Berlino: Il Denkmal für die Ermodeten Juden, monumento alla memoria delle vittime dell’olocausto.

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“Il monumento si offre così come un luogo del ricordo ad elevato tasso evocativo, giacché ogni punto offre prospettive e visuali diverse. Addentrandosi al suo interno, laddove i blocchi si fanno molto più alti di noi, si ha l’impressione di aver raggiunto un luogo che stimola la riflessione e l’autocoscienza, affidando l’esperienza dell’Olocausto ad una forza tutta interiore e spirituale, che fugge da ogni retorica”

..

“El monumento se ofrece así como un lugar de la memoria de un elevado sentido evocativo, por lo que cada punto de observación ofrece perspectivas y visuales diferentes. Adentrandose en su interior, donde los bloques se hacen mucho más grandes de nosostros, parece de haber alcanzado un lugar que estímula la reflexión y la autoconciencia, encargando la esperiencia del Olocausto a una fuerza exclusivamente interior y expiritual, que huye de cualquier retórica.”

..

Immagine e testo di Fabrizio Pecori, che ringrazio sempre per la sensibilità e la capacità di viaggiare e racconatare il mondo con gli occhi dell’anima.

Imagen y texto de Fabrizio Pecori, quien agradezco siempre por la sensibilidad y la capacidad de viajar y contar el mundo con los ojos del alma.


Buon Anno

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Quiero un planeta de seres humanos con alas.
Para que el adentro de todos acaricie la luz.
Para alzarnos de abismos cotidianos.
Alas para arrullar a los solos, a los pobres,
a los tristes, a los de alma ausente.
Alas para agitar en alborozo de dichas infinitas.
Alas para que la vida de todos sea plenitud y no vacío.
Alas por un Periodismo Sin Máscara.
Por una Vida Sin Máscara.

Mario Benedetti: Mi serve e non mi serve

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 Mario Benedetti

Mi serve e non mi serve

La speranza così dolce
così pulita così triste
la promessa cosi’  lieve
non mi serve

non mi serve così mite
la speranza

la rabbia così docile
così debole cosi’ umile
l’ira cosi’ prudente
non mi serve

non mi serve così saggia
tanta rabbia

il grido così giusto
se il tempo lo permette
l’ urlo  accurato
non mi serve

non mi serve così buono
un gran tuono

il coraggio così docile
la bravura così inconsistente
la sfrontatezza cosi’ lenta
non mi serve

non mi serve cosi’ fredda
l’ audacia

mi serve, si, la vita
che e’ vita fino a morirne
il cuore allerta
si, mi serve

 mi serve quando avanza
la fiducia

mi serve il tuo sguardo
che e’ generoso e deciso
e il tuo silenzio schietto
si mi serve

mi serve la misura
della tua vita

mi serve il tuo futuro
che e’ un presente libero
e la tua lotta di sempre
 si, mi serve

mi serve la tua battaglia
senza medaglia

mi serve la modestia
 del tuo orgoglio possibile
e la tua mano sicura
si, mi serve

mi serve il tuo sentiero
compañero.

Mario Benedetti

(Traduzione di Annalisa Melandri e Azor)
————————————-
Me sirve y no me sirve

La esperanza tan dulce
tan pulida tan triste
la promesa tan leve no me sirve

no me sirve tan mansa
la esperanza

la rabia tan sumisa
tan débil tan humilde
el furor tan prudente
no me sirve

no me sirve tan sabia
tanta rabia

el grito tan exacto
si el tiempo lo permite
alarido tan pulcro
no me sirve

no me sirve tan bueno
tanto trueno

el coraje tan dócil
la bravura tan chirle
la intrepidez tan lenta
no me sirve

no me sirve tan fría
la osadía

sí me sirve la vida
que es vida hasta morirse
el corazón alerta
sí me sirve

me sirve cuando avanza
la confianza

me sirve tu mirada
que es generosa y firme
y tu silencio franco
sí me sirve

me sirve la medida
de tu vida

me sirve tu futuro
que es un presente libre
y tu lucha de siempre
sí me sirve

me sirve tu batalla
sin medalla

me sirve la modestia
de tu orgullo posible
y tu mano segura
sí me sirve

me sirve tu sendero
compañero.


Cantata Santa María de Iquique

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Cantata Santa María de Iquique — 1 parte (la seconda alla fine del testo)
1. Proclama
 
Signore e Signori
racconteremo
ciò che la storia
non vuole ricordare.
Accadde nel Grande Nord,
fu Iquique (1) la città.
Il millenovecentosette
segnò la disgrazia.
Là, il povero “pampino
uccisero tanto per uccidere.
 
Saremo i narratori,
diremo la verità.
Verità che è la  morte amara
degli operai del salnitro(2).
Ricordate la nostra storia
di dolore senza perdono.                    
Quanto più passa il tempo       
non bisogna mai dimenticare.
Ora vi chiediamo
di fare attenzione.
 
2. RACCONTO I
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci
vedrete le aridità  del silenzio,
il suolo senza vita e le fabbriche vuote,
come l’ultimo dei deserti.
 
E se osservate la pampa e la immaginate
ai tempi dell’industria del salnitro,
vedrete la donna e il triste focolare,
l’operaio senza volto, il bambino triste.
 
Vedrete anche la baracca diroccata,
la candela che illuminava la sua miseria,
alcune incrostazioni alle pareti
e per letto, i sacchi e la terra.
 
Vedrete anche punizioni umilianti,
un ceppo al quale legavano l’operaio
per giorni e giorni sotto il sole;
non importa se alla fine moriva.
 
La colpa dell’operaio, molte volte,
era il dolore altero che mostrava.
Ribellione impotente, un’insolenza!
La legge del ricco padrone è legge sacra.
 
Vedrete anche la paga che gli davano.
Non vedevano denaro, solo buoni;
uno per ogni giorno di lavoro,             
e venivano cambiati con cibo.
 
Attenti a comprare da altre parti!
Non si poteva in nessun modo,
anche se le cose fossero meno care.
Era stato vietato dalla Fabbrica.
 
Il potere di acquisto di quel buono
era diminuito con il tempo
ma continuavano pagando la stessa giornata.
Per niente al mondo un aumento.
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci          
vedrete le aridità del silenzio.
E se osservate la pampa com’era,
sentirete, soffocati, i lamenti.
 
3. CANZONE I
 
Il sole nel grande deserto        
e il sale che ci bruciava.
Il freddo nelle solitudini,
camanchaca (3) e notte lunga.
La fame di pietra secca
e i lamenti che ascoltava.
La vita di morte lenta
e la lacrima che scorreva.
 
Le case espropriate     
e l’operaio che aspettava
il sonno, che era dimenticare,
soltanto  un rimpianto rimandato.
Il vento nella pampa immensa
mai più sarebbe cessato.
Durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
Il salnitro, pioggia benedetta,
diventava malvagità.
La pampa, pane quotidiano,
cimitero e terra amara.
Continuava a passare il tempo
e continuava la brutta storia,
durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
4. RACCONTO II
 
Si erano accumulati tanti mali,
molta povertà, molte ingiustizie;
non se ne poteva più e le parole
dovettero chiedere ciò che era dovuto.
                                                 
Alla fine del millenovecentosette
si preparava lo sciopero a San Lorenzo;
e nello stesso momento tutti ascoltavano
un grido che volava nel deserto.
 
Da una Fabbrica all’altra, come raffiche,
si udivano le proteste degli operai.
Da una Fabbrica all’altra, i Padroni,
il volto indifferente o il disprezzo.
 
Che cosa gli può importare della ribellione
dei nullatenenti, dei paria.
Presto torneranno pentiti,
la fame li riporterà a capo chino.
 
Che fare allora se nessuno ti ascolta?
Si domandavano fratello e fratello.
Sono giuste le richieste e sono così poche
dovremo perdere dunque le speranze?
 
Così con amore e dolore
si furono radunando volontà,
si sarebbero raccolti in un solo luogo,
bisognava scendere al grande porto.
 
5. CANZONE II: ANDIAMO DONNA
 
Andiamo donna,
partiamo per la città.
utto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare,
fidati e vedrai,
perché a Iquique
tutti capiranno.
 
Prendi donna il mio mantello,
ti coprirà.
Prendi il bambino in braccio,
non piangerà.
Non piangerà, fidati
sorriderà.
Gli canterai una ninna nanna,   
e si addormenterà.                                              
 
Che succede?,
dimmi, non tacere più.
Una lunga strada
devi percorrere
attraversando montagne,
andiamo donna.
Andiamo donna, fidati,
dobbiamo arrivare alla città
potremo vedere tutto il mare.
 
Dicono che Iquique è grande
come una miniera di salnitro,
che ci sono case bellissime,
ti piaceranno.
Ti piaceranno, fidati
come è vero che esiste Dio
là al porto tutto
sarà migliore.
 
Che succede?
dimmi, non tacere più.
Andiamo donna,
partiamo per la città.
Tutto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare, fidati,
vedrai, perché a Iquique
tutti capiranno.
 
6. RACCONTO III
 
Dal quindici al ventuno,
del mese di dicembre,
durò il lungo viaggio
attraverso i pendii.
Ventiseimila uomini
o anche di più
con i silenzi consumati
nelle miniere di salnitro.           
Scendevano ansiosi,    
arrivavano a migliaia    
dalla pampa,
gli emarginati.
Non mendicavano nulla,
solo chiedevano
risposta alle richieste,
risposte chiare.
 
Alcuni a Iquique
li capirono
e si unirono a loro,
erano i Sindacati.
E solidarizzarono con loro
i carpentieri,
Le maestranze,
i carrettieri,
gli imbianchini e i sarti,
i lavoratori a giornata,
i barcaioli e i muratori,
i panettieri,      
i gasisti e magazzinieri,
i facchini.
Sindacati giusti,
di povera gente.
 
I Padroni di Iquique
avevano paura;
erano troppe richieste
da tanti operai.
Il “pampino” non era
uomo onesto,
poteva essere ladro
o uccidere.
Intanto le case
erano chiuse,
guardavano solo
da dietro le finestre.                                   
Il commercio chiuse    
anche le sue porte,      
bisognava difendersi
da tante bestie.            
Meglio che li riunissero tutti
in qualche luogo,
se circolavano per le strade
era un pericolo.                       
 
7. INTERLUDIO CANTATO                       
 
Si sono uniti con noi    
compagni di speranza  
e gli altri, i più ricchi,    
ci voltano le spalle.      
 
Siamo arrivati fino a Iquique    
ma  Iquique ci vede come stranieri.
Ci capiscono solo  alcuni amici
ma gli altri ci negano la mano.
 
8. RACCONTO IV
 
Il luogo dove ci portarono
era una scuola vuota
e la scuola si chiamava
Santa María.
 
Lasciarono gli operai
e li lasciarono con sorrisi.
Dissero di aspettare
soltanto qualche giorno.
 
Gli uomini si fidarono,
non gli mancava la pazienza
visto che avevano aspettato
una vita intera.
 
Aspettarono sette giorni,
che divennero d’inferno,
mentre  il pane si sta barattando
con la morte.
 
L’operaio è sempre un pericolo.
E’ necessario cautelarsi.
E così fu dichiarato lo stadio d’assedio.
 
L’aria portò un annuncio,
si udiva un tamburo lontano.
Era il giorno ventuno
di dicembre.
 
9. CANZONE III
 
Sono operaio “pampino” e sono
più vecchio che mai
e inizia a cantare la mia voce
con il  timore  di una tragedia.
 
Quello che sento in questa circostanza,
lo dovrò comunicare,
qualcosa di triste accadrà,
qualcosa di orribile ci succederà.
 
Il deserto mi è stato
infedele,
solo terra sbrecciata e sale,
pietra amara del mio dolore,
roccia triste di aridità.
 
Sento solo silenzio
e agonie di solitudini
solo rovine di ingratitudine
e ricordi che fanno piangere.
 
Che nella vita non si deve aver paura
lo ho imparato con gli anni,
però dentro sento un grido
che ora mi fa tremare.
 
E’ la morte che sorgerà
galoppando nell’oscurità.
Apparirà per il mare,
sono ormai vecchio e so che verrà.
 
10. RACCONTO V
 
Nessuno dica niente,
che arriverà
un nobile militare,
un Generale.(4)
Egli saprà come parlarvi,
con l’attenzione che il gentiluomo
usa per i suoi lacchè.
Il Generale arriva
con molto trambusto
e ben cauto
con i suoi soldati.
Le mitragliatrici
sono disposte
e strategicamente circondano la scuola.
 
Parla da un balcone
con dignità.
Questo è ciò che dice il Generale
“Che non serve a niente
questa commedia.
Che smettano di inventare
tanta miseria.
Che non capiscono i loro doveri
sono ignoranti.
Che disturbano l’ordine,
che sono delinquenti.
Che sono contro il paese,
che sono traditori.
Che rubano alla patria,
che sono dei ladri.
Che hanno violentato le donne,
che sono indegni.
Che hanno ucciso dei soldati,
che sono degli assassini.
Che è meglio che se ne vadano
senza protestare.
Che nonostante chiedano e chiedano
non otterranno nulla.
Che lascino allora
questo luogo,
che se non obbediscono agli ordini,
vedranno ciò che accadrà”.
 
Dalla scuola, “El Rucio”,
operaio ardente,
risponde senza vacillare
con voce coraggiosa,
“Lei, Signor Generale
non ci capisce.
Continueremo ad aspettare,
costi quel che  costi.
Non siamo animali,
non siamo pecore,
alzeremo la mano
con il pugno in alto.
Daremo nuova forza
con il nostro esempio
e il futuro lo saprà, glielo prometto.
E se vuole minacciare
io sono qui.
Spari al cuore
di questo operaio”.
 
Il Generale che lo ascolta non ha vacillato,
con rabbia e con un gesto presuntuoso
gli ha sparato,
e il primo sparo è l’ordine
per il massacro
e così inizia l’inferno
con gli spari.
 
11. CANZONE LITANIA
 
Morirono in tremilaseicento,
uno dopo l’altro.
Tremilaseicento
li ammazzarono uno dopo l’altro.
 
La scuola Santa María
vide sangue operaio.
Sangue che conosceva
solo miseria.
 
Erano tremilaseicento
sordi
e furono tremilaseicento
muti.
 
La scuola Santa María
fu lo sterminio
della vita che moriva,
solo urlo.
 
Tremilaseicento sguardi
che si spensero.
Tremilaseicento operai
uccisi.
 
12.  CANZONE IV
 
Un bimbo gioca nella scuola
Santa María.
Se gioca a cercare tesori
che troverà?
 
Gli uomini della pampa
che vollero protestare
li ammazzarono come cani
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, amico,
è pericoloso.
Non si deve parlare, amico,
è pericoloso.
 
Le donne della pampa
si misero a piangere
e ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere povera, amica,
è pericoloso.
Non si deve piangere, amica,
è pericoloso.
 
I bambini della pampa
che guardavano, solo per questo,
ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, bimbo,
è pericoloso.
Non si deve nascere, bimbo,
è pericoloso.
 
Dove sono gli assassini
che giunsero per uccidere?
Lo giuriamo su questa terra,
li troveremo.
 
Lo giuriamo sulla vita,
li troveremo.
Lo giuriamo sulla morte,
li troveremo.
 
Lo giuriamo, compagni,
quel giorno giungerà.
 
13.  CANZONE DI COMMIATO
 
Signore e signori,
qui termina
la storia della scuola
Santa María.
Ed ora con rispetto
vi pregherei
di ascoltare la canzone
di commiato.
 
14. CANZONE FINALE
 
Voi che avete ascoltato
la storia che si narrò
non state lì seduti
pensando che ormai è successo.
Non basta solo il ricordo,
il canto non basterà.
Non basta solo il lamento,
guardiamo la realtà.
 
Chissà domani o dopodomani,
o forse  un po’ più avanti,
la storia che avete ascoltato
accadrà di nuovo.
E’ il Cile un paese così grande,
mille cose possono accadere,
se non ci prepariamo
decisi a lottare.
Abbiamo ragioni vere,
abbiamo di che lottare.
Abbiamo le mani dure,
abbiamo con cosa vincere.
 
Uniamoci come fratelli,
che nessuno ci vincerà.
Se vogliono schiavizzarci,
non ce la faranno mai.
La terra sarà di tutti
sarà anche nostro il mare.
Ci sarà Giustizia per tutti,
ed anche Libertà.
Lotteremo per i diritti
che tutti devono avere.
Lotteremo per ciò che è nostro,
e che di nessun altro sarà.
Testo e Musica di Luis Advis 
Traduzione di Annalisa Melandri
 
 
Questa canzone fu composta da Luis Advis alla fine del 1969. Il gruppo Quilapayún la eseguì la prima volta nel luglio 1970 nel secondo Festival della Nuova canzone Cilena e di questo movimento divenne l’opera principale.
 
I nastri originali della “Cantata Santa María de Iquique” furono distrutti dopo il golpe militare e l’esecuzione di questa canzone fu proibita dalla dittatura di Pinochet fino al 1990.
 
La canzone narra dei fatti avvenuti nella scuola Santa María di Iquique tra il 15 ed il 21 dicembre 1907, sotto la presidenza di Pedro Montt, e cioè il massacro di 3600 minatori del salnitro che si trovavano in sciopero per le precarie condizioni di lavoro e di vita a cui erano sottoposti.
 
Il regista cileno Miguel Littín, ha tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore cileno Patricio Manns il suo film del 1975 Actas de Marusia con Gian Maria Volontè.
 
Vedi anche:
Leggi:
 
“Ora che la solitudine ha
conficcato il suo canino nel paesaggio della pampa
e solo restano ciminiere spente
simulando un fumatore stanco
rivolgete il vostro sguardo al suolo
e vedrete insieme a me
come piangono, sanguinano e protestano
di notte le sue ferite.”
Floreal Acuña
 
 
 
 



(1) Città ed importante porto del Cile settentrionale, capoluogo della prima regione di Tarapacà, sulla costa pacifica. Nel passato fu un’importante città mineraria per i grandi giacimenti di nitrato di potassio della “pampa del tamarugal”. Oggi la sua risorsa principale è la pesca ed è il maggior porto mondiale per l’esportazione della farina di pesce. Dal 1975 è zona franca e questo ha contribuito al suo sviluppo.
(2) Nitrato di potassio, usato come fertilizzante e nella preparazione della polvere da sparo.
(3) Nebbiolina costiera densa e dinamica che si produce grazie all’anticiclone del Pacifico.
In alcuni luoghi della costa cilena si usano sistemi per produrre acqua dalla camanchaca con ottimi risultati.
(4) Le forze militari erano guidate dal Generale Roberto Silva Renard


Georgina Gubbins: Lettere dal deserto/Cartas dal desierto

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Scuola Santa Maria de IquiqueIquique, 23 dicembre 1907
 
Mia cara Nonna,
 
Si ricorda che le raccontai che mio padre era preoccupato per i problemi nelle officine, che c’erano continui scioperi a Iquique e nella pampa e per questo non potevamo uscire?
Come un ronzio lontano, gli uomini scendevano dalla pampa. Erano molti: uomini, donne, bambini, nonni e nonne. Portavano anche i loro cani che correvano tra le loro gambe, come se sapessero che partecipavano ad un avvenimento importante. Le donne portavano canestri ‚pentole e mestoli, i neonati contro il petto e gli uomini con i loro figli più piccoli sulle spalle.
Faceva molto caldo in quei giorni. La camanchaca non portava il suo refrigerio abituale.Il calore si posava sulla città come un pesante mantello. Passavano i giorni e nonostante la quantità di gente, c’era un’atmosfera di speranza.
Secondo Juan, i pamperos dissero che avrebbero aspettato fino a che le loro richieste fossero state accettate. Volevano cambiare molte cose, Nonna, come per esempio eliminare i buoni, avere scuole serali o una migliore assistenza medica. Ma gli andò male. Arrivarono le truppe, le autorità si spaventarono, ci furono scontri seguiti da grida e spari.
Nonna alla fine i pamperos non ritornarono nella pampa. Li uccisero con i loro fucili e le grida che schiacciarono la città furono sostituite da un pianto profondo e disperato come quello di un cane ingabbiato.
Tanti morti solo per voler vivere meglio. Ancora l’aria odora di polvere e paura. Non si preoccupi per noi, stiamo bene. Mio padre vuole che andiamo a Tiviliche a riposare e lì passeremo l’Anno Nuovo.
Addio, cara Nonna. Mi scriva.
Sua nipote Isabelle..
 
Georgina Gubbins: Cartas del Desierto           
 

Adys Cupull — Froilán González : La Cia contro il Che

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Dalla quarta di copertina:
A quarant’anni dalla morte, una documentata ricerca storiografica per la prima volta tradotta in italiano mette in luce aspetti poco noti e non ancora chiariti riguardo gli ultimi mesi di vita di Ernesto Che Guevara. Dopo il suo arrivo in Bolivia nel novembre 1966, la CIA e l’ambasciata degli Stati Uniti a La Paz fecero di tutto per impedire la vittoria della guerriglia, assumendo il controllo dello Stato, militarizzando la società e reprimendo nel sangue ogni protesta. Ogni sforzo fu fatto per soffocare sul nascere il sogno del Che di “creare due, tre, molti Vietnam”, che si prefiggeva di porre fine al sistema di sfruttamento  di oppressione imperialista.
 
La CIA decise di occultare il cadavere del Che, cercò di non far mai pubblicare il suo diario, per portare avanti l’opera di disinformazione e discredito ai danni del guerrillero heróico e dell’intero movimento rivoluzionario mondiale. Di lì a pochi anni, con l’aiuto della stessa CIA e del governo di Washington, in tutto il continente furono organizzati cruenti colpi di stato, dall’Argentina di Videla al Cile di Pinochet, secondo i dettami dell’operazione Condor.
 
Oggi però, dopo l’elezione in Venezuela di Hugo Chávez nel 1998, molti altri paesi dell’America Latina hanno abban­donato l’obbedienza incondizionata in favore di politiche più attente alla popolazione: anche l’odierna Bolivia di Evo Morales, scelta quarant’anni fa da Ernesto Che Guevara per muovere guerra all’imperialismo degli Stati Uniti, “il più grande nemico dell’Umanità”, come affermò nel messaggio alla Tricontinental di quello stesso anno.
 
Edizioni Achab – Verona
pp 184 — € 13,00
 
  
Adys Cupull e Froilán González hanno istituito dei corsi dedicati alla vita e all’opera di Che Guevara nelle università di Santiago de Cuba e di Santa Clara. Sono membri della Commissione scrittori e artisti del movimento cubano per la pace e l’autodeterminazione dei popoli, dell’Unione nazionale scrittori e artisti di Cuba dell’Unione dei giornalisti cubani.

Gustavo Valcárcel: Pentagramma del Cile antifascista

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“Sono stato due volte in Cile. Abbiamo avuto l’opportunità di frequentare importanti personalità, tra le quali Luis Corvalán, Segretario Generale del Partito Comunista Cileno, oggi detenuto in ingiustissima detenzione e Pablo Neruda, che avevo già incontrato a Lima, La Habana e Mosca. Abbiamo vissuto la profonda soddisfazione di essere ospiti nelle case di entrambi a Santiago e a Isla Negra, sulla spiaggia di Valparaíso. Il golpe fascista di due anni fa ci segnò l’anima, ma non le speranze; ridusse in ceneri transitorie la nostra illusione cilena, ma non le nostre speranze; ci straziò il cuore ma non la fiducia nell’avvenire.
 
A Londra apprendemmo della morte di Pablo e del nobile sangue popolare che stavano spargendo Pinochet e i suoi complici della Giunta. Tuttavia, ho dovuto acquietare i miei sentimenti per mesi e mesi, fino alla Settimana Santa di quest’anno, affinché sgorgassero a fiotti – insanguinati, imprecativi– i versi del mio “Pentagramma del Cile antifascista”, che dovrebbero essere già stati pubblicati in questi giorni a Mosca , in russo, e nella rivista della Casa delle Americhe, a Cuba, in spagnolo. Domani è l’Anniversario Nazionale del Cile. Confermiamo al suo popolo solidarietà e poesia, i nostri auguri più umani per la sua rinascita nazionale e per il suo futuro socialista.”
 
Gustavo Valcárcel,  Lima settembre 1975

 
I
    PASSO dopo passo, sangue onesto,
frantoio di lacrime, cateratta di ossa,
un coagulo nero nella luce e in gola, nodi
piombo nelle strade e alla Moneda, fumo.
Grumi crescenti, vertici rotondi,
scala di odio, balaustra di agonie
gradinata di sospiri massacrati,
scendiamo un pò, compagni,
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
II
   FRIGGIMI le lacrime, Santiago,
metti in forno le mie nostalgie
organizzami il pianto in quattro tempi
lega i miei dolori ad un palo
nascondi i miei singhiozzi in un nido
appendi le mie angosce al soffitto
fai strada ai miei sandali e al mio zaino, mondo
facciamo un pò di silenzio, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
III
  CHITARRA impazzita, canto sommerso,
il crimine ha calzato gli stivali,
l’escremento ha indossato la divisa
le orine adesso ostentano i galloni
la Giunta avanza scortata di feci.
 
Intanto, gli asini pascolano nei rettorati
e il libro va al rogo a capofitto
con copertine singhiozzanti e laceranti caratteri.
Rileggete un po’ le loro ceneri, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.   
IV
 LO Stadio è un mondo a parte, pianeta
di sogni rossi fatti a pezzi
piedistallo di morte prematura
teatro dell’angoscia in gradinate.
 
Già cominciano a cantare i due moncherini
di Victor Jara, il trotamuertes
usignolo decapitato
il muto più intonato di questi anni.
Ascoltiamolo un pò, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
V
    QUESTO è Pinochet, il disgustoso Caino del nostro tempo,
il boia su misura, il cerbero esatto,
il traditore perfetto, il servo diligente,
la emme più emme del vile abbecedario.
 
Dategli il suo diploma di tiranno insanguinato!
Dategli la sua patente di affamatore del popolo!
Dategli il suo titolo di saccheggiatore del fisco!
Dategli la sua medaglia di assassino made in USA!
Dategli alla fine il dottorato della morte!
Per tutto ciò abbonda di meriti.
 
Il Cile non potrà mai dimenticarlo
nelle sue notti più tristi e lunghe
nacque dal pus e si fece fistola
studiò da scorpione e si laureò come vipera
sognò di essere generale e si svegliò degradato a Giuda.
Sovrano dei pidocchi, re dei vermi,
non c’è dubbio, arriverai molto lontano, lontanissimo,
dove terminano le cloache!
VI
     STANCO, il tempo ritira le sue impalcature
tremolante, il vento nasconde la sua vecchiaia 
l’ aviazione fascista le strappò il suo nome, Marta
e il suo cognome, Bulnes morì di solitudine.
 
Dolce abitante di una via triste
i tuoi figli vivranno un altro settembre
ed allora tempo e vento dovranno ripetere
che Marta Bulnes morì felice
con la china fede dei diseredati.
 …
VII
    COME accade con anni e anni portati male,
oggi mi viene in sogno Antofagasta
e mi giunge ai timpani Valparaíso
con il rintocco  a morto delle sue campane sotto il mare.
 
La nebbia singhiozza sottovoce
il pomeriggio mi porta gli odori del Sud
il quadro dell’uva alle esequie
la via Teatinos rimpicciolita
l’immagine del copihue senza musica.
 
Ahi, la voce del Cile si è spezzata,
oggi si china a raccoglierla il cuore.
 
VIII
    MINATORE di Chuquicamata accendi il forno
resisti all’aria e al fascismo, fuoco!
rischiarati molto nel profondo del corpo
perchè l’oscurità pesa e le pupille pesano
e la Giunta è un corvo che strappa gli occhi.
 
Compagno, stai attento
ora ritornano le ingiurie alla cieca,
le pallottole, la repressione, l’assenza.
Compagno che vivi di notte tra i tetti
scostati dalla dura gogna,
sorvola la fossa comune,
allontanati dal sudario generale,
sì generale,
perché in Cile ancora c’è posto per la speranza!
IX
    Mi allontano un po’, Pablo, per avvicinarmi di più a te.
 
Sommo e moltiplico le tue viñas del mar
le tue islas negras sottosopra
i tuoi fiori in vedovanza, i tuoi alberi spogli
e il tuo lutto che ora infiamma
i pani, gli uccelli e i pesci.
 
La tua voce percorre il mondo, non ti affliggere,
trasformata in petali e polvere
è se è certo che nascosero il tuo corpo
non nasconderanno mai la tua vita in Cile
perché la tua vita Pablo ha un sapore Neruda
perché Neruda l’uomo, perché il tuo popolo, Pablo,
avanza sottobraccio ai tuoi versi, canta
e sta giungendo senza voce al domani.
X
 QUESTO è Corvalàn, il molto amato,
quello esperto in campi di concentramento
in lotte proletarie, in tenerezze
di sposo e padre, di combattente e uomo
di militante senza rughe
di soldato che non conosce resa.
 
Quanto ti penso tra mille pareti
mi si rivolta l’anima
e si unisce al gran movimento
che chiede libertà per i tuoi sogni.
 
Forse saprai, Luis Corvalàn,
che il muro gira veloce verso sinistra
che la rosa cerca il pane con fermezza
perché il loro giorno si avvicina per tutti
e vogliono stare insieme
in un matrimonio di indissolubile amore.
 
Grande operaio del futuro cileno
stringo le mie insonnie con i pugni
afferro la solitudine dai capelli
rinchiudo la tristezza nella sua gabbia
di notte mi fermo. Sento. Odo. Grido. Vedo:
tra l’austerità del filo spinato
sul groppone del tempo del ricordo
di spalle al patibolo messo a punto
al centro della nerezza mal riuscita
l’unica cosa che brilla è la fantasia
della tua rossa allegria comunista.
XI
   IL coraggio ha imparato molto da te
quando afferrasti la vita in un secondo
fucile in mano, polso fermo,
e cominciasti a dettare una semplice lezione:
come morire di faccia  al cielo, sfinito,
sudando dignità.
 
Cile, Salvador, Valparaíso Allende:
si apriranno i grandi viali
come dicesti con l’agonia al fianco
e ti vedremo in piedi al centro di essi
colpire il passato con molta furia
baciare il domani sulla sua guancia australe
abbracciare l’indio più anziano dell’Arauco
e tornare di notte all’opera del mare.
 
Si apriranno i grandi viali
compagno Presidente
e perfino lì  giungerà a piedi la nostra speranza.
 
 (Traduzione di Annalisa Melandri)
 
Ritratto di Gustavo Valcárcel di Etna Velarde

Biografia di Gustavo Valcárcel:
Arequipa, 1921 – Lima, 1992
Leggi qui, cosa scrive di lui lo scrittore e poeta peruviano Juan Cristóbal (La dimensione umana di Gustavo Valcárcel).
 
Opere:
Confín del tiempo y de la rosa (1948)
La prisión (1951)
Poemas del destierro (1956)
Cantos del amor terrestre (1957)
5 Poemas sin fin (1959)
Sus mejores poemas (1960)
¡Cuba sí, yanquis no! (1961)
Poesía revolucionaria. Antología (1962)
!Pido la palabra! (1965)
Poesía estremista (1967)
Pentagrama de Chile antifascista (1975)    
Reflejos bajo el agua del sól pálido que al umbra a los muertos (1980)
Obra poetica 1947–1987 (1988)
 
 
 
Tra il 2005 e il 2006 ho tradotto le 11 poesie che compongono il Pentagramma del Cile Antifascista, non è stato facile, non avevo mai tradotto poesie e queste in particolare non erano semplici da rendere in italiano. Voglio solo aggiungere che è stato un lavoro che mi ha dato molto e da cui ho appreso tanto, arrivando anche a “sentire”  profondamente il dolore del poeta. Il mio incontro con la poesia di Gustavo Valcárcel è stato praticamente casuale: nel 1987 ero ad Arequipa, sua città natale ed una delle tappe di un viaggio in Perù, quando, chissà come, venni in possesso della “Obra Poetica 1947–1987″ e cioè una raccolta completa della produzione poetica di Gustavo Valcárcel tra il 1947 ed il 1987.
A volte sono i libri a sceglierci e si avvicinano a noi in modo misterioso ed inspiegabile, segnando in qualche maniera la nostra vita.
Sono molti anni che conservo affettuosamente questo libro, un piccolo volume, corredato da foto in bianco e nero del Signor Gustavo e della sua famiglia, la “camarada” Violeta, sua moglie, ed i suoi figli, Gustavo, Rosina, Xavier e Marcel ed inoltre altre fotografie dei suoi viaggi in Russia, in Messico, dove la famiglia Valcárcel era in esilio, in Cile, a Machu Picchu e la mia foto preferita, quella degli sposi e Pablo Neruda davati alla casa di lui a Isla Negra.
 
Ringraziamenti: 
Un ringraziamento particolare e sinceramente affettuoso va alla famiglia di Gustavo Valcárcel , a sua moglie Violeta ed ai suoi figli.
Ho avuto modo di scambiare alcune impressioni con sua figlia Rosina, antropologa e scrittice che vive e lavora a Lima, la quale senza conoscermi, cordialmente mi ha offerto il suo aiuto per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno nel difficile lavoro di traduzione della poesia di suo padre.
Mi ha colpita per la sua amabilità e simpatia.
Ringrazio inoltre  Gladys Besagoitia Dazza apprezzata poetessa peruviana, che vive e lavora a Perugia, la quale mi ha dato preziosi suggerimenti per ciò che riguarda la traduzione di alcune poesie.
Una nota di considerazione speciale è per il poeta e scrittore peruviano Juan Cristóbal, il quale fu amico di Gustavo Valcárcel e della sua famiglia, e che tramite alcuni articoli pubblicati in internet (www.rodelu.net), ha divulgato la sua opera ed il suo valore umano e sociale e continua percorrendo lo stesso cammino di denuncia e di amore per la sua patria già intrapreso da Don Gustavo  Valcárcel.
 
 
“… ma il Perù resiste con la sua avanguardia operaia
capirai allora, scrittore del popolo,
perché non posso più dire vagamente
“se l’uccello dell’amore moriva d’amore”
quando migliaia di compagni sono morti veramente
con il volto trasformato in un coagulo tangibile.”
                                   GUSTAVO VALCÁRCEL
            ( Elegia a José Carlos Mariátegui)
 
 
 
                 La poesia di Valcárcel è un messaggio mattutino all’uomo: scopre i sentimenti puri, le sensazioni inedite del colore e della musica, tutto ciò che disturba quanto c’è di primitivo nella specie, quanto è stato dimenticato dall’istinto…
          Valcárcel si trova in un luogo solitario dello spirito, nell’altopiano della grazia lirica. Lì ascolta e lo avvolge l’antica e rinnovata sinfonia del mondo.
Xavier Abril
 
 


Giuseppe Scaliati: In difesa della tradizione.L’alleanza tra tradizionalisti e neofascisti

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Frange di cattolici tradizionalisti già all’indomani del secondo conflitto mondiale si intrecciano con alcuni ambienti nostalgici neofascisti, in nome di un’alleanza retta nel rifiuto del “mondo moderno”, del “mito democratico ed egualitario” e della civiltà borghese. Tale intesa si è poi protratta fino ai giorni nostri, senonché oggi i due fronti del tradizionalismo cattolico e dell’estrema destra hanno talmente tanti punti in comune che molto spesso si sovrappongono, per cui assistiamo ad una cristianizzazione degli aderenti ai movimenti neofascisti (Lega Nord compresa), ed una sorta di fascistizzazione della sponda cristiana.
Naturalmente i temi delle alleanze e delle strette collaborazioni sono alquanto noti, vanno dalle storiche lotte all’aborto a quelle più attuali che riguardano la battaglia all’omosessualità e alla tanto ventilata, quanto imminente e pericolosa — a loro modo di vedere — invasione islamica e la conseguente società multirazziale, vista come un vero e proprio flagello dell’umanità.
Giuseppe Scaliati (1978), laureato in scienze politiche all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, all’indirizzo storico-politico, con una tesi in storia del Pensiero Politico contemporaneo dal titolo Origini e sviluppi dell’Anarchismo. Ha pubblicato nel febbraio 2005 TRAME NERE. I movimenti di destra in Italia dal dopoguerra ad oggi con la casa editrice Fratelli Frilli Editori; nel febbraio 2006 DOVE?VA?LA?LEGA?NORD, Radici ed evoluzione politica di un movimento populista, Edizioni Zero in condotta. Collabora con testate giornalistiche e siti web.
 

Azor Jaime: Nostalgia a Montevideo

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Sono felice di pubblicare qui  la poesia dell’amico Azor Jaime,  Nostalgia a Montevideo.
La poesia è stata pubblicata sul Manifesto del 14/9/07 insieme all’articolo di Mariangela Giaimo, La grande notte della nostalgia collettiva.
 
Nostalgia a Montevideo
Nostalgia de los terratenientes (dei latifondisti)
Nostalgia delle 500 famiglie padrone del paese
Nostalgia di quando un peso valeva un dollaro
Nostalgia delle prime lotte studentesche del 60
Nostalgia delle mirabolanti azioni tupamare
contro una oligarchia corrotta ed autoritaria
Nostalgia di un paese produttore di cultura
di scrittori come Onetti, di poetesse come Vilarinio
Nostalgia di Lautréamont, Laforgue e
Supervielle
Nostalgia dei veglioni all’italiana nel teatro Solis
Nostalgia del chivito al pan y del dulce de leche
Nostalgia del buon teatro e dei cantautori
los olimarenios, Jaime Roos, los chalchaleros
Nostalgia di quello che doveva essere e che non fu
Chiedetelo a Mario Benedetti a Eduardo Galeano,
ai sopravvissuti alle torture, al carcere duro,
a quei seimila uruguayani schedati come cittadini di classe C
(quelli di A erano i compiacenti, i B i dubitanti)
Nostalgia della memoria che se n’è andata
con il tempo
che porta via gli uomini onesti e disonesti
Ma il tempo non potrà mai cancellare le ingiustizie,
la corruzione.
Porterà via,
il tempo,
i corrotti, gli oligarchi, i supremi magistrati
compiacenti
ma non cancellerà i peccati
non pulirà le anime
dei distruttori del paradiso terrestre.
 (Azor Jaime)

Victor Jara: Corrido di Pancho Villa

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Pancho Villa

Fui soldato di Francisco Villa
di quell’ uomo di fama immortale
che anche se andava montando una sella
non invidiava la poltrona presidenziale (*)
 
Ora vivo laggiù sulla riva
ricordando quel tempo immortale,
ora vivo laggiù sulla riva
ricordando Villa laggiù a Parral.
  
Io fui uno di quei decorati         
che con il tempo divenne maggiore
nella lotta restammo feriti
difendendo patria ed onore.
  
Oggi ricordo i tempi andati
in cui combattemmo contro l’invasore,
oggi ricordo i tempi andati
di quei decorati di cui fui maggiore.
  
Il cavallo che tante volte cavalcai
a Jimenez raggiunse la morte,
una pallottola destinata a me
il suo corpo attraversò.
  
Nitriva morendo dal dolore
e per la patria dette la vita,
nitriva morendo dal dolore
quanto piansi quando morì.
  
Pancho Villa ti porto impresso
nella mia mente e nel mio cuore
e anche se a volte mi vidi sconfitto
dalle forze di Alvaro Obregón
sempre fui fedele soldato
fino alla fine della  rivoluzione,
sempre fui fedele soldato
che tanto lottò vicino al
cannone.
(Victor Jara)
Traduzione di Annalisa Melandri
(*gioco di parole, silla in spagnolo vuol dire sia sedia che sella del cavallo)
 
 
Fui soldado de Francisco Villa
de aquel hombre de fama inmortal
que aunque estuvo sentado en la silla
no envidiara la presidencial.
  
Ahora vivo alla por la orilla
recordando aquel tiempo inmortal
ay, ay,
ahora vivo alla por la orilla
recordando a Villa alla por Parral.
  
Yo fui uno de aquellos dorados
que con tiempo llego a ser mayor
en la lucha quedamos lisiados
defendiendo la patria y
 honor.
  
Hoy recuerdo los tiempos pasados
que peleamos con el invasor
ay, ay
hoy recuerdo los tiempos pasados
de aquellos dorados que yo fui mayor.
  
Mi caballo que tanto montaba
en Jimenez la muerte alcanzo
una bala que a mi me tocaba
a su
 cuerpo se le atraveso.
  
Al morir de dolor relinchaba
por la patria la vida entrego
ay, ay
al morir de dolor relinchaba
como le lloraba cuando se murio.
  
Pancho Villa te llevo grabado
en mi mente y en mi corazon
y aunque a veces me vi derrotado
por las fuerzas de Alvaro
 Obregon
siempre anduve como fiel soldado
hasta el fin de la revolucion
ay, ay
siempre anduve como fiel soldado
que tanto ha luchado al pie del cañon.
 
(Victor Jara)
 

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