Cantata Santa María de Iquique

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Cantata Santa María de Iquique — 1 parte (la seconda alla fine del testo)
1. Proclama
 
Signore e Signori
racconteremo
ciò che la storia
non vuole ricordare.
Accadde nel Grande Nord,
fu Iquique (1) la città.
Il millenovecentosette
segnò la disgrazia.
Là, il povero “pampino
uccisero tanto per uccidere.
 
Saremo i narratori,
diremo la verità.
Verità che è la  morte amara
degli operai del salnitro(2).
Ricordate la nostra storia
di dolore senza perdono.                    
Quanto più passa il tempo       
non bisogna mai dimenticare.
Ora vi chiediamo
di fare attenzione.
 
2. RACCONTO I
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci
vedrete le aridità  del silenzio,
il suolo senza vita e le fabbriche vuote,
come l’ultimo dei deserti.
 
E se osservate la pampa e la immaginate
ai tempi dell’industria del salnitro,
vedrete la donna e il triste focolare,
l’operaio senza volto, il bambino triste.
 
Vedrete anche la baracca diroccata,
la candela che illuminava la sua miseria,
alcune incrostazioni alle pareti
e per letto, i sacchi e la terra.
 
Vedrete anche punizioni umilianti,
un ceppo al quale legavano l’operaio
per giorni e giorni sotto il sole;
non importa se alla fine moriva.
 
La colpa dell’operaio, molte volte,
era il dolore altero che mostrava.
Ribellione impotente, un’insolenza!
La legge del ricco padrone è legge sacra.
 
Vedrete anche la paga che gli davano.
Non vedevano denaro, solo buoni;
uno per ogni giorno di lavoro,             
e venivano cambiati con cibo.
 
Attenti a comprare da altre parti!
Non si poteva in nessun modo,
anche se le cose fossero meno care.
Era stato vietato dalla Fabbrica.
 
Il potere di acquisto di quel buono
era diminuito con il tempo
ma continuavano pagando la stessa giornata.
Per niente al mondo un aumento.
 
Se contemplate la pampa e i suoi scorci          
vedrete le aridità del silenzio.
E se osservate la pampa com’era,
sentirete, soffocati, i lamenti.
 
3. CANZONE I
 
Il sole nel grande deserto        
e il sale che ci bruciava.
Il freddo nelle solitudini,
camanchaca (3) e notte lunga.
La fame di pietra secca
e i lamenti che ascoltava.
La vita di morte lenta
e la lacrima che scorreva.
 
Le case espropriate     
e l’operaio che aspettava
il sonno, che era dimenticare,
soltanto  un rimpianto rimandato.
Il vento nella pampa immensa
mai più sarebbe cessato.
Durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
Il salnitro, pioggia benedetta,
diventava malvagità.
La pampa, pane quotidiano,
cimitero e terra amara.
Continuava a passare il tempo
e continuava la brutta storia,
durezza di aridità
per sempre sarebbe rimasta.
 
4. RACCONTO II
 
Si erano accumulati tanti mali,
molta povertà, molte ingiustizie;
non se ne poteva più e le parole
dovettero chiedere ciò che era dovuto.
                                                 
Alla fine del millenovecentosette
si preparava lo sciopero a San Lorenzo;
e nello stesso momento tutti ascoltavano
un grido che volava nel deserto.
 
Da una Fabbrica all’altra, come raffiche,
si udivano le proteste degli operai.
Da una Fabbrica all’altra, i Padroni,
il volto indifferente o il disprezzo.
 
Che cosa gli può importare della ribellione
dei nullatenenti, dei paria.
Presto torneranno pentiti,
la fame li riporterà a capo chino.
 
Che fare allora se nessuno ti ascolta?
Si domandavano fratello e fratello.
Sono giuste le richieste e sono così poche
dovremo perdere dunque le speranze?
 
Così con amore e dolore
si furono radunando volontà,
si sarebbero raccolti in un solo luogo,
bisognava scendere al grande porto.
 
5. CANZONE II: ANDIAMO DONNA
 
Andiamo donna,
partiamo per la città.
utto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare,
fidati e vedrai,
perché a Iquique
tutti capiranno.
 
Prendi donna il mio mantello,
ti coprirà.
Prendi il bambino in braccio,
non piangerà.
Non piangerà, fidati
sorriderà.
Gli canterai una ninna nanna,   
e si addormenterà.                                              
 
Che succede?,
dimmi, non tacere più.
Una lunga strada
devi percorrere
attraversando montagne,
andiamo donna.
Andiamo donna, fidati,
dobbiamo arrivare alla città
potremo vedere tutto il mare.
 
Dicono che Iquique è grande
come una miniera di salnitro,
che ci sono case bellissime,
ti piaceranno.
Ti piaceranno, fidati
come è vero che esiste Dio
là al porto tutto
sarà migliore.
 
Che succede?
dimmi, non tacere più.
Andiamo donna,
partiamo per la città.
Tutto sarà diverso,
non devi dubitare.
Non devi dubitare, fidati,
vedrai, perché a Iquique
tutti capiranno.
 
6. RACCONTO III
 
Dal quindici al ventuno,
del mese di dicembre,
durò il lungo viaggio
attraverso i pendii.
Ventiseimila uomini
o anche di più
con i silenzi consumati
nelle miniere di salnitro.           
Scendevano ansiosi,    
arrivavano a migliaia    
dalla pampa,
gli emarginati.
Non mendicavano nulla,
solo chiedevano
risposta alle richieste,
risposte chiare.
 
Alcuni a Iquique
li capirono
e si unirono a loro,
erano i Sindacati.
E solidarizzarono con loro
i carpentieri,
Le maestranze,
i carrettieri,
gli imbianchini e i sarti,
i lavoratori a giornata,
i barcaioli e i muratori,
i panettieri,      
i gasisti e magazzinieri,
i facchini.
Sindacati giusti,
di povera gente.
 
I Padroni di Iquique
avevano paura;
erano troppe richieste
da tanti operai.
Il “pampino” non era
uomo onesto,
poteva essere ladro
o uccidere.
Intanto le case
erano chiuse,
guardavano solo
da dietro le finestre.                                   
Il commercio chiuse    
anche le sue porte,      
bisognava difendersi
da tante bestie.            
Meglio che li riunissero tutti
in qualche luogo,
se circolavano per le strade
era un pericolo.                       
 
7. INTERLUDIO CANTATO                       
 
Si sono uniti con noi    
compagni di speranza  
e gli altri, i più ricchi,    
ci voltano le spalle.      
 
Siamo arrivati fino a Iquique    
ma  Iquique ci vede come stranieri.
Ci capiscono solo  alcuni amici
ma gli altri ci negano la mano.
 
8. RACCONTO IV
 
Il luogo dove ci portarono
era una scuola vuota
e la scuola si chiamava
Santa María.
 
Lasciarono gli operai
e li lasciarono con sorrisi.
Dissero di aspettare
soltanto qualche giorno.
 
Gli uomini si fidarono,
non gli mancava la pazienza
visto che avevano aspettato
una vita intera.
 
Aspettarono sette giorni,
che divennero d’inferno,
mentre  il pane si sta barattando
con la morte.
 
L’operaio è sempre un pericolo.
E’ necessario cautelarsi.
E così fu dichiarato lo stadio d’assedio.
 
L’aria portò un annuncio,
si udiva un tamburo lontano.
Era il giorno ventuno
di dicembre.
 
9. CANZONE III
 
Sono operaio “pampino” e sono
più vecchio che mai
e inizia a cantare la mia voce
con il  timore  di una tragedia.
 
Quello che sento in questa circostanza,
lo dovrò comunicare,
qualcosa di triste accadrà,
qualcosa di orribile ci succederà.
 
Il deserto mi è stato
infedele,
solo terra sbrecciata e sale,
pietra amara del mio dolore,
roccia triste di aridità.
 
Sento solo silenzio
e agonie di solitudini
solo rovine di ingratitudine
e ricordi che fanno piangere.
 
Che nella vita non si deve aver paura
lo ho imparato con gli anni,
però dentro sento un grido
che ora mi fa tremare.
 
E’ la morte che sorgerà
galoppando nell’oscurità.
Apparirà per il mare,
sono ormai vecchio e so che verrà.
 
10. RACCONTO V
 
Nessuno dica niente,
che arriverà
un nobile militare,
un Generale.(4)
Egli saprà come parlarvi,
con l’attenzione che il gentiluomo
usa per i suoi lacchè.
Il Generale arriva
con molto trambusto
e ben cauto
con i suoi soldati.
Le mitragliatrici
sono disposte
e strategicamente circondano la scuola.
 
Parla da un balcone
con dignità.
Questo è ciò che dice il Generale
“Che non serve a niente
questa commedia.
Che smettano di inventare
tanta miseria.
Che non capiscono i loro doveri
sono ignoranti.
Che disturbano l’ordine,
che sono delinquenti.
Che sono contro il paese,
che sono traditori.
Che rubano alla patria,
che sono dei ladri.
Che hanno violentato le donne,
che sono indegni.
Che hanno ucciso dei soldati,
che sono degli assassini.
Che è meglio che se ne vadano
senza protestare.
Che nonostante chiedano e chiedano
non otterranno nulla.
Che lascino allora
questo luogo,
che se non obbediscono agli ordini,
vedranno ciò che accadrà”.
 
Dalla scuola, “El Rucio”,
operaio ardente,
risponde senza vacillare
con voce coraggiosa,
“Lei, Signor Generale
non ci capisce.
Continueremo ad aspettare,
costi quel che  costi.
Non siamo animali,
non siamo pecore,
alzeremo la mano
con il pugno in alto.
Daremo nuova forza
con il nostro esempio
e il futuro lo saprà, glielo prometto.
E se vuole minacciare
io sono qui.
Spari al cuore
di questo operaio”.
 
Il Generale che lo ascolta non ha vacillato,
con rabbia e con un gesto presuntuoso
gli ha sparato,
e il primo sparo è l’ordine
per il massacro
e così inizia l’inferno
con gli spari.
 
11. CANZONE LITANIA
 
Morirono in tremilaseicento,
uno dopo l’altro.
Tremilaseicento
li ammazzarono uno dopo l’altro.
 
La scuola Santa María
vide sangue operaio.
Sangue che conosceva
solo miseria.
 
Erano tremilaseicento
sordi
e furono tremilaseicento
muti.
 
La scuola Santa María
fu lo sterminio
della vita che moriva,
solo urlo.
 
Tremilaseicento sguardi
che si spensero.
Tremilaseicento operai
uccisi.
 
12.  CANZONE IV
 
Un bimbo gioca nella scuola
Santa María.
Se gioca a cercare tesori
che troverà?
 
Gli uomini della pampa
che vollero protestare
li ammazzarono come cani
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, amico,
è pericoloso.
Non si deve parlare, amico,
è pericoloso.
 
Le donne della pampa
si misero a piangere
e ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere povera, amica,
è pericoloso.
Non si deve piangere, amica,
è pericoloso.
 
I bambini della pampa
che guardavano, solo per questo,
ammazzarono anche loro
perché bisognava uccidere.
 
Non si deve essere poveri, bimbo,
è pericoloso.
Non si deve nascere, bimbo,
è pericoloso.
 
Dove sono gli assassini
che giunsero per uccidere?
Lo giuriamo su questa terra,
li troveremo.
 
Lo giuriamo sulla vita,
li troveremo.
Lo giuriamo sulla morte,
li troveremo.
 
Lo giuriamo, compagni,
quel giorno giungerà.
 
13.  CANZONE DI COMMIATO
 
Signore e signori,
qui termina
la storia della scuola
Santa María.
Ed ora con rispetto
vi pregherei
di ascoltare la canzone
di commiato.
 
14. CANZONE FINALE
 
Voi che avete ascoltato
la storia che si narrò
non state lì seduti
pensando che ormai è successo.
Non basta solo il ricordo,
il canto non basterà.
Non basta solo il lamento,
guardiamo la realtà.
 
Chissà domani o dopodomani,
o forse  un po’ più avanti,
la storia che avete ascoltato
accadrà di nuovo.
E’ il Cile un paese così grande,
mille cose possono accadere,
se non ci prepariamo
decisi a lottare.
Abbiamo ragioni vere,
abbiamo di che lottare.
Abbiamo le mani dure,
abbiamo con cosa vincere.
 
Uniamoci come fratelli,
che nessuno ci vincerà.
Se vogliono schiavizzarci,
non ce la faranno mai.
La terra sarà di tutti
sarà anche nostro il mare.
Ci sarà Giustizia per tutti,
ed anche Libertà.
Lotteremo per i diritti
che tutti devono avere.
Lotteremo per ciò che è nostro,
e che di nessun altro sarà.
Testo e Musica di Luis Advis 
Traduzione di Annalisa Melandri
 
 
Questa canzone fu composta da Luis Advis alla fine del 1969. Il gruppo Quilapayún la eseguì la prima volta nel luglio 1970 nel secondo Festival della Nuova canzone Cilena e di questo movimento divenne l’opera principale.
 
I nastri originali della “Cantata Santa María de Iquique” furono distrutti dopo il golpe militare e l’esecuzione di questa canzone fu proibita dalla dittatura di Pinochet fino al 1990.
 
La canzone narra dei fatti avvenuti nella scuola Santa María di Iquique tra il 15 ed il 21 dicembre 1907, sotto la presidenza di Pedro Montt, e cioè il massacro di 3600 minatori del salnitro che si trovavano in sciopero per le precarie condizioni di lavoro e di vita a cui erano sottoposti.
 
Il regista cileno Miguel Littín, ha tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore cileno Patricio Manns il suo film del 1975 Actas de Marusia con Gian Maria Volontè.
 
Vedi anche:
Leggi:
 
“Ora che la solitudine ha
conficcato il suo canino nel paesaggio della pampa
e solo restano ciminiere spente
simulando un fumatore stanco
rivolgete il vostro sguardo al suolo
e vedrete insieme a me
come piangono, sanguinano e protestano
di notte le sue ferite.”
Floreal Acuña
 
 
 
 



(1) Città ed importante porto del Cile settentrionale, capoluogo della prima regione di Tarapacà, sulla costa pacifica. Nel passato fu un’importante città mineraria per i grandi giacimenti di nitrato di potassio della “pampa del tamarugal”. Oggi la sua risorsa principale è la pesca ed è il maggior porto mondiale per l’esportazione della farina di pesce. Dal 1975 è zona franca e questo ha contribuito al suo sviluppo.
(2) Nitrato di potassio, usato come fertilizzante e nella preparazione della polvere da sparo.
(3) Nebbiolina costiera densa e dinamica che si produce grazie all’anticiclone del Pacifico.
In alcuni luoghi della costa cilena si usano sistemi per produrre acqua dalla camanchaca con ottimi risultati.
(4) Le forze militari erano guidate dal Generale Roberto Silva Renard

  1. avatar
    Francesco ha detto:

    Bellissima cantata ed ottima traduzione complimenti annalisa!

  2. in questi giorni cosi tristi degli operai fiat che hanno dovuto cedere al ricatto mi è venuto in mente questo scritto di Saramago, niente cambia.…

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