Lettera aperta al Venezuela di Bolívar

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Narciso Isa Conde

 

Lettera aperta al Venezuela di Bolívar

di Narciso Isa Conde

 

Stimati/e compagni/e  e connazionali della nostra America:

Ci sono forti segnali   che indicano come il   governo bolivariano del Venezuela sia caduto nella trappola della collaborazione con quello della  Colombia, rispetto  alla  criminalizzazione di quanti/e si battono e solidarizzano con la lotta per la  libertà, per la pace con dignità e per l’emancipazione  di questo paese fraterno, flagellato da oltre cinquanta anni da una guerra sporca messa a punto  dal potere con il patrocinio USA. In questo contesto “penalizzante” sono stato preso di mira  dalla perversa alleanza tra la Colombia  e gli Stati Uniti.

L’ ostilità del regime colombiano è stata sistematica da un certo periodo di tempo a questa parte e proprio  rispetto a questo fatto,  alcuni mesi fa una fonte affidabile mi ha dato informazioni avvisandomi del rischio di viaggiare all’ estero attraverso o verso paesi che non offrivano garanzie di rifiuto alle pretese della Colombia e degli Stati Uniti  di detenermi  per processarmi o uccidermi, a seconda dei casi.   Qualcosa di simile si tramava – e si trama contro altri compagni.

Nello specifico, in vista del fatto che queste intenzioni erano sempre più accertate,   mi si raccomandò che evitassi tutti gli scali intermedi nei miei viaggi in Venezuela e che adottassi tutte le precauzioni necessarie, perfino quella di usare  voli diretti per raggiungere questo paese amico, dando per scontati i vincoli di solidarietà e le identità  rivoluzionarie esistenti tra il nostro Movimento Caamañista e le forze  che governano il Venezuela.

Auto-limitazioni

Fui profondamente grato verso quel gesto e consolidai  il mio impegno rispetto a tutto ciò   con l’appoggio  dei miei compagni/e di lotta:

·            Rinunciando  a un viaggio a El Salvador dopo essere stato invitato nel  gennaio scorso all’ iniziativa di  omaggio al comandante Schafik Handal, indimenticabile amico e compagno.

·            Non partecipando quest’ anno al seminario internazionale  Los partidos politicos y Una Nueva Sociedad” realizzato lo scorso mese di marzo in Messico con il patrocinio del Partido del                        Trabajo (PT) di questo paese.

·            Scusandomi con i compagni del partito Primera Linea” della Galizia che recentemente mi avevano invitato alle loro Giornate Indipendentiste.

In sintesi: in questo primo quadrimestre del corrente anno  mi sono limitato a un viaggio con volo diretto  a  Caracas alla fine di marzo per partecipare a  due attività: il seminario Solo Marx” organizzato dall’  alcaldia di Girardot-Maracay e dal Frente Alfredo Maneiro)  e l’ Omaggio  a Manuel Marulanda (patrocinato dal Capitolo Venezuelano del Movimento Continentale Bolivariano — MC della cui Presidenza Collettiva sono coordinatore).

Questo viaggio si é realizzato senza grandi  problemi anche se  ci sono stati  alcuni segnali che non facevano sperare nelle garanzie convenute, cosa che mi ha obbligato a prendere  precauzioni aggiuntive e cercare  appoggi complementari.

Nuovi rischi

Trascorse  alcune settimane ci troviamo di fronte alla drammatica  cattura avvenuta all’ aeroporto di Maiquetía-Caracas e alla immediata  estradizione  in Colombia del compagno Joaquín Pérez Becerra, direttore dell’  agenzia di stampa Anncol, membro della Asociación  Bolivariana de  Comunicadores (ABC) nazionalizzato in Svezia e perseguitato con lʹaccusa di “terrorismo”, azione repressiva montata sulla base di accuse false e pregiudizi simili a quelli che ha utilizzato contro di me ed altri dirigenti rivoluzionari della nostra America e del mondo, il regime narco paramilitare terrorista della Colombia, sponsorizzato dalla CIA e dal MOSSAD. Tutto ciò   di concerto con il governo venezuelano per iniziativa del presidente colombiano Manuel Santos.

L’ associazione tra le alte gerarchie militari e civili dei governi del Venezuela e della Colombia per organizzare  questo fatto vergognoso  non ha bisogno di ulteriori prove. Ambedue le parti hanno ammesso la collaborazione, incluso i presidenti dei rispettivi paesi.

E non si tratta di un fatto isolato. Sicuramente si inserisce  all’ interno  di accordi di maggior portata e profondità in materia di sicurezza  intergovernativa, come si evidenzia  dalle dichiarazioni recentemente offerte dal ministro della Difesa della Colombia, Rodrigo Rivera (APORREA 1-05-2011), il quale riferendosi alla cattura ed all’ estradizione di Joaquín ha precisato che “il governo del Venezuela, in un tema coordinato direttamente con il presidente Chávez, ci ha risposto inviandolo in Colombia. E ci hanno detto che rispetto a qualsiasi informazione come questa che gli abbiamo dato, risponderanno nello stesso modo”.

Quanto affermato da parte della Colombia  fino ad oggi non è stato smentito e a ciò si è aggiunto l’annuncio  enfatico che il regime colombiano rifiuta la negoziazione politica  del conflitto armato e che attualmente persegue  la sconfitta militare dell’ insorgenza, cercando l’appoggio  internazionale per isolare e colpire le organizzazioni politico militari. Tutto questo nel contesto dell’abbandono,  di fatto, da parte del Venezuela, della neutralità e della sua adesione alla persecuzione degli/delle stigmatizzati/e come “terroristi/e”.

D’ altra parte ho ricevuto informazioni molto serie che rivelano la determinazione di dare continuità a questa collaborazione tra la Colombia e il Venezuela e mi mettono in guardia sulle conseguenze repressive che potrebbero darsi se in simili circostanze decidessi di andare in Venezuela.

Prima di ricevere questa informazione  da fonte assolutamente di fiducia, accompagnata dalla raccomandazione di non recarmi in Venezuela, non sono state poche le preoccupazioni e gli inviti alla prudenza che, solo per  intuizione, mi hanno rivolto amici/che di qua e di là.

Ironia della storia?

Sembra una vicenda – ma non lo è — di fiction storica. In realtà possiede un toccante  senso ironico rispetto allo sviluppo dei processi di ispirazione  rivoluzionaria.

Tutto sembra indicare che la piazza libera bolivariana, il Venezuela di Chávez, tristemente e in modo assurdo, stia diventando ogni volta sempre più ostile verso settori coerenti e impegnati con la difesa dei principi di questo processo; cioè contro una parte dei suoi migliori sostenitori e sostenitrici dentro e fuori allo stesso processo.

Stante le cose in questo modo la principale oasi dell’ unità  bolivariana presenta alcuni segnali di cedimento, manifestati  nella negazione di abbracci solidali e da  congiure utilitaristiche ingiustificabili a favore dei protagonisti dello stato terrorista colombiano, accettati ora incoerentemente come alleati occasionali nonostante siano nemici accaniti.

Vincolato storicamente come lo sono, — insieme a molti altri compagni/e -  al processo di speranza iniziato da Chávez e dal MBR-200 nello stesso istante in cui un divino “golpista” (allora stigmatizzato ferocemente dagli stessi che adesso ci criminalizzano e perseguitano) pronunciò a frase “por ahora”, questa situazione mi sembra veramente paradossale.

Prove di arretramenti e  incoerenze rischiose nell’ accidentato divenire della rivoluzione. Ironia della storia!

Dilemma e attesa

Nel mio caso, data la situazione difficile da digerire, sono costretto nell’  immediato a restare confinato nella mia “patria chica”  (dove il costo politico di estradarmi  e/o assassinarmi é immenso e i mezzi di difesa superiori) o assumere — se fosse necessario e se fossi motivato  a farlo -  l’ alto  rischio che vorrebbe dire viaggiare in Venezuela in queste circostanze onorando impegni latinoamericanisti o partecipando a eventi organizzati da forze e associazioni  che apprezzano il mio apporto,  soprattutto se il presidente Chávez  e il suo governo definitivamente non offrono garanzie inequivocabili che non avverranno più situazioni  come quella del compagno Joaquín Pérez.

Il dilemma  é forte anche se non imminente.

A mio avviso é possibile e necessario aspettare lo sviluppo dei fatti scatenati da  questa aggressione inqualificabile, che mira ad essere diretta  contro tutti i criminalizzati  dal DAS, dalla CIA e dall’ assassino Santos. Già  in precedenza guerriglieri delle FARC e dell’ ELN e militanti della sinistra basca sono stati  vittime di tale politica.

Sono stato invitato a partecipare a  vari eventI  che saranno realizzati in Venezuela alla fine di maggio e al principio di giugno dell’ anno in corso.

Valuterò bene l’evolvere  di questa grave situazione e la reazione del governo bolivariano rispetto al mio caso e a quello di altri compagni  per agire di conseguenza.

Cercherò di difendere con coraggio   i miei diritti e le mie relazioni storiche con la rivoluzione venezuelana, evitando di diventare inutilmente  vittima dell’ imposizione  delle “ragioni di questi Stati”  o un pezzo sacrificale nello  scacchiere della mal chiamata “politica reale”. Lo farò in tutti  i casi simili.

Misurerò  bene i miei passi rifugiandomi soprattutto nella ragione della politica rivoluzionaria di fronte agli illegittimi   interessi di stati  e di governi.

Non mi sottrarrò  ai rischi che l’interesse generale del movimento e le mie intime  convinzioni mi reclameranno come necessari. Non l’ ho  mai fatto.

Sicuramente la fiducia si è incrinata  non per decisione personale ma a causa di ingratitudini e incoerenze di alcuni protagonisti di un processo trasformatore che abbiamo difeso e continueremo a  difendere con integrità e coraggio, ma senza canonicità, senza incondizionalità e senza lodi.

Coloro i quali la hanno infranta  sono chiamati a ristabilirla, modificando percorsi e attitudini con l’ internazionalismo coerente, principi  validi ed etica rivoluzionaria.

Attenderemo senza fretta  i segnali del processo e della vita per prendere altre decisioni più precise.

Credo che agendo in questo modo  non solo sto interpretando  il mio sentire e le mie convinzioni ma anche quelle  di tutti/e coloro che sono  ingiustamente penalizzati/e da questa scoria che governa in Colombia e negli Stati Uniti.

Siamo militanti  di largo  respiro, combattenti  per la vita, ostinati nell’idea che la giustizia dovrà farsi strada contro venti e maree, contro calunnie, stigmatizzazioni  e  sopraffazioni.

Crediamo sia dignitoso ribellarsi in casi come questo e rispetto ad ogni violazione dei diritti, abuso di potere o accordo indegno anche se commesso da guide meritevoli e leader stimati.

La nostra ribellione questa volta ha una grande carica di tristezza, anche se non tanta da annullare la nostra continua lotta per l’allegria.

E’ triste pensare al  Venezuela bolivariano  come  “terra proibita”.

Molto triste, però – insisto – questa tristezza non ha il potere di chiudere la strada alla nostra lotta per la felicità, il benessere comune e la bellezza umana. Faccio fatica a credere che questi nobili propositi non saranno raggiungibili da questo popolo valoroso e dai suoi fratelli solidali  nel mondo, come anche le rettifiche che aprono subito spazio al dialogo, alla fiducia e all’armonia; senza deporre identità e senza sacrificare la diversità che arricchisce la vita.

Bolívar vive!

Caamaño vive!

Narciso Isa Conde

Coordinatore del Movimento Caamañista (MC) e della Presidenza Collettiva del Movimento Continentale Bolivariano (MCB)

9 maggio 2011 Santo Domingo, RD.

 

 

Traduzione di Annalisa Melandri

 

 


Chávez sbanda pericolosamente, tradisce il popolo colombiano e pugnala alle spalle i bolivariani

2 commenti

Fonte: Associazione Nazionale Nuova Colombia

Piovono pietre su Chávez da ogni angolo del Venezuela e da diversi continenti e trincee di resistenza, e se le merita tutte.
Quelle dei settori democratici, bolivariani e rivoluzionari colombiani, traditi da un ex-bolivariano che ha indossato in tempi record le vesti pestilenti di Santander (colui che tradì il progetto del Libertador di costruzione della Patria Grande latinoamericana), e umiliati nel più profondo della loro memoria storica (la consegna del giornalista Joaquín Becerra, superstite del massacro dell’Unión Patriótica per mano dell’oligarchia di cui il presidente venezuelano è diventato ‘compagno di merende’, è un affronto imperdonabile). Quelle di moltissimi soggetti della sinistra e delle forze antimperialiste latinoamericane, europee, australiane e via dicendo, che vedevano in Chávez un bastione di resistenza, denuncia e coerenza contro l’imperialismo nord-atlantico, e che di colpo si rendono conto che questa percezione va rivista e necessariamente messa in discussione.
E quelle di gran parte del movimento bolivariano venezuelano, dalle organizzazioni popolari dei quartieri storici di Caracas come il ‘23 de Enero’ al Partito Comunista, passando per le associazioni di artisti ed intellettuali, contadini e lavoratori, sindacati e collettivi.
Qualcuno, al netto di una candida ingenuità o di una scarsa informazione, potrebbe interpretare la codarda consegna allo Stato paramilitare colombiano del direttore di ANNCOL come un fulmine a ciel sereno. Tuttavia, questa vergognosa vicenda non può essere compresa appieno se non all’interno di un processo degenerativo che la “Rivoluzione bolivariana” e le “sinistre progressiste” latinoamericane sperimentano e retroalimentano da tempi non sospetti.
In Venezuela, come lucidamente registra il dirigente rivoluzionario dominicano Narciso Isa Conde, la nuova borghesia nata dalle ceneri (che sembrano ancora brace incandescente) della IV Repubblica ed arricchitasi grazie ad un’economia dopata dal petrolio (leggasi PDVSA), e la burocrazia d’apparato che fagocita i segmenti chiave dell’amministrazione pubblica e del governo, hanno preso le redini del processo; due forze poderose e cancerogene, che fomentano la corruzione, riproducono gli schemi e gli antivalori dei malgoverni precedenti, fanno della retorica “partecipativa” e “bolivariana” il cavallo di battaglia delle loro arringhe per poi smentirsi nella pratica, scoraggiano e deludono le masse popolari ed incarnano la più pericolosa minaccia nei confronti del processo rivoluzionario stesso.
E’ sufficiente analizzare la composizione dell’esecutivo, il passato e il presente di una gran parte dei ministri di Chávez (a cominciare da quello delle Comunicazioni, Andrés Izarra) e la progressiva estromissione dalle cariche di maggior peso di quei compagni (come ad esempio Eduardo Samán) che non hanno accettato di essere cooptati, comprati o silenziati dalla nomenclatura di Miraflores.
Ma potremmo andare oltre: il Partito Socialista Unito del Venezuela, PSUV, che annovera tra i suoi più importati dirigenti alcuni personaggi di dubbia moralità come il parlamentare Diosdado Cabello, è diventato terreno di conquista per opportunisti e politicanti vecchi e nuovi che si riciclano manipolando le basi; e le Forze Armate e di Polizia, in cui abbondano generali ed ufficiali di vario rango che mal sopportano le lotte quotidiane di lavoratori e contadini per i loro diritti e per la radicalizzazione del processo bolivariano, pur chiamandosi “bolivariane” continuano ad essere permeate da delinquenti e anticomunisti.
In sintesi, un conglomerato di interessi ed ambizioni di potere che, se da una parte s’azzuffa con la vecchia oligarchia della IV Repubblica, dall’altra fa di tutto per impedire lo smantellamento dello Stato borghese nonostante i proclami infarciti di “Socialismo del secolo XXI” e di “Integrazionismo latinoamericano”.

LA “NUOVA” POLITICA INTERNAZIONALE DEL VENEZUELA

La consegna di Joaquín Pérez Becerra al fascista Santos è la diretta conseguenza di una politica internazionale sbiadita e sciagurata, fatta di concessioni e concezioni distorte in cui le “ragioni di Stato” sono il perno e l’internazionalismo rivoluzionario è una scomoda variabile (dipendente dalle prime) ormai superata.
Molti, in Venezuela e nel mondo, hanno avvertito un campanello d’allarme quando rifugiati baschi prima, e guerriglieri delle FARC e dell’ELN più recentemente, sono stati deportati rispettivamente in Spagna e in Colombia. Allorché Chávez ha iniziato a tessere le lodi del guerrafondaio Santos, definendolo “il mio miglior amico”, ed al ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi hanno fatto seguito accordi non solo in materia economica, commerciale e di infrastrutture ma anche di “sicurezza”, la preoccupazione è diventata una triste costatazione. Ne è la riprova il recente sdoganamento santista-chavista del dittatore honduregno Lobo (capo di un governo illegittimo che altro non è che l’estensione politico-temporale del golpe griffato Obama-Micheletti), che verrà reintegrato nell’Organizzazione degli Stati Americani e che riceverà nuovamente gli agognati barili di petrolio di PetroCaribe, con cui potrà rimpinguare i serbatoi dei blindati che reprimono il popolo di Morazán. Sdoganamento, cui si unito in seconda battuta l’inadeguato e velleitario Zelaya, presentato dal governo venezuelano come una vittoria della diplomazia di Miraflores, che esibisce promesse melliflue –da parte dei golpisti honduregni– di clemenza nei confronti di una resistenza honduregna sulla cui testa si sta cucinando la riabilitazione del regime sanguinario di Tegucigalpa. In sostanza, dovremmo credere alle promesse di un branco di lupi mannari che “s’impegnano” a non sbranare gli agnelli, certamente eroici ma pur sempre inermi.
Infine, ma non in ordine d’importanza, non possiamo ignorare un altro, squallido tassello del mosaico: il caso Walid Makled. Narcotrafficante ed affarista venezuelano di origine siriana arrestato nell’estate 2010 in Colombia, ha dichiarato di avere in suo possesso registrazioni audio-video compromettenti che dimostrerebbero il coinvolgimento di alti funzionari venezuelani in attività illecite e torbide. Indipendentemente dalla fondatezza o meno di queste accuse, strumentalizzate puntualmente dagli USA, una cosa è certa: il governo Chávez ha fatto e sta facendo di tutto affinché la Colombia lo estradi in Venezuela (che lo accusa di omicidio) e non negli Stati Uniti (che lo accusano di narcotraffico). E’ ineludibile domandarsi perché Chávez si premuri tanto di mettere le mani su Makled, la cui estradizione Santos si è impegnato a concretizzare a breve termine (come gaiamente annunciato dal ministro degli Esteri venezuelano Maduro poche ore dopo che Joaquín Pérez veniva sbattuto nel carcere Modelo di Bogotá), e non faccia altrettanto per ottenere l’estradizione, sempre dalla Colombia dove vive come un eroe, di un certo Carmona Estanga, presidente de facto dei golpisti nell’aprile 2002.


LE INCONGRUENZE DI CHÁVEZ

Facciamo un passo indietro. Fino all’insediamento di Santos, uno dei principali autori intellettuali del bombardamento criminale in territorio ecuadoregno del 1 marzo 2008 e massimo responsabile –unitamente ad Uribe– del terrorismo di Stato in Colombia negli ultimi anni, Chávez si era speso in prima persona nel denunciare il ruolo del regime colombiano quale gigantesca base militare statunitense in America Latina, minaccia all’integrazione continentale ed erede del traditore Santander. Il tutto, con un discorso incendiario antioligarchico e proclami d’irriducibilità antimperialista che hanno suscitato l’ammirazione e l’approvazione di milioni di persone nel mondo intero.
In meno di un anno, lo stesso regime paramilitare colombiano è diventato un “affidabile partner per l’integrazione” (con cui il Venezuela, tra le altre cose, condivide la presidenza di Unasur); il nemico Santos è diventato il “miglior amico”, e l’insorgenza colombiana un branco di “terroristi”, di cui Chávez non rivendica più il riconoscimento di forza belligerante (“Le FARC e l’ELN non sono terroriste, sono veri eserciti e bisogna dargli un riconoscimento”, disse Chávez nel gennaio 2008 di fronte all’Assemblea Nazionale, aggiungendo: “Sono forze insorgenti che hanno un progetto politico e bolivariano che qui rispettiamo!”)
Sempre nel giro di pochi mesi, quello che prima era un governo illegittimo e golpista (ci riferiamo a Lobo) è diventato un valido interlocutore con cui pianificare mosse politiche e nuovi affari, in cambio di briciole ancora saldamente nel paniere dell’oligarchia honduregna.
Lo stesso Chávez che non ha mai risparmiato parole di adorazione nei confronti del Libertador Simón Bolívar, elogiandone la coerenza, la tenacia e l’irriducibile volontà di sconfiggere il colonialismo e le oligarchie complici, oggi getta con un calcione i rivoluzionari colombiani in pasto a squali e coccodrilli narcoparamilitari. Pugnala alle spalle non solo guerriglieri che hanno impugnato le armi perché in Colombia l’opposizione legale è stata e continua ad essere sterminata senza soluzione di continuità, ma anche un giornalista come Joaquín Pérez Becerra che guerrigliero non è.
E lo consegna in meno di quarantotto ore dal suo arresto avvenuto all’aeroporto di Maiquetía violandone i più elementari diritti, essendo Joaquín cittadino svedese (naturalizzato da almeno un decennio dopo aver ottenuto lo status di rifugiato in Svezia in qualità di superstite del genocidio dell’Unión Patriótica). Joaquín non ha subito un’estradizione in piena regola, per rendere esecutiva la quale si sarebbe dovuto pronunciare un tribunale venezuelano; e non gli hanno permesso di parlare con i suoi avvocati né ricevere la visita del console svedese a Caracas, mantenendolo in stato di totale isolamento e, come denunciato dallo stesso Joaquín dal carcere Modelo di Bogotá, è stato trattato come una merda dalla Guardia Nazionale venezuelana e dal ministro Izarra. E su di lui non pendeva, come invece trasmesso da Santos a Chávez nella telefonata tra amici in cui il primo ha chiesto al secondo il favore personale di “recapitarglielo” con ogni mezzo, un mandato di cattura internazionale dell’Interpol, che altrimenti sarebbe stata effettuata in Svezia (dove Joaquín viveva da anni) o nel vigilantissimo aeroporto di Francoforte, dove il direttore di ANNCOL si è imbarcato con destinazione Caracas.
Quando un gruppo di ciarlatani norvegesi ha assegnato il ridicolo Premio Nobel per la Pace al guerrafondaio Obama, ci siamo identificati con la critica di Chávez che faceva rilevare come ci fosse un’insostenibile contraddizione in termini. Oggi, registriamo la stessa, indifendibile incongruenza se pensiamo che il presidente venezuelano, fresco vincitore del “Premio Rodolfo Walsh” (giornalista argentino assassinato dalla dittatura di Videla), ha trattato come un delinquente ed una volgare merce di scambio un giornalista che ha patito sulla propria pelle le sevizie di un’altra dittatura, quella degli oligarchi colombiani, le cui mani sporche di sangue non potranno mai ripulire né il teatrino parapolitico neo-granadino né le elezioni farsa di turno.
Sempre recentemente, Chávez ha criticato la corruzione e i vecchi vizi ancora fortemente presenti all’interno del suo partito, il PSUV, ed in altri ambiti della politica nazionale; per essere coerente con questa ineccepibile disamina, Chávez dovrebbe depurare una gran parte delle istanze dirigenti, a partire dall’esecutivo che presiede ed in particolar modo dal ministro delle Comunicazioni e dell’Informazione, Andrés Izarra. Questo “bolivariano” da operetta, già giornalista della CNN e della NBC negli anni ’90, ha prima annunciato sul suo blog l’arresto di Joaquín come se si trattasse di una grande vittoria delle autorità venezuelane, per poi imporre a tutti i giornalisti dei media ufficiali il silenzio circa la nazionalità svedese di Joaquín, il suo carattere di giornalista rivoluzionario solidale col Venezuela e, naturalmente, le violazioni ai suoi diritti fondamentali. Grazie a questo traditore i media governativi venezuelani, che dovrebbero informare con principi e paradigmi diametralmente opposti a quelli dei media borghesi internazionali, hanno fatto una pessima figura, per nulla mitigata da una o due eccezioni coraggiose (Vladimir Acosta su RNV e il gagliardo Walter Martínez del programma Dossier). Mentre si consumava lo scempio ai danni di Joaquín, non trovava niente di meglio da fare che lodare “gli sforzi di Santos per far fronte alle alluvioni” che stanno martoriando tre milioni di colombiani, per lo più abbandonati alla loro sorte dal nuovo “miglior amico” di Chávez.
Un altro ministro campione di “bolivarismo”, il cancelliere Nicolás Maduro, ha giocato un ruolo rilevante in tutta questa vicenda, e con il tempo potremo scoprire ulteriori dettagli. Per il momento, ci “deliziamo” con le sue recentissime dichiarazioni rilasciate alla stampa in occasione dell’incontro dei ministri dell’Ambiente del Vertice degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, Celac: “Il rispetto del Venezuela al Diritto Internazionale è indiscutibile, non ci sottomettiamo al ricatto di nessuno, da qualunque parte provenga, perché stiamo agendo in modo trasparente e in sintonia con la Legge e con le responsabilità che ha lo Stato venezuelano”.
Questo burocrate che veste camicia e basco rossi, rosso di fuori e marcio dentro come talune mele bacate, ha avuto anche la sfacciataggine di rimproverare la Svezia (che ha legittimamente e dovutamente chiesto spiegazioni alla cancelleria di Caracas per questa consegna di un suo cittadino senza il benché minimo rispetto dei passaggi legali e dei diritti sanciti dalla Costituzione Bolivariana medesima), domandandosi perché le autorità scandinave avessero permesso a Joaquín Pérez di uscire dal territorio svedese. La risposta la conosciamo tutti, compreso il signor Maduro: Joaquín è cittadino svedese, gode dello status di rifugiato e dei protocolli internazionali che ne riconoscono le relative garanzie, e aveva tutto il diritto di muoversi liberamente. Maduro fa orecchie da mercante, e chiosa con una dichiarazione che ci fa sorridere: “Noi continueremo a lavorare per un mondo di uguali, opponendoci alle guerre e costruendo l’integrazione dell’America Latina”. Sappiamo bene che per i tecno-burocrati come i menzionati ministri ci sono “uguali” più uguali di altri, la guerra a morte dell’oligarchia colombiana contro il popolo non è poi così importante, e la “integrazione” dell’America Latina è fatta soprattutto di megaprogetti, polidotti ed accordi politici con qualunque governo e stato, anche se terrorista e genocida come quello colombiano.
Ad ogni modo, se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi circa la buona o mala fede del presidente venezuelano, il campo è stato definitivamente sgomberato dalle sue recentissime dichiarazioni. Infatti, incalzato da più parti si è visto obbligato a pronunciarsi, uscendo dall’autismo in cui era piombato e proferendo parole scandalose ed infantili: “La responsabilità non è mia, il primo responsabile è quel signore (Joaquín) che viene qua sapendo che l’Interpol lo sta ricercando con codice rosso”, aggiungendo che “Qualcuno dovrebbe dire chi lo ha invitato a venire qua, chi gli ha organizzato la trappola, come tutti sapevano…”; rivolgendosi poi a non si sa bene chi, anche se intuiamo che il riferimento sia a tutti quelli che hanno protestato per la vergognosa consegna di Joaquín a Santos, ha la sfrontatezza di dire: “Infiltrati, sono movimenti infiltrati sino al midollo”.
Ammesso e non concesso che Chávez abbia elementi per affermare una cosa così grave, dovrebbe essere esplicito e dire chi sarebbe infiltrato da chi, presentando elementi probatori. Il Movimento Continentale Bolivariano? Il Partito Comunista del Venezuela? I collettivi e comitati autogestiti del 23 de enero? O forse le migliaia e migliaia di persone, giornalisti, lavoratori, giovani, donne ed indigeni che in questi anni hanno interloquito con ANNCOL e che stimano Joaquín Pérez in virtù del tenace lavoro di denuncia e sostegno alle lotte dei popoli del mondo, a partire dalla resistenza colombiana e dal processo bolivariano in Venezuela?
Non soddisfatto, il primo inquilino di Miraflores è caduto nel grottesco con un’altra, infamante dichiarazione: “Così come abbiamo consegnato Chávez Abarca al governo di Cuba, abbiamo consegnato Pérez Becerra al governo della Colombia!” A chi non fosse informato, ricordiamo che Francisco Chávez Abarca è un terrorista anticastrista, già mano destra di Posada Carriles ed autore di diversi attentati terroristici ai danni di vari hotel e centri turistici cubani. Bel paragone Chávez, complimenti! Mettere sullo stesso piano un criminale prezzolato dalla CIA ed un superstite del peggior genocidio politico nella storia dell’America Latina, ci fa capire di che pasta tu sia fatto…
Chávez si è ulteriormente contraddetto quando ha rincarato la dose di ipocrisia: “Io non sto dicendo che lui sia un terrorista, spero che il governo della Colombia rispetti i suoi diritti umani e il diritto alla difesa”. Perché il mandatario di Miraflores non ha rispettato i diritti umani ed il diritto alla difesa di Joaquín? Perché, nel comunicato diffuso subito dopo l’arresto di Joaquín all’aeroporto di Caracas, si afferma che “il Governo Bolivariano ratifica in questo modo il suo impegno irriducibile nella lotta contro il terrorismo…”? E perché insiste sulla questione del mandato di cattura dell’Interpol ai danni di Joaquín, e non esige una spiegazione all’Interpol stessa che ha unilateralmente depennato, dalle sue liste di persone ricercate, diversi banchieri venezuelani scappati all’estero dopo aver speculato ed affamato il suo popolo per anni?
Infine, l’atteggiamento arrogante ed autoreferenziale del presidente venezuelano si è manifestato con un’ultima “chicca”: “Io prendo le decisioni e mi assumo le mie responsabilità, nessuno può venire qui a ricattarmi, né l’estrema sinistra né l’estrema destra!”
A parte il fatto che, alla luce dell’evoluzione del caso del mafioso Walid Makled, ci pare di poter confermare che l’estrema destra colombiana sta ricattando, eccome, il governo venezuelano, è del tutto sconsiderato bollare come “ricattatori di estrema sinistra” un pezzo importante del movimento bolivariano venezuelano e latinoamericano, nonché intellettuali del calibro di Adolfo Pérez Esquivel, James Petras, Hernando Calvo Ospina, Michel Collon, Carlos Aznares, François Houtart, Carlos Lozano, Jorge Beinstein e Juan Carlos Vallejo (tanto per citare solo alcuni dei firmatari di una lettera internazionale a Chávez di critica e invito alla rettifica).
Inoltre, non capiamo in quale dimensione spazio-temporale si trovi il vicepresidente venezuelano Elías Jauja, che dopo la consegna di Joaquín ha avuto l’ardire di ribadire la “solidarietà del Venezuela con i movimenti rivoluzionari internazionali”, come se non fosse successo niente. Se il governo venezuelano manda al macello un giornalista bolivariano, figuriamoci cosa dovrebbero aspettarsi i militanti dei movimenti rivoluzionari internazionali… Probabilmente, di essere ingabbiati anch’essi al loro arrivo a Caracas per una qualche “ragion di Stato”!

RIPERCUSSIONI E CONSEGUENZE

Alcuni adoratori/adulatori acritici del presidente e dei vertici venezuelani, dopo il primo smarrimento dovuto al carattere indifendibile dell’infame consegna di Joaquín alla Colombia, hanno dato fondo alla propria materia grigia (piuttosto amorfa, a dire il vero) per cercare di giustificare l’irresponsabile decisione di Chávez: “non si poteva fare altrimenti”, “se non l’avessimo consegnato gli Stati Uniti ci avrebbero invasi”, “se l’Interpol lo chiedeva, bisognava darlo alla Colombia”, “Chávez starà soffrendo molto per questa dolorosa decisione che salverà la Rivoluzione”, e via dicendo. Squallidi ed imborghesiti “intellettuali” da salotto, dediti ad arrampicarsi sugli specchi come scarafaggi. Altri ancora, emuli delle destre più becere e in perfetto stile inquisitorio, si sono spinti ben oltre: “Pérez Becerra doveva starsene buono in Svezia”, “Chi gli ha detto di venire qui a crearci problemi?”, “Qualcuno deve averlo pagato e manipolato per venire qui a creare uno scandalo internazionale e provocarci”… Sono frasi, titoli e concetti che si commentano da soli. E che sulla rete e negli ambiti in cui si discute accesamente dell’accaduto sono stati e continuano ad essere nettamente minoritari.
Decine di migliaia di messaggi, sms, mail, articoli, commenti nei blog, denuncie, appelli e adesioni sono circolati negli ultimi giorni sulla rete e nelle piazze, e molti altri sono in arrivo. Tutti, indipendentemente dalla calibratura più diplomatica o “incazzata” dei contenuti, hanno un minimo comun denominatore: le massime autorità hanno fatto un gesto grave, la consegna di Joaquín ad un regime sanguinario è sbagliata e Chávez (a cui piace esser chiamato “Comandante”) deve assumersene la responsabilità. A maggior ragione nella misura in cui, come le sopracitate dichiarazioni del cancelliere Maduro confermano, si tratta di una politica di Stato.
La consegna del direttore di ANNCOL è un grave errore etico, e lo abbiamo abbondantemente argomentato in questo articolo e negli altri comunicati e news diffusi. Violando principi elementari di solidarietà e internazionalismo, da parte di chi si dice “rivoluzionario”, inocula un virus devastante nel processo che rafforza il pragmatismo borghese e pregiudica irrimediabilmente la credibilità di chi ne è portatore. Inoltre, ricalca per modalità e complicità il famigerato Plan Condor, con cui negli anni ’70 del secolo scorso le dittature latinoamericane perseguitavano e mandavano al massacro militanti rivoluzionari.
E’ un miope errore politico, perché come ha detto la sinistra rivoluzionaria venezuelana, “la fiducia è fratturata”. Fatto grave, questo, se si pensa che anche Chávez ed il Psuv si erano finalmente resi conto che senza l’importantissimo contributo dei settori che la compongono, la difesa e lo sviluppo del processo (in chiave elezioni 2012, ma non solo) sarebbero molto più ardui. A ciò aggiungiamo che la consegna di Joaquín a Santos avalla un castello accusatorio complessivo le cui “prove” provengono dalla stessa lampada di Aladino (i presunti computers di Raúl Reyes) con cui hanno criminalizzato e criminalizzeranno ancora, tra gli altri, anche il presidente venezuelano.
Ed è un colossale errore strategico, a cui Chávez ed i suoi comprimari arrivano dopo un’elaborazione analitica che ricorda molto quella di Gheddafi alla fine degli anni ’90: collaborare col nemico, stringere forti alleanze col gran capitale e coi regimi reazionari e voltare le spalle ai rivoluzionari di altri paesi, come quelli colombiani, è il frutto della pia illusione che così facendo si neutralizzerà la controrivoluzione (interna ed esterna), e si toglieranno pretesti all’imperialismo.  Tuttavia, la prima lavora a pieno regime, infischiandosene delle sempre più soventi concessioni di Chávez, ed il secondo, come insegna la storia, non ha bisogno di pretesti, se li fabbrica ad hoc per aggredire paesi e stati non più funzionali alle sue proiezioni geopolitiche, economiche e militari.
In un sol colpo, Chávez ha perso la fiducia della sinistra rivoluzionaria, in Venezuela e nel mondo, e non ha certo scalato il ranking delle preferenze della destra (quella colombiana in primis), che ha manovrato abilmente per indebolirlo adesso, sfruttandone allegramente l’inconsistenza ideologica e l’incoerenza, per poi sferrare il colpo finale quando l’imperialismo avrà deciso di mettere le mani definitivamente sul petrolio venezuelano.
Nel frattempo, migliaia di persone in tutto il mondo, siano essi giornalisti alternativi, militanti bolivariani, intellettuali critici o semplici lavoratori e studenti, colombiani e non, continueranno a lavorare in sostegno alla lotta per la liberazione dal giogo dello sfruttamento e del neo-colonialismo che eroicamente conduce, sui più diversi terreni, il popolo colombiano. Non dobbiamo lasciarlo solo, così come vorrebbero gli opportunisti che lavorano per “cambiare tutto” affinché non cambi niente. E non dobbiamo lasciare soli i rivoluzionari venezuelani, chiamati in questo momento storico ad intensificare la lotta di classe e di resistenza per sconfiggere l’oligarchia pro-imperialista da una parte, e la destra endogena (travestita da bolivariana) che fagocita i gangli del potere dall’altra.
E, naturalmente, dobbiamo sostenere e accompagnare Joaquín Pérez Becerra, la cui vita è in pericolo in un vigliacco carcere di Bogotá che l’oligarchia ha nottetempo dato in comodato d’uso al paramilitarismo, e i 7500 prigionieri politici colombiani rinchiusi nelle peggiori condizioni per il solo fatto di essere oppositori di un regime antidemocratico e antipopolare. Lo stesso con cui adesso va a braccetto il presidente Chávez, che è corresponsabile di ciò che potrebbe capitare al direttore di ANNCOL.

Associazione nazionale Nuova Colombia

 


Pacto cumplido?

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Extraditado a Venezuela el narcotraficante Mackled con todas las garantias.

Joaquín Becerra ha sido deportado ilegalmente y entregado en las manos de sus verdugos colombianos como en los años oscuros del Plan Condor.

 


Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela

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Comunicato dell’  ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela

Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC

Tutti i fatti relativi all’arresto e alla deportazione del giornalista bolivariano Joaquín Pérez Becerra sono stati caratterizzati da una censura alla libertà di informazione:

Prima, la stessa detenzione di Pérez,  la voce dissidente del governo colombiano più riconosciuta e letta non solo in quel paese; la pagina di ANNCOL riusciva, come  nessun altro mezzo alternativo in Colombia, a raggiungere le 800mila visite in alcuni momenti di particolare congiuntura politica, cosa che in Colombia avviene costantemente.

Successivamente, un’ora dopo la detenzione di Joaquín, veniva diffuso  un comunicato ufficiale,  che con il linguaggio caratteristico della destra,  indicava  le ragioni dell’arresto, dettate non  dall’ INTERPOL ma dall’ex consigliere di  Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un oscuro personaggio noto per i suoi vincoli con il narcotraffico e il  paramilitarismo in Colombia.

Poi, il 25 aprile, la convocazione da parte del MINCI ai  mezzi di informazione per  una conferenza stampa all’aeroporto di Maiquetía rispetto a una probabile  consegna del compagno, infine  la successiva e quasi immediata cancellazione dell’invito con la motivazione di una momentanea sospensione di tutto il processo in corso.

Per finire,  una trasmissione a reti unificate del governo, passata  nello stesso momento in cui stavano trasferendo Becerra in Colombia.

Inoltre, il Ministero dell’  Informazione e della Comunicazione del Venezuela (MINCI), nella persona del ministro Andrés Izarra, dà disposizione  a tutti i mezzi di comunicazione  che dirige,  di non coprire  nessun avvenimento  relativo alla  solidarietà a  Joaquín Pérez Becerra e alle   proteste di un ampio settore del popolo rivoluzionario del Venezuela per la deportazione, per le nuove  condizioni della relazione Colombia – Venezuela e per gli  accordi di ambedue i governi in materia di “sicurezza” e cooperazione militare.

E’ deplorevole il ruolo che hanno giocato i mezzi di informazione che, come la VTV e Telesur, si sono distinti per la loro assenza nei luoghi cruciali dove si è manifestata la risposta della sinistra rispetto al caso di Joaquín Pérez. I loro racconti si  sono limitati ai comunicati di  governo e alle  accuse della Colombia  sui presunti crimini commessi dal direttore di ANNCOL.

Sono venuti meno alla verità e soprattutto all’impegno di trasformare il Venezuela nello spazio di costruzione di una stampa impegnata con gli interessi  delle masse popolari, con la  rottura del pensiero unico e con l’ egemonia mediatica capitalista che ha contribuito a consolidare questo feroce sistema.  Telesur  e altri mezzi di informazione sono venuti meno al principio socialista di costruire una comunicazione per la liberazione.

Attraverso questo comunicato rispondiamo anche a Iván Maiza che nell’unico articolo di opinione pubblicato da TeleSUR, in cui, più o meno assicura che il comunicatore bolivariano si è andato a cercare il suo arresto (come le donne che usano la minigonna sono colpevoli delle violenze che subiscono – nostro commento).

Dice Maiza che il movimento di sinistra è probabilmente infiltrato da “alcuni compagni” o da qualche “partito rivoluzionario” che hanno fatto dei piani per sabotare le strategie pianificate dal Comandante. Anche costruendo  trappole ai danni dei compagni di lotta? Compagni che non accettando la decisione di avvicinarsi a Santos sono disposti a fare qualsiasi cosa che possa “minare la fiducia” tra Chávez e il suo popolo, tra Chávez e i “popoli del continente”.

No, signor Maiza e signori di TeleSUR, noi  direttori dei mezzi di informazione alternativi che abbiamo invitato in qualche occasione  Joaquín Pérez Becerra per consolidare un progetto di comunicazione bolivariana, né  lavoriamo né tanto meno facciamo accordi  diplomatici con il DAS.

Noi abbiamo invitato in Venezuela in diverse occasioni Joaquín perché  eravamo assolutamente sicuri che il nostro governo non avrebbe mai deportato  al governo fascista colombiano un militante impegnato con la verità, con gli ideali bolivariani, un militante che ha sempre difeso in  Europa  questo processo che rappresenta la speranza dell’America latina.

Chi avrebbe mai  immaginato che una deportazione così vile e lontana dal diritto (perfino quello borghese),  sarebbe stata possibile nel paese con il maggior numero di emittenti comunitarie dell’America latina, il paese nel quel si sono svolti tanti incontri, congressi e dibattiti sul ruolo dei mezzi di informazione nella costruzione della Nostra America; l’unico paese dell’America latina dove c’è un processo rivoluzionario che dice di essere socialista; il paese del premio  Rodolfo Walsh alla comunicazione popolare.

Proprio nel corso dell’incontro della fondazione della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) che realizzammo nel dicembre del 2008 e nella  quale partecipò  anche Joaquín Pérez, decidemmo in sede plenaria che la sede della ABC sarebbe stata a Caracas per essere stata questa città la culla del nostro libertador Simón Bolívar e il luogo più sicuro  contro la censura, le persecuzioni e la diffamazione della destra.

Scegliemmo Caracas perchè consideravamo che il Venezuela avesse bisogno di una Associazione che smontasse le calunnie della stampa borghese e del suo Colegio Nacional de Periodistas. Considerammo che Caracas doveva essere la capitale dell’unità latinoamericana nel settore della comunicazione alternativa.

Dicemmo quindi allora, come già in altre occasioni  al nostro caro amico: “compagno Joaco, vieni che questa è una terra liberata”.

Come ci sbagliavamo!

Traduzione a cura di Annalisa Melandri

 

 


La censura di Stato di TeleSUR sul caso Joaquín Pérez Becerra

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E’  stato allegramente pubblicato un articolo veramente  infamante da parte della redazione di TeleSUR sul caso  del direttore dell’ agenzia ANNCOL, arrestato  in Venezuela ed estradato in Colombia: o a TeleSUR  hanno la memoria corta,  oppure le direttive di governo sono più  forti della necessaria solidarietà  a un giornalista da sempre coerente con gli stessi  ideali bolivariani di questa catena televisiva nata sei anni fa come mezzo di informazione rivoluzionario e come “progetto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.

Sembra che qualcosa sia andato perduto di quei  valori originari nei pochi anni che sono trascorsi da quel 24 luglio 2005, quando nel 222° anniversario della nascita di Simón Bolívar, l’antenna televisiva iniziava a trasmettere il suo primo blocco informativo.

L’articolo al quale mi riferisco porta il titolo “Su Joaquín Pérez Becerra” ed è scritto da  tal Iván Maíza (che né so chi è e nemmeno voglio saperlo) ed è il primo (e l’unico di opinione) che  si trova su Google cercando TeleSUR+Joaquín Becerra. Le altre notizie pubblicate da TeleSUR sull’arresto all’aeroporto di Caracas e la successiva deportazione in Colombia del giornalista svedese sono di cronaca nuda e cruda.

Evidentemente la redazione di TeleSUR non ricorda più la solidarietà che molti militanti e “giornalisti terroristi” come ora chi chiamano,   manifestammo  quando nel mese di novembre del 2006,  in Colombia il DAS arrestò il suo   corrispondente  Fredy Muñoz, accusandolo di essere membro delle FARC.

L’allora direttore dell’antenna televisiva, Andrés Izarra,  attuale ministro della Comunicazione e Informazione, in quella circostanza dichiarò molto preoccupato: “la vita di Muñoz è in pericolo”. Aveva ragione. La Colombia non è un paese sicuro per i giornalisti che denunciano l’imperante terrorismo di Stato promosso dal suo governo e apparati di sicurezza.

La Colombia però, e questo la redazione di TeleSUR dovrebbe saperlo molto bene, non è un paese sicuro nemmeno per Joaquín Pérez Becera, a maggior ragione non lo è per lui,  nato là, ex consigliere comunale del partito Unión Patriotíca, che a seguito delle  minacce ricevute,    circa 20 anni fa dovette abbandonare il  paese per non diventare  un numero in più degli oltre 4000 militanti di quel movimento politico  assassinati in pochi anni dai paramilitari e dall’ esercito  colombiano. In quel genocidio politico conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo (Danza Rossa) sequestrarono e uccisero anche la sua prima moglie.

Joaquín quindi cercò  rifugio in Svezia e in questo paese europeo ottenne asilo politico e cittadinanza.

Nonostante questa storia, le autorità del Venezuela lo hanno arrestato, deportato e consegnato nelle mani del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro della difesa del governo Uribe) senza battere ciglio, dopo la telefonata ricevuta da Chávez con la quale il suo omologo colombiano gli chiedeva il favore.

TeleSUR quindi oltre a non preoccuparsi della sicurezza di Joaquín Pérez Becera,  pubblica anche articoli offensivi e denigranti  su di lui.

Conoscendo il percorso umano e politico del giornalista svedese, che abbiamo appena raccontato, leggere le infamanti domande (non dimentichiamolo! pubblicate come opinione sulla pagina di TeleSUR e non su qualsiasi piccolo blog) che pone  il tal Maíza,  autore dell’articolo, non possiamo non riflettere sul nuovo corso intrapreso dalla Rivoluzione Bolivariana: “Chi ha fatto salire in questo momento Joaquín sull’aereo­? Chi lo ha venduto per mettere la Rivoluzione Bolivariana a rischio di perdere il suo ordine strategico?… ci sono settori nella sinistra rivoluzionaria che ricevono ordini dal DAS?”

Questo si può leggere nella pagina di una catena televisiva che pretende di essere alternativa oltre che rivoluzionaria, che vuole dare la voce ai senza voce… Che pretende di rappresentare  un governo rivoluzionario, bolivariano…

Ma non basta. La cosa peggiore è che l’ex presidente di TeleSUR,  Andrés Izarra,  dal suo terzo incarico come ministro della Comunicazione e dell’Informazione, fa del sabotaggio perfino sulla copertura informativa rispetto alle giuste proteste che il governo sta ricevendo in questi giorni per la deportazione di Joaquín Becerra.

Ieri a Caracas, di fronte al ministero degli Esteri, dove centinaia di rappresentanti dei movimenti sociali e organizzazioni politiche si erano riuniti per chiedere al governo spiegazioni su quanto accaduto, oltre al fatto che i giornalisti di TeleSUR non erano presenti (ricevono precise disposizioni dal ministero della Comunicazione, MINCI) non lo erano nemmeno quelli dei maggiori mezzi di informazione del paese. I pochi alternativi che hanno coperto le proteste come l’Agencia Bolivariana de Prensa (sarà una casualità ma la pagina ABP oggi non funziona), Radio  del Sur, Avila TV,  Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV,  lo hanno fatto  “contravvenendo l’orientamento generale dato dal  ministero della Comunicazione”.

Fonti  venezuelane presenti hanno commentato che lo stesso Izarra stava realizzando varie chiamate telefoniche  minacciando e insultando i giornalisti per la copertura che stavano dando alla mobilitazione.

Tornano allora alla mente le dichiarazioni che faceva in una intervista due anni fa Aram Aharonian, importante giornalista uruguayano, uno dei fondatori ed ex direttore di TeleSUR, allontanatosi dalla televisione per “differenze politiche ed anche etiche” : “TeleSUR è occupata da inetti, controrivoluzionari nel più ampio senso della parola: gente che recita  slogan per sembrare rivoluzionaria  ma che non ha la minima idea di cosa voglia dire”. Le sue accuse, che allora apparivano  gravi e pesanti, erano rivolte a Izarra. Ora sono invece confermate sicuramente dai fatti.

Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it

 

Certo bisogna farne di strada/da una ginnastica d’obbedienza

fino ad un gesto molto più umano/che ti dia il senso della violenza

però bisogna farne altrettanta /per diventare così coglioni

da non riuscire più a capire/che non ci sono poteri buoni.

(Fabrizio De Andrè)

 

 


Pronunciamiento de la ABC contra la censura a la comunicación alternativa en Venezuela

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Pronunciamiento de la ABC contra la censura a la comunicación alternativa en Venezuela
Por: Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC

Todos los hechos que han rodeado el proceso de captura y entrega del comunicador bolivariano Joaquín Pérez Becerra se encuentran enmarcados en la censura a la libertad de prensa: 

Primero, la misma detención de Pérez que representa la voz disidente del gobierno colombiano más reconocida y leída no sólo en ese país; ANNCOL como ningún otro medio alternativo en Colombia tenía 800 mil visitantes en momentos de coyuntura política, que en Colombia es permanente. 

Posteriormente, a una hora de la detención de Joaquín la expedición de un comunicado oficial que con un lenguaje propio de la derecha señalaba las razones de la captura, dictadas no propiamente por la INTERPOL sino por el ex asesor de Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un personaje oscuro reconocido por sus vínculos con el narcotráfico y el paramilitarismo en Colombia.

Luego, el día lunes 25 de abril, la convocatoria del MINCI a diversos medios a una rueda de prensa en el aeropuerto de Maiquetía con motivo de la posible entrega del compañero y la casi inmediata cancelación de la invitación bajo el argumento de que el proceso en cuestión se encontraba congelado. 

Al instante, una cadena nacional del Ejecutivo, a la misma hora en que estaban trasladando al director de ANNCOL a Colombia.

Ahora, el Ministerio de Información y Comunicación de Venezuela (MINCI), en la  persona del ministro Andrés Izarra, orienta a todos los Medios de Comunicación que dirige, a no cubrir ningún evento relacionado con las  expresiones de solidaridad con Joaquín Pérez Becerra y más aún, con el reclamo de un amplio sector del pueblo revolucionario de Venezuela  por la entrega y las condiciones de la relación Colombia-Venezuela y los nuevos acuerdos de ambos gobiernos en materia de “inteligencia” y  cooperación militar.

Es lamentable el papel que han jugado los medios informativos que como, VTV y Telesur, han brillado por su ausencia en los lugares cruciales donde se ha desarrollado la noticia sobre la respuesta de la izquierda frente al caso de Joaquín Pérez. Sus reportes se  han limitado a los comunicados del gobierno y las acusaciones del gobierno colombiano sobre los presuntos crímenes cometidos por el director de ANNCOL.

Han faltado a la verdad y sobre todo al compromiso de convertir a Venezuela en el espacio de construcción de una prensa comprometida con    los intereses de las mayorías populares, con  la ruptura del pensamiento único y con la hegemonía comunicacional capitalista que ha consolidado ese  feroz sistema. Telesur y otros medios han faltado al principio socialista de construir una comunicación para la liberación.

En esta vía le respondemos a Iván Maiza en el único artículo de opinión publicado por Telesur que en palabras más, palabras menos asegura  que el comunicador bolivariano se buscó la captura (como las mujeres que usan minifalda son culpables de su violación-observación nuestra-). Dice Maiza que el movimiento de izquierda posiblemente infiltrado por “algunos “camaradas” o algunos “partidos revolucionarios” han aventurado  planes para sabotear las estrategias planteadas por el Comandante, ¿Incluso montando trampas a compañeros de lucha?, camaradas que no  aceptan que el Comandante haya tomado la decisión de acercarse a Santos y están dispuestos a hacer cualquier cosa que “quiebre la  confianza” entre Chávez y su pueblo, entre Chávez y los pueblos del continente”.

No señor Maiza y señores de Telesur, los directivos de medios alternativos que hemos invitado en algunas ocasiones a Joaquín Pérez Becerra  para consolidar un proyecto de comunicación bolivariana, ni trabajamos ni hacemos acuerdos diplomáticos con el DAS. Nosotros hemos  invitado a Venezuela en  diferentes ocasiones a Joaquín porque estábamos absolutamente seguros que nuestro gobierno jamás entregaría al gobierno fascista de Colombia, a un militante comprometido con la verdad, el ideario  bolivariano, un militante que siempre ha defendido en diferentes escenarios de Europa este proceso que es esperanza de Latinoamérica.

Quién iba pensar que una entrega tan vil y alejada de todo derecho (hasta burgués) iba a ser posible en el país con el mayor número de  emisoras comunitarias de Latinoamérica, el país que ha hecho tantos encuentros, congresos y coloquios sobre el papel de los medios de comunicación en la construcción de Nuestra América; el único país de Sur América en donde hay un proceso revolucionario que dice ser  socialista; el país del premio Rodolfo Walsh a la comunicación popular.

Justamente en el encuentro de fundación de la Asociación Bolivariana de Comunicadores que realizamos en diciembre de 2008 y en la que  participó  Joaquín Pérez decidimos en plenaria que la sede de la ABC sería en Caracas por ser la cuna de nuestro libertador Simón Bolívar y el lugar más seguro contra la censura, las persecuciones y la difamación de la derecha. La escogimos porque consideramos que Venezuela necesitaba una Asociación que hiciera mella a  las calumnias de la prensa burguesa y su Colegio Nacional de periodistas. Además se consideró que Caracas debía ser la capital de la unidad latinoamericana del sector comunicacional alternativo.

Así pues que le dijímos ahora, como en más de una ocasión, a nuestro querido compañero, “camarada Joaco, venga que ésta es tierra liberada”. 

!Nos equivocamos!


La censura de Estado de TeleSUR sobre el caso de Joaquín Pérez Becerra

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Los términos medios son la antesala a traición. (Ernesto Guevara)

Se  ha publicado alegremente un artículo infame por la redacción de TeleSUR:  o tienen memoria muy corta o las directivas de gobierno son más fuertes que la necesaria solidaridad a un periodista comprometido con los mismos valores e ideales bolivarianos  de esta cadena televisiva  que nació hace seis años  para ser un medio revolucionario y un “proyecto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.

Parece que algo se haya  perdido de los valores originarios en el transcurso de estos pocos años,   desde aquel 24 de julio de 2005 cuando en el 222 aniversario del nacimiento de Simón Bolívar,  la antena TeleSUR empezaba  a transmitir su  primer bloque de informaciones.

El artículo al que me refiero se titula “Acerca de Joaquín Pérez Becerra” y está escrito  por tal Ivan Maíza (que ni se quien es y ni voy a averiguarlo) y es el primero (y el único de opinión) que se encuentra en Google buscando TeleSUR+Joaquín Becerra. Las otras noticias publicadas por  TeleSUR respecto a la detención en el aeropuerto de Caracas y a la siguiente deportación a Colombia del periodista sueco director de la agencia ANNCOL, son de pura  crónica pelada, monda y lironda.

Evidentemente en la redacción de TeleSUR ya no recuerdan la solidaridad que muchos militantes y “periodistas terroristas” como ahora está de costumbre llamarnos,  les brindamos  cuando en el mes de noviembre de 2006 en Colombia el DAS detuvo el corresponsal de ellos, Fredy Muñoz, acusándolo de ser miembro de las FARC.

El entonces director de la antena televisiva,  Andrés Izarra (actual ministro de la Comunicación y la Información),  declaró en aquellas circunstancias  muy preocupado: “la vida de Muñoz corre peligro”. Tenía  razón. Colombia no es un país seguro para los periodistas que denuncian el  imperante terrorismo de Estado promovido por sus gobiernos y sus órganos de seguridad.

Pero Colombia, y  eso la redacción de TeleSUR debería saberlo muy bien,   no es un país seguro  tampoco para Joaquín Pérez Becerra, con mayor razón para este hombre, nacido allá,  ex concejal del partido Unión Patriótica,  que  hace 20 años tuvo que huir de su país para no ser un numero más de los casi 4000 militantes de esta fuerza política asesinados  en pocos años por los   paramilitares y las fuerzas de seguridad colombianas.

Joaquín tuvo  que buscar refugio en Suecia después del secuestro y homicidio de su primera esposa, una víctima más de aquel genocidio político que llevó el nombre macabro de Baile Rojo.  Allá   obtuvo estatus de refugiado político y la ciudadanía sueca.

No obstante esta historia,  las autoridades de Venezuela  lo ha detenido, deportado y entregado en las manos del presidente colombiano  Manuel  Santos (ex ministro de defensa en el  gobierno de Uribe) sin pestañear, después de haber recibido Hugo Chávez  una llamada telefónica de parte de su homologo colombiano pidiéndole el favor.

TeleSUR entonces no se preocupa por la seguridad de Joaquín Becerra pero  además de eso publica artículos ofensivos y denigrantes.

Conociendo la trayectoria humana y  política del periodista sueco, que acabamos de contar, leer las infamantes preguntas, (¡no olvidémoslo! publicadas como opinión en la página de TeleSUR y no en cualquier bloguesito) que hace el tal Ivan Maíza, autor del artículo,  no se puede no reflexionar seriamente sobre el nuevo rumbo tomado por la Revolución Bolivariana: ¿Quién montó en este momento a Joaquín en ese avión? ¿Quién lo vendió para poner a la Revolución Bolivariana en riesgo de perder su ordenamiento estratégico?… ¿hay sectores en la izquierda revolucionaria que reciben órdenes del DAS?”

Eso se lee en la página de una cadena televisiva que pretende ser alternativa y además revolucionaria, que pretende dar la voz a los sin voz… Que pretende ser cadena televisiva de un gobierno revolucionario, bolivariano…

No es suficiente. Lo peor  es que el ex presidente de TeleSUR Andrés Izarra   desde su actual y tercer cargo de   ministro de  la Comunicación y la  Información (MINCI),   sabotea también la cobertura informativa respecto a las justas protestas que el gobierno está recibiendo  en estos días por la deportación de Joaquín Becerra.

Ayer en Caracas,   frente a la cancillería,   donde  centenares de representantes de los movimientos sociales y organizaciones políticas se habían  reunido para exigir al gobierno una explicación sobre lo sucedido, además de no estar presentes los periodistas de  TeleSUR  (que reciben precisas disposiciones del MINCI) ni de los mayores medios de comunicación, los pocos medios alternativos que cubrieron las protestas  como la Agencia Bolivariana de Prensa (será una casualidad pero la página ABP hoy no funciona),Radio del Sur, Avila TV,  Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV,  lo hicieron “contraviniendo la orientación general del Ministerio de Comunicación”. Fuentes venezolanas comentaron que el mismo Izarra,  realizó varias llamadas telefónicas a unos de ellos,  amenazándolos e insultándolos por dar  cobertura del  plantón.

Vuelven entonces a la memoria las declaraciones que hacía en una entrevista hace dos  años  Aram Aharonian,  destacado periodista uruguayo,  uno de los fundadores  y ex director de  TeleSUR   que se alejó  de la misma por “diferencias políticas, e incluso éticas”: “Telesur está tomada por ineptos, contrarrevolucionarios en el amplio sentido de la palabra: gente que recita consignas para parecer revolucionarios pero que no tienen la menor idea de qué se trata”.  Sus acusaciones, que entonces parecieron pesadas y graves, estaban  referidas al mismo Izarra. Ahora se ven  definitivamente confirmadas por los hechos.

Annalisa Melandri

 

 

 

 

 


Comunicados respecto a la detención de Joaquín Becerra

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Comunicados respecto a la detención de Joaquín Becerra


Appello della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) al comandante Chávez

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Questo il testo del comunicato della ABC, Asociación Bolivariana de Comunicadores, fondata a Caracas nel 2009 e della quale faccio parte, al comandante Chávez rispetto alla detenzione di Joaquín Pérez Becerra, della quale è tra i membri fondatori. (AM)

La Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC), condanna  profondamente la detenzione nel nostro paese dell’ operatore della comunicazione e membro fondatore della ABC, Joaquín Pérez Becerra e chiede al comandante Bolivariano Hugo Chávez Frías che annulli l’arresto e  impedisca il trasferimento del giornalista in Colombia.

Compagno presidente, non ci sono motivi per cui  si protragga la detenzione di Joaquín Pérez Becerra avvenuta  ieri all’ aeroporto di Maiquetia in Venezuela. Joaquín  non ha doppia cittadinanza, è cittadino svedese da quando, come perseguitato politico ha rinunciato  alla nazionalità colombiana dieci anni fa. Pérez è entrato nel nostro paese con passaporto svedese, e quindi non può essere deportato in Colombia come vari mezzi di disinformazione stanno anticipando. Caso mai dovrebbe essere deportato in Svezia. Lo stesso avviene quando esiste un  ordine di estradizione,  il governo colombiano infatti sta richiedendo un cittadino svedese.

Come esiliato politico non può  essere estradato in Colombia dal momento che il diritto internazionale rispetto al rifugio umanitario e all’asilo, stabilisce che nessuno può essere consegnato ad un paese dove la sua vita, la sua integrità fisica e la libertà sono in pericolo. Inoltre non può essere consegnato se non gli viene garantito il debito processo.  E’  di dominuo pubblico che il direttore dell’agenzia ANNCOL è permanentemente  e pubblicamente minacciato dal governo colombiano, nel gennaio dello scorso anno Joaquín Pérez e la direzione dell’Associazione Jaime Pardo Leal hanno sollecitato protezione al governo del primo ministro svedese, Fredrik Reinfeldt, viste le “costanti minacce ” del governo colombiano.  (altro…)


Intervista all’Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia Luis José Berroterrán Acosta

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di Annalisa Melandri

Questa intervista é stata pubblicata nel numero di Settembre della Rivista ALBA.


A.M. —  Potrebbe spiegare in cosa consiste l’Alleanza Bolivariana per le Americhe, quali sono i Paesi che ne fanno parte e gli obiettivi comuni?

J.L.B.A. — L’ Alternativa Bolivariana per le Americhe nasce come progetto alternativo volto a contrastare le politiche asimmetriche dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), creata dagli Stati Uniti d’America e dai Trattati di Libero Commercio, negoziati bilateralmente da questi ultimi con i Governi del continente.  Tali accordi rappresentarono un’evoluzione del concetto di globalizzazione nato a seguito della caduta del muro di Berlino, dove lo sviluppo informatico della produzione avrebbe permesso di inondare il mercato mondiale attraverso un gruppo limitato di produttori, condannando l’America Latina a divenirne il fornitore di materie prime permanente.

A partire dalla data della sua fondazione, il 14 dicembre 2004, su iniziativa del Governo del Venezuela e di quello di Cuba, e una volta che tale progetto di integrazione si consolidò, il nome venne modificato in Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America, in modo da arricchirlo ulteriormente attraverso l’introduzione del Trattato di Commercio con i Popoli, ALBA-TCP.

L’ ALBA promuove la trasformazione delle società latinoamericane, al fine di renderle più giuste, più colte, più partecipative e solidali, e dunque è concepita come un processo integrato destinato a garantire l’eliminazione delle disuguaglianze sociali, a migliorare la qualità della vita ed incoraggiare una partecipazione effettiva dei popoli nella costruzione del loro stesso destino.

Attualmente è composta da otto Paesi Membri: Cuba, Bolivia, Mancomunidad de Dominica, Ecuador, Nicaragua, Antigua e Barbuda, Venezuela, Saint Vincent e Grenadine, nazioni che compongono uno spazio di cooperazione che possiede 73 milioni di abitanti e 2,6 milioni di Km².

Altre nazioni latinoamericane attualmente fanno parte dell’ALBA in qualità di osservatori all’interno di differenti progetti, come per esempio PETROCARIBE, e stanno valutando la possibilità di entrarne a far parte completamente: Republica Dominicana, Guatemala, Paraguay, Haiti, El Salvador.

Le aree comuni promosse dai Paesi ALBA-TCP sono le seguenti:

Agricoltura, terra e alimentazione

Ambiente e cambiamenti climatici

Scienza e tecnologia

Cultura ed educazione

Democrazia, politica e partecipazione

Economia, produzione e  finanza

Enrgia e petrolio(Petrocaribe)

Sovranità, geopolitica, forze armate, sicurezza, difesa

Integrazione regionale

Telecomunicazioni e mezzi di comunicazione

Memoria storica

Forze politiche e movimenti sociali

Diritti umani, giustizia sociale e pari opportunità

Multipolarità endogena

Potere locale ed organizzazione comunitaria

Popoli originari

Salute pubblica e servizi ospedalieri

Solidarietà

Integrazione Sud-Sud

Trasporti e Infrastrutture

Turismo sociale, sport e ricreazione


A.M. — Quali sono le principali mete raggiunte dall’Alleanza Bolivariana delle Americhe a partire dal momento della sua creazione?

J.L.B.A. — Guardando ai Paesi non come semplici cifre di mercato ma come popoli, sorse tra i governi avanguardisti della regione l’idea di trasformare le loro società per renderle più giuste, più colte, più partecipative e solidali tra loro.

Per raggiungere tali obiettivi, l’ALBA si fonda su una serie di principi e basi essenziali:

1.- Il commercio e gli investimenti non devono essere fini a se stessi, ma devono rappresentare strumenti utili al raggiungimento di uno sviluppo equo e sostenibile, dal momento che una vera integrazione latinoamericana e caraibica non può essere figlia cieca del mercato, e nemmeno può rappresentare una semplice strategia per ampliare i mercati esteri o stimolare il commercio. Affinchè questo principio possa sussistere, è necessaria un’effettiva funzione dello Stato come regolatore e coordinatore dell’attività economica.

2.- Deve esistere un trattamento speciale e differenziato, che tenga in considerazione il livello di sviluppo dei diversi Paesi e la dimensione delle loro economie e che garantisca l’accesso degli stessi ai benefici derivanti dal processo d’integrazione.

3.- Tra i Paesi membri e produttori deve esistere complementarità economica e cooperazione, non competizione, in modo che venga promossa una specializzazione produttiva, efficiente e competitiva che risulti compatibile con lo sviluppo economico equilibrato di ogni Paese, attraverso strategie di lotta alla povertà e con la conservazione dell’identità culturale dei popoli.

4.- La cooperazione e la solidarietà devono esprimersi attraverso piani speciali rivolti ai Paesi meno sviluppati della regione: essi includono il Piano Continentale contro l’Analfabetismo, che usa tecnologie moderne già utilizzate in Venezuela, un piano latinoamericano di trattamento gratuito della salute, rivolto ai cittadini che non hanno accesso a tali servizi, ed un piano di borse di studio a livello regionale nelle aree di maggiore interesse per lo sviluppo economico e sociale.

5.- Creazione del Fondo di Emergenza Sociale, proposto dal Presidente Hugo Chávez durante il Summit dei Paesi sudamericani, svoltosi recentemente ad Ayacucho.

6.- Sviluppo integrato delle comunicazioni e dei trasporti tra i Paesi del latinoamerica e del caribe, che includa piani di costruzione di strade, ferrovie, linee marittime e aeree, telecomunicazioni, etc.

7.-  Promozione di azioni che favoriscano la sostenibilità dello sviluppo attraverso norme che proteggano l’ambiente, stimolino un uso razionale delle risorse ed impediscano la proliferazione di proprietari scialacquatori di consumo, lontani dalla realtà che vivono i nostri popoli.

8.- Promozione di un’ integrazione energetica tra i Paesi della regione, che assicuri una fornitura stabile di prodotti energetici a beneficio delle società latinoamericane e caraibiche, così come avviene nella Repubblica Bolivariana del Venezuela attraverso Petroamérica.

9.- Incoraggiamento agli investimenti di capitali latinoamericani in America Latina e nel Caribe, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dei Paesi della regione dagli investitori stranieri. A tal fine si creerebbero alcuni appositi strumenti, come un Fondo Latinoamericano per gli Investimenti, una Banca per lo Sviluppo del Sud e la Società di Garanzie Reciproche Latinoamericane.

10.- Difesa della cultura latinoamericana e caraibica e dell’identità dei popoli della regione, con particolare riguardo ed incoraggiamento nei confronti delle culture autoctone ed indigene.  Creazione della Televisione del Sud (TELESUR) come strumento alternativo al servizio della diffusione delle nostre realtà.

11.- Promozione di misure che facciano sì che le norme sulla proprietà intellettuale, proteggendo il patrimonio dei Paesi latinoamericani e caraibici dalla voracità delle imprese transnazionali, non diventino un freno alla necessaria cooperazione tra tutte le terre dei nostri Paesi.

12.- Concertazione di posizioni nella sfera multilaterale e nei processi di negoziazione di ogni genere, con Paesi e blocchi di altre regioni, includendo la lotta per la democratizzazione e la trasparenza negli organismi internazionali, con particolare riferimento alle Nazioni Unite ed agli organi ad esse connessi.


A.M. —   Tra gli obiettivi principali, come ci ha spiegato, vi è la riduzione delle differenze esistenti tra il livello di sviluppo dei vari Paesi che compongono il Latinoamerica. Questo rappresenta un passo fondamentale per raggiungere l’integrazione latinoamericana. Fino a che punto è stato realizzato tale obiettivo? Quali strumenti sono stati creati per permettere ai Paesi economicamente più deboli di avvicinarsi al livello di sviluppo di quelli più sviluppati?

J.L.B.A. - Con la nascita dell’ALBA l’integrazione regionale ha smesso di essere un meccanismo commerciale di depredazione dei popoli e del loro ambiente per trasformarsi in un processo di alleanza solidale, inclusivo e pieno di speranze.

Nell’ALBA-TCP il commercio e gli investimenti non vengono visti come fini a se stessi ma come strumenti per permettere uno sviluppo equo e sostenibile. Viene offerto un trattamento speciale ai Paesi più piccoli al fine di ottenere uno sviluppo complementare e promuovere la cooperazione tra tutti i Paesi. L’ALBA possiede un forte orientamento alla giustizia sociale, e si propone di affrontare e risolvere le asimmetrie esistenti in maniera diretta, attraverso convegni, progetti e piani d’aiuto, come le Missioni Sociali o le transazioni compensatorie esplicite. In tal senso, l’ ALBA-TCP rappresenta una totale rottura con la visione classica ed economicistica dell’integrazione e della cooperazione allo sviluppo. Al contrario, cerca di sviluppare un’alleanza politica strategica, storica, che possa unire le capacità ed i punti di forza dei suoi Membri per poter, in tal modo, liberare i suoi popoli e costruire la Patria Grande sognata da Miranda, Bolívar, Martí e Sandino. In tal senso, integrazione e cooperazione allo sviluppo nell’ALBA-TCP sono sinonimi. La visione sistemica dell’insieme dei Paesi Membri, integrati in modo solidale, e’ quella che permette di inquadrare e promuovere azioni nazionali e di renderle effettive.


A.M. — L’attuale crisi economica sta avendo effetti disastrosi sull’economia Europea e ciò si ripercuote tragicamente nel mondo del lavoro, con l’aumento del tasso di disoccupazione e di povertà. In che misura la crisi sta avendo ripercussioni sull’America Latina e quali risposte sta offrendo o sta cercando di offrire l’ALBA?

J.L.B.A. — I Paesi dell’ALBA-TCP hanno deciso che l’uscita dalla crisi non può trovarsi all’interno di risposte oligarchiche ed erronee che non considerino i popoli, né nella pretesa di rifondare un sistema finanziario internazionale che ha bisogno di essere sostituito con un altro in cui prevalga la solidarietà.

In tal senso i Presidenti di Ecuador e Venezuela rappresentano i più acerrimi difensori del recupero delle banche centrali, al fine di mettere queste ultime sotto il controllo pubblico. Per esempio, nel nostro Paese si cerca di esercitare un controllo pubblico sugli investimenti stranieri ed il cambio, in modo da poter evitare la fuga tempestiva di capitali e disarmare le strategie di destabilizzazione dell’oligarchia venezuelana.

A livello regionale l’America Latina ha proposto la creazione della Banca del Sud, associata              all’ UNASUR. Il suo obiettivo e’ quello di utilizzare le risorse fiscali dei suoi Paesi Membri come meccanismi di credito regionale volti al finanziamento di opere di integrazione e sviluppo regionale. In questo modo e’ nata l’idea di creare il Fondo del Sud, che utilizza una parte delle riserve monetarie per offrire un’assistenza rapida ed incondizionata in determinati casi, come per esempio nelle crisi monetarie per contagio, e diventa un meccanismo di autodifesa delle monete nazionali. Questo Fondo permetterà di compiere passi avanti nell’integrazione monetaria e nella creazione di una moneta comune, con l’obiettivo di sostituire il dollaro come moneta di scambio regionale.

L’ ALBA-TCP, a sua volta, ha creato un Sistema Unico di Compensazione Regionale (SUCRE), avviato per realizzare transazioni elettroniche che faciliteranno i flussi commerciali interregionali ed un progressivo abbandono del dollaro nelle relazioni commerciali interregionali e finanziarie tra i Paesi Membri, come presupposto per un Sistema Monetario e Finanziario Regionale. È stato creato un Consiglio di Compensazione Economica, attraverso l’integrazione delle aree dell’economia, della finanza, dell’industria, del commercio, della pianificazione e dello sviluppo: esso pianificherà gli investimenti necessari al soddisfacimento dei bisogni dei popoli di ogni nazione. Sono stati poi costituiti un Consiglio Monetario, una Camera di Compensazione, una Unita’ di Conto Comune ed un Fondo di Riserva e Convergenza Commerciale.


A.M. —  Tra le cause del Colpo di Stato in Honduras, vi era la decisione del Presidente Manuel Zelaya di unirsi all’ALBA, formalizzata nell’agosto del 2008. Considerando che l’ALBA costituisce un accordo di tipo economico-commerciale, gli Stati Membri come possono, uniti, far fronte a situazioni di questo tipo? Come possono reagire, a loro volta, rispetto al crescente interesse degli Stati Uniti d’America verso la regione, dimostrato recentemente  dall’istallazione di 7 basi militari nel territorio colombiano e dalla riattivazione della IV flotta?

Due fatti molto recenti confermano l’offensiva egemonica messa in atto dal Governo degli USA attraverso il Pentagono: essi costituiscono atti di aggressione contro tutta l’America Latina ed il Caribe. Risulta evidente, da parte degli USA, l’intenzione di concretizzare una dottrina politico-militare volta all’occupazione ed alla dominazione, a qualunque costo, di un territorio che da sempre e’ stato considerato come il loro cortile di casa, come è stato dimostrato dalla storia del “monroismo nordamericano”.

Il primo fatto riguarda il Colpo di Stato perpetrato in Honduras dalle classi borghesi protette dalla Missione Diplomatica nordamericana, avente alla radice l’intenzione di collocare un’urna addizionale non vincolante relativa al Referendum Costituzionale e di includere l’Honduras nell’ ALBA-TCP. Tale situazione, probabilmente, era stata condannata dal Presidente Obama, dalla sua Segreteria di Stato e da altre nazioni ed organizzazioni internazionali, ma senza dubbio è stata appoggiata dal Pentagono, che mantiene nella zona una base militare da dove, storicamente, vengono soffocati gli intenti liberatori nella regione e dove vengono addestrati i militari honduregni. Inoltre, e’ stata appoggiata dalla  United States Agency for International Development (USAID) e da altre ONG internazionali che inviano milioni di dollari per mantenere lo stato di fatto. Fortunatamente, il nuovo governo di El Salvador è stato già avvisato, e tutta l’America Latina conosce la situazione. I tempi dei Colpi di Stato sono tornati e le nazioni latinoamericane non accetteranno l’imposizione di governi non eletti sovranamente dai propri popoli.

Questo Colpo di Stato ha cercato poi di legittimarsi attraverso delle elezioni totalmente illegittime, dal momento che sono state realizzate sotto un regime dittatoriale, senza nessun tipo di garanzia per i cittadini né di diritti umani per i difensori del Presidente legittimo degli Honduregni.

Il secondo fatto riguarda la riattivazione della IV Flotta del Comando Sud degli USA (disattivato nel 1948, più di sessant’anni fa) e l’accordo tra USA e Colombia a seguito del mancato rinnovo della concessione della base militare di Manta in Ecuador. Dietro questo scenario è sorta una nuova strategia di controllo: l’occupazione e l’istallazione di sette basi militari in territorio colombiano utilizzando la scusa che si tratti di un piano per combattere il narcotraffico ed il terrorismo, quando invece l’investimento multimilionario durante l’implementazione del Plan Colombia ha portato risultati molto tristi.

Inoltre, gli Stati Uniti si arrogano la prerogativa di definire chi è terrorista e chi non lo è nel mondo. Allo stesso modo, si muovono sulla base del principio di guerra preventiva, dove un sospetto basta a giustificare un’azione bellica. L’America Latina e’ messa alla prova ed ogni Paese ed ogni gruppo di integrazione continuerà a difendersi come ha fatto il “Bravo Pueblo” dell’Honduras per difendere la sua democrazia.

Non a caso le artiglierie che puntano ai Paesi dell’ ALBA, al Venezuela, alla Rivoluzione Bolivariana e ai progetti di integrazione sono circondate da nientemeno che tredici basi statunitensi, situate in Colombia, Panama, Aruba e Curaçao, cosi come dalle portaerei e le navi da guerra della IV Flotta e dal Piano Merida.

Tutto ciò indica che gli sforzi volti a destabilizzare i Paesi impegnati nella lotta all’emancipazione ed il blocco contro Cuba sarannno mantenuti,  e che vi saranno altre aggressioni. L’esperienza golpista in Honduras dimostra che si è passati solamente ad un “neo-golpismo”, che possiede una maschera democratica non sprovvista dell’appoggio del Pentagono, anche se l’amministrazione di Obama tende a negarlo.

Questo dispiegamento di forze paramilitari non ha ricevuto sanzioni né a livello internazionale, né in seno alle Nazioni Unite e nemmeno da parte dell’Unione Europea, ed il fatto più triste è che Paesi fratelli hanno perso la propria sovranità nazionale permettendo alle truppe americane di rimanere nel loro territorio.

Sono certo che i popoli della nostra America Latina che sostengono i cambiamenti progressisti non permetteranno che si commetta un nuovo crimine contro la democrazia.


A.M. —  In Italia ed in Europa l’informazione che arriva dall’America Larina e, in particolare, dai Paesi con Governi progressisti di sinistra o centro-sinistra viene manipolata e filtrata dai mezzi di comunicazione, offrendo una visione distorta e molte volte falsa. Che supporto può offrire, secondo lei, una rivista come “ALBA” all’informazione, in relazione ai temi latinoamericani?

J.L.B.A. — La Rivista «ALBA» costituisce uno strumento di cui la comunità italiana aveva bisogno e serve a contrastare la manipolazione mediatica e l’opinione venduta sul Venezuela.

La linea editoriale dei mezzi privati risponde agli interessi delle grandi imprese transnazionali, quindi una rivista che presenti un’informazione chiara sulla politica bolivariana e, inoltre, sotto l’egida dell’integrazione latinoamericana, credo costituisca, senza alcun dubbio, un elemento positivo.

L’obiettivo fondamentale è quello di far conoscere ciò che si sta facendo, attraverso la veridicità dei fatti e delle fonti, in modo da poter rafforzare la politica di comunicazione e d’informazione. Citando una poesia di Mario Benedetti, vedo che ciò che sta succedendo nel nostro Paese e nel nostro Continente è necessario e «cosa accadrebbe se un giorno ci svegliassimo e ci rendessimo conto di essere la maggioranza? Cosa succederebbe se anziché continuare ad essere divisi ci moltiplicassimo, ci sommassimo e fermassimo il nemico che interrompe il nostro passo?».

La consegna di un’informazione di prima mano, realizzata da giornalisti progressisti, latinoamericani ma anche italiani che hanno conosciuto la realtà dei nostri Paesi, è un qualcosa di nuovo per questa società. Infatti, se non venisse compreso sin dalle sue basi il processo di trasformazione che sta vivendo l’America Latina, non potremmo comprendere l’importanza della costruzione di questo processo stesso; quindi, senza questa Rivista sarebbe molto facile cadere nella disinformazione che viene venduta tutti i giorni attraverso la radio, la stampa e la televisione contro il Venezuela, l’ALBA-TCP ed i Paesi seguaci di un processo di cambiamenti sociali di sinistra, il cui obiettivo centrale è il raggiungimento di una democrazia partecipativa che coinvolga il cittadino nell’assunzione delle decisioni.

In Venezuela, ultimamente, è stato inaugurato un movimento chiamato “le guerriglie comunicazionali”, che propone il coinvolgimento dei cittadini nelle questioni comunicative, al fine di moltiplicare le loro forme di espressione: esso nasce dalla pratica di un popolo che si erge a soggetto degli eventi. Così, nonostante il bombardamento mediatico non colpisca le menti dei venezuelani, la Rivista cerca di creare protagonisti che esprimano veramente i fatti che vive il nostro Continente.

Spero che questo mezzo di comunicazione abbia risonanza anche in altre città italiane, al fine di motivare i sostenitori dell’integrazione solidale latinoamericana a creare altri mezzi informativi e comunicazionali convenzionali e non convenzionali.


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