Oaxaca un anno dopo — Conversazione con Jessica Sánchez Maya, presidente della Limeddh di Oaxaca

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Ho incontrato Yesica Sánchez Maya, presidente della Limeddh di Oaxaca, nella sede dell’associazione   il 20 agosto scorso.
Attualmente lavorano per la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani di Oaxaca, a vario titolo circa 12 persone, fino a un anno fa, cioè fino al momento in cui si è manifestato in tutta la sua violenza il conflitto sociale,  soltanto lei e una segretaria  riuscivano ad occuparsi di tutto.
Questo già rende l’idea di cosa sia cambiato qui in questi mesi.
 
L’acutizzarsi e il successivo divampare così violentemente del conflitto sociale infatti  è come se avessero permesso alla società oaxaqueña di sviluppare una coscienza diversa di quello che sono e quello che  rappresentano i diritti umani e dell’importanza fondamentale che rappresenta la denuncia delle loro violazioni per poter permettere alle associazioni che se ne occupano di intervenire in difesa delle persone.
 
Nonostante la pace apparente e  la ritrovata serenità dei cittadini, che sembrano sforzarsi di raccontare, soprattutto ai turisti, di quanto ormai la situazione sia tornata tranquilla,  basta però dare uno sguardo ai giornali la mattina  per rendersi conto di come  la situazione reale non sia proprio questa.
Yesica spiega che ormai si tratta di un conflitto latente, che non esplode in manifestazioni violente come è accaduto un anno fa o più recentemente a luglio di quest’anno, in occasione della festa della Guelaguetza, ma che non per questo al momento  sia meno violento.  
 
L’ultimo e più recente caso di desaparecidos risale infatti al mese di maggio di quest’anno con la denuncia della scomparsa da parte dell’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) di due suoi militanti.
 
La situazione dei diritti umani a Oaxaca ruota principalmente intorno a tre argomenti fondamentali e cioè:
- la difesa dei diritti delle donne
- la difesa dei popoli indigeni
- l’appoggio al movimento sociale che si è reso  necessario negli ultimi tempi.
 
Il movimento sociale a Oaxaca – la  repressione
Chiediamo a Jessica cosa intende per “movimento sociale di Oaxaca” ed anche se  il pensiero corre immediatamente alla APPO, lei ci spiega che sebbene questo sia  stato  il movimento che maggiormente ha monopolizzato l’attenzione sia nel paese che all’estero, (anche per la grande  l’adesione che raccolto di circa  300 organizzazioni civili e sociali), l’impegno della Limeddh in questo senso va ben oltre,  essendo Oaxaca uno stato che  conta con la presenza di 16 popolazioni indigene, ognuna con la sua lingua e le sue tradizioni, ed avendo una storia  di violazione dei diritti umani ben  precedente  alla formazione della APPO.
 
Lo scorso anno si è manifestata una crisi politica sociale strutturale dove l’autoritarismo ha raggiunto  un limite tale da rompere  l’apparente armonia  che esisteva  tra la popolazione e il governatore.
Ma esisteva di fatto  questa  armonia?
“No, non c’era” – ci spiega   Yesica – “ma esisteva un patto non scritto con  il quale, nonostante gli episodi di denuncia di violenze e  di scontri, si riusciva a mantenere  un clima di relativa tranquillità dove la  situazione non degenerava in violenza e in confronti violenti tra  le forze di polizia e la popolazione”.
 
Il 22 maggio del 2006 ebbe inizio la protesta dei maestri, i quali come tutti gli anni avevano costituito un presidio. Essi non protestavano soltanto per ottenere  aumenti salariali. Le loro rivendicazioni non erano infatti soltanto sindacali, essi lottavano anche per il diritto allo studio degli indigeni, per le borse di studio, per le migliorie strutturali  nelle scuole.
I maestri, come spesso accade,  si erano fatti portavoce  delle istanze di tutta la comunità.
 
Già erano trascorsi fino a quel momento due anni di governo di Ulises  Ruiz e poiché a  Oaxaca era noto che egli aveva vinto  le elezioni con un  fraude,  quella che si presentava fu l’occasione propizia per potersi legittimare (usando la forza) in uno  scenario politico e sociale che di fatto lo stava delegittimando.
Lo slogan che Ulise Ruiz portava  avanti con il suo  governo era “ni marchas ni plantones”  (né manifestazioni né presidi) e questo è stato il segno peculiare che ha caratterizzato tutto il suo agire politico e sociale.
Aveva già attaccato in vario modo le  organizzazioni sociali e l’unica entità che mancava ancora all’appello era il sindacato dei maestri.
Il suo governo iniziò a portare avanti una campagna denigratoria contro i maestri dei presidi, mostrandoli come degli inetti, smidollati dediti a leggere  novelas invece di tenere lezioni, senza voglia di lavorare e pericolosi per l’ordine pubblico.
Ulises  stava così  preparando il campo per legittimare la repressione che sarebbe venuta, stava organizzandosi  perchè si arrivasse poi al 14 giugno, giornata dello sgombero violento dello zócalo,  creando  un sentimento generalizzato di insofferenza verso i maestri da parte della popolazione  di Oaxaca.
 
“Noi siamo sicuri” — conferma Jessica  - “che effettivamente chi governava e chi dirigeva la situazione qui a Oaxaca, almeno fino al giugno 2006 quando è scoppiata la crisi, non fosse Ulises Ruiz,  ma Jorge Franco Vargas, che fu segretario generale del Governo. Praticamente qui a Oaxaca comandava lui. Egli è una persona autoritaria, e così per esempio in linea con questa politica lo sgombero dello zócalo fu programmato per le 4 di mattina. I maestri stavano dormendo,  dietro le barricate  c’erano famiglie intere, era nell’aria che  accadesse qualcosa   ma non con quella violenza. C’erano 3000 poliziotti contro, 20mila-40mila maestri (anche se alcuni hanno parlato di circa 70mila). Li hanno assaliti  nel sonno, non si era mai vista in Oaxaca una repressione così violenta, con gas lacrimogeni, donne che hanno abortito, anziani picchiati. Si dice, senza avere riscontri certi, di persone che sono morte”.
 
Quello che è successo la notte del 14 giugno ha fatto sì invece che il popolo si domandasse come sia stato possibile che il governatore avesse potuto agire in quel modo contro la cittadinanza. La popolazione  iniziò  a manifestare sentimenti di rabbia contro di lui, soprattutto per   il modo in cui fu condotta l’operazione, così violentemente, di notte,  senza preavviso.
I maestri però si organizzarono e il giorno seguente riuscirono a riconquistare lo zócalo cittadino, erano le 12 e davanti ai nostri uffici i poliziotti lanciavano gas lacrimogeni e si scontravano con i maestri”, racconta Yesica.
 
Fino a quel momento tutto il movimento sociale che con la repressione di Ulises Ruiz si era tenuto nell’ombra,  dopo queste manifestazioni di violenza uscì  allo scoperto  e si organizzò.
 
E’ importante riconoscere a  Oaxaca la funzione di colonna portante del movimento che hanno avuto i docenti in quanto essi hanno sempre appoggiato le rivendicazioni di tutti gli altri settori della società, per esempio quelle degli indigeni o  quelle delle donne.
Sappiamo che qui il ruolo dei maestri è fondamentale ed essi sono molto rispettati dalla popolazione perchè rappresentano il punto di collegamento tra la comunità indigena e il resto della società civile.
Certo questo è il loro ruolo politico, ma la loro importanza è ben altra, ed è ancora più alla base che si può toccare  con mano,  chi non ha un maestro di riferimento nella famiglia? chi è che conosce meglio di tutti le problematiche dello stato di Oaxaca? Sono i maestri, nessuna struttura dello stato arriva alle comunità indigene più emarginate e povere di come i maestri sanno e possono fare.
 
La notte dell’attacco allo zócalo è stato praticamente il momento in cui è caduta la  piccola goccia che mancava affinché  il bicchiere d’acqua traboccasse, è stato il momento in cui  la crisi politica e sociale, l’ impunità, la  mancanza della divisione dei poteri, la mancanza di autonomia del potere giuridico, nonché la  mancanza di potere della Commissione nazionale dei diritti umani e  di  tutta una serie di enti, riuscì ad emergere con maggior chiarezza e gravità.
Questi vuoti politici, civili e sociali, hanno avuto come risultato il fatto che la forza popolare li colmasse,  il coinvolgimento della cittadinanza  che riuscì a manifestarsi come ente di potere e che ebbe  in sé la forza di contrastare un governatore indesiderato.
 
Il fatto più  interessante fu che mentre il governo ripeteva che il problema a Oaxaca era soltanto un problema di conflitto che riguardava il sindacato dei maestri, tanto più si faceva imponente la partecipazione del popolo al  conflitto, tanto più la gente  si stringeva intorno ai maestri e alla APPO, tanto più il governo andava ripetendo che si trattava di un conflitto alla cui base stavano soltanto rivendicazioni salariali che riguardavano soltanto un pugno di maestri.
Per delegittimare la protesta dei maestri e di tutta la cittadinanza, il governo organizzò anche una marcia, detta “la marcia della vergogna”.
I suoi sostenitori sfilarono  tutti vestiti di bianco, chiamati in appoggio tra alcuni settori economici della società quali ad esempio i commercianti, ma anche tra i poveri che per 200 o 300 pesos accettarono di manifestare a favore del governatore  Ulises Ruiz.
Non fu nulla rispetto all’affluenza di persone che si registrò nelle marce della APPO e dei maestri.
 
La APPO, costituitasi formalmente  al fianco del sindacato dei maestri il 21 giugno,  diventò subito un movimento talmente ampio e importante ma privo purtroppo  di una dirigenza.
“Si  formò  pertanto un consiglio  provvisorio dove volta per volta venivano prese decisioni e stabiliti piani di azione, tutto funzionava molto bene” — ci racconta ancora Yesica —  “almeno fino a luglio/agosto quando il governo dette un’accelerazione alla sua strategia repressiva”.
Ci  furono dei morti  e dei casi di detenzioni arbitrarie quali quella del professore Germán Mendoza Nube, membro della sezione 22 della CNTE.
Furono giorni terribili nei quali le forze di polizia operarono al di fuori della legalità in cui oltre al citato caso di  detenzioni arbitrarie, si fabbricarono prove e testimonianze inesistenti contro i detenuti, e ci fu anche  la scomparsa di Evangelio Mendoza González,  ex  segretario generale  della Sezione 22 del  SNTE, poi trovato in un carcere fuori dallo stato di Oaxaca.
 
Fu una palese dimostrazione di forza da parte del governo con lo scopo di mettere in guardia  su quali fossero le conseguenze di una protesta che continuava con il passare dei giorni.
Dimostrazione di forza che ottenne però l’effetto contrario: ebbe inizio infatti a  Oaxaca una caccia al poliziotto, nei giorni intorno al 21 agosto non se ne vedevano più in giro, tanto era pericoloso per loro, la gente  era arrabbiata, i poliziotti avevano ucciso delle persone, ne avevano arrestate tante altre senza motivo  e si erano messi contro il popolo.
“Contemporaneamente a questi sentimenti di rabbia si era creato un clima di festa fra le barricate, lì la  gente si sentiva vicina e solidale, “camminavi nello zócalo e c’era chi preparava il caffè, chi la cena, si respirava un clima di  festa, gli uffici erano tutti chiusi . Si era giunti al collasso delle istituzioni. Questo  fu per tutto il mese di Agosto”.
E questo è  quello che accadeva tra le barricate nel racconto che ce ne fa Yesica, durante la nostra conversazione.
 
Alla fine del mese il governo aprì un tavolo di negoziazioni con la APPO, si tennero 6 incontri, durante i quali  la richiesta costante  del movimento fu  le dimissioni del governatore. Le chiedevano all’unanimità tutto il popolo di Oaxaca, ma purtroppo c’erano molti interessi economici, ma soprattutto politici  in gioco. La testa di   Ulises Ruiz venne giocata a tavolino tra il PRI e il PAN. Trattarono la  legittimazione di Calderón contro l’intoccabilità di Ulises Ruiz. Oaxaca dipendeva dai giochi della politica di tutto il paese e questo fece in modo che non si arrivò alla caduta del governatore.
 
Paradossalmente d’altro canto  il governo federale aveva riconosciuto il movimento di Oaxaca come un movimento  giusto e legittimo, ma il governo federale non aveva il potere di mettere o togliere governatori.
Nello stesso momento, il movimento medesimo  si trovò al centro di una polarizzazione sociale, alcuni metodi infatti, come le barricate, i blocchi stradali,  a lungo andare provocarono malcontento  tra i cittadini.
Si avvicinava anche la data dell’insediamento formale di Felipe Calderón al governo del paese,  per cui il governo federale  fece pressioni su quello di Oaxaca esortandolo a dargli appoggio decisivo per fermare la APPO che si stava facendo sempre più ingombrante.
La APPO si stava rafforzando infatti, nonostante la sua crisi strutturale e quella organizzativa.
 
E quindi quello che fece  il governo di Ulises Ruiz il 17 di ottobre 2006 fu generare  una serie di provocazioni in differenti luoghi della città.
Era ormai chiaro che la APPO era diventata un avversario molto maggiore di quello che i politici stessi e le forze di polizia  credevano e il governo federale dovette riconoscere a un certo punto  che il governatore Ulises Ruiz  era incapace di contenere tutta quella polarizzazione sociale e far fronte alla  crisi. Il 27 di ottobre Ulises Ruiz  fece  aprire differenti punti di scontro  con il movimento in varie zone di  Oaxaca, dove disgraziatamente morì  Bradley Roland Will, che fu l’avvenimento  che portò il caso Oaxaca alle cronache internazionali.
 
Il governo criminalizzò il movimento sociale in vari modi diversi,  prima dicendo che si trattava  solo di una protesta da parte dei maestri per  il ritardo nei pagamenti dei salari, successivamente accusò il movimento di essere un braccio della guerriglia, quando si rese evidente che  questa accusa non venne presa in considerazione, gli integranti della APPO vennero accusati di  essere dei vandali e dei delinquenti.
Questa fu la strategia di stato usata per legittimare l’azione da parte  del governo federale, vennero create le condizioni quindi per l’ingresso della PFP (Polizia Federale Preventiva) a Oaxaca il 29 di ottobre.
Ad Oaxaca oltre alla PFP entrarono però anche la Marina, i servizi segreti militari infiltrati nella PFP, i corpi speciali, gli agenti federali di investigazione.
Il popolo pensando di poter rispondere con le molotov e con le pietre fece azioni di resistenza e si registrarono altri due morti.
 
Continua a raccontare Jessica i lunghi giorni di ottobre e novembre.
Precisamente il 2 di novembre a Oaxaca si celebra la festa più importante, che è quella di tutti i santi. Girò voce però che proprio il 2 novembre la PFP sarebbe entrata nell’Università in un’azione volta contro la Radio Universidad, la voce del movimento.
Questo si preparò a difenderla, ma mentre nel centro, nello zócalo, la Polizia Federale Preventiva in modo molto civile smantellava le barricate senza provocazioni né uso della forza, dall’altro lato della città ci furono scontri violentissimi, ma l’errore più grande che commisero in questa circostanza gli agenti della Polizia federale preventiva fu quello di entrare nelle chiese.
Infatti nei giorni precedenti aveva giocato un ruolo  fondamentale la Chiesa che aveva dato alloggio ai perseguitati della APPO, mentre il governatore trovava appoggio nella Chiesa Protestante.
 
“Attraverso un efficiente servizio di contro– insorgenza attivato dal governo locale vennero identificate persone, volti, e anche la nostra associazione ricevette delle minacce”, racconta Yesica.
Il 25 novembre la situazione esplose, una gigantesca manifestazione di decine di migliaia di persone chiese ancora una volta   le dimissioni di Ulises Ruiz e il ritiro della PFP, ma  venne  duramente repressa, lasciando  un saldo di più di 150 feriti, 150 arrestati e  tre morti.
Questo fatto  provocò una destabilizzazione molto forte nel movimento, e si registrarono dei cambiamenti all’interno di esso.
 
Il movimento e i leader
Inizialmente  l’unico leader che il popolo aveva riconosciuto nella APPO non fu Flavio Sosa, come molti hanno creduto, ma Enrique Rueda. Egli purtroppo subì una pressione molto forte da parte degli organi di polizia, lui e la sua famiglia ricevettero minacce pesantissime che lo costrinsero a un ritiro dal movimento.
Ebbe gravi problemi di sicurezza e  subentrarono inoltre difficoltà  tra lui e la APPO per i quali a un certo momento sparì dalla circolazione e non se ne ebbero più notizie.
Il movimento si divise intorno a questo fatto ed egli da molti fu accusato di essere un traditore della APPO. Questo avvenne a settembre  del 2006.
 
In quel momento siccome la linea del movimento era comunque quella di  non avere un ruolo di protagonismo nei mezzi di comunicazione, non si davano  conferenze stampa, né il movimento rilasciava interviste. Flavio Sosa fu l’unico che riuscì a gestire il rapporto con i mezzi di comunicazione e sebbene egli non fosse il leader  della APPO, lo Stato lo aveva identificato come tale, e pertanto colpendolo con l’arresto a tradimento  come fece il 4 di dicembre,  voleva dimostrare alla nazione e non solo di aver colpito la APPO.
“Flavio Sosa è una persona dotata di  carisma naturale” spiega Jessica  “ed era la persona più adatta a gestire il rapporto con i mezzi di comunicazione, inoltre possedeva anche  buone basi politiche, purtroppo Flavio gode di poca credibilità, ha precedenti difficili da digerire: Flavio che saluta Fox, che milita nel PRD e poi nel PAN, molte persone hanno criticato Flavio Sosa per queste cose, egli dovette lavorare molto per ottenere credibilità, non è detto che la ottenne fino in fondo, comunque divenne un leader mediatico. Enrique invece mancava  di basi politiche, era il leader dei 70 mila maestri, in una mano aveva i 70 mila maestri, nell’altra il popolo di Oaxaca, ma gli mancava probabilmente abilità politica e forse anche ideologia.”
 
Quando il governo cominciò ad attaccare Enrique Rueda, lo fece perfino indagando nel suo passato, egli aveva un piccolo precedente per  corruzione, ma  non fu abbastanza forte per difendersi e rispondere agli attacchi contro di lui, fu ogegtto di  un processo generale di discredito e  la stessa sezione 22 della quale era dirigente, si divise intorno a questo fatto.
Lo Stato riuscì  ad aprire un fronte nella sezione 22 del sindacato e si formò pertanto la sezione 59, che legalmente non è sezione, ma venne definita tale giocando con l’immaginario della gente. In realtà  fu ed è  soltanto  un gruppo di persone create dallo stato per  contrastare la sezione 22 dei maestri. Voleva passare come il volto buono della docenza.
Lo stesso stato permise quindi  che la figura di Flavio Sosa assumesse una rilevanza così forte per poi poter dimostrare una volta messo in un carcere di massima sicurezza che il movimento era finito.
 
Uno sguardo al fuuro
Dopo il 25 di novembre, quello che si verificò   non fu   tanto la decadenza del movimento quanto la messa in evidenza di tutte le lotte interne ad esso che hanno creato un fronte  di debolezza e nello stesso momento, la gente, che allora ebbe molta paura,  ha trovato il coraggio  per tornare per strada. Oggi si sono formati gruppi di persone,  nell’università, nei  quartieri, a Oaxaca si sta vivendo un processo di riarticolazione, di reidentificazione della domanda sociale.
In questo grande contenitore che era la APPO, ma che non aveva direzione, ci fu   una richiesta di organizzazione di piccoli gruppi che avevano gli stessi bisogni ma le cui richiesta partivano  da punti di vista differenti.
 
Si può dire che  il processo di trasformazione profondo di Oaxaca stia iniziando adesso piuttosto che un anno fa , l’anno scorso fu la grande fiamma che mostrò l’esistenza di un problema e l’incapacità del governatore e dello Stato federale a risolverlo.
“A Oaxaca c’è un vuoto politico”, ci spiega Yesica, “tanto è vero che nel processo elettorale ci fu un forte astensionismo e quasi nessuno riconosce il governatore Ulises Ruiz. Tutt’ora c’è un clima di paura, adesso stanno cercando e incriminando giovani che erano nelle barricate per reati inesistenti e creati ad arte, come possesso di droga, furto. Persiste un clima di repressione invisibile,  c’è gente che viene arrestata illegalmente,  torturata e nessuno lo sa”
 
Paradossalmente possiamo affermare  che se Ulises  se ne fosse andato a luglio il processo di rinnovamento della società di Oaxaca non avrebbe  avuto luogo.
In passato  lo Stato di Oaxaca ha avuto tre governatori dei quali la popolazione ha ottenuto le dimissioni, ma tali dimissioni non hanno mai cambiato le cose.
Anzi  in quelle circostanze si  indurirono le repressioni contro i dirigenti sindacali e contro coloro accusati di appartenere alla guerriglia.
In Messico ci sono due formazioni guerrigliere,  la principale è l’EZLN che ha abbandonato le armi per combattere in modo differente, poi ci sono l’EPR, (Esercito Popolare Rivoluzionario) e vari altri movimenti minori.
Il governatore con la sua repressione e criminalizzazione della protesta  è riuscito a far organizzare il movimento guerrigliero e a compattare le sue forze. Persone uscite dal carcere rinnovando l’appoggio alle manifestazioni e alle barricate della APPO hanno affermato che seguiranno al via armata della guerriglia se dovessero essere arrestate nuovamente.
In questa congiuntura molte persone attualmente vedono una via d’uscita nella lotta armata, mentre prima non  accadeva.
 
Chiediamo a Yesica di spiegarci come lei vede il futuro di Oaxaca, partendo magari da quel momento di organizzazione che sono state le barricate:
“Le barricate hanno svolto un  ruolo catalizzatore e di incontro, si sono formati  gruppi e amicizie importanti, nelle barricate abbiamo vissuto per mesi, chi portava il caffè,  chi la cena e chi il pranzo,  c’erano famiglie intere, molte persone che non militavano in nessuna  organizzazione sociale hanno iniziato lì a creare blocchi accomunati da esigenze simili come le richieste per l’acqua, lo smaltimento dei rifiuti, la sicurezza.
A partire dal quel momento di sentimento comunitario che si è diffuso tra le barricate, si è creta una sorta di coscienza di sé.
Sono venute qui alla sede della Limeddh gruppi di donne e di persone a chiederci di organizzare seminari sui  diritti umani, a chiedere di aiutarle a difendere i loro diritti, ad informarle su come associarsi.
Ci siamo trovati improvvisamente a fronteggiare una mole di lavoro immensa, ma per fortuna non siamo soli.
Oggi circa 43 diverse ONG  stanno lavorando su Oaxaca.
Oaxaca ha bisogno di un nuovo patto sociale, di una nuova costituente, come spazio  civile è stato molto importante l’appoggio che abbiamo ricevuto più che dalle organizzazioni, dai singoli cittadini, ora riusciamo a parlare di legittimità dei diritti umani, la gente è informata, vengono e ci dicono: noi non conoscevamo fino q a questo momento  cosa era la Commissione Interamericana, cosa erano l’ONU, che cosa sono le missioni di osservazione sui territori.
 
Siamo riusciti a tessere una rete di solidarietà dal basso che accoglie ogni tipo di ideologia sotto lo sforzo comune della difesa dei diritti umani che poi è quello di cui Oaxaca aveva bisogno.
Questi spazi sociali, come per esempio il nostro della Limeddh, e tanti altri, hanno una grande responsabilità nella costruzione di una identità sociale,  perchè se non si apre questo processo di costruzione il popolo di Oaxaca rimarrebbe privo del suo diritto alla cittadinanza. Crediamo che a Oaxaca il popolo  stia iniziando piano piano, un processo di trasformazione.
Le realtà locali insieme all’appoggio internazionale hanno  giocato un ruolo fondamentale e hanno permesso che si raggiungessero obiettivi importanti  nella difesa dei diritti umani nello Stato di  Oaxaca.
Oaxaca, 25 agosto 2007
..
Liga Mexicana por la Defensa de Los Derechos Humanos — Oaxaca

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C.P. 68000

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  1. avatar
    monique camus ha detto:

    A pocas horas de terminar el año, se suma la nostalgia por Oaxaca y por ti, por aquellas caminatas juntas…por aquel México inacabado, preñado de injusticia social…

    Amiga, te abrazo fuerte.

    Gracias por tu amistad. Monique

  2. avatar
    Un tipo serio ha detto:

    Ciao Annalisa auguri sinceri per il 2008,
    siamo in pocchi ma teniamo duro.

    Un tipo serio(giovane contadino cubano)

  3. avatar
    Anonimo ha detto:

    @Monique gracias a ti.…

  4. avatar
    Annalisa ha detto:

    @Tipo serio, tanti cari auguri anche a te.

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