30 agosto: Giornata Internazionale del Detenuto Scomparso

0 commenti

IL DIRITTO A NON SPARIRE

di Annalisa Melandri, in esclusiva per L´Indro *

30 agosto 2012

Dal 2006 stipulata la convenzione ONU: “un oltraggio alla dignità umana”. Ma i desaparecidos esistono ancora, in Messico e in Colombia

Istituita dal Gruppo di lavoro delle Nazioni unite sulle Sparizioni Forzate o Involontari l’anno scorso, si celebra oggi la seconda giornata internazionale delle Nazioni Unite dedicata al ’detenuto scomparso’ la vittima per eccellenza delle sparizioni forzate.

Si intende per sparizione forzata “l’arresto, la detenzione, il sequestro o qualsiasi altra forma di privazione della libertà che sia opera di agenti dello Stato o di persone o di gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, l’appoggio o la acquiescenza dello Stato, seguita dal rifiuto di riconoscere tale privazione della libertà o dall’occultamento della sorte o la dimora della persona scomparsa, sottraendola così alla protezione della legge” (Art.2 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate).

Definito dalle Nazioni Unite come “oltraggio alla dignità umana” e considerato fin dal 1983 crimine contro l’umanità dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), è pertanto imprescrittibile e continuato, senza possibilità di indulto o amnistia. (altro…)


Firma anche tu contro l’ergastolo!

1 commento

Carmelo Musumeci e’ in carcere da 21 anni, condannato all’ergastolo ostativo. In carcere si è laureato in Giurisprudenza ed è diventato scrittore. Porta avanti la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo affiancato dalla Comunità  Papa Giovanni XXIIIQui  un bell’articolo su Carmelo.

www.carmelomusumeci.com

Proposta di iniziativa popolare
per l’abolizione della pena dell’ergastolo (art.22 Codice Penale)

La nostra Costituzione stabilisce:
Articolo 27– Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Articolo 50 - Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alla Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. 

L’ergastolo è più atroce che qualsiasi altra pena perché ti ammazza lasciandoti vivo ed è una pena molto più lunga, dolorosa e disumana, della normale pena di morte. Spesso un ergastolano, un uomo ombra, pensa di essere morto pur essendo vivo, perché vive una vita senza vita. Nessun essere umano dovrebbe tenere un altro uomo chiuso in una gabbia per tutta la vita. Ad una persona puoi levare la libertà, ma non lo puoi fare per sempre, per questo l’ergastolo, “La Pena di Morte Viva”, è più atroce e inumana di tutte le altri morti.
Poi in Italia esiste l’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari (art. 4 bis O.P.) che esclude l’accesso alle misure alternative al carcere, rendendo questa pena un effettivo “fine pena mai” e t’impone di scegliere fra due mali: o stai dentro fino alla morte o metti un altro al posto tuo.
E ci vuole tanta disumanità e cattiveria per far marcire una persona in cella per sempre, perché quando non si ha nessuna speranza è come non avere più vita. Continuare a tenere dentro una persona quando non è più necessario è un crimine contro l’umanità. Ogni persona dovrebbe avere diritto ad una speranza e per tutti ce n’è una, ma non per gli uomini ombra.

Se tu sei d’accordo che un ergastolano debba uscire perché lo merita e non perché usa la legge per uscire dal carcere e che una pena senza fine è una vera e propria tortura che umilia la giustizia, la vita e Dio,

se tu pensi che un uomo non possa essere considerato cattivo e colpevole per sempre e che una pena per essere giusta debba avere un inizio e una fine, perché una condanna che non finisce mai non potrà mai rieducare nessuno, (altro…)


Francesco Mastrogiovanni: a due anni dal suo omicidio

1 commento

Propongo qui di seguito un articolo del giornalista Antonio Manzo de Il Mattino per ricordare lˈorribile morte di Francesco Mastrogiovanni, anarchico, ucciso in un letto  dellˈospedale di Vallo della Lucania il 4 agosto di due anni fa, nel corso di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Non era la prima volta che le autorità si accanivano contro Francesco. E non  é il primo caso di morte che avviene nel corso di un TSO.  Nel silenzio più completo e nellˈindifferenza generale.  Antonio Manzo giustamente e coraggiosamente, (visti i tempi), parla di TORTURA commessa contro il “maestro più grande del mondo” come era ricordato dai suoi studenti Francesco e di OMICIDIO commesso contro Francesco. Sono 18 gli imputati,  tra medici e infermieri,  nel processo che si sta svolgendo a Vallo della Lucania, che,  speriamo, gli renda piena giustizia.   (AM)

 

Mastrogiovanni il ricordo di una tortura

di Antonio Manzo — Il Mattino 

«Ti prego, per piacere, blocca la proiezione di questo video… Ma questa è una tortura… Poveraccio, tenta di divincolarsi,tenta di liberarsi dall’atroce letto di contenzione,mai fili di plastica durissima gli segano polsi e caviglie ora sanguinanti…

Boccheggia, vorrebbe gridare… Sognava la rivoluzione, Franco, ma quegli occhi sbarrati sono la resa dell’umanità non la sua sconfitta».

Il cd con il tragico film dell’agonia di Franco Mastrogiovanni tratto dalla videosorveglianza del reparto lager di psichiatria, dura minuti e minuti che non riesci mai a calcolare, perché non ce la fai ad arrivare fino alla fine, perché le intermittenze bloccano la proiezione ma non possono cancellare lo sdegno. Immagini da lager di inizio Millennio. (altro…)


Francesco Mastrogiovanni: morte di un anarchico

4 commenti
Morte di un anarchico
di Michele Fumagallo
su il manifesto del 05/06/201
Ci sono vite che sembrano destinate a portare sulle spalle il dolore del mondo e altre che sembrano destinate a procurare un dolore indicibile. Dentro questa forbice si è svolta l’avventura umana di Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare, morto in circostanze assurde (nel senso di assurdamente brutali, come documentiamo con le foto a lato) l’anno scorso nel padiglione adibito alle cure psichiatriche dell’ospedale di Vallo della Lucania, cittadina del Cilento. Una morte decisa nello spazio di 4 lunghissimi giorni di agonia e vera e propria tortura, per cui adesso dovranno comparire nel tribunale di Vallo della Lucania (la prima udienza del processo è fissata per il 28 giugno prossimo) 18 imputati, 7 medici e 11 infermieri, accusati tutti di sequestro di persona e morte derivata da altri delitti (la contenzione forzata), mentre per i medici vi è anche l’accusa di falso ideologico nell’alterazione della cartella clinica. E davvero la storia di Francesco, a partire dalle foto che lo vedono sul letto di contenzione prima di morire, è uno di quei racconti che si farebbe bene a narrare sempre ai bambini con cui lui aveva vissuto.
Sempre, a ricordo di quanto può essere triste la vita degli uomini quando si distaccano dagli altri uomini e rendono emarginata la vita di chi non si adagia all’egoismo dominante. Una vita “normale” che Francesco non poteva vivere, perché altra era la sua natura e la sua storia. Una scelta a favore degli ultimi, che gli aveva fatto abbracciare in gioventù (ma come è curioso parlare di gioventù per una persona che è morta, anzi uccisa, quando era ancora nel pieno della maturità, a soli 58 anni) l’idea anarchica, che per lui era più un modo di vivere che un’ideologia, per cui aveva anche pagato dei prezzi molto salati e sofferto ingiustizie e umiliazioni che non lo avrebbero più abbandonato. Una sofferenza accresciuta, tra l’altro, dal fatto che Francesco non era un militante classico, impegnato in riunioni e quant’altro, ma più un sognatore che la sua scelta preferiva viverla nel suo modo di condurre l’esistenza.
Il fantasma del caso Falvella
Dunque Francesco viene prelevato dai carabinieri il 31 luglio del 2009 sulla spiaggia di San Mauro Cilento dove trascorreva qualche giorno di vacanza. Il prelievo forzato non era il primo. Era già stato sottoposto a Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) altre due volte, e sempre la cosa aveva destato stupore nei suoi amici, conoscenti e parenti. Francesco infatti non era mai stato violento, né tossicodipendente se si esclude qualche spinello (tutto convalidato dalle analisi post decesso). Andava sì, a volte, in escandescenze ma senza mai degenerare in atteggiamenti violenti. Erano piuttosto i fantasmi di una gioventù scossa a presentarsi sempre davanti ai suoi occhi. Quei fantasmi che si incarnavano nelle forze dell’ordine che gli procuravano sempre incubi e paure. Che lo facevano tornare indietro nella memoria, agli anni in cui era appena un ventenne. Alla Salerno dei primi Anni Settanta quando, nella sera del lontano 7 luglio del 1972, in una strada buia della città, lui ed altri compagni furono aggrediti da alcuni fascisti. Allora Salerno era infestata da bande di fascisti che tentavano di “prendersi la città” (il Movimento sociale italiano era il secondo partito), dopo lo smacco e la sconfitta subita nella rivolta di Reggio Calabria. Le aggressioni fasciste erano all’ordine del giorno, documentate scrupolosamente da questo giornale che aveva allora in città un nucleo forte del manifesto. Francesco fu accoltellato a una gamba, il suo amico Giovanni Marini intervenne per aiutarlo e nella colluttazione cadde colpito a morte il fascista Carlo Falvella. Anche lì il ruolo di Francesco era anomalo: si trovava infatti per caso a Salerno per andare a teatro e si era aggregato con gli amici incontrati durante il tragitto. Mastrogiovanni fu assolto al processo dopo un anno di galera mentre Marini fu condannato a nove anni (nel collegio di difesa, tra gli altri, vi era Umberto Terracini, già membro della Costituente e dirigente del Pci). Quello stigma giovanile Francesco non riuscirà più a toglierselo di dosso nonostante il tentativo di riprendersi col lavoro (era stato per anni in quel di Bergamo a insegnare) e con la dimenticanza che sempre lenisce le ferite col passare del tempo. Una cosa, però, Francesco non riuscirà mai a cancellare dalla sua mente, ed è la preoccupazione alla vista delle forze dell’ordine. Emblematico di questa “fobia” è l’episodio accaduto nel 1999 a Salerno. E’ da poco rientrato dal Nord perché è riuscito a trovare un posto nella scuola elementare di Castelnuovo Cilento, il paese dov’è nato. Pare che, fermato dai carabinieri nel capoluogo, abbia reagito in modo inconsulto a un controllo. Viene portato in caserma, processato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, condannato in primo grado a tre anni. Riemerge il passato nella requisitoria dove il pubblico ministero lo definisce «noto anarchico», come se l’idea anarchica fosse di per sé un delitto oltre ad ignorare, il giudice, il modo del tutto particolare in cui viveva Francesco la sua “anarchia”.
Sconta un mese di carcere e cinque di arresti domiciliari, ma intanto si aspetta il ricorso in Appello che gli dà ragione: viene pienamente assolto per non aver commesso il fatto e riceve persino un risarcimento per l’ingiusta detenzione. Mastrogiovanni però acutizza, con questo episodio, la fobia profonda verso le forze dell’ordine. Capitano occasioni in cui scappa alla semplice vista di un poliziotto o carabiniere. E, come accade in genere in questi casi, la ribellione si esprime anche nelle cose minute della vita, quasi a rimarcare il diritto di vivere come vuole. Per questo, superficialmente, viene considerato un soggetto patologico, quando invece il suo rifiuto, ad esempio, di assumere i farmaci che gli vengono prescritti, è solo una risposta alla paura e un desiderio di essere rispettato. Magari curato ed aiutato, ma in modo del tutto diverso.
La costruzione del pericolo pubblico
E così cresce la sua “fama” di insofferente alle regole, di “anarchico”. Alimentata, per la verità, da atteggiamenti borbonici (vale ancora in Italia la vecchia concezione della “macchia indelebile”) delle forze dell’ordine. Racconta Vincenzo Serra, suo cognato: «Attorno alla sua figura si è costruita falsamente un’immagine di persona violenta, ma non era assolutamente pericoloso per la società. Persino nella cartella clinica c’è scritto che era soltanto ‘aggressivo verbalmente’. Spesso si arrabbiava, soprattutto quando parlava di politica, ma non passava mai alle vie di fatto. E’ stato trattato come un ‘appestato’ senza esserlo. Era sempre dedito alla lettura, collezionava libri, altro che violento. Diceva semplicemente che non si fidava di nessuno, soltanto di se stesso. Pensa che una maestra ha raccontato che Francesco in fondo era buono come i bambini, per questo era ben visto da loro».
Peppino Galzerano, amico e conoscente da tanti anni di Francesco, aggiunge, irato e incredulo: «È incredibile quanto avviene nel nostro paese. Non è che si può tacere di fronte a tanta offesa per la dignità umana. Non è possibile che un uomo entri in un ospedale, cioè il luogo adibito alle sue cure, e ne esca cadavere in un modo così atroce. Un epilogo della storia che nessuno di noi, amici e parenti, poteva immaginare».
I conti che non tornano
Ma cos’è veramente avvenuto in quei quattro giorni maledetti in cui si
è decisa la vita di un uomo in un posto che dovrebbe essere adibito piuttosto alla sua salute? Intanto già dalla mattina di quel 31 luglio 2009 le cose hanno lasciato più di un sospetto in tanti. Il suo internamento coatto era stato ordinato dal sindaco di Pollica senza che mai si sarebbe capito il perché. Il fermo è poi avvenuto in un altro paese senza che il sindaco di San Mauro fosse avvertito e investito del caso. Altra curiosa cosa quella mattina, se si pensa che parliamo di un fermato per malattia del tutto pacifico, è lo straordinario spiegamento di forze: carabinieri in terra ferma e guardia costiera in mare. “Catturato”, questo è il termine più giusto da usare, viene portato nel reparto Tso (trattamento sanitario obbligatorio) dell’ospedale di Vallo della Lucania e lì tenuto per quattro giorni legato a un letto di contenzione, come si usava nei vecchi manicomi. È terribile ciò che tutti hanno potuto vedere grazie al video della telecamera a circuito chiuso dell’ospedale, prova schiacciante contro i medici e gli infermieri. Un video trasmesso su RaiTre e che circola su YouTube: un uomo che viene brutalmente legato a un letto che neanche lo contiene (Francesco è alto quasi due metri e per questo soprannominato affettuosamente “il maestro più alto del mondo”), che cerca di divincolarsi e chiedere aiuto per ben quattro giorni, che viene lasciato solo, e che mano a mano si divincola sempre di meno in preda agli effetti dei sedativi e alla rassegnazione che prende il sopravvento fino alla morte. Un video choc, non c’è alcun dubbio. Una visione davvero insopportabile che griderebbe vendetta in qualsiasi paese civile. Che inchioda tutte le persone democratiche e sensibili a domande decisive sul nostro paese, sulla sua civiltà in declino, sull’afasia della nostra democrazia. La società politica e quella civile ha altro a cui pensare? È sembrato di sì, in quei giorni. Ma, grazie a dio, la storia terribile di Francesco è diventata ormai caso nazionale e internazionale. Si sta coagulando attorno alla sua figura un movimento che sta già facendo sentire la sua voce nelle sedi istituzionali e che conta di portare a una prima sintesi il suo impegno in occasione del processo di Vallo della Lucania.
Il “Comitato verità e giustizia per Francesco Mastrogiovanni” ha approntato un sito (www.giustiziaperfranco.it), dove si leggono anche denunce dettagliate di medici. In un’appassionata difesa della vita e della dignità di Francesco, con argomenti di tecnica medica del corretto intervento in casi analoghi, scrive la dottoressa Agnese Pozzi: «Troppo facile legare un paziente in agitazione psicomotoria al letto, eventualmente sedarlo e lasciarlo a morire! Perché se non si tratta di pure cause psichiatriche ma organiche, e queste non vengono trattate, è sicuro che il paziente muore. È altrettanto sicuro che muore quando viene lasciato per giorni interi in una posizione forzata non agevole all’ossigenazione e al ritorno del sangue al cuore, com’è accaduto per il povero Francesco Mastrogiovanni». Il Tso era stato stabilito per 7 giorni a partire dalla data del ricovero e contempla controlli accurati del paziente. Ma per ben 80 ore Francesco è stato lasciato del tutto solo, sedato e legato mani e piedi al letto. E’ atroce immaginare che le telecamere a circuito chiuso trasmettevano ai medici e agli infermieri il suo stato di agitazione e nessuno ha visto (o voluto vedere), nessuno ha sentito un minimo di pietà. Tranne, si vede nel video, una inserviente che passa ad asciugare una piccola pozza di sangue che si è formata a terra vicino al letto, causata dai movimenti forsennati e dallo sfregamento sulla pelle del braccialetto che Francesco portava al polso. Nella notte fra il 3 e il 4 agosto, la sofferenza di Francesco, come appare nitidamente dal video, è davvero disumana. La mattina del 4 si vede un Francesco immobile, con la bocca semiaperta e ormai senza vita. Nel referto medico, dopo l’autopsia, la causa della morte è imputabile a edema polmonare, causato dal condizionamento a cui era stato sottoposto.

Muri di Stato

7 commenti
Muoiono in solitudine rinchiusi dentro le mura dello Stato: Francesco Mastrogiovanni 3 mesi fa muore nell’ ospedale pubblico di Vallo della Lucania, sottoposto a TSO, la tortura di Stato. Il dirigente del reparto di psichiatria è stato sospeso un mese fa. Stefano Cucchi arrestato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre passa per ben quattro strutture statali (caserma dei Carabinieri, carcere di Regina Coeli, Tribunale e ospedale Sandro Pertini; muore il 22 ottobre e sul suo corpo sono evidenti i segni di un pestaggio, alcuni già presenti il giorno del processo per direttissima. Diana Blefari, in carcere in regime di isolamento accusata di concorso nell’omicidio Biagi, il 1 novembre si impicca nella sua cella; da tempo soffriva di gravi disagi e di una profonda depressione. I suoi avvocati parlano di suicidio annunciato. Lo stesso giorno  le era stata consegnata la sentenza di Cassazione in cui le veniva confermata la condanna all’ergastolo. Le ripetute segnalazioni sulla gravità del suo stato di salute non sono mai state ascoltate. Queste e tante  altre storie passate, di morte e solitudine, consumata dietro le sbarre di una cella, nelle corsie di un’ospedale o nelle stanzette lager degli ospedali psichiatrici ci riportano violentemente, ogni volta  al Medioevo della dignità umana. Si nasconde forse il  disegno perverso delle società di eliminare alcuni suoi figli? Vi si prestano consapevolmente, coperti dall’impunità i membri delle forse dell’ordine, i giudici, i medici, gli assistenti sociali…Ci prestiamo noi tutti finchè continueremo a permetterlo.
.
“Tornate in soffitta, medici parassiti, e anche tu, signor pecorone Legislatore; non è per amore degli uomini che deliri, è per tradizione d’imbecillità. La tua ignoranza di che cos’è un uomo è pari all’imbecillità di volerlo limitare”.
(Antonin Artaud)

Francesco Mastrogiovanni: il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) uccide ancora

11 commenti

Francesco Mastrogiovanni; basta anarchici “suicidi”
di Sandro Padula, L’Altro, 18 agosto 2009
 
1972. Su via Velia a Salerno, in un pomeriggio di luglio, muore accoltellato il giovane militante del Msi Carlo Falvella. In carcere finisce l’anarchico Giovanni Marini e ci resta svariati anni. Qui, e lo diciamo con rispetto verso i parenti della vittima, non è importante ricostruire la dinamica del fatto. A quel tempo il clima politico era pieno di odio e bastava poco perché nascessero delle risse o delle forme di violenza sanguinaria fra giovani di opposte idee politiche.giIPOL00050820090813 Qui si vuole ricordare un’altra cosa. Da quel giorno cambia anche la vita dell’anarchico salernitano Francesco Mastrogiovanni.
Lui vive con dolore quella tragedia la cui eco, proprio come succede in ogni piccolo centro urbano nel quale tutti si conoscono, è moltiplicata all’ennesima potenza e la cui radice storica affonda nelle secolari guerre fra i poveri conosciute dal sud d’Italia. Come se non bastasse, è schedato dai carabinieri perché, proprio come Giovanni Marini, ha idee anarchiche.
1999. Francesco viene arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale. Trascorre diversi mesi in carcere. Alla fine si scopre che è innocente e riceve un risarcimento per ingiusta detenzione.
2009. Il 31 luglio Francesco viene ricoverato all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento sanitario obbligatorio. Muore dopo quattro giorni di degenza. L’autopsia attesta che Francesco è morto per un edema polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Inoltre si scopre che il suo corpo presenta profonde lesioni a polsi e caviglie.
Lacci e lacciuoli di ferro o di plastica? Questo sospettano in procura. La pratica della contenzione è ammessa per legge solo in stato di necessità e soltanto poche ore, fino alla terapia chimica. Invece, secondo la procura di Vallo della Lucania, le lesioni dimostrerebbero l’allettamento forzato e prolungato del paziente. Non si sa ancora se Francesco sia morto dopo quattro giorni interi di letto di contenzione. In ogni caso è morto in un letto di contenzione e il matto, statene certi, non era lui.
Venerdì 31 luglio le forze dell’ordine, con un dispiegamento da guerra di terra e mare, circondano il bungalow dove Francesco è ospite. La notte precedente, secondo la versione ufficiale, “avrebbe tamponato quattro autovetture”.
Non ci sono le prove. L’automobile di Francesco è normalmente parcheggiata sotto la sua abitazione di Castelnuovo Cilento e non mostra segni di alcun danno. Francesco, sempre per nulla o poco fiducioso nelle istituzioni dello Stato, scappa verso il lido. Prende l’ultimo caffè e fuma l’ultima sigaretta. Viene acciuffato e spedito nell’ospedale psichiatrico San Luca, il posto in cui non avrebbe mai voluto finire perché temeva di morirci dentro. “Hanno ucciso un uomo in letto di contenzione”, dice il pm nel suo atto d’accusa.
Che dire a tale riguardo? Conoscendo il carattere torturante delle carceri in quanto tali, non possiamo auspicare il carcere a nessuno. Sappiamo solo che l’ospedale San Luca dovrebbe essere posto sotto inchiesta amministrativa da parte della Regione Campania e invece quest’ultima finge che nulla sia successo. Sappiamo inoltre che a piangere la morte di Francesco, Franco per gli amici, sono stati i partecipanti al funerale svoltosi il 13 agosto, i suoi alunni della scuola elementare e l’intera popolazione, nessuno escluso, di Castelnuovo Cilento.
In un paese come l’Italia, in questo strano impero del bene, non dovremmo meravigliarci se gli attuali indagati per la morte di Francesco fossero assolti dall’accusa di omicidio colposo.
Nessuno però ci venga a dire che Franco, amico della vita, dei suoi giovani studenti, dei suoi concittadini e di tutti i libertari del mondo, si sarebbe suicidato. È da secoli che si racconta la favoletta secondo cui gli anarchici amerebbero suicidarsi. Adesso basta.
Leggi anche:
di TSO si muore
Notizie dettagliate e aggiornate sul sito Filiarmonici
Per un anarchico il TSO è doppio di Contraria-mente

Pagina 2 di 212