Colombia ed Ecuador sempre più divise da fumigazioni e basi militari

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di Antonio Mazzeo

Da quel maledetto giorno del marzo 2008 in cui l’esercito colombiano bombardò l’accampamento della guerriglia installato in territorio ecuadoriano, assassinando il numero due delle FARC Raul Reyes, i due paesi latinoamericani hanno rotto le loro relazioni diplomatiche. Adesso il governo di Alvaro Uribe dovrà presentarsi di fronte la Corte internazionale di giustizia dell’Aja per rispondere dei “danni incalcolabili” all’ambiente e alla salute delle popolazioni indigene e afrodiscendenti generati dalle incessanti fumigazioni delle coltivazioni di coca alla frontiera con l’Ecuador.

Il ministro degli esteri ecuadoriano, Fander Falconí, ha presentato al massimo organo di giustizia internazionale una memoria di 450 pagine con oltre 2.900 documenti annessi, chiedendo formalmente la cessazione da parte delle forze armate colombiane delle operazioni di dispersione degli erbicidi, più l’imposizione di “indennizzi e riparazioni” a favore delle popolazioni vittime delle fumigazioni. La richiesta, ha spiegato il diplomatico, si basa sull’impatto che, tra il 2000 e il 2007, è stato causato da “micidiali cocktail chimici” su cui la Colombia “non ha voluto fornito precise informazioni”, utilizzati congiuntamente al glifosato, il potente erbicida commercializzato dalla transnazionale “Monsanto” con il nome di “Round-up”. “L’Ecuador ha potuto dimostrare che le aspersioni hanno provocato danni oltre a costituire, per i loro effetti, in territorio ecuadoriano una violazione della sovranità nazionale e dei diritti dei popoli indigeni”, ha aggiunto Fander Falconí.

Diego Cordovez, rappresentante dell’Ecuador presso la Corte Internazionale ed ex segretario generale aggiunto degli Affari Politici delle Nazioni Unite, ha spiegato che le fumigazioni nei dipartimenti meridionali della Colombia hanno pregiudicato in particolare la popolazione indigena degli Awa. “Essi vivono in isolamento volontario, ma l’erbicida causa un problema ambientale molto preoccupante”, ha dichiarato Cordovez. “Chiediamo che si rispetti una striscia di almeno 10 chilometri dalla frontiera con l’Ecuador per evitare ciò che i ricercatori chiamano “l’effetto deriva” delle fumigazioni”.

Come provato da prestigiosi istituti scientifici ed universitari, l’uso sistematico del glifosato è estremamente pericoloso. E la nocività del prodotto “Monsanto” è nota da lungo tempo alle stesse autorità militari colombiane. Nel 1984, in occasione della prima massiccia utilizzazione del glifosato contro le piantagioni di marijuana della regione settentrionale della Sierra Nevada di Santa Marta, per prevenire gravi pregiudizi alle popolazioni indigene, le forze armate colombiane imposero con la violenza l’allontanamento degli abitanti e la loro deportazione in aree distanti dai territori fumigati. Bogotà era entrata in possesso di un documento in cui la società produttrice del “Round-up” ammetteva che “piccole quantità dell’erbicida possono causare danni e distruzione della vegetazione  e della fauna, specie in condizioni climatiche del tutto simili a quelle della Sierra e di buona parte della regione andina”. Nel 1992, l’organizzazione ecologista internazionale Greenpeace presentò un rapporto che rivelava la presenza nel glifosato di “elementi dispersi altamente tossici come la polyoxethylamine (Poea) e la 1,4-dioxane”. Greenpeace denunciò inoltre che il laboratorio a cui il governo degli Stati Uniti aveva affidato la verifica sulla tossicità del glifosato, aveva “alterato l’80% delle 22.000 prove di analisi realizzate”.

Ciononostante, fu deciso di utilizzare “sperimentalmente” il “Round-up” nella jungla meridionale di Panama e, a partire del 1994, contro le coltivazioni di coca dell’area andina della Colombia. Tre anni più tardi, le forze armate colombiane iniziarono le fumigazioni con nuovi e più devastanti erbicidi granulari, come l’Imazapyr e l’Hexaxinona prodotti dalla “Dupont”, che contaminarono suolo e fiumi e causarono danni irreversibili agli occhi, alla pelle e all’apparato respiratorio delle persone che entrano in contatto con essi. Con il Plan Colombia, il programma di aiuti militari per oltre 5,5 miliardi di dollari che Washington implementò a fine anni ’90 per debellare dal continente le ultime organizzazioni guerrigliere, le fumigazioni con contaminanti tossici sono state estese all’intero territorio colombiano e in particolare alla regione amazzonica di frontiera con Ecuador, Perù e Brasile.

È stata la base aeronavale di Manta, in Ecuador, ad avere assunto un ruolo chiave nella cosiddetta “guerra alla droga e al narcotraffico” scatenata dall’amministrazione Bush in America latina. L’uso dell’installazione fu concesso alle forze armate USA il 12 novembre 1999 per un periodo di 10 anni, rinnovabile. Washington assicurò investimenti per oltre 70 milioni di dollari trasformando in breve tempo Manta nel maggiore scalo operativo del continente per i cacciabombardieri, gli aerei cargo C-550, i velivoli cisterna Kc-135 e gli aerei radar Awacs delle forze armate statunitensi. Fu altresì autorizzato dal governo di Quito lo stazionamento nella base di 300 militari e tecnici USA.

Grazie a Manta, gli Stati Uniti si sono garantiti il pieno controllo dello spazio aereo del sud della Colombia e del corridoio oceanico che dall’Ecuador si estende sino a Panama, utilizzato dalle imbarcazioni di fortuna dei migranti latinoamericani che tentano di raggiungere il Messico e la California. Le operazioni di spionaggio ed allerta area condotte dalla base ecuadoriana sono coordinate dal “Joint Interagency Task Force South” di Miami (Florida), un comando speciale che vede la partecipazione dei rappresentanti di otto agenzie delle forze armate e dei servizi segreti USA e di undici paesi stranieri (Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador, El Salvador, Francia, Gran Bretagna, Messico, Olanda, Perù, Spagna).

Oggi, Manta rappresenta però un ulteriore elemento di divisione politico-diplomatica tra Ecuador e Colombia ed Ecuador e Stati Uniti d’America. Il governo di Rafael Correa ha deciso di non rinnovare il “contratto” decennale all’uso della base aerea; entro l’11 novembre 2009, gli Stati Uniti saranno costretti a smantellare impianti e sistemi radar e ritirare militari e forze aree. Ripercussioni strategiche per i piani del Pentagono di riposizionamento nel continente latinoamericano? Pochissime, dato che il regime di Alvaro Uribe è venuto prontamente incontro alle esigenze dell’alleato nordamericano, offrendo il territorio nazionale come alternativa a Manta. Il 3 marzo 2009, è stato sottoscritto un accordo (il cui contenuto è ancora segreto) che consentirà alle forze armate statunitensi di accrescere la propria presenza in alcune delle maggiori basi militari colombiane. “Stati Uniti e Colombia stanno operando congiuntamente nella lotta contro il traffico illegale di droga e il crimine internazionale”, ha dichiarato l’ambasciatore USA a Bogotà, William Brownfield. “Parte di questa collaborazione, senza dubbio, richiede l’accesso alle basi militari in entrambi i paesi, cosa che richiede la definizione di un accordo. Tuttavia, un’eventuale base aerea continuerà ad essere sotto il controllo e la giurisdizione colombiana”.

A Bogotà si nega che all’orizzonte ci sia la realizzazione nel paese di una base che possa rassomigliare a quella utilizzata sino ad oggi Manta, con una presenza stabile di personale USA. Il comandante delle forze armate colombiane, generale Freddy Padilla, ha dichiarato che ci si limiterà a concedere a Washington l’uso di “basi militari per permettere agli aerei di rifornirsi di carburante e portare a compimento le loro azioni antidroga”. Versione scarsamente credibile, non fosse altro che questa autorizzazione è in vigore da tempi ormai remoti e riguarda pure la sosta di aerei spia e dei velivoli impegnati nelle fumigazioni di proprietà di società di sicurezza privata USA.

Nonostante siano ormai sotto gli occhi di tutti le devastazioni socio-ambientali causate dal Plan Colombia e il completo fallimento dello strumento militare per impedire la proliferazione delle coltivazioni di coca, la Colombia è stata assunta come esempio di “buone pratiche” da Washington e dall’Agenzia anti-droga delle Nazioni Unite. Alvaro Uribe ha pure risposto positivamente all’ipotesi di inviare personale tecnico-militare colombiano in Afghanistan per addestrare le truppe NATO nella lotta al narcotraffico e contribuire alle operazioni di sminamento della regione. A finanziare la presenza dell’esercito colombiano nel paese asiatico ci penseranno i governi degli Stati Uniti e della Spagna.


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