, che occupano e unificano gran
parte dei territori andini per diversi milioni di chilometri,
viene fermata, nel 1485, sul fiume Maule, a sud del
Cile. Anche l’invasione spagnola, nel 1500, si scontra
con quel popolo che non accetta di essere sottomesso.
Pedro Valdivia, che guida la spedizione, viene ucciso
nel 1553 nella battaglia di Tucapel e successivamente
la corona spagnola deve riconoscere l’indipendenza
territoriale dei mapuche dal fiume Bio-Bio al fiume
Tolten, nel sud del Cile, firmando a più riprese 36 trattati.
L’ultimo, nel 1803. Con toni epico-lirici, nella raccolta
Luna dei primi germogli (sempre pubblicata da
Gorée) Rayen torna a quel quadro storico, celebra gli
eroi mapuche e le figure femminili
che resistono all’invasione
e all’assimilazione culturale:
Lautaro, Caupolican o Guaconda
agiscono in simbiosi con la
natura, indicano uno dei motivi
ricorrenti nella produzione poetica
dell’autrice: la difesa della
Madre terra e dell’ambiente
contro l’avanzata delle multinazionali.
«La storia, certo, – afferma
Rayen – si può interpretare
in maniera lineare, e allora
le cose hanno un inizio e una
fine, e in questo percorso, a
volte, si sono potuti giustificare
i massacri di intere comunità.
Per gli indigeni, invece,
la storia si interpreta
in modo ciclico, a spirale,
secondo i principi filosofici
della visione cosmica: la fine
è l’inizio della seconda
spirale e così via andando avanti nel tempo. Non c’erano
barbari da civilizzare, ma popoli con una propria
cultura che un “progresso” ai fini del profitto ha
cercato di sottomettere o ha spazzato via». Un progresso
che, nella sezione della raccolta intitolata Menzogne
moderne, diventa un albero dal tronco vuoto anche
se «i suoi rami moltiplicano biglietti verdi». Un albero
devastante come l’eucalipto, imposto nella regione
dalle imprese forestali, che – recita un’altra poesia
– «produce una polvere biancastra che soffoca il respiro
dei bambini» e quando piove s’impasta con l’acqua
lungo i sentieri. Un tempo, «il confine si tracciava
con una cunetta», i winka (i colonizzatori) «ne hanno
scavato una nuova/ poi hanno piantato i pini» per recintare
le comunità.
Nella guerra tra Spagna e Cile, la maggioranza dei
mapuche appoggiò la Spagna, ma soprattutto cercò di
difendere i propri territori e la propria autonomia. Dal
1881, quando lo stato cileno occupò militarmente la
Nación mapuche riducendola a una riserva che oggi è
divisa in piccole proprietà private improduttive, quel
popolo non ha chinato la testa. Durante il governo Allende,
si batté per ottenere una riforma agraria poi interrotta
e distrutta dalla dittatura militare. Dopo la sua
caduta, fu in prima fila nelle organizzazioni armate partigiane
GERALDINA COLOTTI
Anche Rayen, nata nella provincia cilena di Malleko,
ha conosciuto le prigioni di Pinochet e la tortura.
Ne è uscita viva e ha potuto riparare all’estero, ma nei
suoi libri e nelle pièces teatrali che ha scritto, ha ricordato
i tanti mapuche che si sono opposti alla dittatura,
morti combattendo o desaparecidos. In Luna di cenere,
quell’esperienza ritorna. Come scrive Antonio Melis,
dalla finestra della cella la prigioniera non scorge il cielo
promesso dai conquistatori, ma la divinità tutelare
femminile dei mapuche. Per arrivare alla luce, sale su
una pila di libri, si serve cioè della cultura per combattere
l’oppressione… Il termine Nacion mapuche, come
quello di nazione indigena, oggi indica la realtà geosociale
dei popoli che non hanno stato, ma il territorio
mapuche – che ancora viene denominato La Frontera
in ricordo dei tempi passati – è una sorta di zona liberata.
E gli ül, i canti che accompagnano i momenti più
importanti della vita del popolo mapuche, raccontano
una storia non riconciliata.
contro la dittatura.

John Perkins: Confessioni di un sicario economico

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Capito Ecuador. Qui il video.


La Continuación de la política de Bush en América Latina por parte de Obama es un grave error

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Por Mark Weisbrot 


Este artículo fue publicado por el New York Times Online y el International Herald Tribune el 12 de agosto de 2009. Si el texto a continuación aparece distorsionado, por favor pulse aquí para una versión sin errores de formato. Para ver la versión original en inglés, por favor pulse aquí.


Había grandes esperanzas en América Latina cuando el presidente Obama fue elegido. La posición de EE.UU. en la región había alcanzado un punto muy bajo durante el mandato de George W. Bush, y todos los gobiernos de izquierda del hemisferio se mostraban optimistas de que Obama tomaría una dirección diferente.

Estas esperanzas se han desvanecido. El Presidente Obama ha continuado las políticas de Bush y en algunos casos las ha empeorado.

El derrocamiento militar del democráticamente elegido Presidente de Honduras Mel Zelaya el 28 de junio se ha convertido en un claro ejemplo del fracaso de Obama en el hemisferio. Había indicios de que algo andaba mal en Washington desde el comienzo, cuando la primera declaración de la Casa Blanca ni siquiera criticó, y mucho menos condenó el golpe. Era la única declaración de un gobierno tomando una posición neutral. La Asamblea General de las Naciones Unidas y la Organización de Estados Americanos votó unánimemente por “el regreso incondicional e inmediato” del Presidente Zelaya.

Algunas declaraciones contradictorias emergieron de la Casa Blanca y del Departamento de Estado en los días siguientes, pero el viernes pasado el Departamento de Estado dejó en claro su “neutralidad” entre la dictadura y el presidente democráticamente electo de Honduras. En una carta dirigida al senador Richard Lugar, el Departamento de Estado dijo que “nuestra política y estrategia para la acción no se basa en el apoyo a cualquier político o persona”, y pareció culpar Presidente Zelaya por el golpe: “la insistencia del Presidente Zelaya en emprender acciones de provocación contribuyó a la polarización de la sociedad hondureña y condujo a un enfrentamiento que desencadenó los acontecimientos que llevaron a su expulsión. ”

Esta carta se divulgó en todos los medios de comunicación de  Honduras, los cuales están controlados por el gobierno golpista y sus partidarios, y una vez más los fortaleció políticamente. Los congresistas republicanos que han apoyado el golpe de inmediato cantaron victoria.

El lunes el Presidente Obama repitió su anterior declaración de que Zelaya debe retornar al poder. Pero para entonces ya no engañó a nadie.

Obama ha dicho que “no puede apretar un botón y de repente restablecer al Sr. Zelaya.” Pero él no ha accionado las palancas que tiene a su disposición, tales como la congelación de los activos en los EE.UU. pertenecientes a los líderes del gobierno golpista y sus partidarios, o la cancelación de sus visas. (El Departamento de Estado canceló cinco visados diplomáticos de miembros del gobierno golpista, pero ellos aún pueden entrar en los Estados Unidos con una visa normal — por lo que este gesto no tuvo ningún efecto).

Con individuos asociados a Clinton como Lanny Davis y Bennett Ratcliff ejecutando la estrategia para el gobierno golpista, el Pentágono procurando su base militar en Honduras, y los republicanos vinculados ideológicamente a los líderes del golpe, no debería sorprender que Washington esté más preocupado por la protección de sus amigos en la dictadura que por principios como la democracia o el cumplimiento de la ley.

Esto, sin embargo, no justifica la política de Obama ni la hace menos vergonzosa. Washington también ha mantenido un silencio revelador sobre las atrocidades y violaciones de los derechos humanos cometidas por la dictadura: el asesinato de al menos diez activistas de la oposición, la detención e intimidación de periodistas, el cierre de las estaciones de televisión y radio independientes, y otros abusos condenados por  Amnistía Internacional, Human Rights Watch y organizaciones de derechos humanos en todo el mundo.

Además de su fracaso en Honduras, la administración Obama provocó declaraciones públicas de preocupación la semana pasada provenientes de líderes como el Presidente Lula da Silva de Brasil y Michelle Bachelet de Chile — junto con otros presidentes — con su decisión de aumentar la presencia militar de los EE.UU. en siete bases en Colombia. Al parecer Washington no consultó con los gobiernos de América del Sur — excepto Colombia — antes de actuar. El pretexto para la expansión, como de costumbre, es la “guerra contra las drogas”. Sin embargo la legislación en el Congreso que financiaría esta expansión permite un papel mucho más amplio, no es de extrañar que América del Sur sospeche. Obama no ha revertido la decisión del Gobierno de Bush de reactivar la Cuarta Flota de la Armada de EE.UU. en el Caribe, por primera vez desde 1950 — una decisión que motivó preocupación en Brasil y otros países

El Presidente Obama también mantuvo las sanciones comerciales de la Administración Bush contra Bolivia, que se perciben en toda la región como una afrenta a la soberanía nacional de Bolivia.  Y también, a pesar del mundialmente famoso apretón de manos de Obama con el Presidente Chávez, el Departamento de Estado ha mantenido el mismo nivel de hostilidad hacia Venezuela — en su mayoría en forma de denuncias públicas — como el Presidente Bush hizo en sus últimos dos años.

Las políticas de Obama sólo han provocado reproches leves porque aun goza de su luna de miel, y porque él no es Bush, y porque la mayoría de los medios de comunicación lo sobrelleva. Pero está haciendo un daño grave a  las relaciones de Estados Unidos con América Latina, y a las perspectivas de democracia y progreso social en la región.


Dedé Mirabal: Vivas en su jardín

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Mucho se ha escrito sobre las hermanas Mirabal.
Su vocacion de libertad, sus lindas vidas, sus muertes horrendas, han inspirado valioso libros y numerosos artículos.
La grandeza del sacrificio de esas mujeres, que pone en evidencia el mezquino tamaño de una dictadura de opereta, sigue multiplicando, así  que pasen los años, la dmiracion y la curiosidad de mucha gente, en muchos lugares.
Pero entre todo lo dicho y lo escrito, Vivas en su jardín se destaca poor su valor irrepetible:  este entrañable testimonio es la historia narrada desde adentro, dictada por la memoria que la vivió.
Dedé Mirabal, la unica sobreviviente, vivió para contarla.
Eduardo Galeano
 
 
Porque
hay columnas de mármol impetuoso no rendidas al tiempo
y pirámides absolutas erigidas sobre las civilizaciones
que no pueden resistir la muerte de ciertas mariposas.
Pedro Mir
Amén de Mariposas

Rafael Correa inizia formalmente il suo secondo mandato

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In Ecuador il presidente Rafael  Correa dà inizio formale al suo secondo mandato dopo le elezioni dell’aprile scorso. Nella foto,  riceve proprio nella giornata Internazionale delle Popolazioni Indigene,  il bastone sacro del comando, un simbolo importante dei nativi andini. Ha promesso di governare altro quattri anni dando priorità “ai poveri, ai giovani e ai popoli ancestrali”. Nonostante le critiche di alcuni settori più radicali dei movimenti indigeni e sindacali del suo paese, può contare ancora con una popolarità superiore al 50%. Qui un interessante articolo (in spagnolo) sulle ragioni del suo successo.

Evo Morales y Rafael Correa

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Ecuador, 9 agosto 2009. Cerimonia della consegna del sacro bastone di comando indigeno in occasione dell’inizio formale del secondo mandato del presidente Rafael Correa

 


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