Colombia, via libera all’impunità con la nomina del nuovo Fiscal General

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Camilo Ospina

C’è molta tensione in questi giorni in Colombia per la nomina  del nuovo Fiscal General, il Procuratore Generale della Repubblica, nomina considerata importante quasi quanto quella dello stesso Presidente, soprattutto in vista del fatto che nei prossimi quattro anni (la durata dell’incarico) la magistratura dovrà affrontare nel paese processi importanti, partendo da quelli legati allo scandalo della “parapolitica” per finire a quelli della così detta “Yidispolitica”, la compravendita di voti di parlamentari del Congresso che ha permesso  la seconda rielezione di Uribe.
In effetti la terna di nomi,  che viene  proposta  direttamente dallo stesso Presidente della Repubblica alla Corte Suprema di Giustizia,  sembra essere un vero e proprio lasciapassare confezionato su misura  per tutti quei politici coinvolti in inchieste sulle loro presunte o accertate connivenze con il paramilitarismo, ma anche per le varie indagini e relativi processi  che si stanno portando avanti nell’ambito dello scandalo dei “falsi positivi”: un vero e proprio crimine di Stato, circa duemila  giovani giustiziati  da membri dell’Esercito colombiano, vestiti con uniformi delle FARC e fatti passare come guerriglieri uccisi  in combattimento per incassare premi in denaro, promozioni o note di merito.
Uno de nomi proposti dal presidente Álvaro Uribe e quello considerato papabile  è infatti Camilo Ospina già ambasciatore della Colombia presso l’organizzazione degli Stati Americani ed ex ministro della Difesa.
Proprio mentre ricopriva la carica di ministro della Difesa infatti, Ospina  emanò la Direttiva n. 029 con la quale si prevedevano ricompense in denaro ai membri delle Forze Armate per l’eliminazione di esponenti della guerriglia, scatenando  così le loro fantasie più truculente sulle metodologie adatte allo scopo. Vennero addirittura create vere e proprie agenzie di offerte di lavoro, i giovani che vi si rivolgevano venivano convinti a recarsi a migliaia di chilometri di distanza con la promessa di un impiego. A destinazione eranno uccisi e travestiti da guerriglieri  e quindi  i loro cadaveri presentati come “prove” del lavoro svolto per la riscossione dei premi.
Gli altri due nomi proposti dal governo per la nomina a Procuratore Generale della Repubblica  sono Juan Ángel Palacio,  un ex magistrato del Consigliodi Stato e Virginia Uribe, ex consigliera del Ministero dei Trasporti Pubblici, ambedue molto vicini alla Presidenza. Recentemente sono state diffuse registrazioni audio che testimonierebbero il coinvolgimento di Juan Ángel Palacio e la sua ingerenza in alcuni casi di corruzione.
L’avvocato ed editorialista Ramiro Berajano ha dichiarato nel corso di un’intervista a BBC Mundo che con la terna di nomi proposta dal governo “ la nazione sa  che la lotta contro l’impunità verrà posticipata di altri quattro anni e che la terna elaborata dal presidente Uribe non offre  garanzie  rispetto al  fatto che chi verrà  nominato abbia l’indipendenza necessaria per risolvere i casi che coinvolgono gli alti funzionari pubblici e i familiari del Presidente”.
Si riferisce ovviamente  a Mario Uribe Escobar, cugino di Álvaro Uribe  e suo alleato politico finito nelle mire della magistratura per lo scandalo della parapolitica in seguito alle accuse dei paramilitari  Salvatore Mancuso e  Jairo Castillo Peralta alias Pitirri. Mario Uribe Escobar ha rinunciato al suo incarico al Congresso per poter essere giudicato proprio dalla Fiscalía invece che dalla Corte Suprema di Giustizia con la quale il presidente Uribe non ha avuto rapporti molto sereni ultimamente.
Basta poco in Colombia per salvare dalle grane i familiari del Presidente della Repubblica, ma non solo. Il gioco delle tre carte salva  nello stesso tempo i politici complici dei paramilitari delle motoseghe e delle fosse comuni, i militari assassini di giovani innocenti per una licenza premio, i mandanti degli omicidi di decine e decine di difensori dei diritti umani, di sindacalisti, di attivisti scomodi.
 
Il gioco delle tre carte paga sempre in Colombia e quella dell’ impunità risulta essere sempre la vincente.
 

Sicurezza sul lavoro: il governo assolve gli assassini

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Ricevo e publico:

IL GOVERNO STRAVOLGE IL TESTO UNICO E AUMENTA LA INSICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

Il Ministro Sacconi ha detto che il Governo non è interessato alle norme eccessive e per questo ha stravolto il testo unico presentando al Consiglio dei ministri del 31 luglio un testo che dovremo respingere se vogliamo tutelare nel presente e in futuro la salute e la sicurezza dei lavoratori.
In italia ogni giorno 4 lavoratori muoiono per incidenti sul lavoro, di eccessivo ci sono solo le statistiche di feriti, mutilati e morti.
Nessun concorso per nuovi ispettori Asl addetti alla sicurezza
. Oggi ce ne sono 5000 per 5 milioni di aziende e si annunciano solo ispezioni “mirate” che potrebbero diventare ispezioni pre annunciate alle aziende.
Il documento di valutazione sui rischi per la salute e la sicurezza non dovrà essere depositato dal notaio, nè ci sarà una posta certificata per stabilirne la data. Così facendo si aggira l’obbligo della valutazione del rischio da parte delle aziende e si potrà predisporre il documento dei rischi ad incidenti avvenuti (meno obblighi per le imprese, meno soldi spesi per loro)
Per numerose violazioni si passa dalla sanzione penale a quella amministrativa. Sul lavoratore si scaricano molte responsabilità, per esempio l’obbligo della visita preassuntiva (vietata fino ad oggi dallo Statuto dei lavoratori), irrisoria diventa la tutela dei lavoratori in appalto e subappalto, e al contempo saranno dimezzate le sanzioni a carico delle aziende
Si riduce la tutela sanitaria delle lavoratrici e dei lavoratori, superando la cartella sanitaria di rischio e la relazione del medico competente alle Asl, in questo modo
scomparirà la tutela dalle malattie di origine
professionale (che per quanto non riconosciute sono in continuo aumento)
Ma con il nuovo testo il governo raggiunge anche un altro obiettivo, ossia ridurre il potere di controllo e di intervento dei delegati alla sicurezza spostando molte competenze verso enti bilaterali (formati da imprese e Cgil cisl uil) che potranno certificare i documenti di rischio per conto delle imprese.
Con Gli enti bilaterali viene meno ogni ruolo di controllo e di opposizione da parte del sindacato e dei delegati scelti dai lavoratori, come al tempo del fascismo sindacati e padronato diventano la stessa cosa
C’è poi un articolo, il 15 bis, una norma salva padroni grazie alla quale il datore di lavoro non risponderà della morte o dell’infortunio se l’evento è riconducibile alla responsabilità di un qualsiasi altro soggetto operante nel contesto produttivo (preposto, progettista, medico competente, lavoratore). Così le responsabilità verranno scaricate sui tecnici e non su chi viola le regole e taglia risorse solo poer accrescere i propri profitti
Una controriforma che distrugge anni di lavoro in materia di prevenzione e sicurezza per depenalizzare i reati e salvare i managers e i padroni delle aziende, questo è il testo presentato da Sacconi, un testo non emendabile ma da respingere in toto. Basta vedere il sostegno accordato dalla Cisl a sacconi, lo stesso sostegno che questi sindacati padronali accordano al governo sottoiscrivendo accordi a perdere ogni giorno

Confederazione cobas


Appello per Rudra Bianzino e per tutte le vittime dei crimini di Stato in Italia

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Questa volta non stiamo  parlando del Messico della guerra sucia o quello più vicino a noi di Felipe Calderón dove ancora oggi si registrano  casi di sparizioni forzate di persone. Non stiamo parlando dell’Argentina dei 30.000 desaparecidos o del Chile di Pinochet. Quello che segue  avviene in Italia.
 
Il 12 ottobre del 2007 vengono arrestati  nella loro  casa  di “Le Caselle”, una frazione di Pietralunga, poco distante da Città di Castello  e condotti  nel carcere di Perugia, Aldo Bianzino un ebanista di 44 anni  e la sua compagna Roberta Radici con l’accusa di spaccio e detenzione di marijuana.
 
In realtà si trattava di poche piantine ad uso personale e Roberta fu rilasciata dopo due giorni mentre nel casolare in aperta campagna erano stati lasciati soli la madre ultranovantenne di lei e il figlio tredicenne della coppia.
  
Dopo due giorni Aldo viene trovato morto in cella. Inizialmente si pensa a un problema cardiaco ma la successiva autopsia sfata ogni ragionevole dubbio dal momento che Aldo godeva  di ottima salute. L’autopsia  parlò di danni al cervello, emorragie interne,  lesioni a milza e fegato, e alcune costole rotte.
 
A seguito di  una serie di diversi comunicati, smentite, perizie e contro perizie “sembrerebbe accertato” che Aldo sia morto per un aneurisma cerebrale mentre  restano confermate le lesioni al fegato che sarebbero state  provocate (evento quanto mai raro) da un massaggio cardiaco particolarmente violento.
 
Presentata quindi la richiesta di archiviazione del caso, che tuttavia continua a suscitare notevoli dubbi (se ne interessò anche Amnesty International), a questa si è opposto  il  Gip Massimo Ricciarelli, accogliendo  così l’istanza presentata in tal senso dai familiari di Aldo.
 
Nel frattempo Rudra il figlio  di Aldo è rimasto veramente solo, è morta prima la nonna e poi anche la mamma Roberta, in attesa di un trapianto di fegato e sofferente di una malattia che probabilmente si è aggravata in seguito agli eventi.
 
Il blog di Beppe Grillo ha lanciato un appello per Rudra Bianzino e un parlamentare, Antonio Palagiano dell’Italia dei Valori (  (palagiano_aatcameradotit)  e-mail), ha risposto all’appello per Aldo Bianzino e ha depositato un’interrogazione parlamentare sulla sua morte. Aspettiamo ora la risposta del ministro della Giustizia Alfano.

Bianzino

 
Ringrazio l’amico Carmelo Sorbera di  Qui News che ha seguito fin dall’inizio il caso Bianzino e continua a farlo tutt’ora. Inoltre sul sito Lettera 22 si può trovare un intero dossier sul caso a cura di Emanuele Giordana.
 
E’ importante non dimenticare simili casi, che passano il più delle volte inosservati all’attenzione pubblica. E‘ importante non dimenticare storie  come quelle di Aldo Bianzino, o di Federico Aldovrandi, ucciso da alcuni poliziotti a colpi di manganello nel settembre del 2005 dopo essere stato arrestato, o di Marcello Lonzi, morto nel carcere delle Sughere l’11 luglio 2003. E’ importante parlarne e ricordare che in Italia, nelle prigioni italiane, sotto le manganellate di  chi sarebbe preposto all’applicazione della giustizia muoiono delle persone. Appena un mese fa sono stati condannati gli assassini di Federico Aldovrandi, Forlani Paolo, Segatto Monica, Pontani Enzo e Pollastri Luca. Tre anni e qualche mese, e la certezza di non passarne nemmeno uno in carcere,  per quello che in altri tempi e altri paesi sarebbe stato definito “omicidio di Stato”.
I poliziotti citati dovrebbero essere come minimo radiati dal pubblico servizio, invece a quanto risulta, stanno ancora regolarmente prestando il loro servizio. Assassini.
 
 


La sparizione forzata di Rosendo Radilla: il Messico davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani

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Rosendo Radilla Lo scorso 7 luglio si è tenuta a San José di Costa Rica presso la Corte Interamericana di Difesa dei Dirtti Umani  un’udienza che per il Messico  può  essere  considerata storica. Per la prima volta nella storia dell’Esercito e del paese, lo Stato messicano  si trova al banco degli imputati per la politica repressiva applicata dal governo e dalle Forze Armate durante la così detta guerra sucia.

Il caso preso in esame, della sparizione forzata di Rosendo Radilla Pacheco, avvenuta il 25 agosto del 1974 ad Atoyac de Álvarez, stato del Guerrero, e del quale quella del 7 luglio è stata  soltanto l’udienza preliminare, è considerato infatti emblematico di centinaia di altri avvenuti in quegli stessi anni, nel decennio compreso tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70,  quando la sparizione forzata era una modalità repressiva applicata sistematicamente in Messico  con lo scopo di rompere l’unità del tessuto sociale organizzato e di annientare fisicamente qualsiasi forma di protesta e di dissidenza.

Di Rosendo Padilla, arrestato ad un posto di blocco militare mentre viaggiava su un bus   insieme a suo figlio di appena 11 anni (successivamente liberato) ad oggi non se ne sa più nulla e si teme sia stato gettato in mare insieme ad altre 122 persone in uno dei tanti “voli della morte” con cui si facevano sparire anche in Messico, come nel resto dell’America latina,   i corpi degli oppositori politici.

La  guerra sucia fu particolarmete intensa e violenta  proprio  nello stato del Guerrero, che divenne in quegli anni  uno dei più militarizzati dell’intero paese. Degli oltre 1200 casi di sparizioni di persone avvenuti allora in Messico,  la metà avvenne  in Guerrero e di queste,  più di 400 soltanto ad Atoyac de Álvarez.

Verso la fine degli anni’60, in quella regione,  i movimenti di Lucio Cabañas e di Genaro Vázquez , passarono alla clandestinità e alla lotta armata dopo anni di lotte civili pacifiche e organizzate, duramente e violentemente represse nel sangue,  con le quali chiedevano alle autorità l’adozione di misure politiche e sociali più giuste rispetto alla distribuzione delle terre, al credito agrario, ai prezzi dei prodotti agricoli  in particolar modo  del caffè, e soprattutto contro la violenza strutturale della società di allora  e il potere dei caciques, i signorotti locali.

L’evento detonante fu il massacro compiuto dalla polizia  il  18 maggio 1967 nella piazza centrale di Atoyac,  in occasione di una protesta organizzata da genitori e insegnanti contro la scuola Juan Alvarez. “Niente fu più come prima dopo di allora ad Atoyac”, hanno raccontato in varie occasioni i dodici figli  di Rosendo Radilla durante gli incontri avuti con la Commissione Messicana di Difesa e Promozione dei Diritti Umani  che, insieme all’ Associazione dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi e Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico (AFADEM)  ha portato il caso davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani.

Si installò nel paese un quartier generale dell’Esercito, proprio vicino alla casa dei Radilla. I soldati erano dappertutto e cominciarono a circolare voci, di lì a breve confermate dai fatti, di  arresti di massa, di donne violentate, di casi di tortura e di persone uccise, di deportazioni di intere comunità accusate di simpatizzare con la guerriglia. Rosendo sapeva benissimo di essere in pericolo. Una delle sorelle maggiori racconta che l’ultima volta che vide suo padre questi le disse: “ti dico una cosa, la situazione è molto brutta là, ho paura che non ci vedremo mai più, stanno prendendo persone, le fanno sparire anche se non hanno fatto niente […] Se non torno vuol dire che mi hanno già ammazzato, perchè io non ho niente da nascondere e non ho fatto nulla. Le uniche cose che so io le canto e sono i miei corridos, e questo so che non è  un delitto perchè la Costituzione mi garantisce la libertà d’espressione”.

Scriveva e musicava corridos Rosendo Radilla, quella particolare forma di canzone popolare improvvisata, con la quale cantare la quotidianitá del popolo e questa fu  la sua colpa, come gli confermò anche  un soldato al momento del suo arresto,  secondo la testimonianza del figlio Rosendo. Rosendo Radilla davanti, al centro, insieme alla sua comunitàAccompagnato dalla sua chitarra solidarizzava con la guerriglia,  con Genaro Vázquez, suo grande amico e con Lucio Cabañas senza tuttavia aver mai impugnato un’arma.

Era piuttosto un leader contadino stimato e rispettato per il suo impegno e per la sua dedizione per gli altri da tutta la comunitá di Atoyac de Álvarez di cui fu sindaco dal 1955 al 1956. Terminó il suo mandato più povero di quando aveva iniziato. La sua casa era sempre piena di gente: “per una fidanzata rapita o fuggita, per le spese di un matrimonio, per tirar  fuori qualcuno dal carcere o  per pagare una multa, per un malato che non aveva denaro, per registrare un bambino o per sotterrare un defunto al quale i familiari non potevamno pagare un funerale”.

Questa era la vita di Rosendo Radilla fino a quel 25 agosto del 1974. Fu arrestato insieme a suo figlio di appena 11 anni, ma ottenne e chiese la liberazione del bambino, che porta il suo stesso  nome e che è stato uno dei principali testimoni, insieme alla sorella Tita Radilla nell’udienza preliminare di San Josè di Costa Rica. Il  7 luglio dinanzi alla Corte Interamericana, in difesa del governo messicano   era presente il Ministro degli Interni  Fernando Gómez Mont, che accettando  “senza riserve la privazione della libertà e la morte di don Rosendo Radilla”  35 anni fa,   e considerandola come “una violazione ai suoi diritti umani e a quelli della sua famiglia”  ha espresso però  il rifiuto ufficiale da parte del governo della  competenza della Corte Interamericana,  adducendo il presunto principio secondo il quale i trattati internazionali non si possono considerare retroattivi (il Messico ha accettato la competenza della Corte Interamericana soltanto nel 1998). Il delitto di sparizione forzata tuttavia, essendo un crimine contro l’umanità  è un delitto continuativo e imprescrittibile, sebbene il Messico favorisca l’impunità per i militari che si macchiano di tali crimini e sebbene sia carente nel paese una legislazione che tuteli le vittime e i loro familiari da tali gravi violazioni dei diritti umani.

E’ stata quindi una debole e vana difesa quella dello Stato messicano. Non è servito al ministro Gómez Mont aver esposto i progressi compiuti dall’Esercito nella lotta contro il narcotraffico, non è servito aver comunicato l’impegno formale da parte delle Forze Armate al rispetto  dei Diritti Umani e delle convenzioni internazionali in materia. Quello che è stato maggiormente contestato al governo da parte del Presidente della Corte Interamericana Cecilia Medina Quiroga , ma che da tempo fanno anche numerose associazioni internazionali,  è l’applicazione della giurisdizione penale militare ai casi di giustizia ordinaria e al contrario, lasua disattenzione  nelle indagini che riguardano militari implicati in gravi  violazioni dei Diritti Umani,  creando uno stato di immunità permanente e favorendo l’uso del  Tribunale Militare come potere politico. Il ministro Gómez Mont ha parlato di Messico “riformato” e ha detto che  non  è  possibile “giudicare il passato con gli occhi del presente”.

Queste dichiarazioni hanno provocato grande indignazione in alcuni presenti all’udienza tra i quali  Cristina Paredes, la figlia di Francisco Paredes scomparso nella città di Morelia il 26 settembre del 2007. La incontriamo a Città del Messico appena di ritorno dal Costa Rica.

Nutre speranze  rispetto al fatto che l’aver portato il  caso di Rosendo Radilla davanti alla Corte Interamericana   possa contribuire ad accendere  i riflettori sugli altri casi di sparizioni forzate avvenute recentemente in Messico, quali per esempio quello di Lauro Juàrez, attivista scomparso da Oaxaca il 10 dicembre 2007 e quello dei due militanti dell’Esercito Popolare Rivoluzionario,  Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sànchez, arrestati e poi  scomparsi sempre in Oaxaca il 25 maggio 2007, oltre ovviamente a quello di suo padre. E’ evidente la mancanza di volontà politica da parte del governo di rendere giustizia ai familiari di Rosendo Radilla e soprattutto il tentativo di lasciare nell’impunità gli autori materiali e intellettuali di tale crimine. Il governo dovrebbe accettare oltre alla  sparizione forzata di Rosendo Radilla anche la responsabilità del crimine, essendo questo un crimine continuativo e imprescrittibile.

Accettando la morte di Rosendo Radilla dovrebbe dare notizie certe rispetto al suo arresto, rispetto alla sua detenzione o  alla data della sua morte nel caso il corpo non fosse più recuperabile in quanto gettato in mare. Dovrebbe  rendere noti nomi e cognomi degli ufficiali e dei militari responsabili in quel periodo degli operativi dell’Esercito nella zona. La giustizia passa per la lotta contro l’impunità e come sottolinea Adrián Ramírez, presidente della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH)  “il rifiuto da parte di tutti i vari governi che si sono succeduti in Messico dall’epoca della sparizione di Rosendo Radilla fino all’attuale posizione del ministro degli Interni Gómez Mont di  rendere noti i nomi e i cognomi dei militari (dai vertici ai soldati semplici),  responsabili di tale crimine e della sparizione di tanti altri cittadini messicani e quindi la loro protezione, rileva la sua complicità in tali crimini di Stato e quindi   andrebbe perseguito penalmente”. “Se qualcosa va stabilito – continua – è la catena di comando, agli autori materiali della sparizione forzata di Rosendo Radilla  va dato un nome e un cognome”.

Questo dimostrerebbe il reale impegno dello Stato messicano nella lotta contro l’impunità. Tuttavia, tutto lascia supporre che la battaglia che in tal senso stanno portando avanti i familiari delle persone scomparse e le associazioni civili di difesa dei Diritti Umani che li sostengono, sia ancora molto lunga.


Informe Preliminar de la Misión internacional de observación sobre la situación de los Derechos Humanos en Honduras

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Constatan violaciones sistemáticas a los derechos humanos
en Honduras con ocasión del golpe de Estado
Misión internacional de observación sobre la situación de los
derechos humanos en Honduras.
Informe Preliminar
Tegucigalpa, 23 de julio de 2009
i. Introducción
Una Misión Internacional de Derechos Humanos compuesta por
quince profesionales independientes (juristas, periodistas,
antropólogos, politólogos, sociólogos y expertos en derechos
humanos) procedentes de Alemania, Argentina, Austria, Bélgica,
Colombia, Costa Rica, Dinamarca, El Salvador, España, Nicaragua,
Perú, Suecia y Uruguay se constituyó en Honduras el 17 de julio
pasado para verificar las violaciones a los derechos humanos
ocurridas en Honduras durante y después del golpe de Estado del
pasado 28 de junio, a fin de presentar observaciones y
recomendaciones al respecto a la OEA, la ONU, la Unión Europea y
sus Estados miembros.
Divididos en cuatro grupos de trabajo, la misión ha recibido
testimonios de casos ocurridos en varias partes del territorio
hondureño: Tegucigalpa, San Pedro Sula, Olancho y Colón. Ha
llevado a cabo con este objeto entrevistas con diferentes
organizaciones y expertos de derechos humanos, movimientos
sociales, sindicatos, medios de comunicación, periodistas, diputados
del Congreso Nacional, partidos políticos, el Fiscal General de la
República, la Fiscal Especial de Derechos Humanos, el General
Director de la Policía Nacional, agencias de cooperación internacional,
representantes de Naciones Unidas, del cuerpo diplomático, el
Presidente de la Corte Suprema de Justicia, la Procuraduría General
de la República, la Defensa Pública, la Dirección General de Migración
y familiares del Presidente Manuel Zelaya.
La misión internacional está conformada por quince personas de
las siguientes organizaciones y redes de derechos humanos:
Federación Internacional de Derechos Humanos (FIDH), el Centro
por la Justicia y el Derecho Internacional (CEJIL), Iniciativa de
Copenague para Centroamérica y México (CIFCA), FIAN
Internacional, la Plataforma Interamericana de Derechos Humanos,
Democracia y Desarrollo (PIDHDD), la Consultoría para los
Derechos Humanos y el Desplazamiento (CODHES-Colombia),
Suedwind-Austria, Instituto de Derechos Humanos de la
Universidad Centroamericana José Simeon Cañas (IDHUCA-El
Salvador), Asociación Pro Derechos Humanos de Perú (APRODEH),
el Instituto de Estudios Políticos sobre América Latina y Africa
(IEPALA-España), Federación de Asociaciones de defensa y
promoción de los Derechos Humanos (España), Coordinadora
Nacional de Derechos Humanos de Perú, Servicio Paz y Justicia
(SERPAJ-Uruguay), Solidaridad Mundial (Bélgica), IBIS
(Dinamarca), Alianza Social Continental, Enlazando Alternativas, y
Centro de Estudios Tricontinental.
ii. Los hechos verificados por la Misión
1. Con fecha 28 de junio de 2009 a las 5:15 am, efectivos de las
fuerzas armadas, tras reducir violentamente a la guardia
encargada de su protección, irrumpieron en la Casa Presidencial
y secuestraron al Presidente Constitucional de Honduras señor
Manuel Zelaya Rosales. La captura del Presidente se produjo sin
que se presentara el mandato judicial correspondiente.
Inmediatamente después fue trasladado a una base aérea
desde donde fue llevado a Costa Rica, según testimonió el
mismo Presidente, mediante un avión que despegó a las 6:10
AM de Honduras.
El asalto de la Casa Presidencial se llevó a cabo ejerciendo
violencia contra los bienes y ocupantes de la casa. Los hechos
descritos fueron denunciados por miembros de la custodia del
Presidente Constitucional derrocado, así como por familiares del
mismo que se encontraban el día del golpe en la Casa
Presidencial.
2. En la mañana del 28 de junio, el Congreso de la República
procedió a “improbar la conducta del Presidente José Manuel
Zelaya Rosales, por las reiteradas violaciones a la Constitución
y a las leyes y la inobservancia de las resoluciones y sentencias
de los órganos jurisdiccionales”, cesándolo en su cargo de
Presidente a pesar de no existir norma constitucional o legal
que posibilitara tal cese, y designando a Roberto Micheletti
Baín como “Presidente Constitucional de la República” (Decreto
del Congreso Nro. 141–09).
3. Con fecha 30 de junio de 2009, aunque fechada el 30 de junio
de 2008, se emitió el Decreto Ejecutivo Nro. 011‑2009, firmado
por el Sr. Micheletti, restringiendo los siguientes derechos
constitucionales: la libertad personal, “detención e
incomunicación por más de 24 horas” (sic), la libertad de
asociación y reunión, el derecho a circular libremente, salir,
entrar y permanecer en el territorio nacional. Los anteriores
derechos se encuentran contemplados en los artículos 69, 71,
72, 78, 79, 81, 84, 99 de la Constitución.
El Decreto estableció que los derechos mencionados serían
restringidos de 10:00 pm a 5:00 am en todo el territorio -
conforme a lo establecido por la Ley de Estado de Sitio-, por el
término de setenta y dos horas a partir de la aprobación del
mismo.
En la indicada norma, –que a fecha de hoy y 23 días después de
su promulgacion continúa en vigor– no sólo no figura el
mecanismo de prórroga de la suspensión de los citados
derechos, sino que el Decreto no ha sido publicado hasta la
fecha en el diario oficial de la Republica de Honduras. Cabe
señalar que el artículo 211 de la Constitución de Honduras
dispone que la publicidad de las normas constituye un requisito
esencial de validez de éstas.
La restricción o suspensión de derechos está exclusivamente
prevista por la Constitución hondureña (art.187) para los
supuestos de invasión del territorio nacional, perturbación
grave de la paz, de epidemia u otra calamidad.
4. El decreto de suspensión de los derechos fundamentales de los
hondureños continúa siendo aplicado pese a haberse vencido el
plazo de 72 horas de duración originalmente contemplado en el
decreto que dispuso estas restricciones; y no existe ningún
decreto posterior que haya prorrogado formalmente esta
suspensión. Asimismo, de forma diaria y a través de
comunicados en diversos medios de comunicación, se ha venido
variando aleatoriamente los horarios de vigencia del toque de
queda impuesto en la capital y en el interior del país.
5. Existe incertidumbre sobre el horario del toque de queda y el
alcance de la restricción de garantías. Preguntados sobre el
horario del toque de queda, varios funcionarios entrevistados
por la Mision, dieron horarios diferentes y expresaron
diferencias sobre su contenido.
6. La Misión muestra su perplejidad por la actitud en apoyo al
golpe de estado mantenida por la alta jerarquía católica
hondureña y representantes de algunas iglesias evangélicas, y
su implicación activa en la organización de las movilizaciones de
respaldo a éste convocadas por el régimen de facto.
7. La Misión internacional sobre derechos humanos en Honduras
ha identificado la existencia de graves violaciones a los
derechos humanos ocurridas en el país con posterioridad al
golpe de Estado. De igual forma, ha constatado la
desprotección de numerosas personas afectadas ante la
respuesta inadecuada de las instituciones que son
constitucionalmente responsables de velar por el respeto a los
derechos fundamentales de los y las hondureñas. En particular,
la Misión llama la atención sobre la grave omisión del
cumplimiento de las obligaciones funcionales del Comisionado
Nacional de Derechos Humanos, Sr. Ramón Custodio.
8. Entre las vulneraciones de derechos fundamentales
denunciados ante la Misión se encuentran un importante
número de ejecuciones extrajudiciales, centenares de
detenciones arbitrarias, múltiples amenazas, cercenamiento de
la libertad de expresión e información, así como restricciones
indebidas a la libertad de circulación, enmarcado todo ello en
un contexto de clara persecución política que afecta
especialmente a dirigentes políticos y sindicales, defensores y
defensoras de derechos humanos, líderes y lideresas sociales,
periodistas, ciudadanos/as extranjeros/as, entre otros.
9. En efecto, desde que se consumó el golpe de estado y en
relación a él, según diversas fuentes constatadas por la Mision,
han sido reportadas las siguientes muertes de personas:
ISIS OBED MURILLO MENCIAS, de 19 años, muerto por
disparos de las Fuerzas Armadas durante la marcha celebrada
el 5 de julio por los partidarios del presidente depuesto al
aeropuerto de Toncontin, Tegucigalpa; GABRIEL FINO
NORIEGA, periodista de Radio Estelar, en el departamento de
Atlántida, asesinado de 7 impactos de bala el 3 de julio cuando
salía de su centro de trabajo; RAMON GARCIA, líder del
partido politico Unión Democrática (UD), obligado a bajar de un
vehículo de transporte público cuando regresaba de una
manifestación y acribillado a tiros en la localidad de Santa
Bárbara por desconocidos; ROGER IVAN BADOS, ex dirigente
sindical del sector textil y actual militante de la UD y del Bloque
Popular (BP), amenazado de muerte con posterioridad al golpe
y asesinado a tiros tras sacarlo por la fuerza de su propia casa
el 11 de julio en San Pedro Sula; VICKY HERNANDEZ
CASTILLO (SONNY EMELSON HERNANDEZ), miembro de la
comunidad LGTB, muerto en San Pedro Sula por un impacto de
bala en el ojo y con señales de estrangulamiento, durante el
toque de queda; y una persona no identificada, vestida con
una camiseta de la denominada “cuarta urna”, encontrada
muerta el 3 de julio en el sector de “La Montañita” en
Tegucigalpa, lugar que fue cementerio clandestino de
ejecuciones extrajudiciales durante los años 80. La misión
continúa verificando otras denuncias de ejecuciones
extrajudiciales.
10. La Misión ha recibido del Centro de Investigaciones y Promoción
de los Derechos Humanos (CIPRODEH), denuncias relacionadas
con la desaparición forzosa de: ANASTASIO BARRERA de 55
años, afiliado a la Central Nacional de Trabajadores del Campo,
secuestrado en San Juan Pueblo, Atlántida, el día 5 de julio de
2009 por cuatro individuos que vestían chalecos de policía. Se
ha reportado, asimismo, que Manuel Sevilla, de 19 años, fue
desaparecido en San Pedro Sula el día 12 de julio luego de
volver de una manifestación.
11. En cuanto a vulneraciones a la integridad de las personas,
la misión tomó nota de amenazas, con ocasión del golpe de
Estado, que afectan a diversos grupos dentro de la sociedad
hondureña: periodistas críticos al régimen de facto, alcaldes,
sindicalistas, dirigentes de organizaciones populares,
defensores-as de derechos humanos, maestros, diputados.
Hemos documentado más de cien personas en esta situación.
12. Hemos recibido informaciones relativas a la utilización
política de la capacidad legítima del Estado de investigar
y sancionar a personas vinculadas a la comisión de delitos. El
caso que puede ilustrar esta tendencia es el del padre de Isis
Obed Murillo, Don José David Murillo Sánchez, quien fuera
capturado luego de que rindiera testimonio ante la Fiscalía de
Derechos Humanos por el asesinato de su hijo. Su captura y
posterior detención fue justificada con base en un antiguo
proceso judicial que se encontraba paralizado, el mismo que fue
reactivado luego de que Murillo acudiera a la justicia a
denunciar la muerte de su hijo. De la lectura del expediente y la
entrevista con jueces, testigos, abogados y el propio señor
Murillo se deducen serias violaciones al debido proceso, la
defensa, la libertad, etc. Otras denuncias recibidas comprenden
asimismo procesos relativos a funcionarios del Gobierno
depuesto.
13. Según lo afirmado a la Misión por el General Director de la
Policía Nacional. Sr Escoto Salinas, se han registrado a la fecha
1275 detenciones vinculadas con infracciones al toque de
queda y por otros motivos relacionado con las manifestaciones
de protesta contrarias al golpe.
14. Respecto a la detención arbitraria de extranjeros, cabe
señalar que en las últimas semanas aumentaron
significativamente éstas; en particular, la de aquellos
extranjeros de nacionalidad nicaragüense quienes se han visto
afectados de manera desproporcionada por detenciones
arbitrarias e irregulares. Sólo durante esta semana se han
registrado allanamientos sin orden judicial y detenciones
arbitrarias de, por los menos, veinte personas nicaragüenses.
15. Durante los días 20 y 21 de julio, miembros de la Misión
constataron las violaciones de derechos humanos que sufrieron
los jóvenes de nacionalidad nicaragüense: JARLEN MANUEL TORRES
TORRES, NOE EMILIO AVELLAN RUIZ, TULIO RAFAEL BENDAÑA MEJÍA,
ALEJANDRO JOSÉ GARCÍA OBREGÓN, PABLO YASE BENOARIA, JORGE
DANILO FLORES, FRANCISCO ISRAEL CONNOR, CARLOS DAVID BENDAÑA
MEJÍA, JOSE GONZÁLEZ, DARWIN ANTONIO REYES LAZO, MIGUEL ÁNGEL
AGUILAR FERNÁNDEZ, HENRY GEOVANY MARTÍNEZ LÓPEZ Y DAVID JIRÓN.
Ellos fueron detenidos arbitrariamente alegando infracciones
administrativas al derecho de extranjeria, siendo sujetos a
malos tratos, no se les ofreció asistencia consular, ni se les
brindó condiciones de detención adecuadas, en algunos casos
se les mantuvo detenidos en celdas policiales con otras
personas acusadas de la comisión de delitos comunes, no
tuvieron acceso a un juez ni a un defensor. Estas acciones
fueron llevadas a cabo por miembros de la Policía Nacional Civil.
16. Las autoridades justifican estas
detenciones en la existencia de “amenazas externas” al régimen
de facto. Hasta el momento, las detenciones no han provisto de
evidencia alguna respecto de la participación de los más de 100
afectados en acciones que comprometan la seguridad nacional.
Por el contrario, muchos de los detenidos son comerciantes,
trabajadores o migrantes, algunos de ellos-as con sólidos
vínculos familiares y arraigo acreditado en Honduras.
17. Numerosos medios de
comunicación locales contribuyen con esta práctica y política
xenofóbica otorgando una cobertura sensacionalista de las
detenciones de nicaragüenses e invitando a la población a
denunciar la presencia de ciudadanos extranjeros en actitudes
sospechosas.
18. La misión ha recibido múltiples denuncias relacionadas con el
reclutamiento forzoso de jóvenes por parte del Ejército en
zonas rurales, para integrarlos a las reservas.
19. En materia de Libertad de Expresión, hemos constatado graves
restricciones a la libertad de expresión con posterioridad al
golpe de Estado. En Tegucigalpa, Canal 36, Radio TV Maya y
Radio Globo fueron militarizadas como parte del operativo de
silenciamiento de medios de comunicación ocurrido con ocasión
del golpe. Se suspendió temporalmente la transmisión de Canal
36 y hemos recibido denuncias, así como hemos constatado, el
asalto a diversos locales de medios de comunicación y
amenazas de muerte contra periodistas, el bloqueo de sus
transmisiones o la interceptación telefónica y bloqueo de su
acceso a internet.
20. La Misión fue informada del ametrallamiento, después del
golpe, de la cabina de transmisión de Radio Juticalpa en
Olancho, y de las amenazas de muerte producidas contra
periodistas como el director del diario El Libertador, Sr.
JHONNY JOSE LAGOS ENRIQUEZ, así como contra LUIS
GALDANES, conductor del programa radial “Tras la
Verdad”. El señor Lagos viene siendo objeto, además, de una
persecución judicial promovida por el Fiscal General de
Honduras, Dr. Luis Rubí, en base al art. 349 del Código Penal
de Honduras que solo puede aplicarse a servidores públicos,
condición que el señor Lagos Henríquez no tiene.
21. En la ciudad de Progreso, por otra parte, las fuerzas militares
ocuparon y silenciaron las trasmisiones de Radio PROGRESO,
siendo hostigado su director el sacerdote jesuita ISMAEL
MORENO, detenido temporalmente el periodista ROMELL
ALEXANDER GÓMEZ MEJÍA y recibido amenazas de muerte
en el caso del periodista ROMEL ROMERO, canalizadas a
través del teléfono celular de su esposa, la Sra. MIRIAM
ESPINAL. Igualmente, el Equipo de Reflexión y
Comunicación (ERIC), estrecho colaborador de Radio
Progreso, viene siendo objeto de amenazas y hostigamiento por
parte de fuerzas militares que se encuentran permanentemente
situadas frente a su sede en la Casa San Ignacio, Boulevard
Canán, en Progreso.
22. Situación similar a las anteriores padece OSMAN DANILO
COREA, periodista del Canal 26 TV Atlántica en el
Departamento de Colón, quien informó a la Misión que los
militares han indicado a los medios de comunicación del
departamento que no pueden trasmitir otras versiones o
informaciones que no sean las del presidente de facto
Micheletti. El señor Correa relató que recibió una llamada del
Capitán de apellido Tercero, Jefe de la Base Naval de Castilla,
próxima a Trujillo, para prohibirle trasmitir información sobre
marchas distintas de los “camisetas blancas” (partidarios del
gobierno de facto), amenazándolo con decomisarle los equipos
en caso de desobedecer, añadiendo “porque nosotros
mandamos, las fuerzas armadas tenemos el poder”. La Misión
recibió, asimismo, la denuncia de hostigamiento y persecución
sufrida por el periodista de televisora “La Cumbre” Sr.
JORGE ORLANDO ANDERSON del pueblo de Bonito Oriental,
por parte de militares de la ya referida base naval de Castilla.
23. El periodista NAHUM PALACIOS de Tocoa, refirió haber sido
amenazado por el mismo Capitán Tercero de la Base Naval de
Castilla el 28 de junio, quien ordenó la detención de 4
miembros de Televisora del Aguan, Canal 5. Por su parte, el
periodista, Presidente del Sindicato de Maestros de Tocoa y
Director del programa de noticias Centro de Noticias de
Colón Sr. WILFREDO PAZ ha recibido constantes amenazas
anónimas de quemarle la emisora si continuaba con sus
emisiones, ordenando el ya referido Capitán Tercero, que la
empresa de cable cortara la trasmisión del programa del Sr.
Palacios.
24. La Misión ha recibido igualmente denuncias muy concretas de
la actuacion de grupos paramilitares, compuestos por
civiles vinculados supuestamente a organizaciones de
narcotraficantes, y a grupos de seguridad privada al servicio de
destacados empresarios, quienes vestidos con traje de
camuflaje operan conjuntamente con miembros del XV Batallón
del Ejercito Hondureño en el departamento de Colón.
25. La Misión, ha constatado,
asimismo, amenazas y coacciones a trabajadores-as en sus
puestos de trabajo relacionadas con su asistencia a marchas
contrarias al golpe; asi como actuaciones coactivas para
garantizar su asistencia obligatoria a marchas convocadas por
el régimen de facto y la empresa privada.
iii. Conclusiones
La Misión internacional constató la existencia de violaciones graves y
sistemáticas a los derechos humanos en Honduras con posterioridad
al golpe de Estado. Algunas de ellas tienen como origen la aplicación
de normas abiertamente contrarias a los compromisos internacionales
de protección de derechos humanos, la militarización de funciones de
seguridad e instituciones estatales, abusos por parte de fuerzas de
seguridad del Estado y la falta de respuesta de los mecanismos de
garantía del Estado.
Una de las conclusiones fundamentales de la visita consiste en
determinar que el Decreto 11–2009, de suspensión de garantías,
establece restricciones a una amplia gama de derechos
fundamentales incluyendo la libertad personal, la movilidad y otros,
así como su aplicación, contrarían las obligaciones internacionales del
Estado en la materia.
Los vicios identificados en el Decreto 11–2009 hacen ilegítimas las
medidas adoptadas con fundamento en el mismo, como por ejemplo,
las centenares de detenciones por toque de queda, allanamientos y
las restricciones a la libertad de movilización en las carreteras.
La Misión considera que uno de sus hallazgos fundamentales consiste
en establecer la desprotección de numerosos afectados por las graves
violaciones perpetradas ante la respuesta inadecuada de las
instituciones que son responsables de velar por la garantía de los
derechos fundamentales de los y las hondureñas. Ello es evidenciado
en la manifiesta falta de recursos de la Fiscalía Especial de Derechos
Humanos, así como en la inoperancia de la Corte Suprema para
decidir sobre la legalidad del decreto de suspensión de garantías y
otros amparos sobre violaciones a derechos fundamentales ocurridas
con ocasión del golpe, y la negligencia del Comisionado Nacional de
Derechos Humanos.
Más aún, es posible sostener, que algunas instituciones de control de
derechos han asumido un papel abiertamente cómplice de las
autoridades de facto, haciendo caso omiso de sus funciones
constitucionales y legales.
El golpe ha colocado en una situación de mayor precariedad en la
tutela de sus derechos a varios colectivos que estaban en una
situación de vulnerabilidad con antelación al 28 de junio, como ocurre
con la comunidad LGTB.
Hemos constatado serias limitaciones a la libertad de expresión y
amedrentamientos destinados a restringir la circulación de
información que critique al régimen de facto. A su vez, consideramos
que una parte de los medios de masivos comunicación del país ha
tenido una actitud irrespetuosa con la pluralidad de ideas y la
democracia. En ocasiones, estos medios se han hecho eco de
posiciones abiertamente represivas e incitadoras de la violencia
contra los partidarios del gobierno depuesto.
Quisiéramos destacar el papel destacado que han jugado y siguen
jugando en esta coyuntura numerosos defensores-as de derechos
humanos, quienes a pesar de la adversidad, la falta de recursos y los
riesgos a su integridad y su vida, han levantado su voz para
denunciar los abusos, proteger a las víctimas y defender la
institucionalidad democrática. Valoramos especialmente el papel de
las mujeres y sus organizaciones para defender la democracia y los
derechos humanos en Honduras
iv. Recomendaciones
I. A la comunidad internacional de Estados
1– Implementar todas las medidas necesarias para contribuir a
garantizar el goce y disfrute de los derechos humanos de la población
hondureña;
2– Mantener una posición firme de condena al golpe de Estado,
exigiendo la restitución del Presidente Zelaya y el restablecimiento
del orden constitucional;
3– Mantener la suspensión de las relaciones diplomáticas con el
régimen de facto, así como de cualquier apoyo económico o
financiero dirigido a las instituciones del Estado involucradas en el
golpe de Estado;
4– Desconocer los resultados de elecciones convocadas por el
gobierno de facto, tal y como fue expresado por el Secretario General
de la Organización de Estados Americanos, asi como desconocer
cualquier decision adoptada por dicho gobierno.
· Sobre las relaciones bilaterales con Honduras
5– Las embajadas presentes en el país deben continuar y reforzar las
medidas apropiadas para contribuir a la protección de los defensores
y defensoras de derechos humanos y activistas de la sociedad civil,
entre otras, mediante
„X Visitas a las oficinas de personas y organizaciones en riesgo
„X Invitaciones e intercambios constantes con las mismas
„X Apoyo logístico que sea pertinente para su seguridad
„X Implementación de un sistema de alerta y emergencia de
acceso inmediato para personas en riesgo.
„X Abrir conjuntamente con ONG internacionales un apoyo
adicional para la sociedad civil hondureña, para reforzar su
capacidad de proteger y monitorear DDHH. En particular, es
necesario de aumentar los recursos humanos y financieros para
que atiendan las necesidades en el interior del país.
6– La cooperación internacional debe mantener la suspensión de
apoyo presupuestario y de programas a instituciones del Estado que
han estado involucrados en el golpe de estado, manteniendo la
ayuda humanitaria, la cooperación con los municipios y con las
organizaciones de la sociedad civil hondureña.
7– Los Estados deben tomar medidas contra los principales
responsables del golpe, tales como la restricción de otorgar visas y el
congelamiento de cuentas bancarias en el exterior.
· Relaciones entre Unión Europea y Honduras
8– Con respecto a las relaciones entre Honduras y la Unión Europea,
deben aplicarse las medidas siguientes:
· La cláusula democrática contemplada en el art. 1 del Acuerdo
Marco de Cooperación entre la Unión Europa y Centroamérica
del 1993, que faculta la suspensión de la cooperación en caso
de grave quebrantamiento del orden constitucional.
· Abstención de relaciones diplomáticas con el nivel de viceministros
del gobierno ilegítimo, como también con todos los
representantes diplomáticos hondureños en la Unión Europea
que apoyan al gobierno de facto.
· Suspensión, más allá del apoyo presupuestario, de todos los
programas dirigidos a apoyar las instituciones del Estado que
han estado involucradas en el golpe de estado.
· Mantener la decisión de suspender las negociaciones del
Acuerdo de Asociación entre la UE y América Central hasta que
se restituya el orden constitucional en Honduras.
· Suspensión de Honduras del Sistema General de Preferencias
(SGP plus) de la Unión Europea.
II.A los órganos y organismos internacionales
9– La Comisión Interamericana de Derechos Humanos debe continuar
monitoreando la situación de los derechos humanos en Honduras y
emitiendo recomendaciones para proteger a la población en
Honduras, en este sentido urgen las siguientes acciones:
„X Seguir otorgando medidas cautelares para proteger a las
personas en situación en riesgo
„X Realizar a la brevedad la visita in situ al país y emitir un
informe con las recomendaciones que estime convenientes.
10– El Consejo de Seguridad de la Organización de Naciones Unidas
debe pronunciarse en contra del golpe de Estado en Honduras y
adicionalmente debe tomar medidas que contribuyan al
restablecimiento del orden constitucional.
11– El sistema de protección de Derechos Humanos de la ONU debe
activar los mecanismos apropiados para abordar la situación de
derechos humanos en Honduras, en particular considerar la
pertinencia de:
„X Adoptar una resolución a nivel del Consejo de Derechos
Humanos;
„X Establecer una oficina permanente del Alto Comisionado de
Derechos Humanos en Honduras;
„X Realizar visitas de verificación de las relatorías especiales
competentes en materia de libertad de expresión, defensores y
defensoras de derechos humanos e independencia de los jueces
y abogados.
12– La Corte Penal Internacional debe actuar preventivamente. Por
ello solicitamos al Fiscal General de la Corte Penal Internacional
iniciar diligencias conducentes a una posible investigación penal
conforme a la disposición del art. 7, numeral g del Estatuto de Roma
que contempla la competencia por el crimen de persecución política.
Ante la gravedad de la situación de derechos humanos, hemos
tomado la decisión entre las organizaciones nacionales e
internacionales involucradas en la misión, iniciar en seguimiento a
esta misión un Observatorio de Derechos Humanos en
Honduras.
_______________________________________________________
_________
Los integrantes de la Misión de Observación sobre la situación de los
Derechos Humanos en Honduras, han sido las siguientes personas:
· Luis Guillermo Pérez (CIFCA)
· Marcia Aguiluz (CEJIL)
· Viviana Krsticevic (CEJIL)
· Martin Wolpold-Bosien (FIAN Internacional)
· Jorge Rojas (CODHES)
· Benjamín Cuellar (IDHUCA)
· Miguel Jugo (Coordinadora Nacional de Derechos Humanos de
Perú)
· Javier Mujica (FIDH)
· Efraín Olivera (PIDHDD, SERPAJ)
· Enrique Santiago (IEPALA, FEDERACIÓN DE ASOCIACIONES DE
DEFENSA Y PROMOCIÓN DE LOS DERECHOS HUMANOSESPAÑA)
· Ellen Verryt (Solidaridad Mundial)
· Hans Peter Dejgaard(IBIS – Dinamarca)
· Katrin Erlingsen (Asesora del Presidente de la Comisión de
Cooperación económica y Desarrollo del Parlamento alemán)
· Leo Gabriel (Instituto de Investigaciones Interculturales y de
cooperación — Austria)
· Katia Nouten (CIFCA)
· Dolores Jarquín (Alianza Social Continental)
· Francois Houtart (Centro De Estudios Tricontinental)

A un mese dal golpe in Honduras

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A UN MESE DAL GOLPE IN HONDURAS
di Gennaro Carotenuto
(28 luglio 2009)
Esattamente un mese fa, il presidente legittimo della Repubblica dell’Honduras, Manuel “Mel” Zelaya, veniva sequestrato da un commando golpista dando inizio così all’ultimo colpo di Stato nel XXI secolo. Di eversori in America latina continuano ad essercene moltissimi ma, soprattutto dopo la sconfitta del golpe in Venezuela dell’11 aprile 2002 si pensava che la forma golpe, i governi civico-militari, i cadaveri degli oppositori sul ciglio della strada, gli appoggi o i silenzio-assenso da parte dei grandi burattinai fossero cosa del passato.
Mel Zelaya nel corso di questo mese è diventato una sorta di simbolo. Questo non perché rappresenti un politico nel quale meriti necessariamente riconoscersi, ma per l’istituzione democratica che incarna rispetto all’istinto autocratico delle forze golpiste, intorno alle quali sta pascolando la peggior feccia della storia latinoamericana, sicari come Joya Améndola, neonazisti come Peña Esclusa, terroristi internazionali come Otto Reich. Alla testa di questi si è installato Roberto Micheletti, un famelico personaggino subito adottato da parecchi media italiani, pronti a passar sopra al golpe e a fare l’ennesima ignobile figura facendo il tifo per il dittatore (presunto) tifoso dell’Atalanta.
Ma la parte interessante e che riempie di speranza per quanto sta avvenendo in Honduras, non risiede nel quadro politico istituzionale ma nel protagonismo dei movimenti sociali, indigeni, contadini. Questi, in un paese dove ci si è spesso ritrovati con una pallottola nel cervello al minimo segno di ribellione, stanno dimostrando di non essere più disposti a piegare la testa. La resistenza al golpe è forse catalizzata e animata dal quadro internazionale ma vive di luce propria, di forza propria, di progetti propri dove i vinti della storia hanno deciso di dire basta non in maniera estemporanea, spontanea, ma sulla base di prassi e culture politiche consolidate.
La fotografia del popolo honduregno in lotta è l’essenza di un decennio di storia latinoamericana che poggia le sue radici in anni e anni di lavoro sotterraneo durante la notte neoliberale. Sia il Copinh, il “Consiglio delle Organizzazioni popolari e Indigene” che “Vía Campesina”, per citare solo due delle organizzazioni maggiori, hanno 16 di vita, essendo nate nel 1993, l’anno prima, per dare un riferimento noto ai più, della rivolta zapatista in Chiapas e già allora affondavano le radici su forze e movimenti profondi.
In questo senso riportare al governo Mel Zelaya rappresenterebbe una vittoria fondamentale ma parziale di questo movimento, laddove il trionfo vero sarebbe tirar fuori finalmente dai nascondigli le urne con i voti del referendum della quarta urna, quello per l’elezione dell’Assemblea Costituente, che scriva una carta democratica e partecipativa che seppellisca finalmente quella attuale, scritta al tempo della guerra sporca dal dittatore Policarpo Paz e per continuare a imporre la quale gli oligarchi honduregni hanno scatenato il golpe.
A un mese dal colpo di Stato chi dall’interno ha continuato a sfidare la dittatura deve tristemente ammettere che il quadro internazionale non è più così compatto come i primi giorni nel condannare il golpe. All’inizio nessuno al mondo voleva concedere spazio al governo di fatto, OSA, Nazioni Unite, Mercosur e tutti i governi del Continente, Stati Uniti compresi, sembravano formare un fronte compatto.
Oggi il governo di Barack Obama continua a condannarlo a parole ma poi non prende misure economiche che possano strangolarlo. I governi integrazionisti latinoamericani, pur desiderandolo, non hanno la possibilità di fare altrettanto: l’economia honduregna è ancora perfettamente coloniale, periferia vincolata al centro statunitense. Così da giorni cascano i pezzi, i colombiani fanno la fronda, e del resto se c’è una differenza tra Álvaro Uribe e Roberto Micheletti è che quest’ultimo ha molti meno morti sulla coscienza.
Il grande mediatore, il costaricense Oscar Árias, investito del ruolo da Hillary Clinton intanto ha mal interpretato, o ben interpretato a seconda dei punti di vista. Doveva trattare la resa dei golpisti e invece ha offerto loro una parziale legittimità internazionale che è stata una decisiva boccata d’ossigeno. L’unica maniera di far retrocedere il golpe è quella di far vincere politicamente le istanze dei golpisti? Mettere nero su bianco che mai in Honduras ci sarà un’Assemblea costituente? Ma Árias ha fatto di peggio. Bacchettando l’iniziativa di Zelaya di rientrare simbolicamente nel paese, criticandolo in maniera inammissibile per la decisione sovrana dell’Honduras di entrare nell’ALBA, si è perfino tolto i panni di una neutralità già in sé non richiesta per parteggiare con i golpisti. Zelaya a questo punto, stando ad Árias, per rientrare dovrebbe cospargersi il capo di cenere e trasformarsi in una sorta di burattino nelle mani di Micheletti e del generale Romeo Vázquez.
A un mese dal golpe la situazione resta o si fa più difficile. Ma le delusioni internazionali, le incertezze e le lotte sotterranee nell’Amministrazione Obama, il quadro politico-istituzionale centro-americano che resta triste, anche in figure che rappresentano una storia gloriosa come Daniel Ortega in Nicaragua, non devono farci dimenticare il senso della storia, le forze profonde dei movimenti popolari, indigeni e contadini che continuano a resistere al golpe e che non abbiamo il diritto di dimenticare.

Federico Mastrogiovanni in Honduras con Mel Zelaya

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Zelaya vuelve a Honduras
 
Pochi lo sanno ma nel gruppo  di giornalisti di diversi  paesi che  hanno accompagnato ieri il presidente Mel Zelaya nel suo viaggio da Managua fin dentro al  territorio honduregno,  c’è il giornalista italiano freelance Federico Mastrogiovanni, fondatore di Andinamedia.
 
Questo è il suo blog  e questa la diretta con Radio Tra Mondo da Managua qualche ora prima della partenza verso Las Manos.
 
I grandi giornalisti, dopo aver lasciato gli alberghi di Tegucigalpa (ma ci sono stati?) sono ritornati ai loro desk. Fare di questo lavoro anche una militanza è tutt’altra cosa.

Il Comitato Pro Zelaya alla Presidenza dell’Unione Europea

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No se puede aceptar un golpe de Estado en el siglo XXI!

Roma, 21 luglio 2009

La Presidenza dell’ Unione Europea in data odierna ha confermato il suo appoggio politico al legittimo presidente dell’ Honduras Manuel Zelaya e ha sostenuto la mediazione in Costa Rica del presidente Oscar Arias. Tuttavia oltre alla sospensione del dialogo poltico e dello sviluppo dei Trattati bilaterali in discussione, non è riuscita a prendere iniziative più coraggiose rispetto al governo golpista di Roberto Micheletti, quale per esempio la sospensione del Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG) che permette ai paesi in via di sviluppo di beneficiare di un accesso più agevole ai mercati dei Paesi Industrializzati e che è vincolato al rispetto delle 27 principali convenzioni internazionali in materia di Democrazia e di Diritti Umani.
Il Comitato Pro Zelaya, costituitosi spontaneamente il 28 giugno scorso, nelle stesse ore in cui avveniva il colpo di Stato in Honduras, chiede pertanto che iniziative più importanti in campo economico vengano intraprese contro il governo golpista e la sua giunta civico-militare, affinché sia permesso un immediato rientro nel paese del legittimo presidente Manuel Zelaya e il ripristino dell’ ordine costituzionale e il rispetto dei diritti umani nel paese, gravemente minacciati dalla giunta golpista.
Denuncia inoltre l’ incapacità e la mancanza di volontà tanto dell’ Unione Europea, quanto anche del governo degli Stati Uniti nel riuscire a prendere decisioni importanti e coraggiose di fronte a situazioni gravi e di emergenza democratica, come sta avvenendo in queste ore in Honduras.
Nonostante infatti il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), José Miguel Insulza, abbia detto che “nessuno nel mondo appoggia il regime di Micheletti”, nessun singolo paese o organizzazione di tipo intergovernativa ha di fatto intrapreso severe restrizioni economiche o alcun tipo di boicottaggio commerciale contro il governo golpista honduregno.
Il Comitato Pro Zelaya inoltre solidarizza e si somma alla lotta del Fronte Nazionale di Resistenza contro il Colpo di Stato e coincide nella sua posizione intransigente di rifiuto di qualsiasi proposta di amnistia da concedere ai golpisti, in quanto questa potrebbe creare un grave precedente di immunità nel paese e nella regione.
Ricordiamo che l’Honduras ha accettato in passato la competenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani, e che pertanto le ha ceduto la facoltà di vigilare l’adempimento delle obbligazioni civili e democratiche assunte verso il proprio popolo.
Qualsiasi legislazione che prospetti una possibile amnistia per i golpisti pertanto si puo’ considerare violatoria della Convenzione Americana sui Diritti Umani.
Annalisa Melandri
portavoce

Rinviato a giudizio Alfonso Podlech il torturatore di Temuco

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Ieri si è tenuta a Roma l’udienza preliminare
per il rinvio a giudizio di Podlech, il gendarme cileno braccio destro di Pinochet
accusato di atrocità e massacri quando era gerente del carcere di Temuco.

Al termine dell’udienza la giudice ha deciso per il rinvio a giudizio.
Il processo (per i reati di strage, sequestro a scopo di estorsione e omicidio plurimo aggravato)
inizierà nel novembre prossimo.

Una volta tanto, incredibilmente, la giustizia italiana sembra aver dato risposta
alle aspirazioni di giustizia delle vittime.

 

Per quanti non conoscessero i pregressi:
Il pm italiano Capaldo iniziò anni fa l’indagine sul Plan Condor
e i desaparecidos di origine italiana..
Tra  essi l’italo-cileno Omar Venturelli, ucciso da Podlech a Temuco.
In base alle indagini venne emesso ordine di cattura internazionale
anche contro Podlech, che fu fermato l’anno scorso in Spagna
dove si era recato nientepopodimeno che in vacanza  (in Cile gode di assoluta immunità).

La moglie Fresia Cea e la figlia Maria Paz Venturelli si sono costituite parte civile
assieme al comune di Pavullo (paese di origine di Venturelli) e alla regione Emilia Romagna.


Intervista a Francisco Soberón direttore dell’Asociación Pro Derechos Humanos (APRODEH)

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Francisco SoberónE’ trascorso ormai più di un mese dalla violenta repressione nell’Amazzonia peruviana con la quale il governo di Alan García ha posto fine alla protesta organizzata del movimento indigeno e di ampi settori della società che chiedevano la revoca di alcuni decreti legislativi che minavano profondamente la sovranità indigena su quel territorio ma soprattutto la protezione di uno degli ecosistemi più importanti del pianeta. Al termine di una settimana di scontri violenti che hanno lasciato un saldo di circa 50 morti tra civili e membri di polizia, un numero considerevole di feriti e alcuni casi di persone scomparse, il Congresso ha ritirato due dei decreti legislativi oggetto di contestazione. Si è parlato di vittoria del movimento indigeno, tuttavia resta da far chiarezza sulla sospensione dello Stato di diritto che si è verificata in quei giorni e che ha portato a gravi violazioni dei diritti umani da parte del Governo. Solo da questo si può partire per un dialogo costruttivo tra le parti che al momento è sospeso. Come ci racconta Francisco Soberón, direttore dell’Asociación Pro Derechos Humanos (APRODEH) del Perú, nominato insieme ad altri 50 difensori dei Diritti Umani “che stanno cambiando il mondo” da Terry Kennedy Cuomo nel suo libro dal titolo “Dire la verità al potere” edito da Random House nel 2000.
Annalisa Melandri — Durante le giornate della dura repressione a Bagua, in Amazzonia, ci sono state testimonianze di indigeni gettati dagli elicotteri nei fiumi Marañon e Utcubamba. Avete potuto verificare queste notizie?
Francisco Soberón — Sì. Persone che si trovavano in quella zona nel giorno in cui sono avvenuti i fatti hanno testimoniato di aver visto come i cadaveri venivano caricati sugli elicotteri e gettati nei fiumi. Altre persone hanno riferito che alcuni indigeni sono stati uccisi sulle sponde del fiume e poi gettati in acqua.
A.M. — Ci sono casi di persone scomparse a Bagua? Quante denunce avete ricevuto?
F.S. – Si sono verificate molte situazioni irregolari, per esempio rispetto al fatto che nella zona della “Curva del Diablo” e’ stato impedito per 5 giorni l’accesso a persone, giornalisti, familiari, organizzazioni di difesa dei diritti umani. Questo stato di cose ha creato nella popolazione il sospetto che ci possano essere stati casi di sparizioni di persone. Quando la prima volta ci siamo potuti avvicinare come organismo di difesa dei diritti umani, il 6 giugno, abbiamo ricevuto numerose denunce di casi di persone delle quali non si conosceva la loro ubicazione. Abbiamo quindi redatto una lista di 68 persone scomparse. Durante la missione della Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH), è stata segnalata la necessità di continuare le ricerche e della lista sono rimaste 11 persone da rintracciare. Ad oggi, sono 9 le persone delle quali stiamo cercando di avere notizie. Durante la visita della FIDH nella comunità Wawas, i dirigenti delle comunità indigene hanno riferito che c’erano casi di persone scomparse nella zona dei fiumi Santiago e Cenepa. Tuttavia non ci sono ad oggi casi di denunce specifiche con nomi e cognomi.
A.M. – Quante persone sono state arrestate e quali sono le loro condizioni di detenzione?
F.S. — Attualmente ci sono 18 persone in carcere. Si trovano nel carcere di Chachapoyas, un penale per detenuti già processati e con condanne definitive, nonostante non sia ancora questa la loro condizione.
A.M. — Qual’e’ la situazione legale del leader indigeno Alberto Pizango?
F.S. — Ha un processo in corso e sono stati emessi mandati di cattura da differenti giudici sia di Utcubamba a Bagua Grande sia di Lima.
A.M. — Sappiamo che la Polizia Nazionale sta conducendo le indagini per la morte di alcuni civili. Come è possibile, se proprio membri della Polizia sono accusati di aver ucciso dei civili a Bagua?
F.S. - Giustamente questo è il problema principale riscontrato nell’ indagine preliminare che abbiamo riproposto rispetto alla denuncia di 7 persone con le accuse di omicidio e lesioni gravi. Abbiamo inoltre comunicato al Pubblico Ministero su queste irregolarità nelle indagini sulla morte e lesioni dei civili e abbiamo chiesto che le indagini siano realizzate da un ufficio giudiziario.
A.M. — Qual’è stato l’atteggiamento del governo rispetto alle indagini delle missioni internazionali delle associazioni di difesa dei diritti umani a Bagua?
F.S. — Non possiamo dire che il governo abbia posto ostacoli direttamente al lavoro delle missioni internazionali. Come APRODEH abbiamo promosso la visita di una missione della Federazione Internazionale dei Diritti Umani, che si è realizzata dal 16 al 19 giugno con l’obiettivo di indagare sui fatti avvenuti tra il 5 e il 6 di giugno nell’ambito della protesta in Amazzonia e di identificare le violazioni dei diritti umani che ci sono state e le responsabilità delle persone coinvolte. La missione FIDH, integrata dal messicano Rodolfo Stavenhaguen, ex relatore delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni e la religiosa ecuadoriana Elsie Monge, direttrice esecutiva della Commissione Ecumenica dei Diritti Umani (CEDHU) è arrivata la mattina del mercoledì 17 giugno a Bagua per riunirsi con i dirigenti indigeni, con i membri del Consiglio Comunale di Bagua e con i rappresentanti della Chiesa. Durante la sua permanenza a Lima, la Missione ha effettuato numerose riunioni con diverse autorità, tra le quali il Presidente del Consiglio dei Ministri, Yehude Simon, i ministri di Giustizia, Rosario Fernández, il ministro della Difesa, Antero Flores Aráoz, i rappresentanti del Ministero dell’Ambiente, della Corte Suprema, della Defensoría del Pueblo e del Congresso della Repubblica. Ciò nonostante, si sono verificati episodi gravi, come il trasferimento irregolare dei 18 detenuti dal carcere di Bagua Grande a quello di Bagua Chico un giorno prima dell’arrivo della missione della FIDH. E’ un fatto che richiama l’attenzione perchè, nello stesso momento esisteva il coprifuoco dalle 9 di sera alle 6 di mattina e inoltre in quei giorni la strada verso Chachapoyas era chiusa per lavori dalle 6 di mattina alle 6 del pomeriggio. Questo ha fatto sì che i membri della commissione non abbiano potuto incontrare i detenuti per verificare che fossero stati rispettati i loro diritti o che non fossero stati torturati. Si sarebbe scoperto che 4 persone che sono state trasferite dal Commissariato di Bagua Chicha al carcere di Bagua Grande erano state picchiate da membri della Polizia.
A.M. – Qual’è attualmente la situazione in Amazzonia? E’ stato revocato lo stato di emergenza?
F.S. — E’ stato revocato il coprifuoco ma non lo stato d’emergenza.
A.M. — Come prosegue il dialogo tra i rappresentanti delle comunità indigene e il Governo?
F.S. — Due dei decreti impugnati sono stati revocati dal Congresso della Repubblica il 19 giugno. Tuttavia, nonostante il fatto che questa decisione abbia ridimensionato la tensione tra le parti, il dialogo è interrotto perchè un numero considerevole di dirigenti indigeni regionali e di Lima sono indagati e su altrettanti pendono mandati di cattura. Le organizzazioni indigene avevano richiesto tra le altre cose la fine della persecuzione giudiziaria dei suoi dirigenti ma questi continuano ad essere denunciati, processati e con mandati di cattura sul loro capo. Crediamo che le possibilità per un dialogo nazionale rispetto al grande tema dello sviluppo dell’Amazzonia peruviana soltanto si possono raggiungere facendo chierezza su quanto è accaduto tra il 5 e il 6 giugno e con la piena partecipazione dei popoli indigeni.
A.M. — Per finire, può descriverci brevemente qual’è la situazione del rispetto dei diritti umani attualmente in Perú?
F.S. – Dopo quanto accaduto a Bagua e fatti legati ai processi per atti di corruzione di personaggi legati al partito di governo, possiamo segnalare che il rispetto della vita umana e dei diritti dei detenuti, così come le garanzie di un giusto processo, hanno perso importanza o sono venuti meno. Non esiste la reale intenzione del governo di indagare sui casi di violazioni dei diritti umani, tranne per il processo mediatico a Fujimori, ma casi nei quali sono coinvolte persone vicine al regime attuale, come quello di El Frontón o Rodrigo Franco continuano lentamente a rischio di impunità, con risoluzioni di prescrizione come nel caso di El Frontón o allungando i tempi per avere scarcerazioni per eccesso di detenzione preventiva. Oggi inoltre, ci sono violazioni dei diritti della libertà d’espressione, riunione, associazione e violazioni del dovuto processo di molti cittadini che fanno parte di organizzazioni, la maggior parte dirigenti, nell’esercizio del loro diritto della protesta sociale. Si verificano inoltre situazioni di impunità rispetto a casi di persone decedute nel corso delle proteste sociali, uccise per mano di membri della Polizia Nazionale. Il numero di queste vittime è aumentato considerevolmente nel corso dell’attuale governo così come il numero dei conflitti sociali.
Annalisa Melandri
10 luglio 2009
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In fase di redazione di questa intervista Francisco Soberón ci avvisa di aver ricevuto la denuncia da parte di un giovane nativo di 17 anni che sta cercando suo padre, fu fotografato dal quotidiano locale “Ahora” mentre la Polizia lo faceva scendere da un furgoncino per portarlo al commissariato di Bagua Grande. Il suo nome tuttavia non risulta fra le persone arrestate né sotto processo e non ha ancora fatto ritorno alla sua comunità. Il giovane ha denunciato che altri membri della comunità non sono ancora rientrati nelle loro case.
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L’intervista in versione ridotta è stata pubblicata sul Manifesto il 23 luglio 2009.


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