L’ONU ad Haiti

2 commenti




dal diario – di Simone Bruno
20 gennaio 2010
 


(foto di Emiliano Larizza)

Fonte: Haiti Freelance – ( 4 romani ad Haiti )

Haiti, 20 gennaio
 

Federico si è addormentato da un po’ sdraiato nel pratino davanti alla porta dell’ ufficio della logistica del WFP, che è anche il posto dove internet funziona sempre. Ha trovato una coperta abandonata, un cartone, una palma e chiama il tutto casa. È tardi, quasi l’una ormai, volevo leggere cosa scrivono i giornali e selezionare un po’ di foto, oltre che scrivere un pezzo sulla gran farsa degli aiuti. Ormai i cancelli della base ONU sono chiusi e comunque non troverei un passaggio per tornare da Fiammetta, la coordinatrice di AVSI ad Haiti che ci ha permesso di accamparci a casa sua. Mi devo arrangiare e trovare un posto dove sdraiarmi qualche ora nella base della Minustah.

Per fortuna molte macchine dell’ Onu dentro la base vengono lasciate aperte proprio per dormirci, visto che molti hanno perso la casa e tanti giornalisti o volontari non sanno dove riposare.

Per fortuna trovo un furgoncino vuoto, gli altri erano occupati e quelli che avevano qualche posto avevano i finestrini chiusi. Odio quell’odore che fanno le persone quando dormono insieme e non aprono le finestre.

Ironico, una settimana tra i cadaveri e mi lamento dell’odore dei vivi.

Non avevo mai visto tanti morti, non mi sono abituato, eppure non mi commuovo vedendoli, credo che il mio cervello non li registri come umani, sono gonfi, enormi, e i volti sono sfigurati. Poi hanno quel rigagnolo. E’ la linfa, mi ha spiegato un medico volontario, la nostra acqua che lentamente li abbandona. Devo fare uno sforzo razionale per pensare a loro e alla vita che hanno perso; quello, quando ci penso, mi commuove. Poi l’odore. È talmente forte che entra nel cervello e ti fa allontanare. Fabio invece resiste di più, si avvicina, scatta le foto riuscendo ancora ad avere composizioni perfette.

 

Quello che invece non riesco a guardare sono i malati negli ospedali, sento il dolore delle persone a livello irrazionale, soprattutto se sono bambini che non ridono più.

Ho visto parecchi degli ospedali, sono decine di migliaia i feriti. Far loro le foto mi fa pensare: se fossi io al loro posto me ne farei fare? Forse no, forse mi incazzerei, loro no. Finora nessuno mi ha mai detto nulla. Qualcuno sorride, qualcuno no e mi guarda. Mi chiedo a cosa pensano, chi hanno perso e se si domandano cosa voglio.

Ma perchè non piangono? Ora che ci penso non ho ancora visto una lacrima dopo una settimana qui. Perché non si disperano e non gridano?

Ho chiesto alla gente che vive da tempo e al marito di Fiammetta, che è haitiano.

Mi sono fatto l’idea che sia una ragione culturale che si mischia con vari schemi sociali di un paese conquistato, colonizzato, invaso e poi aiutato con la stessa violenza.

Insomma il risultato è che gli haitiani convivono giornalmente con la morte e quindi non li tocca tanto, almeno in modo visibile, spesso sorridono quando si parla di qualcuno morto. E poi sono diventati molto individualisti, anzi forse lo sono diventati come reazione alla loro negazione della morte e del lutto.

Forse, penso, dovrei scriverle queste cose, le dovrei raccontare. Ma come si può fare a dire una cosa del genere senza sembrare che li accusi o non li rispetti?

 

Anche se ora dormo in una macchina ONU dentro una base ONU penso di odiare la gente dell’ ONU. Non singolarmente, anzi, uno ad uno mi stanno anche simpatici, alcuni sono preparati e interessanti, ma, tornare sudato, con i morti negli occhi e nelle narici e vederli seduti a bere un caffè, o scorazzare in macchine blindate e oscurate mi irrita. Perché devono sempre costruire le loro oasi di coca-cola e aria condizionata ovunque vadano e perché non parlano creolo se sono qui da 5 anni?

Perchè hanno le unghie pulite in questi giorni?

È una nuova burocrazia internazionale, di gente molto specializzata nel fare poco con il massimo sforzo.

Del resto chi vorrebbe una ONU forte rapida e autoritaria? Sicuramente nessuno dei paesi che la finanziano. E quindi il meccanismo deve essere tutto protocollato e farraginoso, sembrando organizzato, tecnico e specializzato allo stesso tempo.

Penso di avere circa 4–5 ore per dormire oggi, domani Fabio ed Emiliano vanno fuori città, io e Federico invece voliamo con gli elicotteri americani per vedere come funzionano gli aiuti.

 
P.S.

4 romani a Port Au Prince sono:

Fabio Cuttica dalla Colombia

Emiliano Larizza da Santo Domingo

Federico Mastrogiovanni da Città del Messico

Simone Bruno dalla Colombia

 
  1. avatar
    Mauro Pigozzi ha detto:

    L’agonia di paesi come Haiti non finirà mai, purtroppo… Comunque grazie a questi quattro ragazzi almeno abbiamo una voce non convenzionale e vera da quella terra! Pubblicherò tutti gli articolo di Federico Mastrogiovanni sul mio profilo di Facebook, per quello che può servire, visto che tanti, purtroppo, dei cosiddetti “amici” del Social Network non perderanno tempo a leggerli!

  2. avatar
    Francesco ha detto:

    Non voglio difendere l’ONU, anche io penso che sia il volto (finto) buono degli stessi paesi che scatenano guerre e generano povertà. Ma al tempo stesso mi fanno ribollire il sangue i giornalisti, che parlano e criticano quando poi sono i primi a lucrare sulla sofferenza delle persone. Se fossi steso in un letto d’ospedale e uno sconosciuto mi venisse a fotografare penserei: “ecco un altro bastardo venuto qui per poter sbattere la mia foto su un sito o su un giornale e scrivere un articolo toccante per avere 5 minuti di gloria”. Non siete meglio di chi criticate e la vostra presunzione ripuganante.

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