L’America latina e la disabilità, verso un nuovo patto sociale

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Cresce la coscienza del diritto all’assistenza per le categorie protette, ma i fondi sono ancora minimi

di Annalisa Melandri — in esclusiva per l’Indro — 19 Aprile 2013

La Cepal è la Commissione Economica per l’America latina e i Caraibi, organismo delle Nazioni Unite con sede a Santiago del Cile, che ha l’obiettivo di “contribuire allo sviluppo economico dell’America latina, coordinare le azioni volte alla sua promozione e rafforzare le relazioni economiche dei paesi tra loro e con le altre nazioni del mondo”.

Il rapporto ‘Panorama Sociale della regione 2012, presentato nel novembre dello scorso anno, per la prima volta pone enfasi particolare sui vari aspetti relativi all’assistenza dei settori più vulnerabili della società come i  disabili, i bambini e  gli anziani, ed è abbastanza innovativo e importante in questo senso, perché analizza parametri che, per la prima volta nella regione, vengono studiati in modo sistematico ed analitico.
Si tratta, si legge nell’introduzione del rapporto, di elementi, quali la spesa pubblica in tale settore, la spesa delle famiglie, l’assistenza sociale come forma di impiego, che sono stati “tradizionalmente evitati dalla politica pubblica e che negli ultimi  anni sono entrati vivacemente nell’agenda politica dei paesi dell’America latina e dei Caraibi”.
Per la prima volta, anche se molto c’è ancora  da fare in tal senso, si può dire che i servizi assistenziali vengono visti come un diritto di cittadinanza e non un servizio aggiuntivo, o peggio, di beneficenza.

L’America Latina è una regione in continua crescita e nonostante il momento di inflessione registrato nel corso dell’anno 2009, sia il 2011 che il 2012 sono stati caratterizzati da una crescita annuale del Prodotto Interno Lordo pari al 4,3 per cento e al 3,2 per cento rispettivamente.
Gli indici di povertà e di povertà estrema sono ancora molto elevati: 168 milioni di persone in America Latina e nei Caraibi vivono in condizioni di povertà e 68 milioni sono indigenti, tuttavia questi numeri diminuiscono costantemente anno dopo anno. In questo senso, per il 2012, i paesi che maggiormente hanno contribuito a ridurre questi indici sono stati l’Ecuador, il Paraguay e il Perù. In Ecuador, che è uno tra i paesi dell’America latina che ha fatto i maggiori progressi nell’eliminazione della povertà, questa è passata dal 37,1 per cento del 2010 al  32,4% del 2011.

Tuttavia quello che più salta all’occhio in termini generali è il dato, anche se non ancora ben quantificabile numericamente, per la differenziazione degli aspetti che lo compongono, delle politiche destinate ai settori più vulnerabili della società: anziani, bambini e disabili.
Soprattutto per quest’ultima categoria, la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (CRPD per la sua sigla in inglese), approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2006 ed entrata in vigore nel 2008, rappresenta “il primo strumento ampio dei diritti umani del XXI secolo e la prima [convenzione ndr] che si apre alla firma delle organizzazioni regionali di integrazione”, come per esempio l’Unione Europea o l’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane).
È stata firmata a tempo di record, come mai successo prima d’ora, da 155 paesi e  ratificata da 126, tra i quali quasi tutti i paesi dell’America latina e Caraibi. In Argentina è diventata legge dal 2008, la n. 26.378.

In America latina oltre un 12 per cento della popolazione totale convive con una disabilità di qualche tipo e  nei Caraibi, circa un 5,4 per cento; in totale  oltre 66 milioni di persone. Tuttavia, vista la difficoltà, ancora oggi, di avere accesso documentato e  sicuro a questi dati — ricordiamo che si tratta di studi relativamente recenti — e anche per la differenza stessa che viene applicata dai diversi paesi al momento di valutare una disabilità, si stima che siano molte di più. Il Banco Mondiale considera che siano oltre 85 milioni i disabili in America latina e Caraibi.

Rispetto a una visione di genere, emerge che le donne sono le più colpite, soprattutto quelle oltre i 60 anni, alle quali si aggiungono gli anziani, gli abitanti delle zone rurali, le popolazioni  indigene e afrodiscendenti  e le persone di più scarse risorse.

Tanto per avere un’idea della difficoltà nel recente passato nel reperire dati per poter redarre un rapporto completo ed esaustivo, la stessa Cepal ricorda che, “nei censimenti delle popolazioni e degli alloggi realizzati nel decennio 1990–2000, solo  la metà dei paesi  latinoamericani includeva domande rispetto alla disabilità, mentre tra il 2000 e il 2010 di 20 paesi lo hanno fatto 19”.
La Cepal, inoltre, fa anche notare come tra il 1990 e il 2000 sia cambiato anche l’approccio verso la disabilità: mentre prima le domande erano riferite a condizioni quali la sordità, la cecità e generiche deficienze mentali, ora la disabilità viene indicata generalmente rispettando quanto indicato dalla Convenzione del 2006 (che in questo senso ha quindi fornito uno strumento validissimo) e cioè che la  “disabilità è un concetto in continua evoluzione e che  è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri”.

La panoramica sulla disabilità nella regione e sulle sue conseguenze sociali pone spesso l’accento sulla questione di genere: in ogni paese analizzato si evidenzia, infatti, come le donne e le bambine di ogni età formino uno dei gruppi più emarginati.
Le donne soffrono disabilità sia per le possibilità di vita maggiori che hanno rispetto agli uomini, in termini di anni di vita, ma anche perché spesso, a differenza degli uomini, si ritrovano a vivere gli ultimi anni della loro vita in condizioni economiche precarie, il che porta a trascurare alcune patologie mediche che con il tempo portano disabilità di vario tipo. Rispetto alle conseguenze, le donne e le bambine disabili subiscono abusi e violenze sessuali dalle persone che invece dovrebbero prendersi cura di loro. Spesso ancora, donne e bambine, diventano disabili a causa di maltrattamenti in famiglia o violenze sessuali che hanno subito.
Nei paesi che hanno avuto  una storia recente di conflitto armato, la disabilità degli uomini generalmente è  dovuta a questa causa, come in Colombia, El Salvador, Honduras, Messico e Guatemala.

Come abbiamo detto, il tema è entrato prepotentemente nel dibattito pubblico in America latina, i cui governi a livello di politiche stanno progressivamente rispondendo in modo positivo con l’implementazione di programmi sociali volti direttamente al sostegno delle persone disabili o delle persone che si prendono cura di loro, soprattutto le donne in ambito familiare, tuttavia nessuno di questi programmi gode ancora di un  sostegno economico sufficiente, che gli permetta di agire in piena autonomia. In America latina, generalmente i programmi sociali, di qualsiasi tipo, per la maggior  parte sono soggetti alla beneficenza dei privati.
Nei paesi osservati, la Cepal fa notare che nessuno dei programmi sociali ottiene oltre l’1 per cento del PIL e generalmente quelli per le persone disabili si trovano ancora all’ultimo posto nella distribuzione dei fondi, dopo i programmi per l’infanzia e per gli anziani.

Lentamente, tuttavia si sta formando la coscienza, in questa parte di mondo, sia a livello politico che di società civile, che il sistema di assistenza per le  categorie ‘protette’, nell’ambito di un “patto sociale che permetta di avanzare verso una maggiore uguaglianza”, rappresenta  solo uno in più dei tanti diritti civili e di cittadinanza di cui gode la popolazione, al pari, per esempio, del diritto di voto.

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