Il Venezuela svaluta la moneta nazionale

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di Annalisa Melandri — in esclusiva per L’Indro — 13 febbraio 2013

Una misura economica importante per molti versi attesa dagli economisti ed analisti. La svalutazione  della moneta nazionale del Venezuela, il bolívar,   annunciata  dal governo nei giorni scorsi, divide invece le  opinioni rispetto alle conseguenze che potrà portare per il paese.  Si tratta della quinta  svalutazione della moneta nazionale in dieci anni.

Il cambio della moneta locale, il bolívar fuerte, rispetto al dollaro statunitense,  è stato portato da 4,30 a 6,30 bolivares per un dollaro,  che corrisponde  ad una  svalutazione del 31,7%. Avrà  decorrenza immediata  con eccezione per alcuni settori che già avevano fatto richiesta di divisa estera (in Venezuela esiste dal 2003 un sistema di controllo del cambio che obbliga il ricorso allo Stato per poter accedere  a divise straniere) e che lo manterranno  a 4,30 per alcuni mesi,  come quello alimentare, della stampa e delle telecomunicazioni, dei trasporti, degli elettrodomestici e della salute.

Il governo ha annunciato la misura venerdì scorso  per voce di  Jorge Giordani, ministro della Pianificazione e Finanze del paese,  dopo che il vicepresidente Nicolás Maduro si era incontrato nei giorni precedenti con Hugo Chávez a L’Avana, dove il presidente venezuelano si trova per il recupero da un delicato intervento chirurgico (il quarto in due anni) per una grave forma tumorale al colon.

Giordani ha mostrato,  nel corso della conferenza stampa con la quale sono state annunciate le eccezionali misure in tema valutario, le istruzioni  in tal senso firmate direttamente dal presidente Chávez, la cui assenza dal Palazzo de Miraflores, sede del governo, ma soprattutto  dal paese, da oltre due mesi, è motivo di severe critiche sia all’interno del Venezuela che anche all’estero.

La svalutazione della moneta nazionale  si inserisce tuttavia nell’ambito di un piano nazionale di più ampio respiro volto alla “modificazione della politica cambiaria”, che prevede anche la  creazione di un Organo Superiore per l’Ottimizzazione del Sistema Cambiario con lo scopo di “disegnare, pianificare, ed eseguire la strategia di Stato in materia valutaria per raggiungere la massima trasparenza ed efficacia  come richiesto dal presidente nell’assegnazione di divise al settore economico del paese”.

La svalutazione della moneta ha l’obiettivo a breve termine di ridurre il deficit di bilancio dello Stato (15–17 per cento del PIL) e di favorire le esportazioni, misura questa che darebbe respiro a un’economia fin troppo dipendente dalle importazioni (che rappresentano quasi l’80 per cento del fabbisogno), soprattutto nel settore alimentare, ma contribuirebbe anche alla riduzione della differenza notevole del valore del cambio del dollaro tra il mercato ufficiale e quello nero (dove arriva anche a 20 bolivares per un dollaro USA).

Il vicepresidente Maduro ha spiegato che le modifiche alla politica cambiaria cercano di difendere il bolívar da “agenti economici che sono quelli che lanciano gli attacchi speculativi contro la nostra moneta e ha parlato di “elementi di prova” in tal senso.
Il rischio maggiore della manovra, avvertono gli analisti,  è che i valori già alti dell’inflazione (intorno al 20 per cento) possano aumentare ancora di più ed erodere quindi notevolmente il potere d’acquisto dei venezuelani.

L’opposizione, unita nella  Mesa de la Unidad Democratica (MUD) ne sta approfittando proprio per agitare questa paura tra la cittadinanza.  Henrique Capriles Radonski, il suo candidato presidenziale uscito sconfitto nelle recenti elezioni dell’ottobre scorso e governatore dello Stato di Miranda, attraverso il suo account Twitter parla di  spreco di denaro pubblico e di “denaro dei venezuelani regalato ad altri paesi”. Lo chiama Paquetazo rojo,  alludendo a un altro “paquetazo” economico,   quello dell’ex presidente Carlos Andrés Pérez, di ben altro colore e di ben altra forma: tutta una serie di misure draconiane di stampo ultraneoliberista concordate con il Fondo Monetario Internazionale che provocarono il  congelamento degli stipendi, un aumento generalizzato che toccarono punte del  30 per cento sui prezzi dei trasporti e del 300 per cento su quello della benzina, l’eliminazione di sussidi e che furono all’origine del  Caracazo, un’ insurrezione popolare che nel febbraio del 1989 registrò un saldo di 276 morti (circa tremila secondo fonti non ufficiali) e che provocò una profonda crisi politica ed istituzionale.

La misura valutaria annunciata dal governo ha provocato inoltre sconcerto, come prevedibile, tra le grandi compagnie statunitensi che inondano il mercato venezuelano di loro prodotti, prime fra tutte la Colgate Palmolive e la Procter Et Gamble. Queste hanno già annunciato che registreranno ingenti perdite nei loro fatturati, lamentando anche l’impossibilità che hanno avuto nel corso di questi ultimi mesi in Venezuela di poter alzare i prezzi, per la politica del governo di tenerli sotto stretto controllo, con una legge del 2011 che cerca proprio di contenere l’inflazione.

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