La fame è un’ arma

4 commenti


La fame è un’ arma (potenziale)

La fame  è un’arma di distruzione di massa si dice spesso. Sicuramente lo è. Può però trasformarsi anche in un’ arma nelle mani dei popoli. E’ avvenuto in Tunisia come  mostra la foto. In FB, una persona che stimo molto per il suo lavoro,  ha scritto che dovrei  togliere l’aggettivo che ho usato e cioè POTENZIALE, in quanto la fame sempre porta rivoluzioni.  Non ne sono convinta, altrimenti con un miliardo di persone nel mondo che soffrono completamente  la fame e un altro miliardo che sopravvive  con meno di due dollari al giorno,  il mondo sarebbe in rivoluzione permanente. L’ Africa sub sahariana poi sarebbe una polveriera e paradossalmente la “rivoluzione” è scoppiata in quella parte del continente africano dove meno fame c’ è…

Mi sembra uno spunto di riflessione interessante. Che ne pensate?

Tunisia, 18/01/2011

Fred Dufour/AFP

Fonte: http://diariogauche.blogspot.com/

ringrazio l ’amico Alessandro Vigilante per la segnalazione

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    Alessandro Vigilante ha detto:

    anche la creativitá e l´ironia (coraggiosa) nelle manifestazioni, piuttosto che lo scontro con le armi “convenzionali” o con i caschi…

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    Carla Mariani ha detto:

    Mi viene di pensare ad Helder Camara, e penso che se la fame è un arma dei potenti il domandarsi perchè c’é la fame è una rivoluzione! E facciamola ‘sta rivoluzione … Ricordatevi io sono Antonio

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    salvo ha detto:

    Bellissima la fotografia, ma molto idealista. Un tema interessante da porre in questi giorni, sia perché stiamo assistendo a sollevazioni popolari contro regimi corrotti e affamatrori, sia perchè si è perso –da troppo tempo– il gusto per le analisi dei movimenti sociali.
    Tre cose:
    –il concetto di “fame”. Usiamo la tipologia dettata dalle Nazioni Unite di considerare “povertà” chi sopravvive con meno di due dollari al giorno, (circa un miliardo e mezzo di persone e decine di milioni solo negli Usa) oppure la consideriamo come categoria storica che assume in ciascun paese e in ciascun periodo una valutazione diversa, secondo la percezione di quella parte di popolazione.
    Seconda cosa, il soggetto di queste rivolte “potenziali” o “effettive”. Si dice il “popolo”. Ma chi è il popolo? Tutta la popolazione oppure la sua parte più oppressa e sfruttata?
    Terza cosa: cosa intendiamo per “rivoluzione”?
    La storia delle sommosse per il “pane” passate e presenti ci restituiscono masse di indigenti che chiedono ai governanti di essere “trattati” meglio, oppure chiedono ai governanti attuali di andare via e sostituirli con altri perchè li “trattino” meglio. Per tutte le teorie delle rivoluzioni sociali (non solo di stampo marxista, ma anche borghese), detto in soldoni: per rivoluzione si intende un rivolgimento sociale nel quale una parte della popolazione cambia il regime o sistema sociale esistente e si candida a instaurare un altro regime nel quale la parte insorgente diventa la classe dirigente.
    E’ totalmente diversa quindi l’azione di chi fa “rivoluzione” e di chi fa “sommossa”. Il primo è soggetto agente e “autonomo” dai vinvoli precedenti (sociali, economici, giuridici); il secondo è soggetto che accetta la sua subalternità rimanendo sottomesso ad un nuovo gruppo dirigente.
    Nessuna “rivolta per il pane” si è trasformata in “rivoluzione” se non nei casi in cui ha incontrato un soggetto politico: cetopolitico borghese, per le rivoluzioni borghesi; ceto politico nazionalista, per i processi di liberazione dal colonialismo; partito comunista, per le rivoluzioni socialiste; soggetto politico che ha conferito “autonomia” al movimento rendendolo capace di instaurare un nuovo regime.
    La storia ci restituisce la gran parte dei “moti per il pane” come moti subalterni che venivano strumentalizzati ora da questo ora da quel gruppo politico che non cambiavano di nulla la condizione di fame della popolazione rivoltosa. Mentre le lotte più interessanti e più propositive per i cambiamenti che hanno introdotto, sono state lotte fatte non dagli “affamati”, ma da classi sociali non affamate, ma consapevoli del proprio ruolo nella società e delle proprie possibilità.
    Comunque la si pensi, qualunque ideologia si frequenti, non si può non riconoscere che tutto quello che, in una parte del mondo, l’umanità può vantare come “prodotto di civiltà”, quelle cose che ci teniamo strette e che non vorremo perdere, ebbene tutte queste “conquiste” sono state ottenute dall’attività rivoluzionaria della borghesia rivoluzionaria del 600–700 e della classe operaia dell’800–900, e non erano settori di popolazione “affamata.

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