Versos de Gustavo Valcárcel en el parque del Amor, Lima

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parque del Amor, Lima

i versi di Gustavo Valcàrcel al parque del Amor, Lima

andremo per porti a vedere che tutto parte 

 e a vedere che il nostro amore non partirà mai…

(da “Canti dell’amore terrestre” n. IX)

 

 HA nacido un poeta al mirarme en tus ojos
y un poema ha nacido al sentirme en tu vida,
porque eres la metáfora de mi niñez humilde
y porque eres la imagen con que soñamos todos.
 
Tu presencia es la vida, un mar inacabable,
estás en todo el mundo, nace el mundo en tus ojos,
te miro sobre el tiempo y te amo bajo el tiempo
porque eres un instante que nunca pasará.
 
Remediará el amor nuestros trajes zurcidos,
habrá pan para ti y flores en la alcoba;
iremos a los puertos a ver que todo parte
y a ver que nuestro amor no partirá jamás.
 
Principio que no acaba, tu mirada me busca
envuelta con la música del mundo que soñamos;
tu voz puebla el espacio donde sembré silencios
y tu nombre me alegra como una flor salvada.
 
Peregrina invisible de los claros de Luna,
has llegado a mi ser como flor a la rama,
entrando de puntillas tan silenciosamente
que al cerrar yo mis ojos te quesdaste cautiva.
 
Sí, yo seré el poeta y tú la poesía
desde el momento exacto que termine estos versos,
copiados un domingo al conocer tus ojos,
porque tus ojos son poesía que mira.
 
Y porque son tus ojos poesía mirada.
 
 

 


Lawrence Ferlinghetti: Manifesto populista. Per i poeti, con amore

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Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
Dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills,
Dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills,
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dalle vostre tende e dai vostri palazzi.
Gli alberi stanno ancora cadendo
E non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
La Mosca di Majakowskij sta bruciando
I combustibili fossili della vita.
La notte & il cavallo si avvicinano
Mangiando luce, calore & forza
E le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
Sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari
Non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce e per l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
Distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi bene aperti,
il momento ora di aprire le nostre bocche
in un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi, “Poeti delle Città”
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da laboratorio
nel cuore giungla d’America
tutti voi addomesticati Ezra Pound tutti voi poeti pazzi, sballati, malconci,
tutti voi poeti della Poesia Concreta pre-compressa,
tutti voi poeti cunnilingui,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritornate mai sulle betulle,
tutti voi padroni delle segherie haiku nelle Siberie d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla GrouchoMarxista e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Bramini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutti voi baby.sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della Poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi capelluti professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia–
Dove sono i figli di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’alta canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa–
Poeti, scendete
Nelle strade del mondo ancora una volta
E aprite le menti & gli occhi
Con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia guidata
con una nuova comune-sensuale “comprensione-pubblica”
con altri livelli soggettivi
con altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superficie.
Del vostro dolce Io che ancora cantate
Ancora esprimete “la parola en-masse”-
Poesia il veicolo comune
per il trasporto pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possono portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora alzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini &donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.
 

Joan Manuel Serrat — Mediterraneo

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qualche nostalgia…

Quizá porque mi niñez
sigue jugando en tu playa,
y escondido tras las cañas

duerme mi primer amor,
llevo tu luz y tu olor
por donde quiera que vaya,

y amontonado en tu arena
guardo amor, juegos y penas.
Yo,

que en la piel tengo el sabor
amargo del llanto eterno,
que han vertido en ti cien pueblos

de Algeciras a Estambul,
para que pintes de azul
sus largas noches de invierno.

A fuerza de desventuras,
tu alma es profunda y oscura.

A tus atardeceres rojos
se acostumbraron mis ojos
como el recodo al camino…

Soy cantor, soy embustero,
me gusta el juego y el vino,
Tengo alma de marinero…

¿Qué le voy a hacer, si yo
nací en el Mediterráneo?

Y te acercas, y te vas
después de besar mi aldea.
Jugando con la marea

te vas, pensando en volver.
Eres como una mujer
perfumadita de brea

que se añora y que se quiere
que se conoce y se teme.

Ay…

si un día para mi mal
viene a buscarme la parca.
Empujad al mar mi barca

con un levante otoñal
y dejad que el temporal
desguace sus alas blancas.

Y a mí enterradme sin duelo
entre la playa y el cielo…

En la ladera de un monte,
más alto que el horizonte.
Quiero tener buena vista.

Mi cuerpo será camino,
le daré verde a los pinos
y amarillo a la genista…

Cerca del mar. Porque yo
nací en el Mediterráneo…


Rayen Kvyeh : Balla la morte

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Rayen Kvyeh

Rayen Kvyeh il 25 gennaio presso lo Spazio Odradek

Questa poesia di Rayen Kvyeh, tradotta dal Prof. Antonio Melis, è stata letta in Italia in occasione de La parola errante, recital e conferenza stampa sulla situazione dei prigionieri politici mapuche, che si è svolto  a Roma presso lo Spazio Odradek il 25 gennaio scorso.
In Cile è stata assunta come inno e canto di lotta del popolo mapuche.
 
BALLA LA MORTE
Balla la morte
sulla tavola
dei potenti commensali.
Applaudono e tacciono,
tacciono e applaudono
sotto l’ombra complice
delle leggi bianche.
 
Si rompe il silenzio
sulle sbarre-muri.
Lo sciopero della fame
cavalca per le vene
dei prigionieri politici mapuche.
Sulle trecce nere
di Patricia Troncoso
si arrampica il silenzio
delle voci ancestrali.
 
Balla la morte
sugli alberi di natale
di neve artificiale
e luci colorate.
 
Si rompe il silenzio.
Lo sciopero della fame
cavalca i sentieri
solidali
attraversando frontiere
rompendo barriere.
 
Ruggisce il Llaima.
Rompe il silenzio.
Vomita fuoco.
Il rosso ruggito
della lava ardente
travolge le montagne.
 
Balla la morte
sulla bilancia della giustizia
dei potenti commensali.
Ballano le leggi.
Anno nuovo.
Nuove armi.
Mano dura – mano bianca.
Terrorista – mente bianca.
Moneta dura – plusvalore bianco.
Balla la morte.
Ballano le leggi.
con champagne e vino.
 
Si rompe il silenzio.
Lo sciopero della fame
cavalca i sentieri usurpati
del territorio mapuche.
 
Balla la morte
sulla scrivania
dei potenti commensali.
Ballano le armi.
La pallottola assassina
punta alla schiena.
Matías Catrileo assassinato.
 
Balla la morte
sulla tavola
dei potenti commensali.
I terroristi ballano
la cueca finale.
Ballano le leggi
cantando l’inno nazionale.
 
IL CASO È CHIUSO
 
Sulle trecce nere
di Patricia Troncoso
si arrampica il silenzio
delle voci ancestrali.
Rompono il silenzio
le voci dei venti.
Lemun, Catrileo, Epul
insorgono
nelle quattro forze della terra.
 
Matías Catrileo cade
baciando la terra.
Le voci dei venti
rompono il silenzio.
I suoi occhi si chiudono
illuminando
i sentieri ampi e stretti
della NAZIONE MAPUCHE.
Le voci ancestrali
rompono il silenzio.
Matías Catrileo cammina
per le quattro forze della terra.
(Traduzione di Antonio Melis)
 
 


Berlino: Il Denkmal für die Ermodeten Juden, monumento alla memoria delle vittime dell’olocausto.

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“Il monumento si offre così come un luogo del ricordo ad elevato tasso evocativo, giacché ogni punto offre prospettive e visuali diverse. Addentrandosi al suo interno, laddove i blocchi si fanno molto più alti di noi, si ha l’impressione di aver raggiunto un luogo che stimola la riflessione e l’autocoscienza, affidando l’esperienza dell’Olocausto ad una forza tutta interiore e spirituale, che fugge da ogni retorica”

..

“El monumento se ofrece así como un lugar de la memoria de un elevado sentido evocativo, por lo que cada punto de observación ofrece perspectivas y visuales diferentes. Adentrandose en su interior, donde los bloques se hacen mucho más grandes de nosostros, parece de haber alcanzado un lugar que estímula la reflexión y la autoconciencia, encargando la esperiencia del Olocausto a una fuerza exclusivamente interior y expiritual, que huye de cualquier retórica.”

..

Immagine e testo di Fabrizio Pecori, che ringrazio sempre per la sensibilità e la capacità di viaggiare e racconatare il mondo con gli occhi dell’anima.

Imagen y texto de Fabrizio Pecori, quien agradezco siempre por la sensibilidad y la capacidad de viajar y contar el mundo con los ojos del alma.


Buon Anno

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Quiero un planeta de seres humanos con alas.
Para que el adentro de todos acaricie la luz.
Para alzarnos de abismos cotidianos.
Alas para arrullar a los solos, a los pobres,
a los tristes, a los de alma ausente.
Alas para agitar en alborozo de dichas infinitas.
Alas para que la vida de todos sea plenitud y no vacío.
Alas por un Periodismo Sin Máscara.
Por una Vida Sin Máscara.

Mario Benedetti: Mi serve e non mi serve

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 Mario Benedetti

Mi serve e non mi serve

La speranza così dolce
così pulita così triste
la promessa cosi’  lieve
non mi serve

non mi serve così mite
la speranza

la rabbia così docile
così debole cosi’ umile
l’ira cosi’ prudente
non mi serve

non mi serve così saggia
tanta rabbia

il grido così giusto
se il tempo lo permette
l’ urlo  accurato
non mi serve

non mi serve così buono
un gran tuono

il coraggio così docile
la bravura così inconsistente
la sfrontatezza cosi’ lenta
non mi serve

non mi serve cosi’ fredda
l’ audacia

mi serve, si, la vita
che e’ vita fino a morirne
il cuore allerta
si, mi serve

 mi serve quando avanza
la fiducia

mi serve il tuo sguardo
che e’ generoso e deciso
e il tuo silenzio schietto
si mi serve

mi serve la misura
della tua vita

mi serve il tuo futuro
che e’ un presente libero
e la tua lotta di sempre
 si, mi serve

mi serve la tua battaglia
senza medaglia

mi serve la modestia
 del tuo orgoglio possibile
e la tua mano sicura
si, mi serve

mi serve il tuo sentiero
compañero.

Mario Benedetti

(Traduzione di Annalisa Melandri e Azor)
————————————-
Me sirve y no me sirve

La esperanza tan dulce
tan pulida tan triste
la promesa tan leve no me sirve

no me sirve tan mansa
la esperanza

la rabia tan sumisa
tan débil tan humilde
el furor tan prudente
no me sirve

no me sirve tan sabia
tanta rabia

el grito tan exacto
si el tiempo lo permite
alarido tan pulcro
no me sirve

no me sirve tan bueno
tanto trueno

el coraje tan dócil
la bravura tan chirle
la intrepidez tan lenta
no me sirve

no me sirve tan fría
la osadía

sí me sirve la vida
que es vida hasta morirse
el corazón alerta
sí me sirve

me sirve cuando avanza
la confianza

me sirve tu mirada
que es generosa y firme
y tu silencio franco
sí me sirve

me sirve la medida
de tu vida

me sirve tu futuro
que es un presente libre
y tu lucha de siempre
sí me sirve

me sirve tu batalla
sin medalla

me sirve la modestia
de tu orgullo posible
y tu mano segura
sí me sirve

me sirve tu sendero
compañero.


Cantata Santa María de Iquique

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Cantata Santa María de Iquique — 1 parte (la seconda alla fine del testo)
1. Proclama
 
Signore e Signori
racconteremo
ciò che la storia
non vuole ricordare.
Accadde nel Grande Nord,
fu Iquique (1) la città.
Il millenovecentosette
segnò la disgrazia.
Là, il povero “pampino
uccisero tanto per uccidere.
 
Saremo i narratori,
diremo la verità.
Verità che è la  morte amara
degli operai del salnitro(2).
Ricordate la nostra storia
di dolore senza perdono.                    
Quanto più passa il tempo       
non bisogna mai dimenticare.
Ora vi chiediamo
di fare attenzione.
 
2. RACCONTO I
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci
vedrete le aridità  del silenzio,
il suolo senza vita e le fabbriche vuote,
come l’ultimo dei deserti.
 
E se osservate la pampa e la immaginate
ai tempi dell’industria del salnitro,
vedrete la donna e il triste focolare,
l’operaio senza volto, il bambino triste.
 
Vedrete anche la baracca diroccata,
la candela che illuminava la sua miseria,
alcune incrostazioni alle pareti
e per letto, i sacchi e la terra.
 
Vedrete anche punizioni umilianti,
un ceppo al quale legavano l’operaio
per giorni e giorni sotto il sole;
non importa se alla fine moriva.
 
La colpa dell’operaio, molte volte,
era il dolore altero che mostrava.
Ribellione impotente, un’insolenza!
La legge del ricco padrone è legge sacra.
 
Vedrete anche la paga che gli davano.
Non vedevano denaro, solo buoni;
uno per ogni giorno di lavoro,             
e venivano cambiati con cibo.
 
Attenti a comprare da altre parti!
Non si poteva in nessun modo,
anche se le cose fossero meno care.
Era stato vietato dalla Fabbrica.
 
Il potere di acquisto di quel buono
era diminuito con il tempo
ma continuavano pagando la stessa giornata.
Per niente al mondo un aumento.
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci          
vedrete le aridità del silenzio.
E se osservate la pampa com’era,
sentirete, soffocati, i lamenti.
 
3. CANZONE I
 
Il sole nel grande deserto        
e il sale che ci bruciava.
Il freddo nelle solitudini,
camanchaca (3) e notte lunga.
La fame di pietra secca
e i lamenti che ascoltava.
La vita di morte lenta
e la lacrima che scorreva.
 
Le case espropriate     
e l’operaio che aspettava
il sonno, che era dimenticare,
soltanto  un rimpianto rimandato.
Il vento nella pampa immensa
mai più sarebbe cessato.
Durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
Il salnitro, pioggia benedetta,
diventava malvagità.
La pampa, pane quotidiano,
cimitero e terra amara.
Continuava a passare il tempo
e continuava la brutta storia,
durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
4. RACCONTO II
 
Si erano accumulati tanti mali,
molta povertà, molte ingiustizie;
non se ne poteva più e le parole
dovettero chiedere ciò che era dovuto.
                                                 
Alla fine del millenovecentosette
si preparava lo sciopero a San Lorenzo;
e nello stesso momento tutti ascoltavano
un grido che volava nel deserto.
 
Da una Fabbrica all’altra, come raffiche,
si udivano le proteste degli operai.
Da una Fabbrica all’altra, i Padroni,
il volto indifferente o il disprezzo.
 
Che cosa gli può importare della ribellione
dei nullatenenti, dei paria.
Presto torneranno pentiti,
la fame li riporterà a capo chino.
 
Che fare allora se nessuno ti ascolta?
Si domandavano fratello e fratello.
Sono giuste le richieste e sono così poche
dovremo perdere dunque le speranze?
 
Così con amore e dolore
si furono radunando volontà,
si sarebbero raccolti in un solo luogo,
bisognava scendere al grande porto.
 
5. CANZONE II: ANDIAMO DONNA
 
Andiamo donna,
partiamo per la città.
utto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare,
fidati e vedrai,
perché a Iquique
tutti capiranno.
 
Prendi donna il mio mantello,
ti coprirà.
Prendi il bambino in braccio,
non piangerà.
Non piangerà, fidati
sorriderà.
Gli canterai una ninna nanna,   
e si addormenterà.                                              
 
Che succede?,
dimmi, non tacere più.
Una lunga strada
devi percorrere
attraversando montagne,
andiamo donna.
Andiamo donna, fidati,
dobbiamo arrivare alla città
potremo vedere tutto il mare.
 
Dicono che Iquique è grande
come una miniera di salnitro,
che ci sono case bellissime,
ti piaceranno.
Ti piaceranno, fidati
come è vero che esiste Dio
là al porto tutto
sarà migliore.
 
Che succede?
dimmi, non tacere più.
Andiamo donna,
partiamo per la città.
Tutto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare, fidati,
vedrai, perché a Iquique
tutti capiranno.
 
6. RACCONTO III
 
Dal quindici al ventuno,
del mese di dicembre,
durò il lungo viaggio
attraverso i pendii.
Ventiseimila uomini
o anche di più
con i silenzi consumati
nelle miniere di salnitro.           
Scendevano ansiosi,    
arrivavano a migliaia    
dalla pampa,
gli emarginati.
Non mendicavano nulla,
solo chiedevano
risposta alle richieste,
risposte chiare.
 
Alcuni a Iquique
li capirono
e si unirono a loro,
erano i Sindacati.
E solidarizzarono con loro
i carpentieri,
Le maestranze,
i carrettieri,
gli imbianchini e i sarti,
i lavoratori a giornata,
i barcaioli e i muratori,
i panettieri,      
i gasisti e magazzinieri,
i facchini.
Sindacati giusti,
di povera gente.
 
I Padroni di Iquique
avevano paura;
erano troppe richieste
da tanti operai.
Il “pampino” non era
uomo onesto,
poteva essere ladro
o uccidere.
Intanto le case
erano chiuse,
guardavano solo
da dietro le finestre.                                   
Il commercio chiuse    
anche le sue porte,      
bisognava difendersi
da tante bestie.            
Meglio che li riunissero tutti
in qualche luogo,
se circolavano per le strade
era un pericolo.                       
 
7. INTERLUDIO CANTATO                       
 
Si sono uniti con noi    
compagni di speranza  
e gli altri, i più ricchi,    
ci voltano le spalle.      
 
Siamo arrivati fino a Iquique    
ma  Iquique ci vede come stranieri.
Ci capiscono solo  alcuni amici
ma gli altri ci negano la mano.
 
8. RACCONTO IV
 
Il luogo dove ci portarono
era una scuola vuota
e la scuola si chiamava
Santa María.
 
Lasciarono gli operai
e li lasciarono con sorrisi.
Dissero di aspettare
soltanto qualche giorno.
 
Gli uomini si fidarono,
non gli mancava la pazienza
visto che avevano aspettato
una vita intera.
 
Aspettarono sette giorni,
che divennero d’inferno,
mentre  il pane si sta barattando
con la morte.
 
L’operaio è sempre un pericolo.
E’ necessario cautelarsi.
E così fu dichiarato lo stadio d’assedio.
 
L’aria portò un annuncio,
si udiva un tamburo lontano.
Era il giorno ventuno
di dicembre.
 
9. CANZONE III
 
Sono operaio “pampino” e sono
più vecchio che mai
e inizia a cantare la mia voce
con il  timore  di una tragedia.
 
Quello che sento in questa circostanza,
lo dovrò comunicare,
qualcosa di triste accadrà,
qualcosa di orribile ci succederà.
 
Il deserto mi è stato
infedele,
solo terra sbrecciata e sale,
pietra amara del mio dolore,
roccia triste di aridità.
 
Sento solo silenzio
e agonie di solitudini
solo rovine di ingratitudine
e ricordi che fanno piangere.
 
Che nella vita non si deve aver paura
lo ho imparato con gli anni,
però dentro sento un grido
che ora mi fa tremare.
 
E’ la morte che sorgerà
galoppando nell’oscurità.
Apparirà per il mare,
sono ormai vecchio e so che verrà.
 
10. RACCONTO V
 
Nessuno dica niente,
che arriverà
un nobile militare,
un Generale.(4)
Egli saprà come parlarvi,
con l’attenzione che il gentiluomo
usa per i suoi lacchè.
Il Generale arriva
con molto trambusto
e ben cauto
con i suoi soldati.
Le mitragliatrici
sono disposte
e strategicamente circondano la scuola.
 
Parla da un balcone
con dignità.
Questo è ciò che dice il Generale
“Che non serve a niente
questa commedia.
Che smettano di inventare
tanta miseria.
Che non capiscono i loro doveri
sono ignoranti.
Che disturbano l’ordine,
che sono delinquenti.
Che sono contro il paese,
che sono traditori.
Che rubano alla patria,
che sono dei ladri.
Che hanno violentato le donne,
che sono indegni.
Che hanno ucciso dei soldati,
che sono degli assassini.
Che è meglio che se ne vadano
senza protestare.
Che nonostante chiedano e chiedano
non otterranno nulla.
Che lascino allora
questo luogo,
che se non obbediscono agli ordini,
vedranno ciò che accadrà”.
 
Dalla scuola, “El Rucio”,
operaio ardente,
risponde senza vacillare
con voce coraggiosa,
“Lei, Signor Generale
non ci capisce.
Continueremo ad aspettare,
costi quel che  costi.
Non siamo animali,
non siamo pecore,
alzeremo la mano
con il pugno in alto.
Daremo nuova forza
con il nostro esempio
e il futuro lo saprà, glielo prometto.
E se vuole minacciare
io sono qui.
Spari al cuore
di questo operaio”.
 
Il Generale che lo ascolta non ha vacillato,
con rabbia e con un gesto presuntuoso
gli ha sparato,
e il primo sparo è l’ordine
per il massacro
e così inizia l’inferno
con gli spari.
 
11. CANZONE LITANIA
 
Morirono in tremilaseicento,
uno dopo l’altro.
Tremilaseicento
li ammazzarono uno dopo l’altro.
 
La scuola Santa María
vide sangue operaio.
Sangue che conosceva
solo miseria.
 
Erano tremilaseicento
sordi
e furono tremilaseicento
muti.
 
La scuola Santa María
fu lo sterminio
della vita che moriva,
solo urlo.
 
Tremilaseicento sguardi
che si spensero.
Tremilaseicento operai
uccisi.
 
12.  CANZONE IV
 
Un bimbo gioca nella scuola
Santa María.
Se gioca a cercare tesori
che troverà?
 
Gli uomini della pampa
che vollero protestare
li ammazzarono come cani
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, amico,
è pericoloso.
Non si deve parlare, amico,
è pericoloso.
 
Le donne della pampa
si misero a piangere
e ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere povera, amica,
è pericoloso.
Non si deve piangere, amica,
è pericoloso.
 
I bambini della pampa
che guardavano, solo per questo,
ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, bimbo,
è pericoloso.
Non si deve nascere, bimbo,
è pericoloso.
 
Dove sono gli assassini
che giunsero per uccidere?
Lo giuriamo su questa terra,
li troveremo.
 
Lo giuriamo sulla vita,
li troveremo.
Lo giuriamo sulla morte,
li troveremo.
 
Lo giuriamo, compagni,
quel giorno giungerà.
 
13.  CANZONE DI COMMIATO
 
Signore e signori,
qui termina
la storia della scuola
Santa María.
Ed ora con rispetto
vi pregherei
di ascoltare la canzone
di commiato.
 
14. CANZONE FINALE
 
Voi che avete ascoltato
la storia che si narrò
non state lì seduti
pensando che ormai è successo.
Non basta solo il ricordo,
il canto non basterà.
Non basta solo il lamento,
guardiamo la realtà.
 
Chissà domani o dopodomani,
o forse  un po’ più avanti,
la storia che avete ascoltato
accadrà di nuovo.
E’ il Cile un paese così grande,
mille cose possono accadere,
se non ci prepariamo
decisi a lottare.
Abbiamo ragioni vere,
abbiamo di che lottare.
Abbiamo le mani dure,
abbiamo con cosa vincere.
 
Uniamoci come fratelli,
che nessuno ci vincerà.
Se vogliono schiavizzarci,
non ce la faranno mai.
La terra sarà di tutti
sarà anche nostro il mare.
Ci sarà Giustizia per tutti,
ed anche Libertà.
Lotteremo per i diritti
che tutti devono avere.
Lotteremo per ciò che è nostro,
e che di nessun altro sarà.
Testo e Musica di Luis Advis 
Traduzione di Annalisa Melandri
 
 
Questa canzone fu composta da Luis Advis alla fine del 1969. Il gruppo Quilapayún la eseguì la prima volta nel luglio 1970 nel secondo Festival della Nuova canzone Cilena e di questo movimento divenne l’opera principale.
 
I nastri originali della “Cantata Santa María de Iquique” furono distrutti dopo il golpe militare e l’esecuzione di questa canzone fu proibita dalla dittatura di Pinochet fino al 1990.
 
La canzone narra dei fatti avvenuti nella scuola Santa María di Iquique tra il 15 ed il 21 dicembre 1907, sotto la presidenza di Pedro Montt, e cioè il massacro di 3600 minatori del salnitro che si trovavano in sciopero per le precarie condizioni di lavoro e di vita a cui erano sottoposti.
 
Il regista cileno Miguel Littín, ha tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore cileno Patricio Manns il suo film del 1975 Actas de Marusia con Gian Maria Volontè.
 
Vedi anche:
Leggi:
 
“Ora che la solitudine ha
conficcato il suo canino nel paesaggio della pampa
e solo restano ciminiere spente
simulando un fumatore stanco
rivolgete il vostro sguardo al suolo
e vedrete insieme a me
come piangono, sanguinano e protestano
di notte le sue ferite.”
Floreal Acuña
 
 
 
 



(1) Città ed importante porto del Cile settentrionale, capoluogo della prima regione di Tarapacà, sulla costa pacifica. Nel passato fu un’importante città mineraria per i grandi giacimenti di nitrato di potassio della “pampa del tamarugal”. Oggi la sua risorsa principale è la pesca ed è il maggior porto mondiale per l’esportazione della farina di pesce. Dal 1975 è zona franca e questo ha contribuito al suo sviluppo.
(2) Nitrato di potassio, usato come fertilizzante e nella preparazione della polvere da sparo.
(3) Nebbiolina costiera densa e dinamica che si produce grazie all’anticiclone del Pacifico.
In alcuni luoghi della costa cilena si usano sistemi per produrre acqua dalla camanchaca con ottimi risultati.
(4) Le forze militari erano guidate dal Generale Roberto Silva Renard


Georgina Gubbins: Lettere dal deserto/Cartas dal desierto

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Scuola Santa Maria de IquiqueIquique, 23 dicembre 1907
 
Mia cara Nonna,
 
Si ricorda che le raccontai che mio padre era preoccupato per i problemi nelle officine, che c’erano continui scioperi a Iquique e nella pampa e per questo non potevamo uscire?
Come un ronzio lontano, gli uomini scendevano dalla pampa. Erano molti: uomini, donne, bambini, nonni e nonne. Portavano anche i loro cani che correvano tra le loro gambe, come se sapessero che partecipavano ad un avvenimento importante. Le donne portavano canestri ‚pentole e mestoli, i neonati contro il petto e gli uomini con i loro figli più piccoli sulle spalle.
Faceva molto caldo in quei giorni. La camanchaca non portava il suo refrigerio abituale.Il calore si posava sulla città come un pesante mantello. Passavano i giorni e nonostante la quantità di gente, c’era un’atmosfera di speranza.
Secondo Juan, i pamperos dissero che avrebbero aspettato fino a che le loro richieste fossero state accettate. Volevano cambiare molte cose, Nonna, come per esempio eliminare i buoni, avere scuole serali o una migliore assistenza medica. Ma gli andò male. Arrivarono le truppe, le autorità si spaventarono, ci furono scontri seguiti da grida e spari.
Nonna alla fine i pamperos non ritornarono nella pampa. Li uccisero con i loro fucili e le grida che schiacciarono la città furono sostituite da un pianto profondo e disperato come quello di un cane ingabbiato.
Tanti morti solo per voler vivere meglio. Ancora l’aria odora di polvere e paura. Non si preoccupi per noi, stiamo bene. Mio padre vuole che andiamo a Tiviliche a riposare e lì passeremo l’Anno Nuovo.
Addio, cara Nonna. Mi scriva.
Sua nipote Isabelle..
 
Georgina Gubbins: Cartas del Desierto           
 

Gustavo Valcárcel: Pentagramma del Cile antifascista

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“Sono stato due volte in Cile. Abbiamo avuto l’opportunità di frequentare importanti personalità, tra le quali Luis Corvalán, Segretario Generale del Partito Comunista Cileno, oggi detenuto in ingiustissima detenzione e Pablo Neruda, che avevo già incontrato a Lima, La Habana e Mosca. Abbiamo vissuto la profonda soddisfazione di essere ospiti nelle case di entrambi a Santiago e a Isla Negra, sulla spiaggia di Valparaíso. Il golpe fascista di due anni fa ci segnò l’anima, ma non le speranze; ridusse in ceneri transitorie la nostra illusione cilena, ma non le nostre speranze; ci straziò il cuore ma non la fiducia nell’avvenire.
 
A Londra apprendemmo della morte di Pablo e del nobile sangue popolare che stavano spargendo Pinochet e i suoi complici della Giunta. Tuttavia, ho dovuto acquietare i miei sentimenti per mesi e mesi, fino alla Settimana Santa di quest’anno, affinché sgorgassero a fiotti – insanguinati, imprecativi– i versi del mio “Pentagramma del Cile antifascista”, che dovrebbero essere già stati pubblicati in questi giorni a Mosca , in russo, e nella rivista della Casa delle Americhe, a Cuba, in spagnolo. Domani è l’Anniversario Nazionale del Cile. Confermiamo al suo popolo solidarietà e poesia, i nostri auguri più umani per la sua rinascita nazionale e per il suo futuro socialista.”
 
Gustavo Valcárcel,  Lima settembre 1975

 
I
    PASSO dopo passo, sangue onesto,
frantoio di lacrime, cateratta di ossa,
un coagulo nero nella luce e in gola, nodi
piombo nelle strade e alla Moneda, fumo.
Grumi crescenti, vertici rotondi,
scala di odio, balaustra di agonie
gradinata di sospiri massacrati,
scendiamo un pò, compagni,
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
II
   FRIGGIMI le lacrime, Santiago,
metti in forno le mie nostalgie
organizzami il pianto in quattro tempi
lega i miei dolori ad un palo
nascondi i miei singhiozzi in un nido
appendi le mie angosce al soffitto
fai strada ai miei sandali e al mio zaino, mondo
facciamo un pò di silenzio, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
III
  CHITARRA impazzita, canto sommerso,
il crimine ha calzato gli stivali,
l’escremento ha indossato la divisa
le orine adesso ostentano i galloni
la Giunta avanza scortata di feci.
 
Intanto, gli asini pascolano nei rettorati
e il libro va al rogo a capofitto
con copertine singhiozzanti e laceranti caratteri.
Rileggete un po’ le loro ceneri, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.   
IV
 LO Stadio è un mondo a parte, pianeta
di sogni rossi fatti a pezzi
piedistallo di morte prematura
teatro dell’angoscia in gradinate.
 
Già cominciano a cantare i due moncherini
di Victor Jara, il trotamuertes
usignolo decapitato
il muto più intonato di questi anni.
Ascoltiamolo un pò, compagni
è arrivata in Cile la morte a bastonate.
V
    QUESTO è Pinochet, il disgustoso Caino del nostro tempo,
il boia su misura, il cerbero esatto,
il traditore perfetto, il servo diligente,
la emme più emme del vile abbecedario.
 
Dategli il suo diploma di tiranno insanguinato!
Dategli la sua patente di affamatore del popolo!
Dategli il suo titolo di saccheggiatore del fisco!
Dategli la sua medaglia di assassino made in USA!
Dategli alla fine il dottorato della morte!
Per tutto ciò abbonda di meriti.
 
Il Cile non potrà mai dimenticarlo
nelle sue notti più tristi e lunghe
nacque dal pus e si fece fistola
studiò da scorpione e si laureò come vipera
sognò di essere generale e si svegliò degradato a Giuda.
Sovrano dei pidocchi, re dei vermi,
non c’è dubbio, arriverai molto lontano, lontanissimo,
dove terminano le cloache!
VI
     STANCO, il tempo ritira le sue impalcature
tremolante, il vento nasconde la sua vecchiaia 
l’ aviazione fascista le strappò il suo nome, Marta
e il suo cognome, Bulnes morì di solitudine.
 
Dolce abitante di una via triste
i tuoi figli vivranno un altro settembre
ed allora tempo e vento dovranno ripetere
che Marta Bulnes morì felice
con la china fede dei diseredati.
 …
VII
    COME accade con anni e anni portati male,
oggi mi viene in sogno Antofagasta
e mi giunge ai timpani Valparaíso
con il rintocco  a morto delle sue campane sotto il mare.
 
La nebbia singhiozza sottovoce
il pomeriggio mi porta gli odori del Sud
il quadro dell’uva alle esequie
la via Teatinos rimpicciolita
l’immagine del copihue senza musica.
 
Ahi, la voce del Cile si è spezzata,
oggi si china a raccoglierla il cuore.
 
VIII
    MINATORE di Chuquicamata accendi il forno
resisti all’aria e al fascismo, fuoco!
rischiarati molto nel profondo del corpo
perchè l’oscurità pesa e le pupille pesano
e la Giunta è un corvo che strappa gli occhi.
 
Compagno, stai attento
ora ritornano le ingiurie alla cieca,
le pallottole, la repressione, l’assenza.
Compagno che vivi di notte tra i tetti
scostati dalla dura gogna,
sorvola la fossa comune,
allontanati dal sudario generale,
sì generale,
perché in Cile ancora c’è posto per la speranza!
IX
    Mi allontano un po’, Pablo, per avvicinarmi di più a te.
 
Sommo e moltiplico le tue viñas del mar
le tue islas negras sottosopra
i tuoi fiori in vedovanza, i tuoi alberi spogli
e il tuo lutto che ora infiamma
i pani, gli uccelli e i pesci.
 
La tua voce percorre il mondo, non ti affliggere,
trasformata in petali e polvere
è se è certo che nascosero il tuo corpo
non nasconderanno mai la tua vita in Cile
perché la tua vita Pablo ha un sapore Neruda
perché Neruda l’uomo, perché il tuo popolo, Pablo,
avanza sottobraccio ai tuoi versi, canta
e sta giungendo senza voce al domani.
X
 QUESTO è Corvalàn, il molto amato,
quello esperto in campi di concentramento
in lotte proletarie, in tenerezze
di sposo e padre, di combattente e uomo
di militante senza rughe
di soldato che non conosce resa.
 
Quanto ti penso tra mille pareti
mi si rivolta l’anima
e si unisce al gran movimento
che chiede libertà per i tuoi sogni.
 
Forse saprai, Luis Corvalàn,
che il muro gira veloce verso sinistra
che la rosa cerca il pane con fermezza
perché il loro giorno si avvicina per tutti
e vogliono stare insieme
in un matrimonio di indissolubile amore.
 
Grande operaio del futuro cileno
stringo le mie insonnie con i pugni
afferro la solitudine dai capelli
rinchiudo la tristezza nella sua gabbia
di notte mi fermo. Sento. Odo. Grido. Vedo:
tra l’austerità del filo spinato
sul groppone del tempo del ricordo
di spalle al patibolo messo a punto
al centro della nerezza mal riuscita
l’unica cosa che brilla è la fantasia
della tua rossa allegria comunista.
XI
   IL coraggio ha imparato molto da te
quando afferrasti la vita in un secondo
fucile in mano, polso fermo,
e cominciasti a dettare una semplice lezione:
come morire di faccia  al cielo, sfinito,
sudando dignità.
 
Cile, Salvador, Valparaíso Allende:
si apriranno i grandi viali
come dicesti con l’agonia al fianco
e ti vedremo in piedi al centro di essi
colpire il passato con molta furia
baciare il domani sulla sua guancia australe
abbracciare l’indio più anziano dell’Arauco
e tornare di notte all’opera del mare.
 
Si apriranno i grandi viali
compagno Presidente
e perfino lì  giungerà a piedi la nostra speranza.
 
 (Traduzione di Annalisa Melandri)
 
Ritratto di Gustavo Valcárcel di Etna Velarde

Biografia di Gustavo Valcárcel:
Arequipa, 1921 – Lima, 1992
Leggi qui, cosa scrive di lui lo scrittore e poeta peruviano Juan Cristóbal (La dimensione umana di Gustavo Valcárcel).
 
Opere:
Confín del tiempo y de la rosa (1948)
La prisión (1951)
Poemas del destierro (1956)
Cantos del amor terrestre (1957)
5 Poemas sin fin (1959)
Sus mejores poemas (1960)
¡Cuba sí, yanquis no! (1961)
Poesía revolucionaria. Antología (1962)
!Pido la palabra! (1965)
Poesía estremista (1967)
Pentagrama de Chile antifascista (1975)    
Reflejos bajo el agua del sól pálido que al umbra a los muertos (1980)
Obra poetica 1947–1987 (1988)
 
 
 
Tra il 2005 e il 2006 ho tradotto le 11 poesie che compongono il Pentagramma del Cile Antifascista, non è stato facile, non avevo mai tradotto poesie e queste in particolare non erano semplici da rendere in italiano. Voglio solo aggiungere che è stato un lavoro che mi ha dato molto e da cui ho appreso tanto, arrivando anche a “sentire”  profondamente il dolore del poeta. Il mio incontro con la poesia di Gustavo Valcárcel è stato praticamente casuale: nel 1987 ero ad Arequipa, sua città natale ed una delle tappe di un viaggio in Perù, quando, chissà come, venni in possesso della “Obra Poetica 1947–1987″ e cioè una raccolta completa della produzione poetica di Gustavo Valcárcel tra il 1947 ed il 1987.
A volte sono i libri a sceglierci e si avvicinano a noi in modo misterioso ed inspiegabile, segnando in qualche maniera la nostra vita.
Sono molti anni che conservo affettuosamente questo libro, un piccolo volume, corredato da foto in bianco e nero del Signor Gustavo e della sua famiglia, la “camarada” Violeta, sua moglie, ed i suoi figli, Gustavo, Rosina, Xavier e Marcel ed inoltre altre fotografie dei suoi viaggi in Russia, in Messico, dove la famiglia Valcárcel era in esilio, in Cile, a Machu Picchu e la mia foto preferita, quella degli sposi e Pablo Neruda davati alla casa di lui a Isla Negra.
 
Ringraziamenti: 
Un ringraziamento particolare e sinceramente affettuoso va alla famiglia di Gustavo Valcárcel , a sua moglie Violeta ed ai suoi figli.
Ho avuto modo di scambiare alcune impressioni con sua figlia Rosina, antropologa e scrittice che vive e lavora a Lima, la quale senza conoscermi, cordialmente mi ha offerto il suo aiuto per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno nel difficile lavoro di traduzione della poesia di suo padre.
Mi ha colpita per la sua amabilità e simpatia.
Ringrazio inoltre  Gladys Besagoitia Dazza apprezzata poetessa peruviana, che vive e lavora a Perugia, la quale mi ha dato preziosi suggerimenti per ciò che riguarda la traduzione di alcune poesie.
Una nota di considerazione speciale è per il poeta e scrittore peruviano Juan Cristóbal, il quale fu amico di Gustavo Valcárcel e della sua famiglia, e che tramite alcuni articoli pubblicati in internet (www.rodelu.net), ha divulgato la sua opera ed il suo valore umano e sociale e continua percorrendo lo stesso cammino di denuncia e di amore per la sua patria già intrapreso da Don Gustavo  Valcárcel.
 
 
“… ma il Perù resiste con la sua avanguardia operaia
capirai allora, scrittore del popolo,
perché non posso più dire vagamente
“se l’uccello dell’amore moriva d’amore”
quando migliaia di compagni sono morti veramente
con il volto trasformato in un coagulo tangibile.”
                                   GUSTAVO VALCÁRCEL
            ( Elegia a José Carlos Mariátegui)
 
 
 
                 La poesia di Valcárcel è un messaggio mattutino all’uomo: scopre i sentimenti puri, le sensazioni inedite del colore e della musica, tutto ciò che disturba quanto c’è di primitivo nella specie, quanto è stato dimenticato dall’istinto…
          Valcárcel si trova in un luogo solitario dello spirito, nell’altopiano della grazia lirica. Lì ascolta e lo avvolge l’antica e rinnovata sinfonia del mondo.
Xavier Abril
 
 


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