Emergenza terrorismo: a Maroni e la Repubblica super premio fantasia

2 commenti

L’Unità, tale e quale non si smentisce. A la Repubblica invece il premio per la fantasia: il manuale Cyber– Brigadista è geniale. Intanto ricordo che il suddetto manuale, scaricabile gratuitamente da qui come da decine di altri siti lo utilizzano quasi tutti, dalla Polizia alle grandi imprese, dai militanti di mezzo mondo ai giornalisti prezzolati…
Che dire… dagli aeroplanini telecomandati al manuale del terrorista passando per le armi del nonno partigiano, ci sarebbe da ridere se non fosse che c’è gente in galera davvero per queste stronzate. (AM)
 
Fonte: Baruda
In carcere a Milano Manolo Morlacchi, figlio di Pierino, fondatore delle Br. Accusato dalla Digos di banda armata
di Paolo Persichetti, Liberazione 19 Gennaio 2010
Smantellata nel corso del 2003 la fragile struttura che in occasione degli attentati mortali contro Massimo D’Antona e Marco Biagi aveva riesumato la sigla delle Brigate rosse-partito comunista combattente, gli apparati investigativi, in particolare quelli della Digos romana guidata da Lamberto Giannini, hanno da allora deciso di portare avanti una strategia investigativa improntata essenzialmente all’azione preventiva contro gli ambienti ritenuti, a torto o a ragione, contigui alle aree politiche antisistema.
Per gli uomini dell’antiterrorismo le azioni del 1999 e del 2001 sono la conseguenza dell’affrettata convinzione che il fenomeno lotta armata avesse trovato termine alla fine degli anni 80, con il conseguente abbandono delle indagini sui superstiti. Gli arresti di Manolo Morlacchi e Costantino Virgilio, realizzati ieri mattina a Milano, sono la diretta conseguenza di questa filosofia. Una concezione del lavoro d’indagine che si avvicina molto di più alle tecniche di rastrellamento che a quelle dell’inchiesta mirata. Impostazione che ormai non trova più oppositori davanti a se. La cultura garantista si è liquefatta e l’idea dell’arresto preventivo, cioè prima che un fatto-reato sia stato effettivamente commesso, in questo caso la costituzione di una banda armata, la realizzazione di un reticolo associativo illegale e clandestino, è una circostanza che non contesta più nessuno.
Lunghe custodie cautelari in regime di carcere duro anticipano condanne che forse nemmeno verrano. Giustizia dissuasiva.
Gli arresti di ieri sono lo sviluppo dell’operazione realizzata nel giugno scorso e che aveva portato alla perquisizione dell’abitazione dello stesso Manolo, del fratello Ernesto e di un cugino. In quel caso erano state arrestate cinque persone, ancora oggi detenute nel carcere di Catanzaro dove sono stati raggruppati in regime di elevata vigilanza (circuito As 2) tutti i prigionieri politici. In possesso di alcuni degli arrestati venne trovata della documentazione ideologica che teorizzava la ripresa della lotta armata e alcune armi arrugginite buone solo per la rottamazione. A Morlacchi e Virgilio, invece, è stato contestato il rinvenimento di un manuale d’istruzioni per criptare documenti informatici e non lasciarsi tracciare in rete. Materiale in possesso di hacker e militanti per i diritti civili e la libertà di espressione di mezzo occidente. E una serie d’incontri definiti dalla Digos «strategici», cioè con cadenza fissa. Modalità che gli inquirenti ritengono “sospette”, insieme ad alcune telefonate con Luigi Fallico, il cinquantasettenne corniciaio romano attorno al quale ruota tutta l’inchiesta. Si tratta, in effetti, di un’equazione investigativa. Secondo l’accusa Fallico avrebbe tentato di costituire una formazione denominata “per il comunismo Brigate Rosse”, la stessa che rivendicò un piccolo attentato contro una caserma dei Parà di Livorno nel 2006. Incontrandolo, Virgilio e Morlacchi, per una sorta di proprietà transitiva sarebbero divenuti essi stessi membri della fantomatica organizzazione che nei documenti ideologici ritrovati veniva solo ipotizzata. Poco, anzi niente, ma quanto basta per qualche annetto di custodia cautelare.
La vera colpa di Morlacchi sembra un’altra: quella di avere un nome che pesa. Suo padre Pierino fu, infatti, uno dei fondatori delle Brigate rosse e Manolo recentemente si è laureato con una tesi sulle Br ed ha pubblicato un bel libro sulla storia del padre, La fuga in avanti. «Non è giusto essere svenduti come terroristi soltanto per il cognome che portiamo», aveva detto dopo la perquisizione di giugno. L’arresto di ieri dimostra il contrario. I fantasmi della lotta armata sembrano destinati ad avere lunga vita. Chi li teme non ha capito che il problema sta nella mancata chiusura politica degli anni 70. Così un’altra storia non è mai cominciata.
  1. avatar
    spartaco ha detto:

    La miseria del giornalismo italiano non ha ancora raggiunto il fondo. Questa campagna demenziale/criminale solo per incutere paura nei già terrorizzati cittadini italioti e per esaltare la potenza delle forze dell’”ordine” ha superato gli squallidi azzardi dell’Ovra, la polizia del regime facista.
    Brava Annalisa nel denunciarlo. Ma cosa dicono tutti gli altri alternativi? Quelli che esaltano la “rete”, internet dove, dicono, c’è democrazia comunicativa? Accidenti che silenzio!!!

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    Mauro Pigozzi ha detto:

    Cosa pretendere da un Ministro che fa parte di un partito che ha alla base la sola propaganda, senza alcun tipo di proposta seria, se poi calcoliamo che a breve ci saranno le elezioni regionali, si capisce a cosa punta il cosiddetto Ministro degli Interni: far paura a qualche Padano rincoglionito sul possibile ritorno ad una stagione terroristica…

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