Las FARC al gobierno colombiano: “con amenazas y calumnias no vamos a ninguna parte”.

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A través de un comunicado del pasado día 6 de febrero, las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, han rechazado  las acusaciones que les ha hecho el presidente colombiano  Juan Manuel Santos de estar realizando atentados terroristas contra la población civil.

En particular, la semana pasada, el gobierno colombiano había acusado la  guerrilla de haber cumplido dos atentados que dejaron un balance de 16 muertos,  casi todos civiles. (altro…)


Julián Conrado: hoy se discute su suerte en Caracas — NO A LA ENTREGA!

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por ANNCOL

Con Julián no saltes la talanquera Chávez

Anncol

Bastante debilitada quedó la solidaridad internacional con el proceso venezolano, por el secuestro y posterior entrega por parte del gobierno de la nación hermana, de nuestro director Joaquín Pérez al régimen corrupto y terrorista colombiano.

Para nadie, con tres dedos de frente, le quedó claro que un gobierno, a la cabeza de un proceso revolucionario en construcción como el venezolano, pudiese cometer la bajeza, de lesa majestad, de traicionar principios pregonados cotidianamente, como el antiimperialismo, la soberanía, la lealtad, el compromiso con la emancipación de los pueblos, entregando a un defensor acérrimo del proceso venezolano y sobre todo, sobreviviente de guerra, como el comunicador Joaquín Pérez, sobreviviente del genocidio contra la UP.

Ese grave error, justificado con las supuestas razones de Estado, y argumentado con teorías en desuso, como la supuesta estrategia de relaciones internacionales, cuyos principios de coexistencia pacífica con el enemigo, han producido catástrofes recientes, como las masacres del pueblo libio, cuyo dirigente, convencido que el capitalismo y los imperialistas tienen amigos, se entregó a ellos, concediéndoles derechos de explotación de campos petroleros, dándose besitos con los fascistas, y financiando campañas presidenciales, como la de Nicolás Sarkozy en Francia. Miren como terminó humillado por los fascistas, que días antes lo adularon y posaron para la foto con sus mejores sonrisas. (altro…)


Santos uccide il dialogo di pace

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Santos uccide il dialogo di pace

di Stella Spinelli — Peacereporter

 

L’esercito ha ammazzato il lider maximo delle Farc, Alfonso Cano, principale interlocutore del governo per una via d’uscita ragionata al conflitto. La scelta del presidente è chiara. La guerra in Colombia è ancora più lontana dalla fine

 

Guillermo León Sáenz Vargas, alias Alfonso Cano, leader supremo delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), è stato ucciso durante un’operazione militare eccezionale, con un dispiego di forze enorme e con l’appoggio indispensabile di intelligence interna e Cia. Erano mesi che l’esercito lo braccava nel sudovest del paese, all’interno della strategia messa a punto dal presidente della repubblica Juan Manuel Santos volta ad abbattere la testa della guerriglia per gettare la base nello scompiglio e indurre i militanti a disertare. L’ordine era infatti di uccidere, non di catturare. Un approccio che cozza con tutti i discorsi di apertura alla pace e al dialogo fatti fino a oggi proprio da Santos, salito al potere con la maschera di uomo del negoziato e dei diritti umani. (altro…)


Patria es Solidaridad: dal Venezuela solidarietà con i prigionieri politici colombiani

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Nonostante il governo colombiano si neghi a considerarli tali, sono più di 7500 i prigionieri politici rinchiusi in condizioni disumane nelle prigioni  della Colombia. Proprio il fatto di non accettare  il loro status di prigionieri politici (questo vorrebbe dire considerare i guerriglieri come belligeranti e non come terroristi)  fa parte della strategia  con la quale lo Stato continua a negare la  matrice politica e sociale del conflitto che da più di 50 anni affligge il paese.

7500 sono gli attivisti, i politici, i sindacalisti, appartenenti ai movimenti giovanili, difensori dei diritti umani, intellettuali e guerriglieri che, ognuno a suo modo,  e dalle proprie trincee di lotta, rappresentano le mille sfaccettature della resistenza  politica e sociale colombiana, invisibilizzata sistematicamente agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

La giornalista colombiana Azalea Robles parla di “distorsione  mediatica”  dei prigionieri politici nelle carceri colombiane, contrariamente a quanto accade invece  per i prigionieri nelle mani della guerriglia,   per i quali invece si ha una vera e propria sovraesposizione nei mezzi di comunicazione del paese.

D’altra parte si sa che in Colombia l’ opposizione politica ha  poche vie di scampo: sottoterra in una delle centinaia di fosse comuni che ogni tanto vengono alla luce o dietro le sbarre di una prigione. E’ il volto purtroppo ancora troppo nascosto di un paese che l’opinione pubblica internazionale continua a chiamare “democrazia”. (altro…)


Caso Becerra: risposta al Partito dei CARC

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La mia risposta al comunicato del Partito dei Carc (che copio di seguito):

 

Cari compagni e compagne del Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza — per il Comunismo  (P-CARC)

innanzitutto vi ringrazio  per aver aderito alla lettera che insieme a molti intellettuali, giornalisti, personalità del mondo della cultura e militanti abbiamo inviato  qualche settimana fa  al presidente Hugo Chávez. Si è trattato di  un chiaro messaggio di condanna per l’arresto e la deportazione in Colombia da parte del governo venezuelano del compagno e collega giornalista, direttore della agenzia Anncol, tra i fondatori dell’ Asociacion Bolivariana de Comunicadores (ABC), alla quale appartiene anche il mio sito.

Come sapete ormai, è proprio dalla Colombia che  Joaquin é dovuto fuggire una ventina di anni fa per cercare rifugio  in Europa in seguito alle minacce ricevute nel contesto del  genocidio politico del partito Unión Patriotica al quale lui apparteneva, genocidio che costò  la vita anche alla prima moglie dello stesso Joaquín. Non sto qui a raccontare quale fosse   l’impegno politico e sociale di Joaquín e nemmeno la portata della violenza che l’esercito colombiano e i paramilitari in quegli anni scatenarono contro tutti coloro che cercavano una via democratica all’ agire politico in rappresentanza delle classi oppresse, degli indigeni, dei contadini. In rete ci sono ampi e dettagliati documenti che testimoniano tutto questo. Fatto sta che Joaquín in Svezia ottenne asilo politico e la cittadinanza di quel paese.

Questi sono i chiarimenti necessari per poter comprendere la vicenda  ma anche  la portata della gravità  della deportazione in Colombia di Joaquín da parte delle autorità venezuelane.

Prendo atto adesso della vostra attuale presa di posizione, molto distante da quella adesione,  ma la quale ovviamente mi trova completamente in disaccordo. Mi sento in diritto e in dovere di rispondervi sia perché mi avete citato direttamente nel vostro comunicato, ma anche perché,  per l’attività giornalistica che entrambi svolgiamo,  in qualche modo mi sento vicina a Joaquín.

A tal proposito vorrei segnalarvi alcune inesattezze riportate nel vostro comunicato che gentilmente mi avete inviato per conoscenza.

Innanzitutto l’ affermazione “Joaquín Becerra ricercato pubblicamente dallo Stato della Colombia” non corrisponde al vero.

Nessuno, eccetto Manuel Santos e i servizi segreti colombiani (oltre ovviamente  quelli venezuelani una volta informati dellˈarrivo di Becerra) erano al corrente che Joaquín fosse  richiesto dalla Colombia né che pendesse  sulla sua testa il codice rosso dell’ Interpol, (presumibilmente emesso mentre il compagno si trovava in volo tra la Germania e il Venezuela), nemmeno, ovviamente  lo stesso Joaquín.   Il procedimento che ha portato al suo arresto sembra sia  stato impiantato in gran segreto quasi un anno fa e quindi ancora durante  la presidenza di Álvaro Uribe.

Quello che hanno fatto Chávez e Santos non è stato altro che dare seguito  a una operazione pianificata durante il governo dellʹex  presidente colombiano.

Probabilmente proprio per lʹignoranza che avete dei fatti, come voi stessi ammettete nel comunicato, non siete al corrente del fatto che  la detenzione di Joaquín si inserisce perfettamente  nel contesto dello scandalo delle famose “chuzadas” del DAS (servizi segreti colombiani). Con questo termine si definisce la pratica illegale di intercettare telefonate e posta elettronica portata avanti dal DAS insieme alla Presidenza della Repubblica (leggi Álvaro Uribe) senza l’ autorizzazione preliminare del magistrato.

E’ stato definitivamente  verificato  che l’ex presidente colombiano,  in concerto con il DAS effettuava  delle vere e proprie persecuzioni  contro i suoi oppositori politici.  Due anni fa è stata diffusa la notizia che  molti politici, giornalisti, attivisti per la difesa dei diritti umani,  perfino integranti della  OEA (Organizzazione degli Stati Americani)  e della Croce Rossa Internazionale  erano costantemente (e illegalmente) tenuti sotto controllo dai servizi segreti colombiani.

Successivamente vennero scoperti all’interno del DAS  alcuni fascicoli  che portavano il nome di Operación Europa (Operazione Europa) che contenevano informazioni sugli esiliati colombiani all’estero ma che delineavano anche complesse operazioni di spionaggio e di montaggio  di accuse  (e prove) false. Riguardavano non solo esiliati colombiani, ma anche  membri del Parlamento Europeo, politici, appartenenti a diverse ONG,  perfino il segretario generale della FIDH (Federazione Internazionale dei Diritti dell’ Uomo).

In Svezia,   l’ ambasciata colombiana in quel paese aveva alle sue dipendenze un investigatore di “tutto rispetto” e cioè il politologo Ernesto Yamhure , che in passato fu amico e assessore politico del capo paramilitare Carlos Castaño. Il signor Yamhure è stato notato varie volte scattando  fotografie ai rifugiati politici colombiani durante manifestazioni o iniziative di protesta contro il governo di Uribe.

Come se non bastasse, le accuse mosse a Joaquín trovano “fondamento” nelle presunte mail trovate nel computer  di Raúl Reyes rimasto intatto dopo il bombardamento da parte dell’esercito colombiano  in Ecuador dove rimasero uccisi il n. 2 delle FARC, altri 21 guerriglieri e 4 giovani studenti messicani.

Nonostante in Colombia un capitano della DIJN (squadra antiterrorismo)  abbia reso ai giudici una dichiarazione giurata affermando che non  c’erano messaggi di posta elettronica nel computer di Reyes e un tecnico dell’Interpol abbia dichiarato che la catena di sicurezza sul computer era  stata interrotta un certo periodo di tempo (permettendo quindi a chiunque di inserire materiale nuovo), a quanto pare  i servizi segreti colombiani continuano a scoprire nuove “prove” ogni  volta che hanno bisogno di incastrare qualcuno. Lo hanno fatto con politici, militanti e attivisti, con la senatrice Piedad Córdoba e perfino con alcuni compagni del Partito della  Rifondazione Comunista.

Anche  lo stesso  presidente del Venezuela Hugo Chávez  e il presidente dell’Ecuador  Rafael Correa sono  accusati di avere avuto  in passato importanti vincoli con la guerriglia sulla base di tali “prove”.

Questa è la sola “analisi concreta della situazione concreta” da fare a mio avviso.

E dopo averla fatta, domandarsi se veramente la ragion di Stato può giustificare tutto e soprattutto se possiamo come militanti e rivoluzionari essere complici di tutte queste menzogne, inganni e violazioni dei diritti umani.

A  quelli che, sbagliandosi,  credono che Santos rappresenti il nuovo corso della politica colombiana, direi  che  si tratta anche di complicità con  i crimini di  Álvaro Uribe , dal momento che questa operazione è una appendice naturale della sua politica di “sicurezza democratica” che tante vittime innocenti ha fatto in Colombia.

Su queste basi stiamo costruendo un processo rivoluzionario? O forse non sarebbe più appropriato  dire che ci troviamo nella stessa logica perversa del capitalismo, per cui i  “danni collaterali” sono sempre da mettere in conto, come i civili massacrati  per le bombe NATO in Afghanistan o l’ alto prezzo da pagare in termini di impatto ambientale per lo sfruttamento del petrolio nel delta del Niger da parte delle multinazionali…

Questo è quello che traspare dalla vostra analisi e da quella dei compagni della redazione della rivista ALBAinformazione, che ho lasciato qualche giorno fa in segno di protesta: che Joaquín  altro non è che un “danno collaterale” nel tormentato percorso verso la rivoluzione, un prezzo ingiusto ma necessario da pagare.

Inoltre alla vostra affermazione: “Non risulta che c’era un accordo preliminare tra Joaquín Pérez Becerra e le Autorità  del Venezuela secondo il quale queste gli avrebbero accordato  protezione. Qualcuno sostiene che c’era?”

Nessuno  lo sostiene, cari compagni e compagne   perché Joaquín non aveva bisogno di nessun accordo preliminare per  viaggiare in Venezuela  come non ne aveva avuto bisogno in occasione di altri viaggi gli anni scorsi.

Evidentemente Joaquín, così come tutti i compagni e le organizzazioni che in passato  lo avevano invitato  a Caracas,  pensava che l’asilo politico riconosciuto dalla Svezia fosse di per sé una forma di  protezione. E’ proibito dal diritto  internazionale deportare una persona che gode di asilo politico nel paese dal quale ha dovuto fuggire.   La protezione c’era e veniva proprio da  quel diritto borghese che tanti rivoluzionari disprezzano ma che paradossalmente avrebbe protetto (se applicato)  Joaquín più  di quanto lo abbia  fatto un governo rivoluzionario. Due volte tradito Joaquín, dal diritto borghese e dalla solidarietà rivoluzionaria.

Vi domandate inoltre : “Perché  Joaquin Perez Becerra è sbarcato a Caracas?  E’ sbarcato clandestinamente o pubblicamente?”

Veramente sono domande incomprensibili. Per caso a voi militanti del Partito dei CARC quando viaggiate in Europa  vi chiedono se lo fate “clandestinamente o pubblicamente?” O vi criminalizzano chiedendovi spiegazioni sui vostri viaggi?  E se ciò dovesse avvenire, non gridereste ad alta voce il vostro diritto  sacrosanto di persone libere a muoversi e viaggiare?  Strane domande davvero da parte di un partito comunista rivoluzionario.

Traspare dal vostro comunicato inoltre,  soprattutto dove scrivete che i compagni non devono usare il “Venezuela come base operativa o come territorio di transito, salvo accordo con le autorità del Venezuela. Se non possono fare a meno di farlo, devono essere disposti ad affrontare , e mettere in conto, le conseguenze dei loro eventuali errori. Certamente  non possono pretendere di dettare loro la condotta e di imporre il calendario e l’ ordine del giorno alle Autorità del Venezuela” che  la questione di Becerra viene di fatto  paragonata a quella dei guerriglieri estradati in passato alla Colombia.

Joaquín non è un guerrigliero sceso dall’ aereo in mimetica e mitraglietta ed è  un grande errore a mio avviso,  equiparare situazioni completamente  diverse per giustificare l’ingiustificabile.

Perfino nel caso di guerriglieri estradati applicando la legge,  bisogna ricordare che la solidarietà rivoluzionaria non giustifica mai  la consegna di rivoluzionari. Sappiamo che il governo venezuelano già aveva estradato qualche tempo fa  guerriglieri delle FARC e dell’ELN.

Ricordo ancora una volta che perfino l’attuale governo reazionario dell’Italia, si è rifiutato mesi  fa di consegnare nelle mani della Turchia che ne reclamava l’estradizione, un leader del PKK-KURDO arrestato nel proprio territorio di nazionalità olandese. Il motivo sta nel fatto che in Turchia vige la pena di morte. Non dimentichiamo che in Colombia anche se la pena di morte non vige istituzionalmente, un oppositore politico, un difensore dei diritti umani, un guerrigliero (che come tale non perde i suoi diritti) si trova in pericolo di vita. Ricordiamo anche che la tortura è una delle possibili ragioni per  rifiutare, secondo la convenzione di Ginevra, l’ estradizione di una persona. In Colombia si tortura e questa non è certo una novità, o no?

Come vedete una scelta diversa era possibile, per lo meno semplicemente rispettando il Diritto. D’ altra  parte leggo però che secondo voi questo avrebbe significato mettere a repentaglio la “coesistenza pacifica”. Ma la coesistenza pacifica non vuol dire il tradimento totale della identità rivoluzionaria e nemmeno della solidarietà internazionalista con la lotta dei popoli contro l’imperialismo e il capitalismo internazionale.

Lenin diceva:”Il compito principale che noi oggi ci proponiamo è di combattere gli sfruttatori e di conquistare alla nostra  causa gli esitanti. E’ questo un compito di importanza mondiale. Un buon numero di paesi capitalisti è esitante: come paesi capitalisti, essi ci odiano, come paesi oppressi, preferiscono vivere in pace con noi”. Questo dovrebbe essere il compito, attrarre gli Stati esitanti, non al contrario lasciarsi  coinvolgere  nei loro sistemi capitalisti di sfruttamento e oppressione dell’uomo sull’uomo…

Rispetto al fatto di utilizzare il Venezuela come “territorio di transito”, noi  militanti antifascisti, bolivariani, compagni internazionalisti,  colleghi e amici di  Joaquín,  solidali con la lotta di liberazione del popolo colombiano così come con quella  di tutti i popoli oppressi, non abbiamo mai considerato il Venezuela “territorio  di transito”. Al  contrario consideravamo il Venezuela terra dove poter seminare insieme al Comandante Hugo Chávez  il germe del socialismo, dove poter lavorare e collaborare perché desse i suoi frutti migliori.

E’ vero che  consideravamo il Venezuela  “base operativa”, ma non come erroneamente pensate voi, come base logistica di guerriglieri nemici, magari infiltrati che vogliono mettere i bastoni fra le ruote al governo.

Il Venezuela è per noi una fucina dove poter costruire e progettare la Patria Grande, dove poter costruire insieme al popolo venezuelano e con la guida del presidente Chávez  una nuova speranza per la regione. Senza “danni collaterali”  ma con coerenza e onestà.

Bisogna aggiungere inoltre che peggiori  dell’arresto e della deportazione di Joaquín, se  vogliamo,  sono state  le parole del Comandate Chávez,  espresse dopo quasi una settimana di silenzio sull’ accaduto. Come avete fatto anche voi, Chávez si chiede:  chi ha invitato Becera in Venezuela? Chi lo ha  messo sull’ aereo? Cosa è  andato a fare a Caracas?  Soprattutto però  ha accusato  i militanti, i bolivariani, i compagni che altre volte hanno invitato Becerra in Venezuela a partecipare a dibattiti e incontri, i colleghi giornalisti che con lui condividono l’arduo compito di diffondere informazione sul terrorismo di Stato in Colombia e dei quali con orgoglio sento di far parte,  di essere un “movimento infiltrato fino al midollo”. Scusate ma queste accuse sono dirette in prima persona a tutti noi e non posso accettarlo.

E l’infamia racchiusa in queste parole proprio voi, compagni  e compagne dei CARC  dovreste conoscerla molto bene. Proprio voi che per esempio a  Roma  avete subito in passato, in qualche occasione  l’accusa infamante di essere un movimento politico “chiacchierato” .  Falsa accusa  dalla  quale la sottoscritta, per inciso,  vi ha sempre difeso. Falsa accusa che continua ad accompagnare ancora oggi per esempio le vecchie Brigate Rosse (e altre formazioni rivoluzionarie).

Inoltre, e concludo, è nota la persecuzione e la repressione che hanno subito e subiscono ancora oggi  molti  compagni e compagne dei CARC. Voi stessi state diffondendo da tempo

un appello alla  solidarietà verso alcuni compagni del partito e contro la persecuzione dei comunisti. Sappiamo che sono vari  i procedimenti aperti contro leader e militanti  del partito dei CARC accusati a più riprese di  essere “fiancheggiatori” di questo o quel movimento armato o di “associazione sovversiva”.  Tutte accuse che come sappiamo si  sono dimostrate false  per mancanza di prove ma che comunque hanno avuto ed hanno  un altissimo costo  in termini di criminalizzazione e di repressione dell’agire politico.

Questo per dirvi che non è azzardato ipotizzare che quello che è accaduto a Joaquín, ai guerriglieri ELN e FARC,  ai militanti baschi espulsi dal Venezuela, un giorno non possa accadere a qualcuno di noi.

Solo la solidarietà  tra militanti comunisti può essere il vero antidoto alla violenza e al terrorismo di Stato, ma anche un deterrente all’ avanzata dell’ imperialismo criminale e del capitalismo disumano.

Annalisa Meandri

Santo Domingo, 20 maggio 2010

 

di seguito il loro comunicato:

10/05/2011

Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza — per il Comunismo (P-CARC)

Direzione Nazionale — Settore delle Relazioni Internazionali

Sede: Via Tanaro, 7 — 20128 Milano — Tel/Fax 02.26306454

e-mail: resistenzaatcarcdotit – sito: www.carc.it

 

Il caso di Joaquin Perez Becerra

Le Autorità del Venezuela il 23 aprile hanno arrestato all’aeroporto di Caracas Joaquin Perez Becerra e il 25 aprile lo hanno consegnato alle Autorità della Colombia. È come se avessero consegnato un palestinese a Israele, visto il ruolo che lo Stato della Colombia ha in America Latina al servizio dell’imperialismo USA e delle classi reazionarie. Da qui una campagna di denuncia di Chavez come traditore della rivoluzione e una campagna che rafforza la denuncia (già ampiamente diffusa) di Chavez e dei suoi seguaci come falsi rivoluzionari.

Il Partito dei CARC ha preso posizione rispetto alla questione, aderendo a una nota critica rivolta al presidente del Venezuela Chavez propostaci dalla compagna Annalisa Melandri, con cui compagne del Partito hanno preso parte alla Conferenza Mondiale delle Donne tenutasi a marzo in Venezuela. La critica al governo venezuelano esprime la profonda amarezza della compagna di fronte all’accaduto.

Di seguito però nel Partito si è sviluppata una discussione, che ha spinto compagni e compagne a prestare maggiore attenzione alla vicenda, ai fini di sviluppare l’analisi concreta della situazione concreta, che è l’anima del marxismo, con lo strumento della dialettica, che insegna a considerare ogni fatto e avvenimento nel contesto suo proprio: i suoi legami con le altri parti del contesto.

La dialettica insegna a considerare tutti (almeno i principali) aspetti di ogni fatto, avvenimento e cosa.

I comunisti sono materialisti dialettici.

I comunisti sono l’avanguardia della lotta contro il capitalismo; essi si distinguono tra gli altri rivoluzionari perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti.

Questi sono i principali principi e criteri che dobbiamo tenere presente per esaminare il caso in questione e decidere come agire.

Sulla base di questi principi e criteri esponiamo gli avvenimenti e la riflessione su di essi, tenuto conto del fatto, a cui non possiamo ovviare di colpo, della nostra scarsa conoscenza diretta delle cose e dei pochi o nessun rapporto diretto che abbiamo con i protagonisti della vicenda.

Indiscutibili sono il ruolo reazionario dello Stato della Colombia e la campagna contro Chavez condotta dagli imperialisti USA e dallo Stato della Colombia. In questa campagna Chavez è sulla difensiva: si difende dall’accusa di sostenere le FARC, sostiene che le Autorità del Venezuela non intervengono negli affari interni della Colombia, cerca di ottenere che le Autorità della Colombia (e gli imperialisti USA) non intervengano negli affari interni del Venezuela (lotta per la coesistenza pacifica): su questa linea cerca di unire forze e isolare la destra.

Le Autorità del Venezuela hanno una posizione difensiva nello scontro con le Autorità della Colombia e con l’imperialismo USA che le guida, protegge, foraggia e usa. Ma non è questa attitudine difensiva (corrisponde o no ai rapporti di forza che Chavez non è in grado di rovesciare di colpo e con le sue sole forze o è frutto di arretratezza, di opportunismo, di cedimento, di collaborazione  nascosta?) che gli accusatori di Chavez mettono ora in questione.

In questo contesto Joaquin Perez Becerra, ricercato pubblicamente dallo Stato della Colombia, sbarca a Caracas.

Non risulta che c’era un accordo preliminare tra Joaquin Perez Becerra e le Autorità del Venezuela secondo il quale queste gli avrebbero accordato protezione. Qualcuno sostiene che c’era?

Perché Joaquin Perez Becerra è sbarcato a Caracas? È sbarcato clandestinamente o pubblicamente?

Di certo le Autorità della Colombia erano a conoscenza del suo arrivo.

Lo sbarco di Joaquin Perez Becerra a Caracas metteva in difficoltà le Autorità del Venezuela. Se lo consegnavano alle Autorità della Colombia, si esponevano all’accusa di tradimento della rivoluzione con l’indebolimento delle forze che questa accusa comporta. Se non lo consegnavano alle Autorità della Colombia, indebolivano la loro lotta per costringere le Autorità della Colombia alla coesistenza pacifica e dovevano inoltre farsi carico di una questione che veniva loro imposta (trattare loro il caso di Joaquin Perez Becerra dal punto di vista di principi, leggi e trattati).

Lo sbarco di Joaquin Perez Becerra a Caracas è stato una mossa sbagliata (avventata) o una provocazione concordata con le Autorità della Colombia.

Quando un paese è nella situazione difensiva in cui si trova il Venezuela, i rivoluzionari nelle loro attività devono badare a non creare difficoltà (non usare il Venezuela come base operativa o come territorio di transito, salvo accordo con le Autorità del Venezuela). Se non possono fare a meno di farlo, devono essere disposti ad affrontare (e mettere in conto) le conseguenze dei loro eventuali errori. Certamente non possono pretendere di dettare loro la condotta e di imporre loro il calendario e l’ordine del giorno alle Autorità del Venezuela. Se le Autorità del Venezuela accettassero simile imposizione, si metterebbero alla mercé di ogni nemico, di ogni provocatore, di ogni sprovveduto: dimostrerebbero nella pratica di non essere all’altezza del compito che proclamano di voler assolvere.

Joaquin Perez Becerra non può pretendere dalle Autorità del Venezuela quello che esse non avevano promesso. Il dovere di un rivoluzionario nelle sue condizioni è difendere le Autorità del Venezuela da ogni accusa e denunciare le Autorità della Colombia e l’imperialismo USA di avergli teso un’imboscata per mettere in difficoltà le Autorità del Venezuela.

Quelli che, dalla mossa sbagliata (avventata) o provocazione concordata con le Autorità della Colombia che porta il nome di Joaquin Perez Becerra, tirano pretesto per condurre una campagna contro Chavez e le Autorità del Venezuela, sono una nebulosa di organismi e personalità. Ognuno di essi è mosso da motivi suoi propri e persegue obiettivi suoi propri. È impossibile e quindi sbagliato dare di essi uno stesso giudizio e assumere nei confronti di ognuno di essi la stessa condotta. Dobbiamo regolarci caso per caso, sulla base dell’analisi concreta della situazione concreta, dei nostri principi e di nostri obiettivi.

Noi comunisti opponiamo alla loro campagna le ragioni che abbiamo esposto. Ognuno di essi è quindi in condizioni di pronunciarsi sui principi e sui criteri che ci guidano, se vuol avere un rapporto di unità con noi. Noi ci pronunceremo sui principi e i criteri che guidano la condotta di quelli tra loro che li enunceranno chiaramente.

I popoli, i gruppi e le persone che lottano contro il sistema imperialista mondiale si trovano attualmente di fronte a grandi difficoltà e nello stesso tempo a grandi possibilità di decisivo successo. Assumersi responsabilità, regolare in ogni caso la propria condotta secondo principi e criteri giusti e adeguati al fatto concreto, non agire alla cieca e non cadere in trappole e provocazioni, non regolarsi secondo il senso comune e la cultura della classe dominante, non cedere alle campagne di disinformazione e alle campagne di intossicazione dell’opinione, mantenere e allargare l’unità ed elevare il livello delle forze rivoluzionarie, unire tutto quello che può essere unito e concentrare di volta in volta l’attacco contro il nemico principale, distinguere i nemici dagli amici, le contraddizioni tra noi e il nemico dalle contraddizioni in seno al popolo sono condizioni per avanzare con vigore verso la vittoria.

 

 


 


Los sueños no mueren en prisión: 8 de Marzo con las presas políticas en las cárceles de Colombia

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LOS SUEÑOS NO MUEREN EN PRISION

 

Voy a tomar el aire de los muertos que me cubren

voy a evadir las ráfagas a viento

voy a llorar muy hondo mis derrotas

voy a saborear el café amargo que es la vida

voy a tenderme complacido

en los humeadle de las sangres y las flores.

¿Qué quien soy yo? ¿Cómo me llamo?

¿Que si estoy viva… herida?

¿O acaso, me han matado?

¿ Que quienes son los míos? ¿… mis compañeros?

¿Los que conmigo se deslizan en las sombras de lo oculto?

Soy toda hecha de silencios y lealtades

Piedra dura y muda

cimiento de las edificaciones del futuro.

¿Qué quien soy yo? ¿Como me llamo?

vuelve y juego en la apuesta de la vida soy la mujer de los mil nombres clandestinos

la que se atrevió a tropezar

en las trochas de la vida

quizás queriendo apurar los pasos de la historia.

Soy la mujer en sus manos temblorosas

las armas de los justos

la que se ardió como semilla

al agua, al sol,  al viento

y en lsa heladas noches del infortunio

tras emboscadas

y abrió su cuerpo, su corazón, su ternura

para conjurar la tragedia de la guerra.

Soy la mujer que cargo

sobre  sus hombros y su espalda

la agonía y los sufrimientos

de su pueblo.

La que hundió sus firmes pasos en la tierra

para probarla de rebeliones y esperanzas.

Soy la mujer que se arrastro como serpiente

y no dudo en cubrir su piel en barro

para sorprender las fortalezas enemigas.

La que sobrevivió y burlo

Las infernales hogueras del terror

La que se levanto de las cenizas

la que tuvo que dejar sus brazos y sus piernas

abandonadas y esparcidas

en medio del campo de batalla

la que no sabe ahora como hallarse

entre su nuevo cuerpo mutilado…

la que permaneció los tiempos necesarios

para fortalecerse de fracasos y derrotas.

Soy la mujer que se debate entre las dudas

de a que fuera

ofrenda y resultado de su vida.

La que lo dio todo sin quedarse nada,

la que se pasa entre la reja y la ventana

a contemplar el horizonte del futuro,

la que ve nubes grises

de pasar lento,

tan lento como la interminable

agonía de su pueblo y de sus días.

Soy la mujer que hoy habita

la prisión de la infamia

la que siempre supo

que hay un “otro mundo”

de felicidad, de paz y abundancia.

II

¿Qué quién soy? ¿Cómo me llamo?

Soy el puro “hueso seco” y el “aliento de la vida”.

Soy la mujer agotada y consumida

En la explotación y el trabajo.

Soy la mujer que se sentaba cada dia

A la mesa del hombre

Para no doblegarse a recoger

La indignidad de las migajas

La que se trajo y lleno de lagrimas

Ante la escasa comida para sus hijos.

La que se atrevió a desafiar en su abundancia

a las tiendas del consumo

La que se violento al solo poder.

Acariciar entre sus manos

La humilde panela con la que

Quizás soñaba endulzar la vida

Diaria panela necesaria

Que hubo de dejar allí

Adornando el altar de la opulencia

Por no poder disminuir

Se paga miserable;

Soy la que huyo de allí

A la vez: vacía y llena

De iras y rabias contenidas.

Soy la mujer que busco y rebuscó

Entre las basuras

La que sufre y se arrastra

En su miseria y su indigencia

Por las calles.

¿Qué puede ser otra y no la mujer que soy?

¿Acaso el hambre no ha carcomido mis entrañas?

¿Qué nuevamente,

Me han tirado la puerta en las narices?

¿Acaso no se habían cerrado

Ya mucho antes…

Desde siempre,

Todas las puertas a la vida?

¿Acaso no era esta

Estación probable

En la apuesta por la vida?

III

¿Qué quien soy ahora?

soy la mujer que ya no extraña tu presencia

la que se abraza a las dulces horas de la noche

porque solamente en ese

efímero instante,

se olvida que está presa.

Soy la mujer de la melancolía infinita,

la que aun se sobresalta

al escuchar el tronar de los cerrojos.

La que se despierta en madrugada

sola para acariciar su incertidumbre,

soy la que mato al olvido,

la soledad,

la indiferencia,

los recuerdos,

para quedarme en el silencio

y escuchar solo

la voz de mi conciencia

IV

soy la mujer de las heridas

que no sanan

la que se revolvió en la sangre

de sus muertos

la que se paró al borde de la fusa

y tomó entre muchos

los huesos de los suyos.

La que amo y lloro

en su orfandad,

a los hijos de los justos.

la que no olvida, ni perdona

la que no vende

ni acepta precio

al dolor de sus entrañas

¿Acaso es mercancía?

Soy la mujer para quien siempre fue un deber

no dejar morir

los sueños de sus muertos

V

Soy la mujer de la mirada llameante

la que en la apuesta por la vida

ha sido confinada,

a la sepultura de los vivos.

la que arrastra lastimosos pasos

sobre baldosas carcomidas de abandono

la que sueña

volver con paso firme

por las estrechas trochas de la vida

Soy la mujer que escupe fuego

a la ciudad de la ignominia,

la que se arde y quema en iras,

la que aun se retuerce

en las cenizas de sus sueños.

La que hoy te dice:

Compañera, Camarada:

No te abandones a la desesperanza.

Retoma el fuerte aliento de la vida

Eleva el fuego de la antorcha,

que es tu cuerpo.

cuerpo probado en la tortura,

en los fracasos y derrotas

y en las extenuantes

jornadas de lucha

Guía el camino al socialismo

y derrámanos con tu fertilidad política.

Han querido anticiparnos la muerte

pero el nuestro es compromiso consecuente.

Resérvanos un lugar

allende los muros que hoy nos contienen

Hombro a hombre lidiaremos

en las contiendas que devienen.

De las Prisioneras Políticas,

en voz de aliento a las mujeres

que todavía sueñan y luchan

por un mundo mejor

Reclusión de Mujeres de Bogotá

Buen Pastor, Marzo 8 de 2011

Grupo Para el Apoyo a Personas en Reclusión
Fundación Lazos de Dignidad
La Lucha social no es un delito, es un paso hacia la Libertad…
PRESXS POLÍTICXS A LA CALLE !!!
www.traspasalosmuros.net

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