Colombian Hackers allʹattacco

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Da alcune ore Anonymous Iberoamerica, sta diffondendo tramite le sue pagine  Facebook e Twitter  i dettagli di tutta una serie di attacchi informatici realizzati contro i centri di potere politici ed economici della Colombia.

Il Partito della U in serata si é visto costretto a chiudere lʹaccesso alle sue pagine in rete  in quanto gli hacker avevano  reso pubblici i nomi e cognomi, le password e gli indirizzi di posta elettronica degli affiliati.

Base de Datos Partido U expuesta! (base dati accesibile!) ha comunicato Colombian Hackers  su Twitter. (altro…)


Gobierno Álvaro Uribe: apenas unos cuantos escándalos…

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criminal

Leo da El Universal — Caracas a propósito de la detención del ex ministro de Agricultura del gobierno de Uribe y hombre de confianza del ex mandatario colombiano:

La adjudicación de subsidios agrícolas fue uno de los peores escándalos que afrontó el Gobierno de Uribe, junto con las ejecuciones extrajudiciales de civiles por parte de algunos efectivos del Ejército y los seguimientos e interceptaciones ilegales de comunicaciones a magistrados, políticos de la oposición y periodistas. … (altro…)


Patria es Solidaridad: dal Venezuela solidarietà con i prigionieri politici colombiani

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Nonostante il governo colombiano si neghi a considerarli tali, sono più di 7500 i prigionieri politici rinchiusi in condizioni disumane nelle prigioni  della Colombia. Proprio il fatto di non accettare  il loro status di prigionieri politici (questo vorrebbe dire considerare i guerriglieri come belligeranti e non come terroristi)  fa parte della strategia  con la quale lo Stato continua a negare la  matrice politica e sociale del conflitto che da più di 50 anni affligge il paese.

7500 sono gli attivisti, i politici, i sindacalisti, appartenenti ai movimenti giovanili, difensori dei diritti umani, intellettuali e guerriglieri che, ognuno a suo modo,  e dalle proprie trincee di lotta, rappresentano le mille sfaccettature della resistenza  politica e sociale colombiana, invisibilizzata sistematicamente agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

La giornalista colombiana Azalea Robles parla di “distorsione  mediatica”  dei prigionieri politici nelle carceri colombiane, contrariamente a quanto accade invece  per i prigionieri nelle mani della guerriglia,   per i quali invece si ha una vera e propria sovraesposizione nei mezzi di comunicazione del paese.

D’altra parte si sa che in Colombia l’ opposizione politica ha  poche vie di scampo: sottoterra in una delle centinaia di fosse comuni che ogni tanto vengono alla luce o dietro le sbarre di una prigione. E’ il volto purtroppo ancora troppo nascosto di un paese che l’opinione pubblica internazionale continua a chiamare “democrazia”. (altro…)


Si se calla el cantor… (a Julián Conrado)

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http://refugioajulian.blogspot.com/

Si se calla el cantor…

Si se calla el cantor calla la vida
porque la vida, la vida misma es todo un canto
si se calla el cantor, muere de espanto
la esperanza, la luz y la alegría.

Si se calla el cantor se quedan solos
los humildes gorriones de los diarios,
los obreros del puerto se persignan
quién habrá de luchar por su salario.

HABLADO
‘Que ha de ser de la vida si el que canta
no levanta su voz en las tribunas
por el que sufre,´por el que no hay
ninguna razón que lo condene a andar sin manta’

Si se calla el cantor muere la rosa
de que sirve la rosa sin el canto
debe el canto ser luz sobre los campos
iluminando siempre a los de abajo.

Que no calle el cantor porque el silencio
cobarde apaña la maldad que oprime,
no saben los cantores de agachadas
no callarán jamás de frente al crimén.

HABLADO
‘Que se levanten todas las banderas
cuando el cantor se plante con su grito
que mil guitarras desangren en la noche
una inmortal canción al infinito’.

Si se calla el cantor … calla la vida.

 

Blog en solidaridad a Julián

 

 


Intervista a Ramiro Orjuela, avvocato del giornalista Joaquín Pérez Becerra

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Intervista video realizzata  dallˈ Associazione Nazionale Nuova Colombia

 

Intervista a Ramiro Orjuela


La Comunità di Pace di San José de Apartadò ancora sotto minaccia paramilitare

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Ricevo e diffondo anche se con un poco di ritardo due appelli di due associazioni che da anni lavorano con la Comunitá di Pace San José di Apartadó. Il primo viene dai volontari di Operazione Colomba, un corpo di pace della Comunitá Papa Giovanni XXIII che denunciano come nel dipartimento di Cordoba alcune famiglie della Comunitá di Pace sarebbero sotto minacce costanti di paramilitari presumibilmente  finanzati dalla Impresa URRÁ S.A. costruttrice della diga URRÁI  che giá in passato usó questi metodi per provocare lo sfollamento delle famiglie e che ora, dovendo costruire la seconda diga,  ritenta con le stesse modalitá criminali.

La seconda é una lettera che gli amici della Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive!, hanno inviato alla presidenza della Repubblica della Colombia e alla dirigenza dell´impresa URRÁ S..A  denunciando quanto sopra esposto.

Rimini, 12 maggio 2011

COMUNICATO STAMPA

Volontari di Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII

denunciano la gravità della situazione nel nord della Colombia

I volontari di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII (www.apg23.org), da una settimana si trovano nel dipartimento di Cordoba, nel nord della Colombia,

per proteggere alcune famiglie della Comunità di Pace di San José de Apartadò che risiedono in quell’area.

La Comunità di Pace di San José de Apartadò (www.cdpsanjose.org) è composta da circa 1.500 persone, sparse tra il dipartimento di Antioquia e quello di Cordoba, che si sono unite per resistere al

conflitto armato colombiano in maniera neutrale e nonviolenta.

La Comunità di Pace ha richiesto ai volontari di Operazione Colomba, che operano in quell’area da circa 2 anni, di prolungare la propria permanenza nella zona di Cordoba in seguito all’aggravarsi della

situazione.

Secondo numerose fonti, infatti, gruppi paramilitari locali stanno causando lo sfollamento delle comunità contadine residenti nell’area circostante al lago artificiale creato dalla diga URRÁ I

(costruita una decina d’anni fa dall’Impresa URRÁ S.A., www.urra.com.co).

In particolare le veredas (piccoli villaggi) maggiormente esposte sarebbero quelle di Alto Joaquin, Porto Nuevo, Las Claras, Nain, Taparito, Diamante, Manzo, Rio Verde, Baltazar.

I paramilitari starebbero minacciando i contadini dell’area di compiere massacri indiscriminati o di uccidere i loro leader locali (come avvenne per la costruzione della diga URRÁ I).

Indipendentemente dall’attuazione o meno di tali minacce, queste notizie stanno generando grande panico e preoccupazione, tanto che alcune famiglie hanno già abbandonato la zona o sono in procinto

di farlo.

Secondo la testimonianza di alcuni paramilitari, la stessa Impresa URRÁ S.A. starebbe finanziando il loro delittuoso operato al fine di sgomberare l’area dai civili e lasciare mano libera alla costruzione

della seconda diga, alle concessioni minerarie e al narcotraffico.

Tutto questo avviene nella totale impunità e sotto gli occhi della forza pubblica.

Questa area definita come Alto Sinù è uno dei patrimoni più ricchi della Colombia per la presenza di miniere d’oro, carbone, nichel e ferro, nonché uno dei più grandi bacini idrici di tutta l’America Latina.

La costruzione della diga URRÁ II e le voci dell’imminente ampliamento del Parco nazionale Naturale del Nudo Paramillo, che coinvolgerebbe queste stesse aree, nascondono interessi economici enormi per

imprese multinazionali colombiane e straniere che per questo sono disposte a non tener conto delle morti e dello sfollamento di migliaia di persone.

I volontari di Operazione Colomba, con una presenza internazionale e nonviolenta, contrastano l’uso della forza di tutti gli attori armati sui civili.

Per maggiori informazioni sul progetto di Operazione Colomba in Colombia:

www.operazionecolomba.it

Il Responsabile Generale

Giovanni Ramonda

Per contatti:

Marco Ghisoni

Tel. 0541.29005

Mail: opcolatapg23dotorg

Iscrizione

 

A seguire pubblichiamo un appello molto importante per tentare di fare pressione internazionale sulla Presidenza della Repubblica Colombiana per la grave situazione di violenza che stanno subendo le famiglie della regione dell’Alto Sinù, tra le quali alcune della Comunità di Pace di San José de Apartadò, accompagnate e sostenute da due anni da una presenza costante e nonviolenta sul territorio dei volontari di Operazione Colomba.

 

Comunità di Pace e volontari hanno bisogno anche del tuo impegno per fermare la violenza.
Questa azione urgente è promossa dalla Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive! con la quale Operazione Colomba lavora a supporto della Comunità di Pace di San José de Apartadò.

 

 

Appello Urgente

Care e cari,

in queste ultime settimane le aggressioni dei paramilitari nel territorio della Comunità di Pace di San José de Apartadò si sono intensificate e sono almeno tre gli omicidi compiuti e decine le pressioni fisiche e psicologiche sui vari membri della Comunità, sia nel territorio di San José che nel Municipio di Tierralta (Cordoba).
Ci sono almeno quattro basi paramilitari nella zona che operano in connivenza con membri dell’Esercito e della Polizia.
Per questo abbiamo fatto, come Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive!, una lettera aperta al Presidente colombiano Santos che abbiamo inviato in copia anche ad altri rappresentanti del governo e ai responsabili dell’Impresa Urrà.

Vi invitiamo, oltre che a diffondere la lettera tra i vostri contatti (scaricabile a fine pagina in forma integrale sia in italiano che in spagnolo), a copiare il testo (che e’ in forma ridotta ed esclusivamente in spagnolo) che segue ed inviarlo, con la vostra firma personale, o nome dell’Associazione, o Ente Locale che rappresentate, al Presidente Santos:

Basta andare al seguente link: http://syscopre.presidencia.gov.co/publico/frmCiudadano.aspx

Vi verranno chiesti alcuni dati che vi suggeriamo di riempire con le seguenti informazioni, affinché tutte le denunce arrivino con lo stesso formato:

En Departamento seleccionar: Antioquia

En municipio: Carepa

Teléfono: …

Mail: …

Asunto: Amenazan con masacres a campesinos/as de la Comunidad de Paz

Tema: DENUNCIAS

Sub-Tema: DERECHOS HUMANOS

En mensaje: (Copiare e incollare il seguente testo — versione corta, meno di 4000 caratteri)

PARAMILITARES AMENANZAN A LOS CAMPESINOS DE SAN JOSE DE APARTADÓ Y TIERRALTA.
SOS para que las autoridades competentes tomen las medidas necesarias para salvaguardar la integridad de los habitantes de San José de Apartadó y del municipio de Tierralta y, en especial, la de los campesinos/as de la Comunidad de Paz de estas localidades, frente a las amenazas de paramilitares que siguen actuando en la zona de Urabá.
De acuerdo con las denuncias de los pobladores y de los observadores internacionales que los acompañan, en las proximidades de la Comunidad sigue habiendo bases paramilitares, cuyos agentes continúan realizando acciones terroristas con la tolerancia, de miembros de la Brigada XVII del Ejército y de la Policía Nacional.
Los campesinos de la Comunidad denunciaron la irrupción paramilitar, nada más y nada menos el 5 de mayo pasado, en la vereda Murillo, en la cual preguntaron por algunos de sus integrantes y amenazaron con una nueva masacre si éstos no desalojaban la zona. Tal como el congresista Iván Cepeda denunció, “todo esto ocurre al mismo tiempo que la XVII Brigada que dirige el General Hernán Giraldo hace una presencia muy fuerte en la región. Así que es inexplicable esa connivencia entre estructuras paramilitares y el Ejército y la Policía Nacional, en un radio que es de pocos kilómetros, una zona que está perfectamente controlada por el Ejército pero que también, al parecer, está controlada por grupos paramilitares”.
Ante tal situación ¿Cómo se pueden entender las respuestas y comunicaciones oficiales del gobierno a las denuncias internacionales de violación de la vida y de la dignidad de los campesinos y campesinas que hacen parte de la Comunidad de Paz? Si por un lado, el gobierno expresa la voluntad de cumplir las medidas provisionales de protección decretadas por la Corte Interamericana de Derechos Humanos a favor de la Comunidad de Paz; por el otro, en el terreno y sobre la vida misma de estos ciudadanos colombianos, se verifican casos de amenazas e incursiones de grupos paramilitares; estigmatización mediante la difusión de falsas noticias por parte de militares de la Brigada XVII y, enfrentamientos armados entre paramilitares y grupos guerrilleros.
Entonces, Señor Presidente, Juan Manuel Santos, atendiendo a su cargo de Jefe máximo del Estado y garante de los derechos y libertades de todos los colombianos, le solicitamos comedidamente, se interese y coordine las acciones pertinentes para evitar las violaciones a las que están permanentemente sometidos los campesinos/as de la Comunidad de Paz y de veredas cercanas a ésta. Asimismo le solicitamos, en su calidad de Jefe de Estado, Jefe del Gobierno y Suprema Autoridad Administrativa, se personalice de la grave situación humanitaria por la que atraviesan, a causa de la presencia y el actuar paramilitar, los pobladores de las veredas que colindan con el proyecto de la represa Urrá II: Alto Joaquín, Porto Nuevo, Las Claras, Nain, Taparito, Diamante, Manzo, Rio Verde, Baltazar y, Murmullo, del municipio de Tierralta departamento de Córdoba.
Agradecemos también que informe a la opinión pública sobre los procesos penales que se llevan a cabo para juzgar a los responsables de dichas acciones terroristas ya que, como usted bien sabe, son crímenes que por su naturaleza amenazan a la entera humanidad.
Respetuoso saludo.

(Firmate con il nome della vostra Associazione, Ente Locale, o nome e cognome se lo mandate come persona singola)

Vi ringrazio per tutto l’appoggio che potrete dare,

 

 

Carla Mariani ( Volontaria rete Colombia Vive!)

P.S. Simona, coordinatrice della Rete, è a Bruxelles impegnata nell’assemblea OIDHACO

Lettera aperta a Santos


Rete Italiana di Solidarietà, Colombia Vive! Onlus
Sede legale: Comune di Narni, Ufficio per la Pace, Piazza dei Priori, 1
CAP: 05035 Narni (Tr) Italia
Fax ++39 0744 715270 begin_of_the_skype_highlighting              0744 715270      end_of_the_skype_highlighting
E-mail: reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom  (reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom)  Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo
www.reteitaliana-colombiavive.org

 


Lettera aperta al Venezuela di Bolívar

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Narciso Isa Conde

 

Lettera aperta al Venezuela di Bolívar

di Narciso Isa Conde

 

Stimati/e compagni/e  e connazionali della nostra America:

Ci sono forti segnali   che indicano come il   governo bolivariano del Venezuela sia caduto nella trappola della collaborazione con quello della  Colombia, rispetto  alla  criminalizzazione di quanti/e si battono e solidarizzano con la lotta per la  libertà, per la pace con dignità e per l’emancipazione  di questo paese fraterno, flagellato da oltre cinquanta anni da una guerra sporca messa a punto  dal potere con il patrocinio USA. In questo contesto “penalizzante” sono stato preso di mira  dalla perversa alleanza tra la Colombia  e gli Stati Uniti.

L’ ostilità del regime colombiano è stata sistematica da un certo periodo di tempo a questa parte e proprio  rispetto a questo fatto,  alcuni mesi fa una fonte affidabile mi ha dato informazioni avvisandomi del rischio di viaggiare all’ estero attraverso o verso paesi che non offrivano garanzie di rifiuto alle pretese della Colombia e degli Stati Uniti  di detenermi  per processarmi o uccidermi, a seconda dei casi.   Qualcosa di simile si tramava – e si trama contro altri compagni.

Nello specifico, in vista del fatto che queste intenzioni erano sempre più accertate,   mi si raccomandò che evitassi tutti gli scali intermedi nei miei viaggi in Venezuela e che adottassi tutte le precauzioni necessarie, perfino quella di usare  voli diretti per raggiungere questo paese amico, dando per scontati i vincoli di solidarietà e le identità  rivoluzionarie esistenti tra il nostro Movimento Caamañista e le forze  che governano il Venezuela.

Auto-limitazioni

Fui profondamente grato verso quel gesto e consolidai  il mio impegno rispetto a tutto ciò   con l’appoggio  dei miei compagni/e di lotta:

·            Rinunciando  a un viaggio a El Salvador dopo essere stato invitato nel  gennaio scorso all’ iniziativa di  omaggio al comandante Schafik Handal, indimenticabile amico e compagno.

·            Non partecipando quest’ anno al seminario internazionale  Los partidos politicos y Una Nueva Sociedad” realizzato lo scorso mese di marzo in Messico con il patrocinio del Partido del                        Trabajo (PT) di questo paese.

·            Scusandomi con i compagni del partito Primera Linea” della Galizia che recentemente mi avevano invitato alle loro Giornate Indipendentiste.

In sintesi: in questo primo quadrimestre del corrente anno  mi sono limitato a un viaggio con volo diretto  a  Caracas alla fine di marzo per partecipare a  due attività: il seminario Solo Marx” organizzato dall’  alcaldia di Girardot-Maracay e dal Frente Alfredo Maneiro)  e l’ Omaggio  a Manuel Marulanda (patrocinato dal Capitolo Venezuelano del Movimento Continentale Bolivariano — MC della cui Presidenza Collettiva sono coordinatore).

Questo viaggio si é realizzato senza grandi  problemi anche se  ci sono stati  alcuni segnali che non facevano sperare nelle garanzie convenute, cosa che mi ha obbligato a prendere  precauzioni aggiuntive e cercare  appoggi complementari.

Nuovi rischi

Trascorse  alcune settimane ci troviamo di fronte alla drammatica  cattura avvenuta all’ aeroporto di Maiquetía-Caracas e alla immediata  estradizione  in Colombia del compagno Joaquín Pérez Becerra, direttore dell’  agenzia di stampa Anncol, membro della Asociación  Bolivariana de  Comunicadores (ABC) nazionalizzato in Svezia e perseguitato con lʹaccusa di “terrorismo”, azione repressiva montata sulla base di accuse false e pregiudizi simili a quelli che ha utilizzato contro di me ed altri dirigenti rivoluzionari della nostra America e del mondo, il regime narco paramilitare terrorista della Colombia, sponsorizzato dalla CIA e dal MOSSAD. Tutto ciò   di concerto con il governo venezuelano per iniziativa del presidente colombiano Manuel Santos.

L’ associazione tra le alte gerarchie militari e civili dei governi del Venezuela e della Colombia per organizzare  questo fatto vergognoso  non ha bisogno di ulteriori prove. Ambedue le parti hanno ammesso la collaborazione, incluso i presidenti dei rispettivi paesi.

E non si tratta di un fatto isolato. Sicuramente si inserisce  all’ interno  di accordi di maggior portata e profondità in materia di sicurezza  intergovernativa, come si evidenzia  dalle dichiarazioni recentemente offerte dal ministro della Difesa della Colombia, Rodrigo Rivera (APORREA 1-05-2011), il quale riferendosi alla cattura ed all’ estradizione di Joaquín ha precisato che “il governo del Venezuela, in un tema coordinato direttamente con il presidente Chávez, ci ha risposto inviandolo in Colombia. E ci hanno detto che rispetto a qualsiasi informazione come questa che gli abbiamo dato, risponderanno nello stesso modo”.

Quanto affermato da parte della Colombia  fino ad oggi non è stato smentito e a ciò si è aggiunto l’annuncio  enfatico che il regime colombiano rifiuta la negoziazione politica  del conflitto armato e che attualmente persegue  la sconfitta militare dell’ insorgenza, cercando l’appoggio  internazionale per isolare e colpire le organizzazioni politico militari. Tutto questo nel contesto dell’abbandono,  di fatto, da parte del Venezuela, della neutralità e della sua adesione alla persecuzione degli/delle stigmatizzati/e come “terroristi/e”.

D’ altra parte ho ricevuto informazioni molto serie che rivelano la determinazione di dare continuità a questa collaborazione tra la Colombia e il Venezuela e mi mettono in guardia sulle conseguenze repressive che potrebbero darsi se in simili circostanze decidessi di andare in Venezuela.

Prima di ricevere questa informazione  da fonte assolutamente di fiducia, accompagnata dalla raccomandazione di non recarmi in Venezuela, non sono state poche le preoccupazioni e gli inviti alla prudenza che, solo per  intuizione, mi hanno rivolto amici/che di qua e di là.

Ironia della storia?

Sembra una vicenda – ma non lo è — di fiction storica. In realtà possiede un toccante  senso ironico rispetto allo sviluppo dei processi di ispirazione  rivoluzionaria.

Tutto sembra indicare che la piazza libera bolivariana, il Venezuela di Chávez, tristemente e in modo assurdo, stia diventando ogni volta sempre più ostile verso settori coerenti e impegnati con la difesa dei principi di questo processo; cioè contro una parte dei suoi migliori sostenitori e sostenitrici dentro e fuori allo stesso processo.

Stante le cose in questo modo la principale oasi dell’ unità  bolivariana presenta alcuni segnali di cedimento, manifestati  nella negazione di abbracci solidali e da  congiure utilitaristiche ingiustificabili a favore dei protagonisti dello stato terrorista colombiano, accettati ora incoerentemente come alleati occasionali nonostante siano nemici accaniti.

Vincolato storicamente come lo sono, — insieme a molti altri compagni/e -  al processo di speranza iniziato da Chávez e dal MBR-200 nello stesso istante in cui un divino “golpista” (allora stigmatizzato ferocemente dagli stessi che adesso ci criminalizzano e perseguitano) pronunciò a frase “por ahora”, questa situazione mi sembra veramente paradossale.

Prove di arretramenti e  incoerenze rischiose nell’ accidentato divenire della rivoluzione. Ironia della storia!

Dilemma e attesa

Nel mio caso, data la situazione difficile da digerire, sono costretto nell’  immediato a restare confinato nella mia “patria chica”  (dove il costo politico di estradarmi  e/o assassinarmi é immenso e i mezzi di difesa superiori) o assumere — se fosse necessario e se fossi motivato  a farlo -  l’ alto  rischio che vorrebbe dire viaggiare in Venezuela in queste circostanze onorando impegni latinoamericanisti o partecipando a eventi organizzati da forze e associazioni  che apprezzano il mio apporto,  soprattutto se il presidente Chávez  e il suo governo definitivamente non offrono garanzie inequivocabili che non avverranno più situazioni  come quella del compagno Joaquín Pérez.

Il dilemma  é forte anche se non imminente.

A mio avviso é possibile e necessario aspettare lo sviluppo dei fatti scatenati da  questa aggressione inqualificabile, che mira ad essere diretta  contro tutti i criminalizzati  dal DAS, dalla CIA e dall’ assassino Santos. Già  in precedenza guerriglieri delle FARC e dell’ ELN e militanti della sinistra basca sono stati  vittime di tale politica.

Sono stato invitato a partecipare a  vari eventI  che saranno realizzati in Venezuela alla fine di maggio e al principio di giugno dell’ anno in corso.

Valuterò bene l’evolvere  di questa grave situazione e la reazione del governo bolivariano rispetto al mio caso e a quello di altri compagni  per agire di conseguenza.

Cercherò di difendere con coraggio   i miei diritti e le mie relazioni storiche con la rivoluzione venezuelana, evitando di diventare inutilmente  vittima dell’ imposizione  delle “ragioni di questi Stati”  o un pezzo sacrificale nello  scacchiere della mal chiamata “politica reale”. Lo farò in tutti  i casi simili.

Misurerò  bene i miei passi rifugiandomi soprattutto nella ragione della politica rivoluzionaria di fronte agli illegittimi   interessi di stati  e di governi.

Non mi sottrarrò  ai rischi che l’interesse generale del movimento e le mie intime  convinzioni mi reclameranno come necessari. Non l’ ho  mai fatto.

Sicuramente la fiducia si è incrinata  non per decisione personale ma a causa di ingratitudini e incoerenze di alcuni protagonisti di un processo trasformatore che abbiamo difeso e continueremo a  difendere con integrità e coraggio, ma senza canonicità, senza incondizionalità e senza lodi.

Coloro i quali la hanno infranta  sono chiamati a ristabilirla, modificando percorsi e attitudini con l’ internazionalismo coerente, principi  validi ed etica rivoluzionaria.

Attenderemo senza fretta  i segnali del processo e della vita per prendere altre decisioni più precise.

Credo che agendo in questo modo  non solo sto interpretando  il mio sentire e le mie convinzioni ma anche quelle  di tutti/e coloro che sono  ingiustamente penalizzati/e da questa scoria che governa in Colombia e negli Stati Uniti.

Siamo militanti  di largo  respiro, combattenti  per la vita, ostinati nell’idea che la giustizia dovrà farsi strada contro venti e maree, contro calunnie, stigmatizzazioni  e  sopraffazioni.

Crediamo sia dignitoso ribellarsi in casi come questo e rispetto ad ogni violazione dei diritti, abuso di potere o accordo indegno anche se commesso da guide meritevoli e leader stimati.

La nostra ribellione questa volta ha una grande carica di tristezza, anche se non tanta da annullare la nostra continua lotta per l’allegria.

E’ triste pensare al  Venezuela bolivariano  come  “terra proibita”.

Molto triste, però – insisto – questa tristezza non ha il potere di chiudere la strada alla nostra lotta per la felicità, il benessere comune e la bellezza umana. Faccio fatica a credere che questi nobili propositi non saranno raggiungibili da questo popolo valoroso e dai suoi fratelli solidali  nel mondo, come anche le rettifiche che aprono subito spazio al dialogo, alla fiducia e all’armonia; senza deporre identità e senza sacrificare la diversità che arricchisce la vita.

Bolívar vive!

Caamaño vive!

Narciso Isa Conde

Coordinatore del Movimento Caamañista (MC) e della Presidenza Collettiva del Movimento Continentale Bolivariano (MCB)

9 maggio 2011 Santo Domingo, RD.

 

 

Traduzione di Annalisa Melandri

 

 


Chávez sbanda pericolosamente, tradisce il popolo colombiano e pugnala alle spalle i bolivariani

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Fonte: Associazione Nazionale Nuova Colombia

Piovono pietre su Chávez da ogni angolo del Venezuela e da diversi continenti e trincee di resistenza, e se le merita tutte.
Quelle dei settori democratici, bolivariani e rivoluzionari colombiani, traditi da un ex-bolivariano che ha indossato in tempi record le vesti pestilenti di Santander (colui che tradì il progetto del Libertador di costruzione della Patria Grande latinoamericana), e umiliati nel più profondo della loro memoria storica (la consegna del giornalista Joaquín Becerra, superstite del massacro dell’Unión Patriótica per mano dell’oligarchia di cui il presidente venezuelano è diventato ‘compagno di merende’, è un affronto imperdonabile). Quelle di moltissimi soggetti della sinistra e delle forze antimperialiste latinoamericane, europee, australiane e via dicendo, che vedevano in Chávez un bastione di resistenza, denuncia e coerenza contro l’imperialismo nord-atlantico, e che di colpo si rendono conto che questa percezione va rivista e necessariamente messa in discussione.
E quelle di gran parte del movimento bolivariano venezuelano, dalle organizzazioni popolari dei quartieri storici di Caracas come il ‘23 de Enero’ al Partito Comunista, passando per le associazioni di artisti ed intellettuali, contadini e lavoratori, sindacati e collettivi.
Qualcuno, al netto di una candida ingenuità o di una scarsa informazione, potrebbe interpretare la codarda consegna allo Stato paramilitare colombiano del direttore di ANNCOL come un fulmine a ciel sereno. Tuttavia, questa vergognosa vicenda non può essere compresa appieno se non all’interno di un processo degenerativo che la “Rivoluzione bolivariana” e le “sinistre progressiste” latinoamericane sperimentano e retroalimentano da tempi non sospetti.
In Venezuela, come lucidamente registra il dirigente rivoluzionario dominicano Narciso Isa Conde, la nuova borghesia nata dalle ceneri (che sembrano ancora brace incandescente) della IV Repubblica ed arricchitasi grazie ad un’economia dopata dal petrolio (leggasi PDVSA), e la burocrazia d’apparato che fagocita i segmenti chiave dell’amministrazione pubblica e del governo, hanno preso le redini del processo; due forze poderose e cancerogene, che fomentano la corruzione, riproducono gli schemi e gli antivalori dei malgoverni precedenti, fanno della retorica “partecipativa” e “bolivariana” il cavallo di battaglia delle loro arringhe per poi smentirsi nella pratica, scoraggiano e deludono le masse popolari ed incarnano la più pericolosa minaccia nei confronti del processo rivoluzionario stesso.
E’ sufficiente analizzare la composizione dell’esecutivo, il passato e il presente di una gran parte dei ministri di Chávez (a cominciare da quello delle Comunicazioni, Andrés Izarra) e la progressiva estromissione dalle cariche di maggior peso di quei compagni (come ad esempio Eduardo Samán) che non hanno accettato di essere cooptati, comprati o silenziati dalla nomenclatura di Miraflores.
Ma potremmo andare oltre: il Partito Socialista Unito del Venezuela, PSUV, che annovera tra i suoi più importati dirigenti alcuni personaggi di dubbia moralità come il parlamentare Diosdado Cabello, è diventato terreno di conquista per opportunisti e politicanti vecchi e nuovi che si riciclano manipolando le basi; e le Forze Armate e di Polizia, in cui abbondano generali ed ufficiali di vario rango che mal sopportano le lotte quotidiane di lavoratori e contadini per i loro diritti e per la radicalizzazione del processo bolivariano, pur chiamandosi “bolivariane” continuano ad essere permeate da delinquenti e anticomunisti.
In sintesi, un conglomerato di interessi ed ambizioni di potere che, se da una parte s’azzuffa con la vecchia oligarchia della IV Repubblica, dall’altra fa di tutto per impedire lo smantellamento dello Stato borghese nonostante i proclami infarciti di “Socialismo del secolo XXI” e di “Integrazionismo latinoamericano”.

LA “NUOVA” POLITICA INTERNAZIONALE DEL VENEZUELA

La consegna di Joaquín Pérez Becerra al fascista Santos è la diretta conseguenza di una politica internazionale sbiadita e sciagurata, fatta di concessioni e concezioni distorte in cui le “ragioni di Stato” sono il perno e l’internazionalismo rivoluzionario è una scomoda variabile (dipendente dalle prime) ormai superata.
Molti, in Venezuela e nel mondo, hanno avvertito un campanello d’allarme quando rifugiati baschi prima, e guerriglieri delle FARC e dell’ELN più recentemente, sono stati deportati rispettivamente in Spagna e in Colombia. Allorché Chávez ha iniziato a tessere le lodi del guerrafondaio Santos, definendolo “il mio miglior amico”, ed al ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi hanno fatto seguito accordi non solo in materia economica, commerciale e di infrastrutture ma anche di “sicurezza”, la preoccupazione è diventata una triste costatazione. Ne è la riprova il recente sdoganamento santista-chavista del dittatore honduregno Lobo (capo di un governo illegittimo che altro non è che l’estensione politico-temporale del golpe griffato Obama-Micheletti), che verrà reintegrato nell’Organizzazione degli Stati Americani e che riceverà nuovamente gli agognati barili di petrolio di PetroCaribe, con cui potrà rimpinguare i serbatoi dei blindati che reprimono il popolo di Morazán. Sdoganamento, cui si unito in seconda battuta l’inadeguato e velleitario Zelaya, presentato dal governo venezuelano come una vittoria della diplomazia di Miraflores, che esibisce promesse melliflue –da parte dei golpisti honduregni– di clemenza nei confronti di una resistenza honduregna sulla cui testa si sta cucinando la riabilitazione del regime sanguinario di Tegucigalpa. In sostanza, dovremmo credere alle promesse di un branco di lupi mannari che “s’impegnano” a non sbranare gli agnelli, certamente eroici ma pur sempre inermi.
Infine, ma non in ordine d’importanza, non possiamo ignorare un altro, squallido tassello del mosaico: il caso Walid Makled. Narcotrafficante ed affarista venezuelano di origine siriana arrestato nell’estate 2010 in Colombia, ha dichiarato di avere in suo possesso registrazioni audio-video compromettenti che dimostrerebbero il coinvolgimento di alti funzionari venezuelani in attività illecite e torbide. Indipendentemente dalla fondatezza o meno di queste accuse, strumentalizzate puntualmente dagli USA, una cosa è certa: il governo Chávez ha fatto e sta facendo di tutto affinché la Colombia lo estradi in Venezuela (che lo accusa di omicidio) e non negli Stati Uniti (che lo accusano di narcotraffico). E’ ineludibile domandarsi perché Chávez si premuri tanto di mettere le mani su Makled, la cui estradizione Santos si è impegnato a concretizzare a breve termine (come gaiamente annunciato dal ministro degli Esteri venezuelano Maduro poche ore dopo che Joaquín Pérez veniva sbattuto nel carcere Modelo di Bogotá), e non faccia altrettanto per ottenere l’estradizione, sempre dalla Colombia dove vive come un eroe, di un certo Carmona Estanga, presidente de facto dei golpisti nell’aprile 2002.


LE INCONGRUENZE DI CHÁVEZ

Facciamo un passo indietro. Fino all’insediamento di Santos, uno dei principali autori intellettuali del bombardamento criminale in territorio ecuadoregno del 1 marzo 2008 e massimo responsabile –unitamente ad Uribe– del terrorismo di Stato in Colombia negli ultimi anni, Chávez si era speso in prima persona nel denunciare il ruolo del regime colombiano quale gigantesca base militare statunitense in America Latina, minaccia all’integrazione continentale ed erede del traditore Santander. Il tutto, con un discorso incendiario antioligarchico e proclami d’irriducibilità antimperialista che hanno suscitato l’ammirazione e l’approvazione di milioni di persone nel mondo intero.
In meno di un anno, lo stesso regime paramilitare colombiano è diventato un “affidabile partner per l’integrazione” (con cui il Venezuela, tra le altre cose, condivide la presidenza di Unasur); il nemico Santos è diventato il “miglior amico”, e l’insorgenza colombiana un branco di “terroristi”, di cui Chávez non rivendica più il riconoscimento di forza belligerante (“Le FARC e l’ELN non sono terroriste, sono veri eserciti e bisogna dargli un riconoscimento”, disse Chávez nel gennaio 2008 di fronte all’Assemblea Nazionale, aggiungendo: “Sono forze insorgenti che hanno un progetto politico e bolivariano che qui rispettiamo!”)
Sempre nel giro di pochi mesi, quello che prima era un governo illegittimo e golpista (ci riferiamo a Lobo) è diventato un valido interlocutore con cui pianificare mosse politiche e nuovi affari, in cambio di briciole ancora saldamente nel paniere dell’oligarchia honduregna.
Lo stesso Chávez che non ha mai risparmiato parole di adorazione nei confronti del Libertador Simón Bolívar, elogiandone la coerenza, la tenacia e l’irriducibile volontà di sconfiggere il colonialismo e le oligarchie complici, oggi getta con un calcione i rivoluzionari colombiani in pasto a squali e coccodrilli narcoparamilitari. Pugnala alle spalle non solo guerriglieri che hanno impugnato le armi perché in Colombia l’opposizione legale è stata e continua ad essere sterminata senza soluzione di continuità, ma anche un giornalista come Joaquín Pérez Becerra che guerrigliero non è.
E lo consegna in meno di quarantotto ore dal suo arresto avvenuto all’aeroporto di Maiquetía violandone i più elementari diritti, essendo Joaquín cittadino svedese (naturalizzato da almeno un decennio dopo aver ottenuto lo status di rifugiato in Svezia in qualità di superstite del genocidio dell’Unión Patriótica). Joaquín non ha subito un’estradizione in piena regola, per rendere esecutiva la quale si sarebbe dovuto pronunciare un tribunale venezuelano; e non gli hanno permesso di parlare con i suoi avvocati né ricevere la visita del console svedese a Caracas, mantenendolo in stato di totale isolamento e, come denunciato dallo stesso Joaquín dal carcere Modelo di Bogotá, è stato trattato come una merda dalla Guardia Nazionale venezuelana e dal ministro Izarra. E su di lui non pendeva, come invece trasmesso da Santos a Chávez nella telefonata tra amici in cui il primo ha chiesto al secondo il favore personale di “recapitarglielo” con ogni mezzo, un mandato di cattura internazionale dell’Interpol, che altrimenti sarebbe stata effettuata in Svezia (dove Joaquín viveva da anni) o nel vigilantissimo aeroporto di Francoforte, dove il direttore di ANNCOL si è imbarcato con destinazione Caracas.
Quando un gruppo di ciarlatani norvegesi ha assegnato il ridicolo Premio Nobel per la Pace al guerrafondaio Obama, ci siamo identificati con la critica di Chávez che faceva rilevare come ci fosse un’insostenibile contraddizione in termini. Oggi, registriamo la stessa, indifendibile incongruenza se pensiamo che il presidente venezuelano, fresco vincitore del “Premio Rodolfo Walsh” (giornalista argentino assassinato dalla dittatura di Videla), ha trattato come un delinquente ed una volgare merce di scambio un giornalista che ha patito sulla propria pelle le sevizie di un’altra dittatura, quella degli oligarchi colombiani, le cui mani sporche di sangue non potranno mai ripulire né il teatrino parapolitico neo-granadino né le elezioni farsa di turno.
Sempre recentemente, Chávez ha criticato la corruzione e i vecchi vizi ancora fortemente presenti all’interno del suo partito, il PSUV, ed in altri ambiti della politica nazionale; per essere coerente con questa ineccepibile disamina, Chávez dovrebbe depurare una gran parte delle istanze dirigenti, a partire dall’esecutivo che presiede ed in particolar modo dal ministro delle Comunicazioni e dell’Informazione, Andrés Izarra. Questo “bolivariano” da operetta, già giornalista della CNN e della NBC negli anni ’90, ha prima annunciato sul suo blog l’arresto di Joaquín come se si trattasse di una grande vittoria delle autorità venezuelane, per poi imporre a tutti i giornalisti dei media ufficiali il silenzio circa la nazionalità svedese di Joaquín, il suo carattere di giornalista rivoluzionario solidale col Venezuela e, naturalmente, le violazioni ai suoi diritti fondamentali. Grazie a questo traditore i media governativi venezuelani, che dovrebbero informare con principi e paradigmi diametralmente opposti a quelli dei media borghesi internazionali, hanno fatto una pessima figura, per nulla mitigata da una o due eccezioni coraggiose (Vladimir Acosta su RNV e il gagliardo Walter Martínez del programma Dossier). Mentre si consumava lo scempio ai danni di Joaquín, non trovava niente di meglio da fare che lodare “gli sforzi di Santos per far fronte alle alluvioni” che stanno martoriando tre milioni di colombiani, per lo più abbandonati alla loro sorte dal nuovo “miglior amico” di Chávez.
Un altro ministro campione di “bolivarismo”, il cancelliere Nicolás Maduro, ha giocato un ruolo rilevante in tutta questa vicenda, e con il tempo potremo scoprire ulteriori dettagli. Per il momento, ci “deliziamo” con le sue recentissime dichiarazioni rilasciate alla stampa in occasione dell’incontro dei ministri dell’Ambiente del Vertice degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, Celac: “Il rispetto del Venezuela al Diritto Internazionale è indiscutibile, non ci sottomettiamo al ricatto di nessuno, da qualunque parte provenga, perché stiamo agendo in modo trasparente e in sintonia con la Legge e con le responsabilità che ha lo Stato venezuelano”.
Questo burocrate che veste camicia e basco rossi, rosso di fuori e marcio dentro come talune mele bacate, ha avuto anche la sfacciataggine di rimproverare la Svezia (che ha legittimamente e dovutamente chiesto spiegazioni alla cancelleria di Caracas per questa consegna di un suo cittadino senza il benché minimo rispetto dei passaggi legali e dei diritti sanciti dalla Costituzione Bolivariana medesima), domandandosi perché le autorità scandinave avessero permesso a Joaquín Pérez di uscire dal territorio svedese. La risposta la conosciamo tutti, compreso il signor Maduro: Joaquín è cittadino svedese, gode dello status di rifugiato e dei protocolli internazionali che ne riconoscono le relative garanzie, e aveva tutto il diritto di muoversi liberamente. Maduro fa orecchie da mercante, e chiosa con una dichiarazione che ci fa sorridere: “Noi continueremo a lavorare per un mondo di uguali, opponendoci alle guerre e costruendo l’integrazione dell’America Latina”. Sappiamo bene che per i tecno-burocrati come i menzionati ministri ci sono “uguali” più uguali di altri, la guerra a morte dell’oligarchia colombiana contro il popolo non è poi così importante, e la “integrazione” dell’America Latina è fatta soprattutto di megaprogetti, polidotti ed accordi politici con qualunque governo e stato, anche se terrorista e genocida come quello colombiano.
Ad ogni modo, se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi circa la buona o mala fede del presidente venezuelano, il campo è stato definitivamente sgomberato dalle sue recentissime dichiarazioni. Infatti, incalzato da più parti si è visto obbligato a pronunciarsi, uscendo dall’autismo in cui era piombato e proferendo parole scandalose ed infantili: “La responsabilità non è mia, il primo responsabile è quel signore (Joaquín) che viene qua sapendo che l’Interpol lo sta ricercando con codice rosso”, aggiungendo che “Qualcuno dovrebbe dire chi lo ha invitato a venire qua, chi gli ha organizzato la trappola, come tutti sapevano…”; rivolgendosi poi a non si sa bene chi, anche se intuiamo che il riferimento sia a tutti quelli che hanno protestato per la vergognosa consegna di Joaquín a Santos, ha la sfrontatezza di dire: “Infiltrati, sono movimenti infiltrati sino al midollo”.
Ammesso e non concesso che Chávez abbia elementi per affermare una cosa così grave, dovrebbe essere esplicito e dire chi sarebbe infiltrato da chi, presentando elementi probatori. Il Movimento Continentale Bolivariano? Il Partito Comunista del Venezuela? I collettivi e comitati autogestiti del 23 de enero? O forse le migliaia e migliaia di persone, giornalisti, lavoratori, giovani, donne ed indigeni che in questi anni hanno interloquito con ANNCOL e che stimano Joaquín Pérez in virtù del tenace lavoro di denuncia e sostegno alle lotte dei popoli del mondo, a partire dalla resistenza colombiana e dal processo bolivariano in Venezuela?
Non soddisfatto, il primo inquilino di Miraflores è caduto nel grottesco con un’altra, infamante dichiarazione: “Così come abbiamo consegnato Chávez Abarca al governo di Cuba, abbiamo consegnato Pérez Becerra al governo della Colombia!” A chi non fosse informato, ricordiamo che Francisco Chávez Abarca è un terrorista anticastrista, già mano destra di Posada Carriles ed autore di diversi attentati terroristici ai danni di vari hotel e centri turistici cubani. Bel paragone Chávez, complimenti! Mettere sullo stesso piano un criminale prezzolato dalla CIA ed un superstite del peggior genocidio politico nella storia dell’America Latina, ci fa capire di che pasta tu sia fatto…
Chávez si è ulteriormente contraddetto quando ha rincarato la dose di ipocrisia: “Io non sto dicendo che lui sia un terrorista, spero che il governo della Colombia rispetti i suoi diritti umani e il diritto alla difesa”. Perché il mandatario di Miraflores non ha rispettato i diritti umani ed il diritto alla difesa di Joaquín? Perché, nel comunicato diffuso subito dopo l’arresto di Joaquín all’aeroporto di Caracas, si afferma che “il Governo Bolivariano ratifica in questo modo il suo impegno irriducibile nella lotta contro il terrorismo…”? E perché insiste sulla questione del mandato di cattura dell’Interpol ai danni di Joaquín, e non esige una spiegazione all’Interpol stessa che ha unilateralmente depennato, dalle sue liste di persone ricercate, diversi banchieri venezuelani scappati all’estero dopo aver speculato ed affamato il suo popolo per anni?
Infine, l’atteggiamento arrogante ed autoreferenziale del presidente venezuelano si è manifestato con un’ultima “chicca”: “Io prendo le decisioni e mi assumo le mie responsabilità, nessuno può venire qui a ricattarmi, né l’estrema sinistra né l’estrema destra!”
A parte il fatto che, alla luce dell’evoluzione del caso del mafioso Walid Makled, ci pare di poter confermare che l’estrema destra colombiana sta ricattando, eccome, il governo venezuelano, è del tutto sconsiderato bollare come “ricattatori di estrema sinistra” un pezzo importante del movimento bolivariano venezuelano e latinoamericano, nonché intellettuali del calibro di Adolfo Pérez Esquivel, James Petras, Hernando Calvo Ospina, Michel Collon, Carlos Aznares, François Houtart, Carlos Lozano, Jorge Beinstein e Juan Carlos Vallejo (tanto per citare solo alcuni dei firmatari di una lettera internazionale a Chávez di critica e invito alla rettifica).
Inoltre, non capiamo in quale dimensione spazio-temporale si trovi il vicepresidente venezuelano Elías Jauja, che dopo la consegna di Joaquín ha avuto l’ardire di ribadire la “solidarietà del Venezuela con i movimenti rivoluzionari internazionali”, come se non fosse successo niente. Se il governo venezuelano manda al macello un giornalista bolivariano, figuriamoci cosa dovrebbero aspettarsi i militanti dei movimenti rivoluzionari internazionali… Probabilmente, di essere ingabbiati anch’essi al loro arrivo a Caracas per una qualche “ragion di Stato”!

RIPERCUSSIONI E CONSEGUENZE

Alcuni adoratori/adulatori acritici del presidente e dei vertici venezuelani, dopo il primo smarrimento dovuto al carattere indifendibile dell’infame consegna di Joaquín alla Colombia, hanno dato fondo alla propria materia grigia (piuttosto amorfa, a dire il vero) per cercare di giustificare l’irresponsabile decisione di Chávez: “non si poteva fare altrimenti”, “se non l’avessimo consegnato gli Stati Uniti ci avrebbero invasi”, “se l’Interpol lo chiedeva, bisognava darlo alla Colombia”, “Chávez starà soffrendo molto per questa dolorosa decisione che salverà la Rivoluzione”, e via dicendo. Squallidi ed imborghesiti “intellettuali” da salotto, dediti ad arrampicarsi sugli specchi come scarafaggi. Altri ancora, emuli delle destre più becere e in perfetto stile inquisitorio, si sono spinti ben oltre: “Pérez Becerra doveva starsene buono in Svezia”, “Chi gli ha detto di venire qui a crearci problemi?”, “Qualcuno deve averlo pagato e manipolato per venire qui a creare uno scandalo internazionale e provocarci”… Sono frasi, titoli e concetti che si commentano da soli. E che sulla rete e negli ambiti in cui si discute accesamente dell’accaduto sono stati e continuano ad essere nettamente minoritari.
Decine di migliaia di messaggi, sms, mail, articoli, commenti nei blog, denuncie, appelli e adesioni sono circolati negli ultimi giorni sulla rete e nelle piazze, e molti altri sono in arrivo. Tutti, indipendentemente dalla calibratura più diplomatica o “incazzata” dei contenuti, hanno un minimo comun denominatore: le massime autorità hanno fatto un gesto grave, la consegna di Joaquín ad un regime sanguinario è sbagliata e Chávez (a cui piace esser chiamato “Comandante”) deve assumersene la responsabilità. A maggior ragione nella misura in cui, come le sopracitate dichiarazioni del cancelliere Maduro confermano, si tratta di una politica di Stato.
La consegna del direttore di ANNCOL è un grave errore etico, e lo abbiamo abbondantemente argomentato in questo articolo e negli altri comunicati e news diffusi. Violando principi elementari di solidarietà e internazionalismo, da parte di chi si dice “rivoluzionario”, inocula un virus devastante nel processo che rafforza il pragmatismo borghese e pregiudica irrimediabilmente la credibilità di chi ne è portatore. Inoltre, ricalca per modalità e complicità il famigerato Plan Condor, con cui negli anni ’70 del secolo scorso le dittature latinoamericane perseguitavano e mandavano al massacro militanti rivoluzionari.
E’ un miope errore politico, perché come ha detto la sinistra rivoluzionaria venezuelana, “la fiducia è fratturata”. Fatto grave, questo, se si pensa che anche Chávez ed il Psuv si erano finalmente resi conto che senza l’importantissimo contributo dei settori che la compongono, la difesa e lo sviluppo del processo (in chiave elezioni 2012, ma non solo) sarebbero molto più ardui. A ciò aggiungiamo che la consegna di Joaquín a Santos avalla un castello accusatorio complessivo le cui “prove” provengono dalla stessa lampada di Aladino (i presunti computers di Raúl Reyes) con cui hanno criminalizzato e criminalizzeranno ancora, tra gli altri, anche il presidente venezuelano.
Ed è un colossale errore strategico, a cui Chávez ed i suoi comprimari arrivano dopo un’elaborazione analitica che ricorda molto quella di Gheddafi alla fine degli anni ’90: collaborare col nemico, stringere forti alleanze col gran capitale e coi regimi reazionari e voltare le spalle ai rivoluzionari di altri paesi, come quelli colombiani, è il frutto della pia illusione che così facendo si neutralizzerà la controrivoluzione (interna ed esterna), e si toglieranno pretesti all’imperialismo.  Tuttavia, la prima lavora a pieno regime, infischiandosene delle sempre più soventi concessioni di Chávez, ed il secondo, come insegna la storia, non ha bisogno di pretesti, se li fabbrica ad hoc per aggredire paesi e stati non più funzionali alle sue proiezioni geopolitiche, economiche e militari.
In un sol colpo, Chávez ha perso la fiducia della sinistra rivoluzionaria, in Venezuela e nel mondo, e non ha certo scalato il ranking delle preferenze della destra (quella colombiana in primis), che ha manovrato abilmente per indebolirlo adesso, sfruttandone allegramente l’inconsistenza ideologica e l’incoerenza, per poi sferrare il colpo finale quando l’imperialismo avrà deciso di mettere le mani definitivamente sul petrolio venezuelano.
Nel frattempo, migliaia di persone in tutto il mondo, siano essi giornalisti alternativi, militanti bolivariani, intellettuali critici o semplici lavoratori e studenti, colombiani e non, continueranno a lavorare in sostegno alla lotta per la liberazione dal giogo dello sfruttamento e del neo-colonialismo che eroicamente conduce, sui più diversi terreni, il popolo colombiano. Non dobbiamo lasciarlo solo, così come vorrebbero gli opportunisti che lavorano per “cambiare tutto” affinché non cambi niente. E non dobbiamo lasciare soli i rivoluzionari venezuelani, chiamati in questo momento storico ad intensificare la lotta di classe e di resistenza per sconfiggere l’oligarchia pro-imperialista da una parte, e la destra endogena (travestita da bolivariana) che fagocita i gangli del potere dall’altra.
E, naturalmente, dobbiamo sostenere e accompagnare Joaquín Pérez Becerra, la cui vita è in pericolo in un vigliacco carcere di Bogotá che l’oligarchia ha nottetempo dato in comodato d’uso al paramilitarismo, e i 7500 prigionieri politici colombiani rinchiusi nelle peggiori condizioni per il solo fatto di essere oppositori di un regime antidemocratico e antipopolare. Lo stesso con cui adesso va a braccetto il presidente Chávez, che è corresponsabile di ciò che potrebbe capitare al direttore di ANNCOL.

Associazione nazionale Nuova Colombia

 


Pacto cumplido?

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Extraditado a Venezuela el narcotraficante Mackled con todas las garantias.

Joaquín Becerra ha sido deportado ilegalmente y entregado en las manos de sus verdugos colombianos como en los años oscuros del Plan Condor.

 


Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela

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Comunicato dell’  ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela

Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC

Tutti i fatti relativi all’arresto e alla deportazione del giornalista bolivariano Joaquín Pérez Becerra sono stati caratterizzati da una censura alla libertà di informazione:

Prima, la stessa detenzione di Pérez,  la voce dissidente del governo colombiano più riconosciuta e letta non solo in quel paese; la pagina di ANNCOL riusciva, come  nessun altro mezzo alternativo in Colombia, a raggiungere le 800mila visite in alcuni momenti di particolare congiuntura politica, cosa che in Colombia avviene costantemente.

Successivamente, un’ora dopo la detenzione di Joaquín, veniva diffuso  un comunicato ufficiale,  che con il linguaggio caratteristico della destra,  indicava  le ragioni dell’arresto, dettate non  dall’ INTERPOL ma dall’ex consigliere di  Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un oscuro personaggio noto per i suoi vincoli con il narcotraffico e il  paramilitarismo in Colombia.

Poi, il 25 aprile, la convocazione da parte del MINCI ai  mezzi di informazione per  una conferenza stampa all’aeroporto di Maiquetía rispetto a una probabile  consegna del compagno, infine  la successiva e quasi immediata cancellazione dell’invito con la motivazione di una momentanea sospensione di tutto il processo in corso.

Per finire,  una trasmissione a reti unificate del governo, passata  nello stesso momento in cui stavano trasferendo Becerra in Colombia.

Inoltre, il Ministero dell’  Informazione e della Comunicazione del Venezuela (MINCI), nella persona del ministro Andrés Izarra, dà disposizione  a tutti i mezzi di comunicazione  che dirige,  di non coprire  nessun avvenimento  relativo alla  solidarietà a  Joaquín Pérez Becerra e alle   proteste di un ampio settore del popolo rivoluzionario del Venezuela per la deportazione, per le nuove  condizioni della relazione Colombia – Venezuela e per gli  accordi di ambedue i governi in materia di “sicurezza” e cooperazione militare.

E’ deplorevole il ruolo che hanno giocato i mezzi di informazione che, come la VTV e Telesur, si sono distinti per la loro assenza nei luoghi cruciali dove si è manifestata la risposta della sinistra rispetto al caso di Joaquín Pérez. I loro racconti si  sono limitati ai comunicati di  governo e alle  accuse della Colombia  sui presunti crimini commessi dal direttore di ANNCOL.

Sono venuti meno alla verità e soprattutto all’impegno di trasformare il Venezuela nello spazio di costruzione di una stampa impegnata con gli interessi  delle masse popolari, con la  rottura del pensiero unico e con l’ egemonia mediatica capitalista che ha contribuito a consolidare questo feroce sistema.  Telesur  e altri mezzi di informazione sono venuti meno al principio socialista di costruire una comunicazione per la liberazione.

Attraverso questo comunicato rispondiamo anche a Iván Maiza che nell’unico articolo di opinione pubblicato da TeleSUR, in cui, più o meno assicura che il comunicatore bolivariano si è andato a cercare il suo arresto (come le donne che usano la minigonna sono colpevoli delle violenze che subiscono – nostro commento).

Dice Maiza che il movimento di sinistra è probabilmente infiltrato da “alcuni compagni” o da qualche “partito rivoluzionario” che hanno fatto dei piani per sabotare le strategie pianificate dal Comandante. Anche costruendo  trappole ai danni dei compagni di lotta? Compagni che non accettando la decisione di avvicinarsi a Santos sono disposti a fare qualsiasi cosa che possa “minare la fiducia” tra Chávez e il suo popolo, tra Chávez e i “popoli del continente”.

No, signor Maiza e signori di TeleSUR, noi  direttori dei mezzi di informazione alternativi che abbiamo invitato in qualche occasione  Joaquín Pérez Becerra per consolidare un progetto di comunicazione bolivariana, né  lavoriamo né tanto meno facciamo accordi  diplomatici con il DAS.

Noi abbiamo invitato in Venezuela in diverse occasioni Joaquín perché  eravamo assolutamente sicuri che il nostro governo non avrebbe mai deportato  al governo fascista colombiano un militante impegnato con la verità, con gli ideali bolivariani, un militante che ha sempre difeso in  Europa  questo processo che rappresenta la speranza dell’America latina.

Chi avrebbe mai  immaginato che una deportazione così vile e lontana dal diritto (perfino quello borghese),  sarebbe stata possibile nel paese con il maggior numero di emittenti comunitarie dell’America latina, il paese nel quel si sono svolti tanti incontri, congressi e dibattiti sul ruolo dei mezzi di informazione nella costruzione della Nostra America; l’unico paese dell’America latina dove c’è un processo rivoluzionario che dice di essere socialista; il paese del premio  Rodolfo Walsh alla comunicazione popolare.

Proprio nel corso dell’incontro della fondazione della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) che realizzammo nel dicembre del 2008 e nella  quale partecipò  anche Joaquín Pérez, decidemmo in sede plenaria che la sede della ABC sarebbe stata a Caracas per essere stata questa città la culla del nostro libertador Simón Bolívar e il luogo più sicuro  contro la censura, le persecuzioni e la diffamazione della destra.

Scegliemmo Caracas perchè consideravamo che il Venezuela avesse bisogno di una Associazione che smontasse le calunnie della stampa borghese e del suo Colegio Nacional de Periodistas. Considerammo che Caracas doveva essere la capitale dell’unità latinoamericana nel settore della comunicazione alternativa.

Dicemmo quindi allora, come già in altre occasioni  al nostro caro amico: “compagno Joaco, vieni che questa è una terra liberata”.

Come ci sbagliavamo!

Traduzione a cura di Annalisa Melandri

 

 


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